IL VERBO IL CONGIUNTIVO E LA PROPOSIZIONE FINALE Laboratorio di traduzione e analisi (morfologico-sintattica ed etimologicosemantica): il coraggio di Clelia Una ricerca sul termine verbum Verbum-i è un sostantivo neutro che indica propriamente “la parola”. Verbum, verba facere significa “parlare” e si oppone a res, “cosa, realtà”. Nella terminologia grammaticale, il termine designa il verbo, in opposizione a vocabulum, il nome. Aristoteles orationis duas partes esse dicit: vocabula et verba (= ὀνόματα καὶ ῥήματα ) ut homo et equus, et legit et currit. Nella lingua della chiesa, il termine è servito a tradurre il greco λόγος (dal verbo λέγειν che significa scegliere, raccontare, enumerare), il principio creatore, parola e ragione che da Eraclito agli Stoici indica la ragione universale, forza divina immanente nel mondo. Cristo è logos di Dio, partecipe della sua eternità (et Verbum erat apud Deum) strumento di redenzione realizzata facendosi carne secondo il mistero basilare della fede cristiana. Al latino verbum si è poi sostituito il termine “parola”- fr. parole; sp. palabra, ant. paraula; port. palavra- originariamente con il significato di insegnamento, discorso e, specialmente col sopravvenire del cristianesimo, di “parabola” del Vangelo. Per attenuazione del senso primitivo il termine passò a significare “detto”, “motto” e, per estensione, qualunque voce articolata esprimente un concetto, sostituendosi proprio al lat. verbum, che si volle evitare per il significato sacro di “parola fatta carne”. Verbum ricorda got. waurd “parola”, pruss. wirds “parola” , lit. vardas “nome”; tutti da *wer-dh-. Se la e di verbum è antica, come è probabile, questo vocalismo è normale in un neutro (cf. il vocalismo del gr. Fέργον, lat. serum. Il vocalismo del got. waurd è di un tipo meno corrente, cf. lat. iugum) La parola è limitata a una zona dialettale dell’indoeuropeo: dal baltico al latino; ma la radice è indoeuropea: cf. hitt. weriya- “chiamare”, gr. Fερέω (att. ἐρὦ) e (F)ρήτρᾱ “formula legale, legge” (attestata in Omero), att. ῥήτωρ. Nozioni generali In ambito grammaticale, il verbo, quale “parola” più importante del discorso, la parola per eccellenza, è indispensabile a dare senso compiuto a una frase. Per esprimere i diversi rapporti che ha nel discorso, il verbo si flette, dando luogo alla coniugazione. Per analizzare correttamente una voce verbale occorre tener presente: 1. La forma (diatesi attiva o passiva); 2. Il modo (modi finiti o personali: indicativo, congiuntivo, imperativo- manca in latino il condizionale, che viene assorbito dal congiuntivo-; modi infiniti o impersonali: infinito, gerundio, supino –nomi verbali- ; participio, gerundivo – aggettivi verbali-); 3. Il tempo (in latino sono sei distribuiti in diversa misura tra i diversi modi); 4. La persona ( I,II,III singolare; I, II, III plurale) 5. Il numero (singolare e plurale) Elementi della voce verbale Gli elementi di cui risulta composta una voce verbale sono tre: tema verbale, suffisso temporale, desinenza. Il tema verbale è la parte invariabile del verbo da cui si formano tutti i tempi. In latino il paradigma del verbo consente di risalire ai tre temi di ogni verbo (tema del presente, tema del perfetto, tema del supino), necessari per formare sia i tempi dell’azione compiuta sia i tempi dell’azione incompiuta. Es. Laudo – as – avi - atum - are I. il tema del presente si ottiene dall’infinito presente togliendo la desinenza –re; lauda-re II. il tema del perfetto si ottiene dalla terza voce del paradigma, precisamente togliendo alla prima persona singolare del perfetto indicativo la desinenza –i; laudav-i III. il tema del supino si ottiene dalla quarta voce del paradigma, precisamente togliendo l’uscita –um al