Rassegna Stampa Mercoledi 04 Ottobre 2006 PRIMO PIANO La Finanziaria giustiziera Confindustria convoca un vertice straordinario La Carta dei valori non è solo per l’Islam Disunione finanziaria Evasori, il j’accuse di Padoa-Schioppa Bresso: così il nord verrà strangolato Le sette lamentazioni e il rigore necessario Se l’Ulivo cancella 4 milioni di elettori Corriere della Sera Corriere della Sera Corriere della Sera La Stampa La Stampa La Stampa La Repubblica La Repubblica Padoa-Schioppa: il paziente migliora… Sciopero Telecom Italia: no allo scorporo L’Europa grazia l’Irap… Riforma delle pensioni. I dieci punti dell’intesa… Damiano. Serve una previdenza più flessibile… Gazprom frena sull’accordo con Eni Le banche fuori da Telecom… Maternità estesa alle precarie. Tfr alto là dei… Telecom, i dipendenti in piazza Corriere della Sera Corriere della Sera La Stampa La Stampa La Stampa La Stampa La Stampa La Repubblica La Repubblica La Repubblica PIEMONTE – TORINO La cultura piange, appello alle imprese L’effetto Finanziaria travolge Alfieri Trenitalia frena sulla Tav Corso Marche: no al dietro front Sui bilanci della Regione la scure della Finanziaria Malattie da catena di montaggio… Scuola, partenza diffcile… La Stampa La Stampa La Stampa La Repubblica La Repubblica La Repubblica La Repubblica ECONOMIA – LAVORO Il sole 24 ore 4 ottobre2006 Padoa Schioppa: «La manovra è una svolta per la vita economica del Paese» Giustizia, maggioranza battuta al Senato… La sentenza della Corte Ue: l’Irap è salva Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 1 Data 22 giugno 2017 Pagina 1-36 Finanziaria giustiziera Occorrerà qualche tempo per stabilire con precisione l'impatto redistributivo della Finanziaria. E solo alla fine del lungo iter parlamentare si saprà chi saranno i vincitori e i perdenti all'interno di quel variegato ceto medio di cui tanto si è parlato negli ultimi giorni. Vi è però un aspetto su cui merita riflettere sin d'ora: la «filosofia» con cui questa Finanziaria è stata spiegata e comunicata agli italiani. Diciamolo subito: il messaggio predominante è stato quello di una «Finanziaria giustiziera», un messaggio in cui i simboli e gli argomenti della sinistra estrema (o comunque della tradizionale ortodossia socialista) hanno nettamente prevalso su quelli del nuovo riformismo liberal-progressista. La rimodulazione del carico fiscale era nel programma dell' Unione e, come ha ricordato lo stesso Romano Prodi, la distribuzione del reddito è oggi in Italia più sperequata che in altri Paesi europei. L'aggravio d'imposta per i contribuenti più abbienti è tutto sommato limitato: chi grida «al lupo» commette un'esagerazione e dimentica che la progressività del prelievo appartiene anche alla tradizione liberale. Ciò che disturba e sorprende è però la connessione forte, sul piano simbolico, che il governo ha stabilito fra redistribuzione verticale del reddito e «giustizia sociale», passando l'idea che le due cose praticamente coincidano. Le immagini e il linguaggio usati da Rifondazione, dai Comunisti italiani, da alcuni leader sindacali hanno giocato un ruolo determinante nel rafforzare questa idea, sia in positivo (adesso piangano i ricchi, è ora di risarcire i lavoratori e altri simili slogan) sia in negativo (qualsiasi modifica dei diritti acquisiti è «ingiusta»). L'ala moderata del governo non ha tuttavia saputo contrapporre alla filosofia giustiziera dei propri alleati una cornice interpretativa diversa e più ampia, ancorata a quel riformismo lib-lab che pure aveva ispirato in primavera il programma di governo. Quanto costerà questo errore? Negli ultimi due anni la Margherita e i riformisti ds hanno investito notevoli risorse intellettuali e organizzative proprio nell'elaborazione di una cornice lib-lab, aprendosi agli stimoli del progressismo blairiano-zapateriano e alla sua ridefinizione dei concetti di eguaglianza, giustizia e libertà. Le riforme di cui l'Italia ha bisogno, si era affermato, sono quelle che cambiano gli ingranaggi malati del nostro modello sociale: il familismo bloccato, il dualismo del mercato del lavoro, il «pensionismo» del welfare, l'incapacità della scuola e del settore produttivo in generale di valorizzare meriti e talenti, soprattutto quelli dei giovani e delle donne. Anche questa prospettiva lib-lab poneva un problema di giustizia. Ma lo poneva nei termini dell'egualitarismo liberale: combattere le disuguaglianze ingiuste, ma promuovere le differenziazioni eque; lottare per le pari opportunità, ma contrastare i livellamenti iniqui. Questa nuova tematizzazione del problema della giustizia sociale era riuscita a lasciare alcuni segni riconoscibili nel Dpef di luglio. All'interno della Finanziaria appena licenziata dal governo i segni sono invece quasi invisibili. In coda al provvedimento compare, è vero, una lista disparata di fondi per il nuovo welfare (politiche per i giovani, per le famiglie, per i non autosufficienti, per le pari opportunità). Ma gli stanziamenti sono esigui, non si introduce nessuna misura permanente. Presentando questa parte della manovra ai mezzi di informazione, gli stessi rappresentanti del governo hanno detto che si sarebbe potuto fare di più. È poi da notare che, a dispetto della retorica su povertà e ingiustizie, i veri poveri (che sono tanti, ma non pagano le tasse perché non hanno redditi) non trarranno alcun beneficio dalle misure fiscali appena varate. Per l'indigenza estrema, che in Italia colpisce ormai più i bambini che gli anziani, la manovra non prevede nessun sostegno. A giudicare dalle dichiarazioni post-Finanziaria, i leader riformisti stanno correndo ai ripari. D'Alema ha criticato il ritorno a forme di «rozzo egualitarismo», Rutelli ha annunciato una nuova offensiva sulle liberalizzazioni. Certo è che se non riesce a sottrarre al centrodestra il discorso sulla libertà e alla sinistra estrema il discorso sulla giustizia, il giovane riformismo «democratico» all'italiana corre un grosso rischio: quello di cadere fra le classiche due sedie e di non sapersi più rialzare. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 2 Data 22 giugno 2017 Pagina 12 Confindustria convoca un vertice straordinario ROMA — «Sul Tfr non cederemo di un centimetro, è assurdo che il governo usi i soldi dei nostri lavoratori per ripianare i conti della manovra». Giuseppe Morandini, vicepresidente di Confindustria e leader di un esercito di 100 mila piccoli imprenditori, suona la carica per fermare l'attacco al Tfr da sempre considerato dalle miniaziende un «tabù». E sul «trattamento di fine rapporto» in parte destinato a un fondo dell'Inps, spuntato a sorpresa negli ultimi giorni della Finanziaria, si sta cementando la delusione del mondo confindustriale facendo finire in secondo piano i vantaggi del famoso cuneo. CUNEO SENZA PIU' EFFETTO Anche Anna Maria Artoni, presidente di Confindustria Emilia- Romagna e non certo ostile al governo Prodi visto che fino all'ultimo era una delle candidate ministro, critica la manovra del ministro Tommaso Padoa-Schioppa. Nel suo complesso «non aiuta le aziende che sono la spina dorsale del Paese — sostiene la Artoni — mentre serviva una cura choc per dare segnali di cambiamento e poi il cuneo, così diluito, perde gran parte del suo effetto». E dai direttivi di Unindustria di Padova e della Toscana, riuniti ieri per fare le pulci alla manovra, arrivano critiche ancora più acide. Luca Bonàiti, presidente degli imprenditori padovani, parla di una «manovra miope che reca il marchio ideologico della sinistra massimalista con la prospettiva di scavare un solco con le aree più produttive del Paese».VERSO CAPRI - A raffreddare gli animi degli imprenditori, a pochi giorni dal convegno di Capri che potrebbe rischiare di diventare una sorta di Vicenza-2 visto che ospiti saranno il ministro Pa - doa-Schioppa e il suo predecessore Giulio Tremonti, è sceso in campo un altro vicepresidente di Confindustria. Pasquale Pistorio, responsabile dell'Innovazione, ha tagliato corto: «Il cuneo fiscale, che a regime sarà di tre punti per le imprese e due per i lavoratori, è un provvedimento importante di cui diamo atto all'esecutivo». Ma la tentazione della protesta c'è. Lo riconosce anche un altro vicepresidente, Andrea Moltrasio (responsabile per l'Europa): «La situazione psicologica è più forte di quella economica». «A livello di sistema — precisa ancora l'imprenditore bergamasco che ieri ha inviato una nota a Montezemolo con le sue riserve giuridiche sulla "tenuta" legale del progetto Tfr in sede comunitaria — i decreti Bersani sulle liberalizzazioni ci avevano fatto sperare in qualcosa di più». Invita comunque gli associati a non farsi trascinare dall'ex sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi «che dice frasi tremende contro la mobilità senza calcolare che l'auto è tra i settori più colpiti» e a concentrarsi sulla vicenda Tfr. «Al limite — commenta un po' provocatoriamente — si tengano il cuneo ma non tocchino le liquidazioni».IL MINISTRO E LE IMPRESE Al ministro dell'Economia, che ieri alla Camera ha sollecitato le parti sociali a un «nuovo patto» sostenendo che le imprese «sono le più beneficiate dalla manovra» e ricordando la disponibilità della Confindustria di Montezemolo «a fare la propria parte per risanare il Paese», Viale Astronomia non ha risposto. Il suo ufficio studi sta ancora valutando nel dettaglio gli effetti della Finanziaria e probabilmente qualche commento ufficiale, a parte l'appuntamento di Capri tagliato proprio per quello, arriverà oggi al termine del comitato straordinario di presidenza che si terrà nella sede dell'Assolombarda a Milano. Al centro della riunione la manovra da 33,4 miliardi di euro e l'atteggiamento da prendere nei confronti del Tfr «scippato». