SULLA MEDICINA
Stefano Beccastrini
IL CINEMA E SEMMELWEIS
Alessandra Parodi, nel suo Le cause tra medicina e filosofia (ERGA, Genova, 1997) ha scritto che
“…la medicina è un complesso di conoscenze, strumenti e attività con il quale si affronta il
fenomeno della malattia umana e la filosofia della medicina costituisce la riflessione su questo
complesso…”. Temi cruciali di tale filosofica riflessione sono quelli di natura ontologica (cos’è la
malattia e cos’è la salute?), logica ed epistemologica (insomma, cognitiva e metodologica), etica (o,
meglio, bioetica, come da qualche anno si è giustamente preso a dire). Soffermandosi sui temi di
natura epistemologica, Parodi evidenzia quello relativo al nesso di causalità e l’affronta scrivendo:
“L’impresa della costruzione di una conoscenza medica causale consiste essenzialmente in un
continuo interscambio tra atteggiamento epidemiologico…e ricerca fisiopatologica:
l’epidemiologia, priva di modelli fisiopatologici, è vuota perché non dice nulla sugli effettivi
processi che avvengono nell’organismo…ma la fisiopatologia senza l’epidemiologia è cieca…(in
quanto)…non può ampliare la sua visione oltre i confini dell’organismo, per passare dal ‘come’
locale al ‘perché’ globale delle malattie”.
Poche storie di medici possono risultare altrettanto esemplari, per riflettere su simili questioni e
connessioni, di quella di Ignazio Filippo Semmelweis. Egli, come molti già sanno, era un giovane
medico ungherese (nato a Budapest nel 1818), intenzionato a specializzarsi in ostetricia e
ginecologia e perciò recatosi a Vienna, che dell’allora impero austroungarico era la grande capitale.
Aspirava a una brillante carriera universitaria, anche le sue origini magiare costituivano,
indubbiamente, un handicap sociale non indifferente. Inoltre, aveva uno spirito ribelle, insofferente
dell’autoritarismo accademico (quello contestato dagli studenti nel 1968, ma al tempo di
Semmelweis ancora più opprimente). Tutto ciò fece sì che l’agognata carriera universitaria non
riuscisse neppure ad avviarsi. Il povero Semmelweis, sulla cui vicenda scrisse la propria tesi di
laurea il medico e romanziere francese Louis Ferdinand Celine, deluso ma pur sempre volenteroso,
andò allora a lavorare in uno dei padiglioni della clinica ostetrico-ginecologiche della città. Essi si
trovavano l’uno di fronte all’altro, restando aperti a turno: quando l’uno chiudeva gli accessi, li
apriva l’altro e viceversa. Le partorienti viennesi (donne del popolo principalmente ossia povere
casalinghe, operaie, prostitute: le donne dell’alta società partorivano a casa, anzi a palazzo)
ritenevano che in uno dei due padiglioni si morisse, dopo aver partorito, assai più frequentemente
che nell’altro. I luminari dell’ostetricia-ginecologia di Vienna consideravano la convinzione delle
donne una sorta di leggenda metropolitana, frutto d’ignoranza e superstizione. Il giorno che
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Semmelweis prese servizio, proprio nel clinica chiamato “della morte” dalle donne, a una di esse si
ruppero le acque per strada ed ella fu quindi trasportata presso l’accettazione del padiglione in quel
momento aperto e cioè proprio quello in cui egli aveva appena iniziato il proprio nuovo lavoro.
Rimase fortemente impressionato dagli urli della donna, dalla sua disperazione, dal implorare di
lasciarla piuttosto partorire per strada che condurla a morire in quel famigerato padiglione. Giorni
dopo, il giovane medico andò a controllare che fine avesse fatto quella paziente (magari, un altro se
ne sarebbe subito dimenticato) così venendo a sapere che ella era effettivamente morta. Decise,
così, di verificare se quanto pensavano le popolane della città non avesse un fondamento di realtà.
Cominciò, quindi, a far di conto, tra lo scandalo dei colleghi (quando mai la medicina aveva
utilizzato la matematica?)¨ tante ricoverate qui, tante là, tante morte qui, tante là. Alla fine, tirando
le somme, concluse che le povere donne di Vienna avevano proprio ragione: in uno dei due
padiglioni, quello in cui lui lavorava, si moriva più frequentemente che nell’altro. Occorreva, a
questo punto, comprendere perché ovvero trovare cosa, differenziando l’uno dall’altro, poteva
essere la causa della diversa prognosi delle ricoverate nell’uno e nell’altro. In realtà, l’unica
differenza che Semmelweis riuscì a trovare, tra essi, consisteva nel fatto che soltanto in uno, e non
nell’altro, gli studenti,. oltre che pratica in corsia, facevano anche attività formative di anatomia
patologica, tramite dissezione di cadaveri. L’idea che i cadaveri c’entrassero, e molto, gli si rafforzò
nella mente quando un collega, ferendosi una mano col bisturi mentre faceva un’autopsia, finì col
morire accusando esattamente gli stessi sintomi delle puerpere colpite dalla misteriosa epidemia
(che veniva chiamata, a quel tempo, “febbre puerperale”). Dunque, erano proprio i tessuti morti dei
cada<veri all’origine di tutto e gli studenti, recandosi a visitare le donne dopo essere usciti dall’aula
di anatomia patologica, si facevano portatori di qualcosa di nocivo, quello stesso “qualcosa” che
aveva ucciso il collega. Decenni dopo, quel “qualcosa” sarebbe stato chiamato “i microbi” ma
Semmelweis viveva e operava in epoca prepasteuriana ossia premicrobiologica. Dunque nulla
sapeva di cosa fosse realmente quel fattore nocivo che gli studenti portavano sulle loro mani e
trasferivano negli organi genitali delle malcapitate pazienti, così esponendole a rischi mortali.