supino laudat-um Il CONGIUNTIVO Il congiuntivo è un modo finito del verbo ed è il modo della soggettività. Esso, infatti, a differenza dell’indicativo, che esprime un fatto reale, un’affermazione oggettiva, serve a esprimere esortazione, possibilità, desiderio, timore. Il congiuntivo latino ha quattro tempi: presente, imperfetto, perfetto e piuccheperfetto. Il modo congiuntivo è proprio soprattutto delle proposizioni subordinate come, ad esempio, la proposizione finale, la proposizione consecutiva, il cum e congiuntivo -con valore causale, temporale, concessivo…- la proposizione interrogativa indiretta, le completive introdotte da ut, quin, quominus… Nella proposizioni indipendenti o principali è altresì possibile trovare il congiuntivo, che esprime esortazione, dubbio, possibilità, desiderio o un vero e proprio comando. In quest’ultimo caso, abbiamo il congiuntivo esortativo, che sostituisce l’imperativo nelle forme ad esso mancanti (III pers. sing., I e III pers. pl.), ma con una connotazione meno autoritaria e perentoria rispetto all’imperativo. Il congiuntivo presente attivo e passivo delle coniugazioni regolari si forma dal tema del presente. Ad esso si aggiunge il suffisso modale-temporale –a (-e- per la I coniugazione) e le desinenze personali. I coniugazione II coniugazione III coniugazione IV coniugazione laud-e-m monĕ-a-m leg- a- m audi-a-m laudes Monĕas legas audias Laudet Monĕat legat audiat Laudēmus Moneāmus legāmus audiāmus Laudētis Moneātis legātis audiātis Laudent Monĕant legant audiant Sermo familiaris e lingue neolatine Il latino che noi conosciamo è essenzialmente quello letterario, cioè utilizzato dagli autori latini nelle loro opere, ben differente da quello parlato. La maggior parte della popolazione utilizzava il cosiddetto sermo familiaris, in opposizione al sermo doctus, conosciuto unicamente dalla classe colta. Il latino parlato dal popolo non era una lingua unica in tutto l'impero, ma andava differenziandosi in relazione alle diverse zone geografiche e ai relativi avvenimenti storico-culturali; tale differenziazione divenne più forte quando iniziò la crisi dell'impero e i rapporti con Roma si allentarono, ma anche a causa delle invasioni barbariche. Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente, il latino continuò ad essere impiegato dai territori che si estendevano dal Portogallo fino alla Romania, ma subì dei progressivi cambiamenti a seconda dei territori. Da qui si svilupparono, in seguito, delle vere e proprie lingue differenti: le lingue neolatine o romanze come l'italiano, lo spagnolo, il portoghese, il francese, il rumeno ecc. Oggi queste lingue, proprio perché derivano dal latino, presentano non solo vocaboli simili, ma anche strutture grammaticali analoghe. Facendo dei paragoni tra una lingua neolatina e il latino, inoltre, si possono riscontrare somiglianze nelle regole grammaticali o anche nelle formazione dei verbi. Come sappiamo, il latino è la lingua madre di tanti idiomi e dialetti moderni, tanto che l'italiano, lo spagnolo, il francese..., vengono dette lingue Neolatine. Anche le lingue di derivazione anglosassone, però, conservano un legame con la lingua parlata dagli Antichi Romani, dovuto all'ampia zona conquistata da questi ultimi e alla conseguente "contaminazione" linguistica, basti pensare che il cinquanta per cento circa delle parole inglesi ha avuto origine dalla lingua latina. Latino e spagnolo Notiamo, ad esempio, che per la formazione del congiuntivo presente, il latino e lo spagnolo si comportano in maniera pressoché analoga. In spagnolo, infatti, per la prima coniugazione la vocale tematica cambia da -a- ad -e, per la seconda e la terza coniugazione la vocale tematica -e- diventa -a- . Latino - Spagnolo