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 3 Data 22 giugno 2017 Pagina 14 La Carta dei valori non è solo per l'Islam» ROMA — «La Carta dei principi e dei valori non dovrà essere firmata solo dalle comunità musulmane» ma «da tutti coloro che vorranno vivere stabilmente in Italia». Le parole che l'Ucoii (Unione comunità e organizzazioni per l'Islam italiano) attendeva il ministro dell'Interno, Giuliano Amato, ha fatto in tempo a pronunciarle, prima di fuggire dalla Consulta per dedicarsi all'emergenza dirottamento aereo. E così l'incontro di ieri che doveva servire a far rientrare nei ranghi l'Ucoii, dopo le polemiche suscitate dalla sua equazione estiva tra stragi naziste e i bombardamenti israeliani, si è chiuso con la soddisfazione dei rappresentanti dell'Ucoii. «Ha vinto il diritto. Non c'è stata alcuna resa dei conti. E nessuna discriminazione verso la comunità musulmana», spiega Roberto Hamza Piccardo, portavoce dell'organizzazione finita sotto accusa. E il presidenteMohammedNourDachan esulta: «E' una cosamolto bella. Ora siamo tutti uniti. Abbiamo proposto di cambiare nome in consulta per le religioni». Merito della strategia di distensione del ministro Amato basata sulla «condivisione di un percorso». Il primo passo è stata la riunione di ieri in cui Amato, in apertura, ha criticato senza mezzi termini l'Ucoii «perché prima della riunione ha dichiarato con veemenza che non si dovesse firmare alcunché accreditando la tesi che ieri si volesse sottoporre alla firma la Carta», cosa non prevista. Poi il ministro ha presentato il neonato comitato scientifico. Ne fanno già parte Roberta Aluffi Beck Peccoz, Carlo Cardia, Khaled Fouad Allam, Adnane Mokrani e Francesco Zannini. Verrà presto allargato ad esperti di altre religioni e culture.L'obiettivo: dar vita a una Carta rivolta a tutte le comunità etniche e religiose che possa favorire l'integrazione. Il «percorso» si incrocerà con quello della nuova legge sulla cittadinanza. E la sottoscrizione di quei principi diventerà uno dei pilastri per ottenere il diritto di cittadinanza. L'esponente della comunità delle donne marocchine Souad Sbai si è raccomandata che tra questi ci siano i diritti delle donne ad essere trattate alla pari degli uomini e secondo le leggi del nostro Paese anche in tema di matrimonio e divorzio. Per diluire i contrasti Amato ha anche dato tempi lunghi: due o tre mesi per la stesura della Carta.Tutto risolto? Secondo Andrea Ronchi (An) no: «C'è voluto il buon senso di Amato per evitare la rottura. Invece l'Ucoii ha avuto un atteggiamento equivoco e di condizionamento». Ma Dachan fuga ogni sospetto. Ora firmerete? «Siamo pronti a sottoscrivere qualsiasi carta universale». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 4 Data 22 giugno 2017 Pagina 1 Disunione finanziaria CE la farà la Finanziaria ad affondare definitivamente il Partito Democratico? Domanda assurda, vero?, ma solo in apparenza.In parallelo alla discussione sulle nuove misure economiche, nelle file del centro sinistra è esplosa la divisione sulla formazione del nuovo partito. Contro il progetto si è aperta una fronda di ex popolari dentro la Margherita, una fronda della sinistra radicale dentro i Ds, e ieri sera, sul sito dell’Ulivo, Romano Prodi ha inviato a tutti gli elettori della coalizione una lettera sul tema, lanciando l’idea di ricorrere alle primarie.Tutti avvenimenti che in apparenza sono ben lontani dalla Finanziaria, in realtà strettamente legati, se non addirittura causati, da essa. Una Finanziaria, infatti, è sempre la proiezione di un’idea di società, ma quest’ultima contiene anche una proposta politica che - volente o nolente - destruttura gli equilibri interni dell’attuale coalizione. Ben al di là dello scontento su questa o quell’altra cifra. Ricapitoliamo. Alcuni giorni fa, gli ex popolari della Margherita riuniti a Chianciano hanno aperto un’operazione «identitaria», che, come ha raccontato ieri sul quotidiano Europa il senatore Monaco, è stata «il ripristino della soggettività dei Popolari e dunque il fallimento della Margherita», nonché l’affermazione che «il partito democratico non è affatto un destino ineluttabile». Due giorni fa a prendere atto di non voler stare dentro questa nuova organizzazione sono stati 43 esponenti delle minoranze Ds, il «correntone», che hanno annunciato che non parteciperanno alla riunione convocata per venerdì dai Ds a Orvieto perché «non possiamo accettare che nasca un partito che non contenga né nel nome né nel simbolo le parole sinistra e socialismo».I due casi non sono assimilabili: gli ex dc della Margherita frenano da posizioni «conservatrici», mentre i 43 del correntone frenano da posizioni di sinistra. Ma entrambe le parti vogliono la stessa cosa, ed entrambe le parti - particolare decisivo - sono state difatti incoraggiate nella loro fronda dalla Finanziaria. Incoraggiate, come si diceva, dall’idea di società e di alleanze che la Finanziaria propone. Romano Prodi nega che questa legge abbia carattere «di sinistra», preferisce chiamarla equa. Ma a D'Alema (per citarne uno) non è sfuggito che a Milano il premier ha dato più credito per la Finanziaria al sindacato che all’Ulivo. Così come è impossibile non notare la soddisfazione di coloro che hanno chiesto che «anche i ricchi piangano». Nell’insieme insomma, la Finanziaria tende a scartare la cultura «riformista»: e non sono pochi a farlo notare allo stesso Prodi, dai più potenti fra gli scontenti, i sindaci (cui il pur cautissimo Veltroni si è unito), ai moderati ex dc come Mastella, dagli ex popolari fino ai ministri chiamiamoli della modernità come Amato e Lanzillotta.Insomma, la «sintonia» con la sinistra radicale di Prodi, sintonia per altro da lui sempre coltivata, nel primo governo del 1996 come oggi, si rivela ancora una volta il più efficace strumento di controllo sui partiti della coalizione, in particolare i maggiori di cui il premier dispone. Se si nota bene, infatti, la Finanziaria sta creando meno problemi al governo che ai partiti che lo formano; l’alleanza Prodi-sinistra radicale mette infatti sia Rutelli sia Fassino nella classica alternativa del diavolo: scontrarsi con le loro ali (per il primo moderate, per il secondo radicali) o scontrarsi direttamente col presidente del Consiglio. La lettera inviata ieri sera da Palazzo Chigi, pur nel mezzo di tante bufere in Parlamento, conferma quanto sia importante per Prodi il tema del Partito democratico. Ma soprattutto conferma la sua volontà di non fare questo partito con Ds e Dl come sono ora. Propone infatti di ricorrere alle primarie: lo strumento, cioè, per evitare che il futuro partito nasca dalla fusione dei due maggiori della coalizione attuale. Fusione in cui Prodi sarebbe effettivamente, anche se non formalmente, in minoranza per sempre. La Finanziaria ha recepito e proposto, dunque, ancora una volta, alleanze alternative, scatenando un terremoto. Ma, in fondo, si tratta della continuazione dell’operazione avviata con l’elezione di Bertinotti a presidente della Camera. Con una differenza: che allora si era a inizio di legislatura e Prodi poteva contare su una lealtà maggiore di quella che oggi gli mantengono alleati stancati da vari mesi di governo e da qualche rifilatura d’angolo di troppo. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 5 Data 22 giugno 2017 Pagina 2 Evasori, il j’accuse di Padoa-Schioppa Polemico non poco con il predecessore: non solo ha lasciato «un’eredità maligna», soprattutto «Tremonti ha detto che una Finanziaria da 20 miliardi è un esercizio politico quasi metafisico: noi, tenendo anche conto della manovra-bis di giugno, ne abbiamo raccolti più del doppio». Insofferente alle «lamentele di chi ha un reddito da alcune centinaia di milioni di vecchie lire», quand’invece «si chiede a tutti uno sforzo per il risanamento e il rilancio, e il bisogno di equità sociale si fa più acuto». Rassicurante verso il Paese: «Il paziente-Italia sta uscendo dalla terapia intensiva», anche se «il risanamento dei conti non è finito, siamo usciti dalla zona rossa», risultato che si deve «a una concertazione che ha rispettato i ruoli». E inaspettatamente pirotecnico, provocatorio quando va all’attacco degli evasori fiscali, «che han messo le mani nelle tasche dello Stato e degli altri cittadini, violando così il settimo comandamento». Il momento forte del debutto politico in Parlamento di Tommaso Padoa-Schioppa scalda il sorriso plaudente del centrosinistra mentre scoppiano i fragori nel centrodestra. «Buffone, buffone!», si udiva dai banchi desertificati di Forza Italia e Lega, solo An e Udc han stretto i ranghi, con un Casini mattatore dell’opposizione e un Fini al solito algido. Il ministro è stato in verità aiutato in quanto ad effetti speciali anche da chi in quel momento presiedeva i lavori, il diellino Castagnetti al posto di un Bertinotti impegnato a ricevere il premier slovacco Fico. «Signori, siccome in quest’Aula non c’è nessuno favorevole all’evasione fiscale, facciamo silenzio...». Figurarsi: applausi all’impiedi a manca, insulti a schiovere a destra. E lo stesso di nuovo, una dozzina di volte di fila, quando Padoa-Schioppa parla delle «miserevoli condizioni della nostra pubblica amministrazione, certificate dal rapporto del World Economic Forum», e ancor più alla citazione del Trattamento di fine rapporto che la Finanziaria notoriamente destina in parte all’Inps, e «chi in questi giorni ha parlato di rapina evidentemente dimentica che il Tfr appartiene al lavoratore ed è solo prestato all’impresa a tasso di favore». Alleanza nazionale non ci sta a sentir parlare di «situazione allarmante dei conti pubblici», tenta di interrompere più volte, e come già Prodi anche «Tps» riprende paziente, dritto lungo il suo discorso, «serve un nuovo Patto di stabilità interno che coniuga la libertà di scelta con la responsabilità». Non piace al centrodestra quando il ministro scende nelle inevitabili technicalities, «aho’, ma questo l’aveva già detto Giavazzi», fanno dai banchi della Lega. Non piace sentir parlare di volatilità dei redditi familiari, di redistribuzione equanime degli stessi, di bassa crescita e taglio del cuneo fiscale. Di imprese che, a sentire Tps, sono dalla Finanziaria «le più beneficiate». Non piace nemmeno sentirlo concludere con un monito: siamo solo all’inizio, solo a «una solida base perché la ripresa congiunturale si trasformi in crescita, e perché ciò avvenga in una società più equa». Non piace a Tremonti e Berlusconi, che a Montecitorio non si son neppure fatti vedere. Quando Padoa-Schioppa inizia a parlare in aula son già trascorsi quaranta imprevisti minuti di duello con l’opposizione. Che vorrebbe aprire subito il dibattito, come non è previsto nella giornata di apertura di una sessione, quella di bilancio, lunga fino alla fine dell’anno. «Non si può, quella del ministro è solo un’informativa, non si può scavalcare la discussione in Commissione», spiega infine Castagnetti. Tps inforca le sue ventisei cartelle. Ma alla fine, a sorpresa prima di sciogliere l’emiciclo, Castagnetti fa retromarcia. Si consulta con Bertinotti, non segue i suggerimenti che gli verrebbero dall’Ulivo e, «per placare gli animi», consente che qualche deputato prenda la parola, ufficialmente solo «per esprimersi sull’ordine dei lavori». Tps è preso in contropiede, s’era alzato, si risiede, Prodi ha abbandonato il suo fianco, resta solo sui banchi del governo con accanto Barbara Pollastrini. «Ma la Camera è un posto dove ci si dan delle regole giorno per giorno?», urla nel microfono il boss dalemiano di Toscana Michele Ventura. Il peggio deve ancora venire: «Padoa-Schioppa, lei è un banchiere centrale che io ammiro, ma oggi mi stupisce: lei parla di conti pubblici in dissesto, sa benissimo che il boom delle entrate è dovuto alla politica economica del governo Berlusconi», dice gelido il forzista Antonio Martino, che sarebbe pure un’economista della scuola di Milton Friedman. Quando infine si alza Casini, con un sommesso «scusate il disturbo», si capisce perché Castagnetti ha dato il via libera al quasi-dibattito: Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 6 «L’opposizione si fa in Parlamento, e noi vogliamo farla: parliamo assieme, maggioranza e opposizione, di come migliorare la Finanziaria». Tps l’ascolta manovrando in foglio di carta in forma di origami. Poi esce dall’aula. Com’è andata, ministro? «Ho fatto solo il mio dovere». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 7 Data 22 giugno 2017 Pagina 2 Bresso: così il Nord verrà strangolato TORINOA caldo aveva parlato di «tagli pesanti». Adesso, dopo aver letto con attenzione la legge Finanziaria e le decine di tabelle applicative preparate dai funzionari regionali la presidente del Piemonte, Mercedes Bresso, parla di una «situazione preoccupante», quasi da allarme rosso. Attacca: «C’è una parte della Finanziaria che deve essere assolutamente cambiata altrimenti rischiamo di bloccare la ripresa economica, soprattutto al Nord». Quello che preoccupa la Bresso non è tanto il taglio sulla spesa corrente quanto la cancellazione di cinque punti del tasso massimo di indebitamento deciso dal Governo. «Così ci strangolano».Addirittura?«Strangolano gli investimenti pubblici. Prima della Finanziaria noi eravamo in grado di accendere mutui per oltre 2 miliardi di euro. Adesso il taglio deciso dal Governo riduce questa cifra a circa 950 milioni. Seicento li abbiamo già impegnati nel corso del 2006, ne restano 350 per i prossimi anni. Fondi che utilizzeremo per cofinanziare i fondi strutturali europei ma che non potremo investire nelle infrastrutture».Il suo collega Bassolino non si lamenta, perché? «Perché in Campania arriveranno almeno 4 miliardi di fondi comunitari che grazie al cofinanziamento statale e regionale triplicano. E quei fondi possono anche essere utilizzati per costruire infrastrutture. In questo caso lo squilibrio tra Nord e Sud c’è ma è a nostro sfavore».Questa finanziaria penalizza il Nord?«Se non si alza la soglia massima dell’indebitamento sì. Per questo sono pronta alla battaglia. Questa parte della Finanziaria va cambiata. Ad ogni costo. Se si azzera la capacità di contrarre mutui addio investimenti pubblici e tutto il sistema economico si blocca. E se a questo si aggiunge il rischio di una diminuzione degli investimenti privati - la manovra sui fondi Inps per le piccole e medie imprese è quantomeno discutibile se non inopportuna - il gioco è fatto». Aumenterà l’addizionale sull’Irpef?«Puntiamo su efficienza e risparmio. Il problema è che in questa Finanziaria, almeno sui documenti finora resi pubblici, non c’è traccia del federalismo fiscale anzi il Governo ha messo in pratica una serie di abusi sulle nostre competenze».Abusi del Governo?«L’introduzione di una tassa di soggiorno sul turismo è una materia che la Costituzione, dico Costituzione, attribuisce in via esclusiva alla potestà regionale. E’ una scelta che spetta alle Regioni e che non deve essere imposta dal Governo. Abbiamo subito la reintroduzione del ministero dell’Agricoltura non assisteremo impotenti alla ricentralizzazione del Turismo».Un colpo basso da un governo amico. Se lo aspettava?«No. Le Regioni si erano dette disponibili ad accettare una riduzione di uno, due punti del tetto massimo di indebitamento, ne hanno tagliati 5, siamo scesi dal 25 al 20. Adesso non vorremmo avere sorprese nella sanità. La nostra linea del Piave sembra aver retto agli assalti del Governo e così possiamo sopravvivere. Però dobbiamo firmare ancora il Patto, speriamo non cambino i termini dell’intesa». Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio?«Il giudizio è sospeso. Prima vogliamo vedere che cosa scrivono nel patto». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 8 Data 22 giugno 2017 Pagina 1-25 Le sette lamentazioni e il rigore necessario NELLE ULTIME quarantott´ore i contenuti reali, gli obiettivi raggiunti e quelli mancati dalla Finanziaria 2007, sono venuti a galla. Così pure le reazioni dei contribuenti, dei partiti, delle parti sociali e degli economisti. Il quadro è completo o quasi. Le reazioni dei partiti e quelle delle organizzazioni che rappresentano interessi erano in larga misura prevedibili; non ci sono state sorprese degne di nota: governo e maggioranza da un lato, opposizione dall´altro; sindacati dei lavoratori favorevoli, Confindustria commercianti e artigiani contrari. Più interessante quelle dei contribuenti e degli esperti di economia. Qui è tutto un lamentarsi, anche perché i contribuenti favorevoli tacciono, quelli in qualche modo colpiti – anche di poco o pochissimo – esternano. Eccome! E meritano ascolto anche se chiedono cose irragionevoli, perché un pizzico di verità comunque c´è. Lamentela numero uno: troppe tasse e pochi veri risparmi. Numero due: la stangata è ingiusta, doveva colpire solo i grandissimi patrimoni e invece si è accanita sui poveri cristi. Lamentela numero tre: gli sgravi sui redditi bassi favoriranno anche gli evasori. Numero quattro: gli evasori sono costretti ad evadere. Numero cinque: i piccoli imprenditori sono le vittime politiche della manovra. Numero sei: il Nord e in particolare il Lombardo Veneto pagano ingiustamente di più. Numero sette: l´agnello sacrificale è comunque il ceto medio.Queste, a volerle riassumere in poche parole, sono le sette lamentazioni contro la Finanziaria. Ho già detto che prima di contestarne il contenuto bisogna scoprire quel pizzico di verità che contengono. E il pizzico di verità è questo: bisognava rimettere in ordine i conti disastrati dell´economia e della finanza; bisognava applicare la necessaria dose di rigore. Rigore vuol dire rigore, inutile girarci intorno. Vuol dire far quadrare un bilancio nazionale disastrato, contenere il deficit, contenere il debito pubblico, raccogliendo le risorse necessarie. Stimate a circa 2 punti di Pil; in cifre assolute 24 miliardi di euro.E´ evidente che non si potevano cercare queste risorse tra i poveri. Certamente bisognava cercarle tra i ricchissimi ed è stato fatto, non per farli piangere ma per un minimo di equità. I ricchissimi tuttavia sono pochissimi. Per trovare risorse vere bisogna dunque scendere nella trottola dei redditi e scendendo si arriva a contatto con il ceto medio. Il concetto di ceto medio è quanto di più discusso e fumoso esista in sociologia. Dove comincia il ceto medio? E dove finisce? Alberto Statera ha condotto in varie puntate un´inchiesta rivelatrice ed anche molto piccante su quest´argomento e ci ha fatto scoprire che chi ha un reddito di 60 mila euro annui (pari a poco più di 45 mila al netto di imposte e contributi) si ritiene sull´ultimo gradino della scala dei redditi, sotto al quale comincia la povertà. Ci ha fatto anche scoprire che il barista di piazzale Clodio a Roma, con un reddito effettivo di 100 mila euro, ritiene legittimo ed anzi generoso nasconderne solo la metà al fisco, se lo dichiarasse tutto andrebbe fallito.Allora ripropongo la domanda: qual è il ceto medio? La risposta è questa: il ceto medio è quello il cui reddito si colloca nei dintorni del reddito medio degli italiani. Nella operazione redistributiva avviata dalla Finanziaria il crinale individuato dal governo per distribuire risorse ad una parte e togliere risorse ad un´altra parte sta tra i 40 mila e i 50 mila euro di reddito annuo. Chi sta sopra dà, chi sta sotto riceve. E´ giusta la scelta del governo? Oppure esosa? O invece generosa?La risposta la troviamo in un´inchiesta del 2004 effettuata dalla Banca d´Italia sulla distribuzione del reddito ed è una risposta sulla quale bisogna riflettere a lungo: il reddito medio degli italiani è di 24 mila euro annui, il Nord ha un reddito medio di 28 mila, il Sud di 17 mila. Avete capito bene? Questo dato significa che chi ha un reddito maggiore di 24 mila euro sta sopra la media e chi ce l´ha minore sta sotto la media.Dunque il governo, volendo equilibrare un po´ una scala di redditi fortemente squilibrata, è stato generoso nel senso che ha diminuito il prelievo sui contribuenti fino ai 40-50 mila euro e lo ha accresciuto al di sopra di quella fascia. Si dice: doveva tagliare gli sprechi. Doveva riformare il "welfare". Doveva colpire gli statali. Doveva doveva doveva.Mi viene in mente la risposta di Don Abbondio al cardinal Federico Borromeo che gli rimproverava di non aver celebrato il matrimonio tra Renzo e Lucia e di Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 9 aver ceduto alle intimazioni degli sgherri di Don Rodrigo: «Eminenza, bisognava averli visti quei volti, averle udite quelle parole». E il cardinale, anziché irritarsi, crollò il capo in segno di comprensione.Padoa Schioppa di tutto si può accusare fuorché d´esser pusillanime. Né ha avuto sgherri alle calcagna. Ma ha operato in un contesto politico. Ha ritenuto che le riforme necessitavano d´un rinvio a febbraio-marzo mentre gli obiettivi richiesti dai mercati e dall´Europa erano attesi entro novembre con la Finanziaria. E´ così difficile capire questa realtà? Vincenzo Visco ne ha ricordata un´altra con una battuta molto efficace nella sua intervista di ieri a "Repubblica". Ha detto: «Questa Finanziaria è la tassa di successione lasciata da Tremonti» esattamente così Vengo ora agli economisti indipendenti, stimolato dalle parole cortesi di Franco Bruni (che è uno di loro) sulla "Stampa" di ieri.Dice Bruni che gli economisti indipendenti hanno anche loro preferenze politiche (hanno un cuore, scrive testualmente) ma privilegiano l´indipendenza. In questo modo ravvivano il dibattito e compiono un´opera utile. Sono d´accordo: ravvivano utilmente il dibattito. Ma non sono indipendenti. Ciascuno di noi ha nella sua testa una "variabile indipendente" e a quella è agganciato, quello è l´asse del suo ragionamento e da quell´asse egli dipende perché quello è il suo pre-giudizio. Ma questa è filosofia.Andiamo al pratico.Quanto ha destinato il governo al raddrizzamento dei conti disastrati? Ha scritto Francesco Giavazzi (economista indipendente) che il deficit nel 2006 era del 3.6 per cento del Pil; dopo la Finanziaria scenderà al 2.8. Quindi l´operazione "rigore" è stata fatta con lo 0.8 del Pil. Valeva la pena di fare tanto chiasso per una decina di miliardi? Sarà sicuramente indipendente, Francesco Giavazzi, ma sbaglia o dimentica alcune cose. Anzitutto non si tratta del 3.6 bensì del 3.8, ma questo è un trascurabile dettaglio di due decimali. Il fatto è che il deficit nel luglio scorso era stimato a 4.1 e dopo la sentenza della Corte europea sul rimborso dell´Iva incassata sulle automobili delle imprese, era salito (il deficit) a 4.6.Il governo, insediato da appena quindici giorni, provvide con la cosiddetta manovrina (decreto Bersani di luglio) e predispose anche la copertura dei presunti rimborsi Iva. Con questi interventi sommati a quelli contenuti nella Finanziaria 2007, il governo ha abbassato il deficit dal 4.6 al 2.8, cioè di 1.8 punti del Pil, pari a poco meno di 20 miliardi di euro. Un´altra questione riguarda il recupero dell´evasione. Sono oltre 7 miliardi. Nuove imposte? Oppure imposte dovute a legislazione vigente? Decidersi tra queste due definizioni è importante. Recuperare l´evasione significa mettere le mani nelle tasche dei contribuenti oppure impedire che alcuni contribuenti mettano le mani nelle tasche dello Stato? Opterei per questa seconda dizione. Ma allora è sbagliato sommare quei 7 miliardi di recuperi con le altre entrate tributarie perché la qualità, l´essenza di quel denaro è diversa. Perciò quei 7 miliardi debbono essere tolti dalle cifre delle entrate perché appartengono ad un altro aggregato. E questo (sembra a me) è un altro errore che un economista indipendente non dovrebbe compiere.Infine: l´operazione perequativa si chiude in pareggio. Tanto si taglia da una parte e tanto si aggiunge su un altro piatto. Non si può contabilizzare una parte senza accompagnarla con l´altra di opposto segno. Il contenuto di questa operazione è più etico che finanziario.Mi par di capire che gli economisti indipendenti l´etica non la menzionino perché riguarda il cuore. Dovrebbero però ricordare che al tempo di Adam Smith, loro maestro e di tutti noi, la filosofia morale era un ingrediente essenziale e pregiudiziale dell´economia politica. E´ bene non scordarlo mai. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 10 Data 22 giugno 2017 Pagina 1-24 Se l´Ulivo cancella 4 milioni di elettori LA DOMANDA suonerà ingenua. E mi rendo conto che Romano Prodi e i dirigenti di Ds e Margherita hanno altro a cui pensare in queste ore, tra la neonata legge finanziaria e le tensioni crescenti al limite della scissione che rannuvolano la vigilia del seminario di Orvieto sul futuro Partito democratico. Ma neppure loro potranno eludere a lungo il seguente interrogativo: perché è così difficile in Italia dare vita a un partito davvero democratico? Lo so bene che la crisi della democrazia rappresentativa non è solo un problema nazionale. Fior di politologi ci mettono in guardia dai pericoli della "Postdemocrazia" (Colin Crouch, Laterza editore). O denunciano "la prospettiva di una società democratica che a causa della corruzione delle parole e dei discorsi, e del quasi-monopolio televisivo delle notizie e dell´informazione, rischia di trovarsi governata dai manipolatori di maggioranze popolari" (John Lukacs, "Democrazia e populismo", Longanesi). Una politica che pare predestinata alla subalternità nei confronti di poteri economici sovrastanti. Abituandoci a una pratica assai misera della democrazia, "dove il cittadino non deve attivarsi né protestare: può semplicemente optare nel seggio elettorale per un altro partito, come fa il cliente che, scontento di un prodotto, sceglie la concorrenza" (Alessandro Casiccia, "Democrazia e vertigine finanziaria", Bollati Boringhieri).Mi scuso per la raffica di citazioni, il cui scopo è riproporre in altri termini la domanda iniziale: siamo in tempo per fare ancora qualcosa? Per restituire al cittadino una possibilità di partecipazione? Basta guardarci intorno per avvertire il disincanto crescente nei confronti dell´attivismo civico e della democrazia partecipata: "Tanto è inutile. Le decisioni passano sopra la nostra testa. Al massimo mi consultano per un sondaggio. Comandano in pochi", sono le frasi-tipo del cittadino deluso. Ma così il primo a sbriciolarsi è il potenziale tessuto sociale dell´innovazione democratica. Il cittadino progressista non può accontentarsi di essere chiamato ogni tanto a votare, e basta. Semmai è l´elettorato conservatore storicamente più propenso alla delega nei confronti dell´uomo forte. E dunque allo snaturamento della sovranità popolare in nazionalismo populista. Non fosse altro per questa ragione, gli stati maggiori dell´Ulivo dovrebbero avvertire l´emergenza di una delusione prossima a degenerare in rigetto antipolitico. Credo che fra le motivazioni nobili (ve ne sono altre prosaiche) che sospingono la sinistra Ds a opporsi alla fusione a freddo del Partito democratico, riconosciamolo, c´è il disagio per il mancato coinvolgimento della stessa platea congressuale dei partiti nel processo costituente.Ma la questione è molto più grande, non si ferma all´assenza di una reale dialettica democratica all´interno di partiti già di per sé deboli nell´insediamento territoriale.E´ passato quasi un anno dall´esperienza delle primarie dell´Unione. A nessuno è venuto in mente che l´indirizzario di quei quattro milioni e trecentomila nomi registrati di elettori del centrosinistra, potesse venire utilizzato dando vita a successive forme di consultazione democratica. Al contrario. Quando il centrodestra ha imposto una legge elettorale che incoraggiava scelte di tipo oligarchico nella selezione delle candidature, i dirigenti dell´Ulivo non si sono preoccupati di ricorrere a contromisure alternative: nessuna consultazione degli iscritti né tanto meno degli elettori per discutere la propria rappresentanza. Diciamo che hanno subito volentieri il diktat. E resta celebre l´ammissione di Goffredo Bettini: "A decidere quasi per intero la composizione del futuro Parlamento sono state non più di venti persone"E´ ben comprensibile che in un tale sistema bloccato appaia temerario anche solo concepire nuovi meccanismi di selezione della rappresentanza politica utili a incoraggiarne il rinnovamento, soprattutto in favore di un´adeguata presenza femminile e giovanile. Né la risposta può venire dall´esaltazione retorica di un´inesistente "società civile", le cui associazioni oggi come oggi possono solo promuovere nuovi aspiranti politici di professione, desiderosi di affiancarsi ai leader attuali, ma non per questo migliori.Poco invidiabile è la posizione in cui si trovano i Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 11 gruppi dirigenti di Ds e Margherita, ben consapevoli dell´inadeguatezza dei loro partiti e della necessità di andare oltre. Ma nello stesso tempo comprensibilmente restii a procedere verso un impossibile autoscioglimento. Accade così che la natura democratica del futuro Partito democratico finisca per essere l´ultimo dei problemi all´ordine del giorno. Mentre dovrebbe essere il primo. E nel frattempo? Nel frattempo ciascuno si aggrappa a quel che ha. Per gli uni è la memoria di un´identità democratico cristiana. Per altri nuovi arrivati è il rapporto privilegiato con la Cei. Nella minoranza Ds è il riferimento (acquisito tardivamente) al partito del socialismo europeo. Nella maggioranza Ds affiora, da ultimo a Milano, una pericolosa frantumazione in clan autoreferenziali. Perfino gli ulivisti giocoforza si ridimensionano in prodiani: perché Palazzo Chigi sembra essere divenuto la loro unica sede politica, cui si accede per trascorsa contiguità professionale o dimestichezza personale con il premier.Così il futuro Partito democratico rischia due alternative deprimenti: nascere come assemblaggio di correnti distaccate da una effettiva partecipazione popolare, grazie a un´accorta ripartizione di quote; oppure essere concepito come palingenesi sulle macerie dei partiti attuali, figlio di un impossibile big bang o di un ricambio radicale dei gruppi dirigenti. Eppure chiunque partecipi alle affollate assemblee cittadine che da mesi si tengono dappertutto in Italia per sollecitare la nascita del Partito democratico può rendersi conto che non vi si ritrovano solo ex politici "fatti fuori", aspiranti parlamentari della "società civile", nostalgici dei girotondi antipartito. Nessuno ha ancora inventato uno strumento di rappresentanza politica più democratico di un partito. Ma è lecito aspirare, anche dopo la fine dei partiti-chiesa, a un partito che non sia ridotto a macchina elettorale o a nominificio o a mera struttura d´opinione?Un partito davvero democratico, appunto, è quel che ci manca. Capace di inventarsi nuovi strumenti di consultazione periodica dei cittadini. Interessato a favorirne l´attivismo civico. Disposto a lasciarsi trasformare dalla partecipazione dal basso, cioè da una politica che adempie il responso elettorale ma non si esaurisce nella delega che ne ha tratto. Cercare un antidoto popolare alla debolezza della politica: questa è la vera urgenza cui dovrebbero lavorare i democratici italiani. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 12 Data 22 giugno 2017 Pagina 1-36 Padoa-Schioppa: il paziente migliora Non capisco le lamentele dei ricchi ROMA — Passa appena un minuto, e già si capisce che è un ministro dell'Economia diverso da come gli italiani erano abituati a conoscerlo, quello che sta illustrando alla Camera la maxi Finanziaria da 35 miliardi di euro. «Giulio Tremonti ha parlato di un esercizio politico difficilissimo, dicendo che anche 20 miliardi di manovra sarebbero stati una cifra metafisica. Questa Finanziaria — dice con calma Tommaso Padoa-Schioppa — ne ha raccolti più del doppio, tenendo conto della manovra-bis di fine giugno. Confermando che la metafisica, come insegnava Aristotele, è la più reale e concreta delle scienze». Il primo colpo è partito. E nella sorpresa di chi si aspettava da un ministro tecnico un'esposizione puramente tecnica sulla Finanziaria, ne arriveranno altri. A raffica. Un Padoa- Schioppa così, che schiaffeggia i ricchi e prospetta punizioni bibliche agli evasori, che chiama ladri, affonda su opposizione e Confindustria, e critica pure l'ala sinistra dell'Unione, non se l'immaginava nessuno.Il suo è un intervento tutto politico, e pure molto polemico. Romano Prodi lo ascolta in Aula annuendo, poi commenta: «Bene, molto bene». «Ho fatto solo il mio lavoro» replica lui, avviandosi verso l'uscita. La maxi manovra sembra averlo galvanizzato. Anche se la Finanziaria è solo il primo passo: serve a far uscire il Paese «dalla terapia intensiva», dalla «zona rossa» di pericolo, non a risolvere tutti i problemi. Nella Finanziaria c'è solo «il seme» di riforme che non potranno tardare oltre, a partire da pensioni e pubblica amministrazione («che è in condizioni miserevoli»). Però con la manovra il risanamento è strutturale, «non con le una tantum come è avvenuto spesso», poi porta 20 miliardi allo sviluppo e all'equità sociale. Se non metafisica è stata comunque un'impresa, checché ne pensi la sinistra radicale, convinta, ricorda Padoa- Schioppa, che il buon andamento delle entrate potesse da solo risolvere la situazione. Il risultato finale lo rende «orgoglioso» e non sarebbe stato possibile, spiega, senza la consultazione delle parti sociali e degli enti locali. «In quasi ogni incontro ci siamo sentiti ringraziare per un'intenzione di ascolto che, ci dicevano, non era stata manifestata da tempo» ricorda Padoa-Schioppa, assestando un altro fendente al centrodestra. Nel bilancio il governo Berlusconi ha lasciato «un'eredità nascosta e forse più maligna» di quanto non fossero già i numeri. Tagli che hanno prosciugato funzioni pubbliche essenziali, quasi «desertificato» la spesa. Toccata solo dove era più facile, dove «basta un segno con la biro»: infrastrutture, ferrovie, investimenti.