2° Corso internazionale di formazione dei Cappellani Militari Cattolici al diritto umanitario DIGNITÀ UMANA E DIRITTO UMANITARIO IL RUOLO DELLE RELIGIONI Roma, 12–13 ottobre 2007 Palazzo san Calisto, Piazza san Calisto 16 Dignità umana e guerra: la prospettiva della grandi religioni Indo–Asiatiche Mary THENGAVILA Professoressa di scienze religiose «Se muori combattendo raggiungerai i pianeti superiori, se vinci godrai del regno della terra, dunque alzati e combatti con determinazione … Combatti per dovere, senza considerare gioia o dolore, perdita o guadagno, vittoria o sconfitta; così non incorrerai mai in nessun peccato» (BHAGAVADGITA) L’Induismo come la maggior parte delle religioni crede che la guerra sia indesiderabile ed evitabile in quanto comporta l’uccisione degli esseri umani. Esso riconosce che ci potrebbero essere delle situazioni in cui è preferibile fare una guerra piuttosto che tollerare il male. In questo senso l’Induismo giustifica la guerra e ciò, di conseguenza, a portato a credere a molti che la sostenga, in realtà né approva la guerra né la condanna ma di fronte al male e all’ingiustizia non consiglia la pace. Nei testi sacri dell’Induismo, i Veda, nei quali si fa riferimento alle leggi e alle regole di guerra, si distinguono due tipi di guerra: Dharma yuddha (guerra giusta) e Adharma yuddha (guerra ingiusta), la cui distinzione si basa sulle cause giuste o ingiuste per cui si combatte e sul modo di combattere in guerra. 1 Vengono inoltre distinti quattro aspetti del conflitto armato che oggi si potrebbero classificare in questo modo: metodi di guerra, mezzi o strumenti di guerra,trattamento delle persone ferite o dei prigionieri di guerra, trattamento dei civili. Il principio generale che viene messo in evidenza è che una guerra che si combatte per una giusta causa deve essere condotta con lealtà. Nell’antichità si doveva combattere solo tra guerrieri ad armi pari. Ovvero un re poteva combattere solo contro un re, un cavaliere solo con un altro cavaliere e chi perdeva la propria arma non poteva essere colpito. Era vietato l’uso di frecce avvelenate o appuntite. Lo scopo principale dell’uso delle armi era di indebolire il nemico e mettere i soldati fuori combattimento, ma non di massacrarli fino all’ultimo respiro. Esistevano abbondanti regole sul trattamento delle persone che non erano direttamente coinvolte nella guerra o che erano state catturate come prigionieri di guerra. Non si doveva combattere contro coloro che conducevano i carri o gli elefanti, i musicisti di guerra o i sacerdoti e così di seguito. Chi si arrendeva o era sconfitto non doveva essere ucciso, ma catturato come prigioniero di guerra e trattato con dignità. Per di più durante lo svolgimento della guerra non dovevano essere colpiti i civili e sia i luoghi pubblici che i luoghi di culto dovevano rimanere intatti. Dopo i Veda, il Bhagavadgita (canto del Sublime), contenuto nel Mahabharata, un altro testo sacro, ha come scenario un campo di battaglia e il suo principale protagonista è un guerriero che si trova a dover scegliere tra l’etica del guerriero e la sua salvezza. Infatti nel testo sacro è scritto: “Se rifiuti di combattere questa giusta battaglia certamente peccherai per aver mancato al tuo dovere e perderai così la tua fama di guerriero. Gli uomini parleranno per sempre della tua infamia e per chi ha conosciuto l’onore, il disonore è peggio della morte. I grandi generali crederanno che per paura hai abbandonato il campo di battaglia e ti giudicheranno un codardo.” Quindi se il guerriero compie il suo dovere come volontà divina, può raggiungere la felicità eterna, e lo sforzo compiuto nella direzione della virtù è in grado di salvarlo dal pericolo di cadere nella schiavitù della vita (samsāra). Il concetto di Samsāra insieme a quelli di DHARMA (dovere), AHIMSA (non - violenza), MOKSHA (beatitudine eterna) e KAMA (desideri) sono la base dell’Induismo. Ma la qualità necessaria ed indispensabile è il DHARMA che mantiene l’intero universo nell’ordine cosmico e l’umanità nell’ordine morale in conformità alla legge eterna; significa, quindi, legge, ordine costante, regola prestabilita di condotta, diritto, dovere e giustizia ed è considerato come la “legge buona” o il “dovere giusto”. Mentre tutto quello che minaccia questo ordine è considerato “ legge non giusta”. Di conseguenza per salvaguardare quell’ordine di cui si parla, la guerra è necessaria e quindi in questo senso è giustificata. Nell’ Induismo non c’è però nessuna giustificazione per la guerra contro gli stranieri o contro i popoli di altre religioni. 2 Così la guerra “giusta” nell’Induismo viene considerata una guerra contro tutto ciò che è dovuto all’ ingiustizia nella vita quotidiana di tutti gli esseri mortali, siano essi Indù o non – Indù. Ad esempio le azioni non corrette e ingiuste come la negazione dei diritti a chi erano concessi, potevano provocare una guerra giusta. Quando si combatteva una guerra, si dovevano osservare attentamente le leggi di guerra. Un sovrano, un guerriero e chiunque non avesse osservato tali leggi non poteva avere un posto nell’universo dei virtuosi e dei vittoriosi. Nell’antichità era riconosciuto il principio dell’Ahimsa (non – violenza) per cui ci si asteneva dall’offendere gli altri esseri viventi con atti o pensieri; nella guerra ciò si traduceva con il divieto di usare armi che causassero sofferenze inutili. Da questo principio deriva che l’essenza della guerra induista era di proibire l’ineguaglianza nel combattimento e di proteggere gli indifesi. Allo stesso modo le moderne leggi di guerra prescrivono dove cessare il combattimento e come condurre la guerra; questo non solo minimizza l’impatto di una guerra ma anche distoglie l’ aggressione e rende la guerra più umana. Così il mondo può diventare il migliore luogo dove si può vivere in serenità osservando le leggi delle Convenzioni di Ginevra che sembrano incorporare alcune regole di guerra dell’Induismo. Infatti le Convenzioni di Ginevra che riguardano le normative internazionali relative ai feriti, ai prigionieri di guerra, ai civili, agli anziani e ai bambini non sono molto lontane dalle leggi indù della guerra. La concezione induista dell’ Ahimsa venne ripresa con successo da Mahatma Gandhi che la usò come strumento di lotta contro l’oppressione del re britannico in India nel periodo dell’invasione coloniale nel XVI secolo. La non - violenza di Gandhi si può definire come soluzione dei conflitti, forza della giustizia e leva alla conversione. C’è da sottolineare che anche Gandhi giustificava la guerra solo quando essa era usata come mezzo per combattere il male e l’ingiustizia, e non per lo scopo di aggredire o terrorizzare il popolo. Egli era fermamente convinto che se le intimazioni vediche, le aggressioni e gli atti terroristici fossero stati annientati definitivamente, nessuno avrebbe più incontrato le offese che annientano la dignità umana. L’idea della non – violenza, citata nei testi vedici e post vedici, con il tempo ignorata dall’Induismo, viene ripresa dal Buddhismo con significati e valori nuovi. Sorge come movimento riformista in seno all’Induismo. Il “Buddha” (l’illuminato), Gautama Siddharta, un principe indiano vissuto tra il VI e il V secolo a.C, appartenente alla famiglia dei Sakya, della casta dei guerrieri, rinunciò alla sua vita regale; sei anni dopo la sua rinuncia ricevette l’illuminazione (Bodhi) e raggiunse infine il Nirvana (l’annullamento del desiderio). 