Amo, amas; - avi; -atum; -are Amar Amem que yo ame ames que tú ames amet que él ame amemus que nosotros amemos ametis que vosotros améis ament que ellos amen Lego, legis; legi;- itum;- legĕre Leer Legam que yo lea legas que tu leas legat que él lea legamus que nosotros leamos legatis que vosotros leáis legant que ellos lean Peto, petis;-ivi;- itum;-ĕre Pedir petam que yo pida petas que tú pidas petat que él pida petamus que nosotros pidamos petatis que vosotros pidáis petant que ellos pidan L’imperfetto congiuntivo, in maniera molto semplice, può formarsi, in tutti i verbi latini, anche in quelli irregolari, aggiungendo all’infinito presente le desinenze personali. I coniugazione II coniugazione III coniugazione IV coniugazione Laudārem Monērem Lĕgĕrem audīrem Laudāres Monēres Legĕres audīres Laudāret Monēret Legĕret audīret Laudarēmus Monērēmus legerēmus audirēmus Laudarētis Monērētis Legerētis audirētis Laudārent Monērent Legĕrent audīrent Il perfetto congiuntivo attivo si forma aggiungendo al tema del perfetto il suffisso modale temporale –eri- e le desinenze personali. I coniugazione II coniugazione III coniugazione IV coniugazione laudav- ĕri-m monu-ĕri-m lēg-ĕri-m audivĕrim Laudavĕris Monuĕris Legĕris audivĕris Laudavĕrit Monuĕrit Legĕrit audivĕrit Laudaverĭmus Monuerĭmus Legerĭmus audiverĭmus Laudaverĭtis Monuerĭtis Legerĭtis audiverĭtis Laudavĕrint Monuĕrint Legĕrint audivĕrint Il piuccheperfetto congiuntivo attivo si forma aggiungendo all’infinito perfetto (tema del perfetto + -isse) le desinenze personali. I coniugazione II coniugazione III coniugazione IV coniugazione laudavisse-m monu-isse-m lēgisse-m audivissem Laudavisses Monuisses Legisses audivisses Laudavisset Monuisset Legisset audivisset Laudavissēmus Monuissēmus legissēmus audivissēmus Laudavissētis Monuissētis Legissētis audivissētis Laudavissent Monuissent Legissent audivissent PROPOSIZIONI CON IL CONGIUNTIVO LA PROPOSIZIONE FINALE La proposizione finale, in italiano come in latino, è una proposizione che esprime il fine, lo scopo per raggiungere il quale si attua quanto espresso nella proposizione reggente. In italiano la finale in forma esplicita è introdotta dalle congiunzioni “affinchè, acciocchè, perché” e ha il tempo al congiuntivo; in forma implicita è introdotta dalle preposizioni “a, per, di” o dalle locuzioni “al fine di, allo scopo di, con l’intenzione di” e il verbo all’infinito. In latino, comunque siano espresse in italiano, le proposizioni finali si rendono comunemente con ut+congiuntivo se positive, ne+congiuntivo se negative. Inoltre, dobbiamo osservare: Proposizione reggente con verbo principale (presente o futuro)→ut+cong.presente Proposizione reggente con verbo piuccheperfetto)→ut+cong. imperfetto storico (imperfetto, perfetto, ex.1 Codrus vitam dedit, ut patria sua salva esset. Codro diede la vita affinché la sua patria fosse salva = Forma esplicita Codro diede la vita per salvare la sua patria = Forma implicita Codrus vitam dedit = Proposizione Principale in cui dedit è tempo storico ut patria sua salva esset = Proposizione Finale con cong. imperfetto 1[Dedit = do-das; dedi; datum;dare, diatesi attiva, modo indicativo, tempo perfetto, terza persona singolare = egli diede; Esset = sum; es; fui; esse, modo congiuntivo, tempo imperfetto, terza persona singolare = egli fosse] 2[Sua = suus; sua; suum. Ricordiamo che nella finale i pronomi personali e i pronomi e gli aggettivi possessivi riferiti al soggetto della proposizione reggente hanno valore riflessivo. Quando il possessivo non si riferisce al soggetto della principale, ma ad un altro elemento all'interno della frase, utilizziamo il genitivo del pronome Is-Ea-Id: Eius; Eorum-Earum-Eorum]. ex.2 Codrus vitam dat, ut patria sua salva