È il turno della Confindustria. In un momento difficile, davanti a una manovra di risanamento molto esigente, «il bisogno di coesione e solidarietà sociale si fa più acuto, e occorre rafforzare il comune senso di appartenenza e di partecipazione». Rendersene conto e dare l'esempio «è compito che spetta in primo luogo a chi sta relativamente bene, a chi appartiene alla classe dirigente. Questo intendeva sicuramente dire il presidente della Confindustria quando ha detto siamo pronti a fare la nostra parte» dice Padoa-Schioppa, cui evidentemente non vanno giù le critiche di Montezemolo e delle imprese «che sono il settore più beneficiato dalla manovra». Anche quelle sulla destinazione all'Inps di parte del nuovo Tfr. Istituto arcaico, residuo di un'Italia povera in cui «il padrone amministrava il denaro del lavoratore». Del lavoratore, appunto: «Chi parla di rapina dimentica che il Tfr appartiene a lui, ed è prestato all'impresa a tassi di favore».«Tutta la società italiana è chiamata a dare prova di buona volontà e di riscatto» insiste il ministro dell'Economia. «E fatico — aggiunge — a comprendere le lamentele di chi ha redditi dell'ordine di alcune centinaia di milioni di vecchie lire». Come le critiche sulla parte fiscale della manovra. «Concettualmente disonesto» scambiare la lotta all'evasione con un aumento delle tasse. «A chi dice che mettiamo le mani nelle tasche dei cittadini rispondo che sono gli evasori ad aver messo le mani nelle tasche dello Stato, di altri cittadini onesti. Violando così non solo il settimo comandamento, ma anche un principio base della convivenza civile». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 13 Data 22 giugno 2017 Pagina 29 Sciopero Telecom Italia: no allo scorporo MILANO — Per l'occasione i dipendenti del gruppo telefonico hanno fatto stampare anche delle t-shirt (rosse): «Telecom Italia pubblica». E un po' devono aver portato fortuna perché davanti al ministero del Lavoro e con in mano i cartelli con la scritta «Tim, non passa lo straniero» i manifestanti iscritti ai Cobas e all'Ugl sono riusciti ad intercettare a Roma il ministro Cesare Damiano per chiedere il no allo scorporo del gruppo telefonico. A Milano cartelli diversi ma copione uguale per lo sciopero nazionale. La scritta «Ridateci la Sip» ha campeggiato sul fiume formato da migliaia di persone che dai Bastioni di Porta Venezia si sono portate davanti alla sede del gruppo in piazza Einaudi, per ascoltare i comizi del segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni e della Uil Luigi Angeletti. Anche se il cartellone «ufficiale» della Cgil-Cisl era più politicamente corretto: «No allo scorporo». Alla fine, tra Roma, Milano e Palermo, sarebbero scese in piazza 7 mila persone secondo i conti della questura: 5 mila a Milano, dove l'atteso acquazzone non è arrivato graziando i manifestanti, 2 mila nella capitale e circa duecento a Palermo. Diversi i conteggi degli organizzatori che hanno parlato di 10 mila persone solo a Milano con un'adesione allo sciopero pari all'80%. Anche se, vista l'automatizzazione del sistema, non c'è stato nessun problema sulle linee telefoniche.Chiari i messaggi: la paura è che eventuali cessioni mettano a rischio il futuro dell'azienda. «L'arrivo di Guido Rossi — ha detto Bonanni dal palco — non ci tranquillizza affatto. Con le sue prime dichiarazioni sembra voglia dare un colpo al cerchio e uno alla botte». «L'azienda — ha aggiunto — non può fare tutto quello che ritiene». «Bisogna fare in modo — ha detto poi Angeletti — che Telecom abbia azionisti stabili. Non degli speculatori. Non c'è ragione per smembrare e liquidare il patrimonio». Un messaggio è arrivato anche da Guglielmo Epifani: «L'azionista agevoli i passi necessari affinché le difficoltà non ricadano sul gruppo». Rassicurazioni sono giunte dal sottosegretario al Lavoro, Rosa Rinaldi, e all'Economia, Paolo Cento: «La rete di comunicazione è un bene comune che deve essere salvaguardato». Mentre dal gruppo Rossi ha ribadito la propria fiducia in Carlo Buora e Riccardo Ruggiero. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 14 Data 22 giugno 2017 Pagina 4 L’Europa grazia l’Irap Risparmiati 35 miliardi «L’Irap è compatibile con l’Iva perchè ha una natura diversa, le due imposte possono continuare a coesistere». La sentenza dei giudici europei sull’imposta regionale istituita dal centrosinistra nel '98, ribalta tutte le aspettative della vigilia e libera il Governo Prodi dal pesante macigno del temuto rimborso di 100 miliardi di introiti. La notizia arriva come un fulmine, però di quelli che portano il sereno. Ieri mattina i 13 giudici della grande sezione della Corte di Giustizia europea hanno pubblicato il loro verdetto, dopo tre anni di processo, due pareri di avvocati generali e due udienze solenni (di solito se ne celebra solo una). L’Irap non è in conflitto con le norme europee e in particolare con la sesta direttiva sull’Iva, che vieta agli Stati membri di imporre tasse «simili». Questa la conclusione del Tribunale del Lussemburgo contro tutti i pronostici della vigilia. All’indomani della presentazione della Finanziaria da 33 miliardi, fa tirare un grande sospiro di sollievo al ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa che non si ritrova un buco da 35 miliardi l’anno da coprire. Limpida la logica della sentenza : «L’Irap non è proporzionale al prezzo dei beni, come l’Iva e non è strutturata in modo da essere posta a carico del consumatore finale, nel modo tipico dell’Iva», si legge nella sentenza. Inoltre non è un'imposta sulla cifra d’affari, ma calcolata «al netto della produzione dell’impresa (società o persona fisica), nel territorio di una regione e in un determinato periodo». Tutto chiaro, tranne che è l'esatto contrario di quello che due diversi Avvocati generali della Corte avevano scritto nel corso del dibattimento. Un caso rarissimo, raccontano alcuni funzionari del Tribunale europeo, che temono sia frutto più di un giudizio politico che di diritto. Iniziato nel 2003 per il rinvio di un ricorso della Banca popolare di Cremona all'Ufficio provinciale delle Entrate di Cremona, il processo all'Irap aveva messo in serie difficoltà il Governo Berlusconi, che si diceva contrario all'imposta regionale, senza però riuscire a trovare un modo di sostituire 35 miliardi di gettito annuo nelle casse dello Stato. Nel 2005 l'Avvocato generale Francis Jacobs - chiamato a difendere il diritto comunitario, con un parere non vincolante - aveva scritto nelle sue conclusioni : «L'Irap è un doppione dell'Iva, quindi incompatibile». Ma sulla data del rimborso (e quindi sull'ammontare), Jacobs aveva proposto un nuovo dibattito tra le parti e così lo scorso marzo un altro avvocato generale si era espresso sulla causa. L'austriaca Christine Stix-Hackl ha scritto: «L'Irap possiede le caratteristiche essenziali dell'Iva, a causa della sua proporzionalità rispetto ai prezzi, del fatto che è riscossa ad ogni stadio della produzione e distribuzione e sul valore aggiunto». Tutto il contrario del verdetto di ieri. «Questa sentenza è molto, molto sorprendente» ha commentato la Stix-Hackl, raggiunta al telefono in Austria. «I giudici europei seguono quasi sempre le indicazioni dell'avvocato generale. In questo caso c'erano addirittura due pareri concordi contro l'Irap». Grande successo quindi della lobby diplomatica italiana che ha fatto valere le sue ragioni in virtù anche dell'autorizzazione della Commissione europea che nel '97 aveva dato via libera alla nuova imposta regionale voluta dall'allora ministro delle Finanze Vincesco Visco. Proprio Visco ieri ha esultato all'annuncio del verdetto europeo. «A Roma la buona notizia era attesa», ha detto il vice ministro invitando «certi consulenti fiscali ad essere più prudenti nel promuovere liti che fanno perdere tempo e denaro ai contribuenti», con un chiaro il riferimento all'ex ministro delle Finanze Augusto Fantozzi che ha curato la causa contro l'Irap per conto della Banca Popolare di Cremona. A Bruxelles la Commissione europea tira anche un sospiro di sollievo, si chiude una lunga partita e altri tre processi in corso, visto che la Francia applica un'imposta simile all'Irap e l'Ungheria due diverse. Anche la lobby degli altri Stati ha contribuito ad aiutare l'Italia. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 15 Data 22 giugno 2017 Pagina 5 Riforma delle pensioni I dieci punti dell’intesa tra governo e sindacati Un decalogo per la riforma delle pensioni. Asciutto, ma molto preciso: due pagine e qualche riga, 9 capitoletti in tutto e 10 punti finali che indicano un tracciato ben preciso. Nell’ultima pagina sei firme, tutte molto pesanti: quella del presidente del Consiglio Romano Prodi, dei ministri dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa e del Lavoro Cesare Damiano e dei tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Epifani, Bonanni ed Angeletti. E’ il testo del «Memorandum d’intesa» sulla previdenza siglato nei giorni scorsi a palazzo Chigi che detta «obiettivi e linee di una revisione del sistema previdenziale» come recita il titolo del documento che La Stampa ora è in grado di illustrare in dettaglio. Il cuore dell’intesa, che come prima cosa dovrebbe servire a superare lo «scalone del 2008» introdotto da Maroni, è rappresentato dal punto «4», quello dedicato al completamento della riforma. Che «terrà conto del cambiamento del quadro demografico ed economico determinatosi dopo la riforma del 1995», ben sapendo che «il forte aumento dell’aspettativa di vita e la flessibilità e precarietà del mercato del lavoro hanno determinato condizioni nuove che si riflettono sul sistema previdenziale». Una frase che dice già molto, che segna un punto: che può voler dire sia il ricalcolo dell’importo degli assegni futuri sia un inevitabile allungamento dell’età pensionabile. Dal confronto PadoaSchioppa si aspetta «impegni ben precisi», «risultati importanti», in grado di stabilizzare definitivamente il sistema al punto da non dover più richiedere nuovi correzioni per molti anni a venire. Il dato di partenza sono, ovviamente, le riforme introdotte a partire dagli anni ‘90, che hanno introdotto i primi meccanismi in grado di garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo e introdotto quel sistema di tipo contributivo, incentrato su un primo pilastro pubblico a ripartizione ed un secondo a capitalizzazione che ora si cerca di consolidare. I primi risultati ottenuti sono giudicati «significativi» sia dal governo che dalle confederazioni. Però «alcune importanti problematiche non hanno ancora trovato soluzione» e quindi occorre intervenire. Innanzitutto sulla fase di transizione della riforma «assicurandone la sostenibilità finanziaria» e quindi sul «rapporto tra generazioni» per ridurre squilibri e privilegi. «Faremo tutto con «gradualità - ama ripetere il ministro Damiano -. Senza strappi».Tanti problemi, diverse soluzioni. «L’aumento dell’aspettativa di vita - è scritto nel Memorandum - sollecita soluzioni che diano la possibilità di continuare a svolgere un’attività di lavoro. Ciò richiede una coerente politica articolata su molteplici piani: lavoro part-time, formazione, un mercato del lavoro meno ostile ai lavoratori più anziani, ecc.». Per il sistema pubblico «la regola» deve essere il «pensionamento flessibile», con incentivi in grado di favorire «la prosecuzione volontaria dell’attività lavorativa di uomini e donne». L’impegno sottoscritto da governo e sindacati, prevede, come è noto che la trattativa si apra il primo gennaio 2007 e si concluda «con un accordo» entro il 31 marzo. Tempi blindati, insomma, nessuno spazio per fare melina. Tre gli obiettivi da raggiungere in contemporanea: equità sociale e sostenibilità finanziaria, miglioramento delle prospettive per giovani e garanzia per tutti gli anziani di pensioni di importo adeguato. Dei 10 punti che sintetizzano le linee guida, il primo riguarda il sistema contributivo. Che andrà applicato in maniera piena per assicurare «sostenibilità» nel medio e nel lungo periodo e accompagnato dal «rafforzamento di criteri che legano l’età di pensionamento all’importo della pensione, tenendo conto della dinamica demografica ed economica e salvaguardando la flessibilità nell’accesso alla pensione» come previsto dalla Dini. Per quanto riguarda il sistema retributivo si dovrà prevedere un «aumento della possibilità di scelta basato sulla flessibilità dell’età di pensionamento, incentrato su misure che favoriscano l’allungamento della permanenza nel mercato del lavoro». Quindi si punta a superare il divieto di cumulo per gli anziani ma anche ad assicurare assegni «più adeguati» rivalutando i trattamenti in essere, ad estendere tutele sociali e contributive a favore dei giovani precari, ma anche a superare i tanti «privilegi» che ancora esistono. A fianco del pieno decollo della previdenza integrativa (anche per i pubblici) ed al Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 16 completamento dell’armonizzazione del sistema contributivo per tutte le categorie, il memorandum prevede anche l’avvio del processo di riordino e razionalizzazione degli enti previdenziali (il Tesoro punta ad arrivare in tempi brevi ad un ente unico) e azioni di contrasto dell’evasione contributiva. Impegni precisi, messi nero su bianco. Che vincolano il governo ed i sindacati. E che faranno del 2007 l’anno delle pensioni. \ Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 17 Data 22 giugno 2017 Pagina 5 Damiano flessibile «Serve una previdenza più ROMA«La Finanziaria è molto equilibrata, il tempo ci darà ragione» assicura il ministro del Lavoro Cesare Damiano, anima riformista dell’esecutivo. «Abbiamo fatto una grande operazione di redistribuzione del reddito a favore dei ceti medio bassi, quelle famiglie che fanno fatica ad arrivare alla quarta settimana del mese» spiega. Scusi ministro, ma l’impressione è che invece la spinta riformista dell’Unione sia già finita: ha prevalso la sinistra radicale, Rifondazione, ed al rigore si è preferito l’aumento delle tasse...«Se ne dicono tante. Io penso che il tempo sarà galantuomo. Una volta che si saranno diradate le nebbie della contrapposizione e sarà finito lo sport di tirare dalla propria parte qualsiasi risultato, si vedrà che ci troviamo di fronte ad una Finanziaria che date le condizioni è di forte equilibrio. E che ha una chiara impostazione riformista». Quali sono «le condizioni date»?«Non dobbiamo mai dimenticare la pesantissima eredità del passato governo, altrimenti risulterebbe inspiegabile la necessità di fare una manovra da 33,4 miliardi. Deficit e debito fuori controllo ci hanno costretto ad effettuare una correzione molto drastica dei conti: trovare un equilibrio tra risanamento, rigore ed equità non è stato certo facile».Ricchi, poveri, ceto-medio: cosa ne pensa di questo dibattito e dei timori che, soprattutto al Nord, attraversano anche i Ds?«Io faccio fatica a pensare che il ceto medio, e quindi la media del benessere degli italiani, si collochi a quota 70 mila euro di reddito. Non voglio passare nè per pauperista nè per populista, ma la mia esperienza mi insegna che la retribuzione di un operaio della Fiat, dopo 35 anni di lavoro ai turni, è di 1200 euro netti al mese; che un operaio tessile è al di sotto di questa cifra; e che i nostri figli laureati, che lavorano con contratti flessibili o precari, possono andare dai 600 ai 900 euro al mese. Una retribuzione netta di 2 mila euro è già considerata buona, una di 3 mila lambisce la parte alta del lavoro dipendente. Se vogliamo stare ai dati questa è realtà, certo poi bisogna aggiungere che l’evasione fiscale che in Italia tocca livelli altissimi falsa molto la classificazione dei redditi delle persone. Ma questo è un problema che intendiamo combattere con determinazione». Quando sente dire che la Cgil è «il partito trasversale del governo» lei che viene dalla Cgil come reagisce? «Mah... A me personalmente hanno detto di tutto: una volta che sono la quinta colonna della Cgil ed un’altra che lo sono di Confindustria ed un’altra volta di qualcun altro. Lascio che dicano: sono tutte sciocchezze. Personalmente mi sono battuto fin dall’inizio perché la manovra non fosse caratterizzata dalla logica dei due tempi ma tenesse assieme rigore, sviluppo ed equità».A proposito di sviluppo: il taglio del cuneo diviso in due rate non rischia di uscire un po’ depotenziato?