3 La prima tappa della storia del Buddhismo fu il regno dell’imperatore indiano Ashoka (III secolo a.C.) che dopo la sua conversione divenne un uomo di pace e di alti principi insoliti nell’ambiente del potere. Ashoka seguendo il nobile esempio della tolleranza e della comprensione,onerò e diede il suo appoggio a tutte le religioni del suo impero. In un suo edito inciso sulla roccia, il cui originale si può leggere ancora oggi, l’imperatore dichiara: “ Non si dovrebbe onorare solo la propria religione e condannare le religioni degli altri, ma si dovrebbero onorare le religioni di tutti per questo o quel motivo. Però voglio rendere gloria alla mia religione.” Il Buddismo non solo insegna la tolleranza e la comprensione ma anche la concordia; possiamo quindi aggiungere che, questo spirito totale di comprensione, potrebbe essere applicato non solo in materie di dottrine religiose, ma anche nel benessere sociale, politico, economico di ogni Stato. La sua lunga storia di oltre 2500 anni, non mostra nessuna persecuzione o spargimento di sangue per conquistare territori o propagandare la dottrina. La violenza in qualsiasi forma, sotto qualsiasi pretesto, è assolutamente contraria all’insegnamento di Buddha. Non approva né l’accumulazione dei beni con cupidigia e attaccamento, né i diversi modi di guadagnarsi da vivere. Il Buddha era ugualmente chiaro sulla politica, sulla guerra e sulla pace. Il Buddhismo infatti sostiene e predica la non – violenza e la pace come suo messaggio universale e non approva alcun tipo di violenza e distruzione della vita. Secondo il Buddhismo, non c’è nessuna guerra che possa essere definita una “guerra giusta” che è solo un falso termine coniato e messo in circolazione per giustificare e scusare l’odio, la crudeltà, la violenza e i massacri. Allo stesso tempo il Buddhismo non prende la posizione di dire che la guerra nostra è sempre “giusta” e quella altrui è sempre “ingiusta”. Nel suo insegnamento Buddha aggiunge i “Dieci Doveri del Re” (Dasa – raja – dhamma). La non – violenza e la pace, l’amore e la compassione, la tolleranza e la comprensione, la verità e la saggezza, il rispetto e il riguardo valide per ogni forma di vita, la libertà dall’egoismo, dall’odio e dalla violenza sono messaggi di soluzione che si trovano nella proposta del Buddha. Questi principi sono stati applicati da sovrani, leader politici e funzionari amministrativi che hanno governato in armonia con il proprio popolo. Dr. Ambedkar, padre della Costituzione indiana e innovatore dell’Induismo e del Buddhismo, ha illustrato che la religione attraverso i secoli è stata fonte di potere e che i brahmani (sacerdoti induisti) con il supporto di dottrine religiose hanno ottenuto spesso il potere di dominare l’uomo comune più degli stessi re. Inoltre sostiene che la verità della fine della sofferenza deve estendersi ai beni sociali della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Infine la verità del sentiero deve includere il suo famoso slogan: educare, agitare, organizzare e i tre criteri essenziali che sono la ragionevolezza, il beneficio sociale e la chiarezza. 4 Quindi la coscienza, il pensiero e la religione completano e allo stesso tempo sono fondamentali nella formazione dell’individuo. Da ciò segue che la mente umana non è composta solo da poteri razionali, ma anche da fattori emotivi ed istintivi che sentono la presenza e l’opera di certe verità che non si possono spiegare adeguatamente con la ragione. L’egoismo umano afferma che solo le scoperte scientifiche e le conferme sensoriali sono reali e che nulla è vero se non è avvalorato da osservazioni ed esperimenti. Ci si è dimenticati che la ragione non è tutto e che la scienza non è l’ultima parola nella conoscenza, il cuore si ribella alla conclusione scientifica che le lacrime di dolore sono solo l’effetto di una combinazione di colori. La religione, così, non è l’invenzione del capriccio umano, un effetto della paura o anche una necessità sociale, ma è una risposta al vivo sorgere dell’aspirazione cosciente che non è intelligibile né alla ragione né alla scienza. 5