sit Codrus vitam dat (tempo principale) = proposizione principale in cui dat è un indicativo presente Ut patria sua salva sit= proposizione finale con cong presente in dipendenza da un verbo principale. ex.3 Romani legatos Carthaginem miserunt, ut Poeni imperarent Hannibali ne bellum contra socios populi Romani gereret. I Romani inviarono gli ambasciatori a Cartagine, affinché i Cartaginesi ordinassero ad Annibale di non muovere guerra contro gli alleati del popolo romano. Romani legatos Carthaginem miserunt = Proposizione Principale con tempo storico ut Poeni imperarent = Proposizione Finale ut+cong. imperfetto ne bellum contra socios populi Romani gereret = Proposizione Completiva Volitiva. [Miserunt = mitto-is; misi; missum; mittere diatesi attiva, modo indicativo, tempo perfetto, terza persona plurale = Essi inviarono. Imperarent = da: impero-as; imperavi; imperatum; imperare diatesi attiva, modo congiuntivo, tempo imperfetto, terza persona plurale = Che essi ordinasserero. Gereret = gero-is; gessi; gessum; gerere diatesi attiva, modo congiuntivo, tempo imperfetto, terza persona singolare = Che egli muovesse Carthaginem = complemento di moto a luogo che si esprime in accusativo semplice poiché si tratta di un nome di città. Secondo la regola generale, il moto a luogo si esprime con in/ad+accusativo]. LA PROPOSIZIONE COMPLETIVA VOLITIVA Questo tipo di proposizione si forma nello stesso modo della finale (ut+congiuntivo), ma, a differenza di quest'ultima, serve a completare il senso della proposizione principale. ex. Prop. Principale Prop. Finale Ho prestato a Laura la penna, Prop. Principale Ho chiesto a Laura affinché potesse scrivere. Prop. Completiva volitiva di ridarmi la penna Nel primo caso la proposizione principale ha senso anche se lasciata sola, nel secondo esempio, invece, la proposizione reggente ha bisogno della subordinata per essere completa. LA STORIA DI CLELIA (www. Roma:Leggenda-Clelia) Laboratorio Clelia era una giovane romana che dimostrò il suo coraggio nei primi tempi della repubblica (fine VI secolo a.C.), precisamente nel periodo in cui Roma era assediata da Porsenna, re degli Etruschi. Gli Etruschi e i Romani avevano stipulato la pace, ma Porsenna aveva chiesto nove fanciulle in ostaggio che, puntualmente, i Romani gli avevano consegnato. Le fanciulle ben presto scapparono dall’accampamento etrusco e si diressero verso il Tevere. Poiché non esisteva più il ponte Sublicio, Clelia, la ragazza che guidava il gruppo delle fuggitive, invitò le ragazze ad attraversare a nuoto il fiume. Tutte si gettarono in acqua senza temere il freddo. Intanto le sentinelle romane le avevano avvistate e, credendo che fossero dei nemici, diedero l’allarme. Condotte davanti ai consoli, furono rimandate a Porsenna per rispettare i patti. Porsenna interrogò Clelia che si era fatta avanti per dichiararsi colpevole di aver istigato le altre fanciulle a fuggire; ella rispose con fierezza alle domande affermando anche di non essersi pentita di ciò che aveva fatto e che anzi l’avrebbe di sicuro rifatto. Il re restò ammirato dalla fierezza della ragazza e colpito dalla lealtà dei Romani per cui concesse a Clelia di ritornare a Roma e di portare con sé altre cinque ragazze. La sera stessa sei fanciulle poterono riabbracciare i genitori. Il coraggio di Clelia Etruscorum regi Porsenae qui, ex pacto, suum exercitum ab Ianiculo removerat, Romani tradiderunt, ut pacis pignus praeberent, multos obsides, ex quibus erant pleraeque nobiles virgines. At una inter eas, Cloelia, noctu excubiarum custodiam elusit et tranavit Tiberim cum ceteris comitibus, quas in urbem reduxit ut eas parentibus redderet. Id iram suscitavit regis Porsenae, qui statim legatos ad Romanos misit ut petered