Riflettiamo sullo straordinario intuito epidemiologico/clinico di Semmelweis: egli non sapeva cosa
quel fattore nocivo fosse, non lo poteva vedere con i propri occhi, però (in attesa che si diffondesse
l’uso del microscopio) riusciva a “vederlo” con lo sguardo della mente, del ragionamento prima
epidemiologico e poi clinico, prima teorico e poi sperimentale .
Decise di far lavare le mani agli studenti e le morti diminuirono (lo mostra l’immagine di destra, un
grafico da lui disegnato, che illustra anche il loro aumento quando fu introdotta l’anatomia
patologica nella clinica). Per i buoni risultati così ottenuti, egli è considerato nelle storie della
medicina, ma a mio avviso alquanto riduttivamente, quale l’inventore dell’antispesi ma, in realtà,
Semmelweis fu molto di più: fu un genio che provocò un mutamento di statuto epistemologico - per
dirla con Michel Foucault - della medicina, della sua concezione teorica, della sua applicazione
pratica. Seppe coniugare, in un processo di pensiero/azione del tutto innovativo, approccio
epistemologico e metodo clinico, analisi teorica e sperimentazione sul campo, fiducia nella scienza
e credito verso la soggettività e dunque l’intelligenza della gente comune. Ebbe anche il merito,
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infatti, di prendere sul serio quanto percepito socialmente dalle popolane di Vienna, oltre a quello di
cominciare a utilizzare la matematica e la statistica in medicina e quello di comprendere che in una
organizzazione ospedaliera non conta soltanto l’abilità tecnica del singolo medico ma anche la
qualità dell’organizzazione complessiva (che altro era, infatti, la decisione di far lavare le mani agli
studenti dopo ogni seduta in aula di anatomopatologia se non una decisione di organizzazione del
lavoro a fini di prevenzione?). Non si pensi, però, che di tutto ciò sia stato ringraziato da qualcuno
(se non, forse, dalle madri che riuscì a salvare da morte per febbre puerperale). Fu cacciato via
dall’ospedale e costretto a tornare nella nativa Ungheria, a fare il medico di campagna. Divenne
pazzo, al pensiero delle tante donne che si sarebbero potute salvare e si continuava invece a far
morire. Un giorno, in una sorta di raptus follemente razionale, entrò in una sala di dissezione, si ferì
ripetutamente col bisturi infetto, morì di setticemia come le partorienti affette da febbre puerperale.
Nella sua allucinata ma commovente follia, dimostrò ancora una volta il proprio attaccamento al
metodo sia epidemiologico che sperimentale, trasformando se stesso in un caso, in una cavia
umana, in una prova. Il cinema si è più volte interessato alla sua terribile vita e alla sua geniale
scoperta. Il più antico film su di lui è probabilmente That Mothers Might Live (Quelle madri
possano vivere), USA, 1938, di Fred Zinnemann, il celebre regista di .Da qui all’eternità e
Mezzogiorno di fuoco. Si tratta di una breve docufiction, della durata di soli 10 minuti, che
ricevette tuttavia il Premio Oscar per il migliore cortometraggio. Venne poi il film ungherese
Semmelweis, 1940, regia Andre de Toth (cineasta nato, come Semmelweis, a Budapest ma presto
emigrato, a causa del nazismo, in America). Nel 1980 fu un regista italiano, il cineasta oltre che
semiologo Gianframnco Bettetini, a girare un TV Movie, trasmesso dalla RAI, sul geniale ma
sfortunato scopritore dell’origine della febbre puerperale: il film si chiamava, appunto,
Semmelweis ed aveva quale protagonista Giulio Brogi. Vennero poi, dimostrando un interesse
crescente del cinema, e soprattutto della televisione, per la figura del tragico “medico delle donne”,
Ignaz Semmelweis. Arzt der Frauen, 1987, regia di Michael Verhoeven, una coproduzione austrogermanica ; Semmelweis, 1994, regia dell’olandese Floor Maas; Docteur Semmelweis, 1995, una
coproduzione franco-polacca con la regia di Roger Andrieux; infine Semmelweis, 2001, un
cortometraggio austro-americano per la regia di Jim Berry. Va notato che la RAI, che pure ebbe il
merito di interessarsi precocemente all’appassionante, ed educativamente fertile, vicenda non si
mostra oggi minimamente interessata a rimandare in onda, o almeno rieditare sul mercato, il bel
telefilm di Bettetini. Evidentemente, tra un’Isola dei famosi e un Grande Fratello, non trova il
tempo di farlo.
Comunque, Ignazio Filippo Semmelweis è diventato ormai un riferimento imprescindibile per chi,
ai giorni nostri, si occupi di epistemologia, oltre che di etica, della medicina. Carl Hempel (un
filosofo delle scienze naturali che i medici italiani farebbero bene a leggere se non studiare) ne ha,
per esempio, messa in luce la capacità di dispiegare procedure inferenziali in un campo del sapere
(la medicina, appunto) dal quale erano rimaste troppo a lungo estranee e Paolo Vineis, in Nel
crepuscolo della probabilità. La medicina tra scienza ed etica (Einaudi, Torino, 1999) ha scritto
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che “…il metodo che Semmelweis usò compendia, in un certo senso, diverse caratteristiche della
ricerca medica contemporanea, in particolare quella epidemiologica…”. A Budapest, in quella che
fu la sua casa natale, c’è oggi un museo di storia della medicina a lui intitolato. Vale una visita, anzi
un pellegrinaggio.
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