Cloeliam ceterasque virgins. Tunc Romani eas hostium regi reddiderunt, apud quem eae observatae et honoratae sunt. Porsena enim, cuius ira evanuerat, Cloeliam laudavit: eius enim virginis strenua res eum obstupefecerat, eamque is ad suos remisit cum obsidum parte. Romani Cloeliae statuam equestrem in via Sacra collocaverunt ut eius virtutem celebrarent. Traduzione e analisi -Etruscorum regi Porsenae qui, ex pacto, suum exercitum ab Ianiculo removerat¹, Romani tradiderant⁴ , ut pacis pignus praeberent², multos obsides, ex quibus³ erant pleraeque nobiles virgines. [4Romani tradiderant […] multos obsides… etruscorum regi Porsenae = proposizione reggente 1 qui […] removerat = proposizione subordinata relativa ² ut […] praeberent = proposizione subordinata finale ut+cong. imperfetto in dipendenza da un tempo storico ³ ex quibus = complemento partitivo, tra i quali] I Romani avevano consegnato al re degli Etruschi Porsenna, che, secondo il patto, aveva rimosso il suo esercito dal Gianicolo, per offrire un pegno di pace, molti ostaggi, tra i quali c’erano molte nobili vergini. - At una inter eas, Cloelia, noctu excubiarum custodiam elusit et tranavit Tiberim cum ceteris comitibus⁵, quas in urbem reduxit ut eas parentibus redderet⁶. [⁵ At […] Cloelia […] elusit = proposizione reggente// et tranavit […]cum… comitibus= coordinata alla reggente ⁶ quas […] reduxit = proposizione subordinata relativa // ut […] redderet = proposizione subordinata finale ut+cong imperfetto in dipendenza da un tempo storico] Ma una tra quelle, Clelia, di notte ingannò la sorveglianza delle guardie e attraversò a nuoto il Tevere con altre compagne, che ricondusse in città per restituirle ai genitori. - Id iram suscitavit regis Porsenae⁷, qui statim legatos ad Romanos misit⁸ ut peteret Cloeliam ceterasque virgines⁹. [⁷Id […] suscitavit regis Porsenae = ⁸qui […] misit = proposizione ⁹ut peteret […] virgines = proposizione subordinata finale proposizione subordinata reggente relativa Petō, -is, -īvī (-iĭ), -ītum, -ĕre: qui nel senso di “chiedere per ottenere”, in contrapposizione a quaero, “chiedere per sapere”. Se si chiede qualcosa a una persona, infatti, le ragioni della richiesta possono essere due: “sapere” qualcosa o “ottenere” qualcosa. Mentre l’italiano, come il francese (demander), può usare lo stesso verbo “chiedere” per ambedue i campi semantici, il latino distingue peto, “chiedo per ottenere” qualcosa, da quaero, “chiedo per sapere” qualcosa, come lo spagnolo distingue pedir “chiedo per ottenere”, da preguntar “chiedo per sapere”. Il verbo peto, quando viene usato nel significato di “chiedere per avere”, in latino si costruisce con l’accusativo della cosa che si chiede e ab+l’ablativo della persona a cui si chiede. Analisi etimologica e semantica di peto. La radice *pet- figura in molte lingue indoeuropee. Il verbo presenta significati diversi: I. II. III. IV. “dirigersi verso” inizialmente con idea accessoria di violenza o ostilità “gettarsi su, attaccare” (senso fisico o morale); cf. Cic., Or.68,228, gladiatores…petendo vehementer ; Nux,2, petere saxis ; da cui petitio: attacco: - nes proprie dicimus impetus gladiorum, Serv., Ae.9, 439 ( senso classico cf. Cic., Cat. 1, 6, 15, ben attestato accanto al significato più frequente di “domandare”); per indebolimento del significato “dirigersi verso, raggiungere” ; cf. in Lucr. 3, 172, terrae petītus “le fait d’atteindre la terre”; in senso morale “ricercare, sollecitare”, cf. Sall. Ca. 25,3, libidine sic accensa [Sempronia] ut viros saepius peteret quam peteretur ,senso che compare nel desiderativo (raro; Lucr, Cic., Tusc. 2, 62, Fest.) petesso, -is. infine “domandare, chiedere” -aliquid ab aliquo- (cf. sp. pedir “chiedere per ottenere” preguntar “chiedere per sapere”) impiegato assolutamente nel linguaggio politico con il senso di “sollecitare un mandato, essere candidato” e nella lingua del diritto con quello di “essere richiedente” , da cui petītor, -trīx, petitio (da cui “fare una petizione”…) Ricordiamo l’espressione tipica del dialetto ciociaro “va ptenn” nel significato di “chiede l’elemosina”. L’evoluzione semantica di peto ha un parallelo in quella di rogo, che dal significato di “dirigersi, tendere verso” è passato a quello di “domandare, interrogare”. Notiamo, poi, che i due significati di “attaccare, dirigersi verso” e “sollecitare, domandare” si ritrovano in tutti i composti di peto. A. appeto, -is: it. avvicinare, attaccare, fr. approcher (cf. it approccio, sp. aproche), da cui appetens, -tenter, appetitus, usati soprattutto in senso morale come “tendenza appassionata non guidata dalla ragione, ardente desiderio” da cui it. “appetito” anche come desiderio di cibo, ( cf. fr. appétit, sp. apetito- i buen apetito-). B. Competo: I) “incontrarsi con” (cf. competum, compitum, crocicchio “carrefour”); II) “adattarsi, convenire a…” da cui competens, -tenter, -tentia; III) “sollecitare contemporaneamente con un altro, competere” da cui competitio, it. competizione, fr.compétition, sp. competición. C. Impeto: I) “gettarsi su, attaccare”, da cui il sostantivo molto usato nel periodo classico impetus, -us. Conservato in toscano e nell’antico francese. D. Repeto: I) “prendere di nuovo” (epoca imperiale); II) riguadagnare, risalire a…” (senso fisico e morale “ricordarsi” ); III)“ ricominciare, richiedere”, antico, classico, da cui repetitio, -titor, termine giuridico che designa l’azione intentata contro un governatore di provincia, prevaricatore. E. Suppeto: “presentarsi, venire sotto le mani, essere a disposizione di”; da cui “essere in abbondanza, bastare” da cui: suppetiae : risorse, aiuto, assistenza. (cf. it supplire, supplente) ]. Questo suscitò l'ira del re Porsenna, che inviò immediatamente ambasciatori ai Romani per richiedere Clelia e le altre vergini. - Tunc Romani eas hostium regi reddiderunt¹¹, apud quem eae observatae et honoratae sunt. [ ¹¹ tunc […] reddiderunt = proposizione reggente] Allora i Romani le restituirono al re dei nemici, presso il quale furono rispettate e onorate - Porsena enim, cuius ira evanuerat¹³, Cloeliam laudavit¹²: eius enim virginis strenua res¹⁴eum obstupefecerat, eamque is ad suos remisit cum obsidum parte. [ ¹² Porsena enim Cloeliam laudavit ¹³ cuius ira evanuerat = proposizione subordinata relativa ¹⁴Res = nel contesto assume il significato = di proposizione “impresa”, “gesto reggente eroico” ] Porsenna, infatti, la cui ira era scomparsa, lodò Clelia: infatti il valoroso gesto eroico di quella fanciulla lo aveva stupito, e la rimandò ai suoi genitori con parte degli ostaggi. Romani Cloeliae statuam equestrem in via Sacra collocaverunt¹⁵ ut eius virtutem celebrarent¹6. [ ¹6 ¹⁵ ut Romani eius […] […] collocaverunt celebrarent = = proposizione reggente proposizione finale ] I romani costruirono una statua equestre a Clelia nella via Sacra per celebrare il suo valore. Notiamo che il verbo celebrare significa “frequentare”, “visitare” , spesso in folla, un determinato luogo. In senso traslato assume diversi significati quali “usare con frequenza”, “esercitare” oppure “riempire”, “far echeggiare”. In altri casi indica, invece, la celebrazione solenne di un avvenimento (“celebrare, esaltare, solennizzare”) o la diffusione di una notizia (“divulgare”, “rendere noto”). In italiano il verbo “celebrare” ha assunto soprattutto il significato di “lodare pubblicamente”, “festeggiare con solennità anniversari o ricorrenze” oppure, nel linguaggio ecclesiastico, “eseguire una cerimonia sacra” (es. celebrare la messa). Scheda lessicale Il lessico dell’esercito, della guerra e della pace. Exercitus, -us , “esercito” (dal verbo exerceo “tenere in esercizio, addestrare” e legio, -onis “legione” (dal verbo lego, “scegliere”) mettono in luce i due momenti fondamentali dell’organizzazione militare presso i Romani: l’esercitazione fisica in vista dell’attività bellica e la leva, cioè la scelta dei cittadini idonei alla guerra. Le espressioni dilectum agĕre, habēre, constituĕre (“fare la leva”, lett.: “la scelta”, “arruolare”), exercitum scribĕre, conscribĕre (“arruolare un esercito), legiones conscribĕre (“arruolare le legioni) indicavano le prime operazioni che venivano compiute quando si doveva allestire un esercito in vista di uno scontro armato. I cittadini scelti per il servizio militare ( stipendia mercēre, “assolvere il servizio militare) dovevano prestare giuramento (sacramentum dicĕre) davanti al comandante, il quale provvedeva poi ad organizzare l’esercito ( exercitum comparare, colligĕre ,cogĕre ) nei suoi diversi reparti. La schiera, l’esercito in marcia, era detto agmen (primum agmen era “l’avanguardia”, medium agmen era il “centro”, extremum agmen la “retroguardia”) e molte erano le espressioni che indicavano i movimenti (agmen instruĕre, “allestire la schiera” agmen ducĕre, “comandare, condurre la schiera” agmen claudĕre, “chiudere la schiera” agmen cogĕre, “chiudere, serrare la marcia” (in modo che le singole parti procedessero ben ordinate) agmen constituĕre “fermare l’esercito in marcia, ordinare la fermata”, agmine venire, “avanzare in file serrate”, munito agmine venire, “avanzare a schiera coperta, contrapposto a agmine incauto “senza precauzioni” Il sostantivo copiae-copiarum indicava le “milizie”, le “truppe”, sia terrestri (copiae terrestres, pedestres), sia navali (copiae navales); le copiae terrestres potevano essere di fanteria (copiae peditatus, pedestres) o di cavalleria (copiae equestres). Copias comparare, o parare, significava “riunire soldatesche”, copias educĕre (e) castris, “condurre le milizie fuori dell’accampamento”, copias cogĕre “radunare le truppe”. Inoltre, poiché l’insegna (signum, i) era il simbolo della legione, venivano spesso indicati i movimenti dell’esercito attraverso i movimenti delle insegne (signa sequi, “seguire le insegne”, “marciare dietro le bandiere”; signa amittĕre o relinquĕre, “disertare”; signa observare, servare, “rimanere nel proprio reparto”; signa ferre, “mettersi in marcia”, “avanzare”; signa movēre, “mettersi in marcia”; signa conferre, “radunare le insegne in un luogo” -cioè unire le proprie forze-. In senso ostile, l’espressione indica “venire a battaglia”). Per indicare, poi, lo scontro armato i Latini usavano, con sfumature di significato diverse, i termini bellum, proelium, pugna, certamen, dimicatio, ai quali erano strettamente connessi i verbi bellare, proeliari pugnare, certare, dimicare. Bellum, i (da duellum,ii forma antica attestata in Ennio come parola trisillabica; compare in iscrizioni, nelle opere di poeti e glossatori e nella locuzione allitterante domi duellique “in pace e in guerra”. Spesso viene usata al plurale essendo la guerra qualcosa di complesso e vario. Il termine non è passato nelle lingue romanze, che l’hanno rimpiazzato con un rappresentante di una parola germanica. Cf. comunque it. belligerante, bellico, bellicoso, imbelle, debellare, ribellare; fr. belliqueux, imbelliqueux “non atto alla guerra”, belligérant, belligérance; sp. belicoso, beligerante, belicosidad; ingl. incite to rebel; tedesco rebellieren) indicava propriamente la “lotta tra due”, quindi “la guerra”. Pugna, ae, “il combattimento corpo a corpo”, “il duello”, a differenza di proelium, ii, che definiva il combattimento tra due eserciti. Certamen, inis, era la “gara”, la contesa tra rivali non necessariamente armata. Dimicatio, onis, indicava “la battaglia”, “la lotta decisiva”. Molte erano le espressioni che definivano le varie fasi dello scontro armato. Bellum instruĕre equivaleva a “fare i preparativi di guerra”, alicui bellum inferre “portare guerra a qualcuno”, bellum indicĕre “dichiarare guerra”, bellum suscipĕre,capĕre, “intraprendere la guerra”, bellum ducĕre, trahĕre “tirare in lungo la guerra”, bellum deponere “porre fine alla guerra”. Così proelium committĕre “attaccare battaglia” proelium (pugnam o certamen) consĕrere “venire a battaglia”. Il sostantivo acies, aciei designava “la schiera”, “l’esercito schierato”, “lo schieramento”, ma anche “la battaglia”, “il campo di battaglia”. Così aciem instruere vale “schierare l’esercito in ordine di battaglia”, in aciem exercitum educĕre “condurre l’esercito in campo di battaglia”, acie dimicare “combattere in campo aperto”, acie excedere “uscire dal campo di battaglia”. Prima acies era l’avanguardia e novissima o extrema acies la retroguardia. Hostis, is, inizialmente con il significato di “straniero”, “ospite”. La parola si è poi specializzata nel senso di “nemico pubblico”, a spese di perduellis, per opposizione a inimīcus, “nemico privato”. In epoca imperiale e in poesia, hostis prende il significato di “nemico” in generale. Hostis è passato in tutte le lingue romanze; spesso è diventato sostantivo femminile , sotto l’influenza della sua terminazione in –is e ha preso il significato di un collettivo (cf fr. ost sostantivo femminile). La parola non si ritrova altrove se non nel significato di “straniero”, “ospite” (cf. fr hôte, got. gasts). Il significato di “ospite”, “straniero” è stato, invece, assunto in latino da hospes. Pax, pacis (cf. paciscor “fare un patto”, ma anche “fidanzarsi con”, “impegnare”, pactum “patto”, “accordo”, ma anche “modo, maniera”) indica “accordo” (tra due parti); al plur. paces significa “trattati di pace”, “condizioni di pace”; in senso figurato vale “pace”, “quiete”, “calma”, “tranquillità”, quindi anche “dominazione pacifica”. Il termine è formato dalla radice *pak-, “fissare con una convenzione, risolvere con un accordo tra due parti, alternata con *pag- , che designa soprattutto un atto fisico; cf. pangō(pangere pacem e pacisci pacem). A questa stessa radice appartengono le forme antiche pacit, pacunt, da un verbo pacere , usate nella legge delle XII Tavole 8, 2, ni cum eo pacit, talio esto “se egli non conclude un accordo con lui…”; 1,6, rem ubi pacunt, orato…ni pacunt, nel caso in cui essi concludano l’affare con un accordo”. La lingua classica usa paciscor, -eris, pactus sum, pacīsci (allotropo pacīscō, -is in Nevio e Plauto), con lo stesso significato di pacere e pactio. Pacis pignus, -eris indica il “pegno di pace”, l’ostaggio dato da un popolo a un altro, a garanzia della pace stipulata. Il termine pignus è in origine un termine del diritto, “pegno fornito dal debitore al suo creditore”. Nella lingua comune ha assunto il senso generale di “pegno, prova, assicurazione”. Nella lingua poetica di epoca imperiale, pignora designa i “patti d’amore”. L’antichità della parola è forse attestata dalla forma anteriore al rotacismo pignosa. Il neutro pactum “patto, convenzione” (conservato nelle lingue romanze cf. fr pacte e in germanico cf pfāhta) s’impiega spesso nelle espressioni quō pactō, tālī pactō in cui pactō per indebolimento di significato non è altro che modō, ratiōne. [1]Gli scrittori latini, collana diretta da Nicola Flocchini, Autori per il liceo classico, Paravia. [2] A. Ernout et A. Meillet, dictionnaire étymologique de la langue latine, histoire des mots, Paris Klincksieck, 2001.