«Io, da vecchio negoziatore, mi sono sempre posto un obiettivo preciso: il risultato a regime. E a regime, nel 2008, il taglio del cuneo produrrà un beneficio strutturale di oltre 9 miliardi di euro, e quasi 6 andranno alle imprese. Che mi auguro si traduca in una scossa per la crescita della produttività e della competitività del paese, favorisca i nuovi investimenti e segni una svolta nelle politiche del lavoro visto che è collegato ai contratti di lavoro a tempo indeterminato».L’ex ministro Maroni dice che con la mobilità lunga avete «regalato» un miliardo alla Fiat. «Maroni fa delle affermazioni gravi e infondate. Questo mi dispiace perchè quando si parla di lavoro e di persone che hanno problemi di occupazione e sicurezza occorre fare attenzione, e soprattutto non si può distorcere la realtà. L’ex ministro sa perfettamente che questo fondo è dotato di 2 milioni per il 2007, di 59 nel 2008 e di 140 nel 2009, che riguarda 6 mila persone e non una sola impresa, e che non è nient’altro che la replica di una misura presa nel 2003 dal suo governo». Il prelievo del Tfr inoptato fa discutere. Alcuni economisti sostengono anche che in questo modo il governo non avrà alcun interesse a far decollare i fondi pensione... «Riconfermo che per me invece questa è una priorità. Non è un caso che, come ministro, io abbia giocato la carta del decollo anticipato al prossino anno dei nuovi fondi. Un argomento su cui intendo aprire un tavolo con le parti sociali per garantire la partenza dell’operazione a gennaio del 2007 con un’opera di pubblicità, spiegazione e Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 18 convincimento nei confronti di milioni di lavoratori. Il mio obiettivo è indirizzarne il maggior numero possibile verso la previdenza integrativa».Le imprese sono molto preoccupate.«Conosco le loro critiche. Però voglio far notare che il prelievo dal 65% è sceso al 50% e che in Finanziaria sono previsti sgravi contributivi per compensare questo intervento: 455 milioni di euro nel 2008 e 530 nel 2009. Se un problema esiste, riguarda semmai le piccole imprese: un punto al quale bisogna prestare grande attenzione». Il prossimo banco di prova per misurare il tasso di riformismo del governo è rappresentato dalle pensioni...«Intanto diciamo che per il 2007 non cambia nulla. Rispetto al 2008, invece, non mi sento di parlare di riforme, dobbiamo solo mettere mano ad una serie di aggiustamenti tornando allo spirito della legge Dini e rimediando ai danni fatti dal governo precedente. E la prima cosa da fare è reintrodurre quella flessibilità che la controriforma Maroni ha negato, anche considerando che non tutti i lavori sono uguali». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 19 Data 22 giugno 2017 Pagina 18 Gazprom frena sull’accordo con Eni MILANO La grande frenata dopo gli entusiasmi, forse eccessivi, di tre settimane fa. E così, adesso, tra i «no comment» inevitabili e qualche tentativo di minimizzare il possibile rinvio a data da detinarsi dell’intesa tra Eni e Gazprom prevista per il prossimo 15 ottobre, sfuma la possibilità che i negoziati tra il gruppo del cane a sei zampe e il colosso dell’energia russo siano in dirittura d’arrivo e i tempi si allungano. Tacciono gli uomini dell’Eni, che attraverso l’agenzia Agi lasciano solo trapelare che le trattative «proseguono» e che «si continua a lavorare per il rispetto degli impegni presi» ribadendo nel contempo che la data del 15 per la firma «è ovviamente indicativa all’interno di un negoziato molto articolato». Apparentemente in linea la smentita spedita da Mosca e firmata dal portavoce Serghei Kuprianov: «Gazprom - ha dichiarato - conta sull’adempimento degli accordi raggiunti nello scorso incontro». Ma da Mosca, da Gazprom, in realtà, sono arrivate anche indiscrezioni opposte, questa volta rigidamente anonime, che parlano di scarse possibilità di raggiungere un accordo in tempi brevi con l’Eni. Insomma, lo scenario si complica. E il grande accordo che avrebbe dovuto sancire, per Eni la possibilità oltre che di allungare di almeno 10 anni i contratti take or pay per la fornitura di gas anche l’ingresso nell’upstream e quindi nella ricerca e nell’estrazione di pertolio in Russia, per Gazprom la possibilità di entrare nel mercato della distribuzione del gas in Italia (ma anche di operare in partnership con Eni in altri mercati europei), se non svanisce nel nulla - vista la sottolineatura comune che i negoziati continuano - certo subisce un clamoroso colpo di freno.Non erano mancati i segnali, del resto. La cautela dell’amministratore delegato Eni, Paolo Scaroni, per esempio, deciso a ribadire non più tardi di due mesi fa, fine luglio, che l’obbiettivo dell’Eni non era «raggiungere un accordo a tutti i costi, ma un buon accordo». Dove per «buono» Scaroni intendeva una cosa soprattutto: l’esistenza nelle intese con i russi di una vera reciprocità e cioè disposnibilità ad aprire il mercato (della distribuzione del gas) italiano a patto che lo stesso facessero i russi consentendo all’Eni di cercare ed estrarre petrolio in Russia. Parole in parte dimenticate nell’enfasi di tre settimane fa, era il 12 settembre, quando Eni e Gazprom lasciavano trapelare in un comunicato congiunto la firma niente meno che per metà ottobre. Peccato che da quel 12 settembre sia poi successo di tutto sul mercato energetico russo. In rapida sequenza: il 18 settembre è stato annullato per problemi ambientali il progetto Sakhalin 2 della Shell, il 21 il ministero russo delle Risorse ha annunciato la revisione della concessione data al gruppo petrolifero francese Total in Siberia mentre, lo stesso giorno, il governo russo non ha accettato la revisione dei costi richiesta da Exxon per Sakhalin 1, il 25 il colosso inglese Bp è stato minacciato di vedersi revocata la licenza per il campo petrolifero di Kovitka, sempre per presunte violazioni di norme ambientali. La sensazione, a detta di molti osservatori, è che si stia assistendo a un cambio della politica energetica russa che punterebbe a revocare le vecchie licenze sui giacimenti concesse ai grandi gruppi internazionali per ridarle a società russe come Rosneft e Gazprom, appunto. La nuova spinta nazionalizzatrice che vuole rimettere al centro del business i gruppi russi potrebbe quindi aver fatto da freno anche sulle trattative in corso tra Gazprom ed Eni. I russi, in altre parole, sarebbero più cauti sulle possibilità di allargare all’Eni la possibilità di operare nell’upstream in Russia. Ma un elemento di freno, subito usato da Mosca per giustificare un certo rallentamento dei negoziati, starebbe anche nei moniti dell’Antitrust italiana che già aveva bloccato una prima intesa tra Eni e Gazprom nell’estate del 2005 e che ha di nuovo espresso dubbi sugli effetti anticoncorrenziali dell’intesa italo-russa. Il garante Antonio Catricalà, dopo l’annuncio della possibile firma il 15 ottobre, aveva infatti ribadito che «l’autorità tiene alto il livello di attenzione su eventuali comportamenti anticoncorrenziali», sottolineando come l’intesa Eni-Gazprom «rischierebbe di veder prevalere elementi di collaborazione tra le due società piuttosto che costituire occasioni di reale confronto». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 20 Data 22 giugno 2017 Pagina 20 Le banche fuori da Telecom I sindacati contro Tronchetti MILANO Fuori le banche, per ora. In attesa di capire fino a che punto i progetti di sistemazione del controllo di Telecom Italia abbiano o no possibilità di concretizzarsi in tempi brevi con il possibile ingresso di importanti soggetti finanziari (da Capitalia a Mediobanca a Generali). Da Olimpia, la società che detiene il 18% di Telecom, escono proprio oggi le due banche, Intesa e Unicredit, che dal 2001 avevano sostenuto la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e la Edizione Holding dei Benetton nell’acquisizione (dalla Bell di Colaninno-Gnutti) del controllo del gruppo telefonico. A rilevare le quote delle due banche sarà la Pirelli che sborserà 1,17 miliardi di euro e che diventerà a tutti gli effetti intestataria dell’80% del capitale Olimpia, mentre i Benetton resteranno al 20%. Per far fronte a questo nuovo importante esborso Pirelli ha già varato alcune operazioni, anche per impedire che il debito lieviti oltre i 2 miliardi annunciati per fine anno da Tronchetti: dalla cessione a un pool di banche del 39% della Tyre che ha fruttato un incasso di 740 milioni di euro all’ormai imminente vendita di partecipazioni finanziarie, tra cui quella in Capitalia e forse una parte di quella in Mediobanca, che dovrebbero portare altri 400 milioni in cassa.Intanto, ieri si è tenuto a Milano lo sciopero nazionale dei lavoratori Telecom proclamato da Cgil-Cisl-Uil all’indomani del varo da parte dell’ultimo consiglio d’amministrazione presieduto da Tronchetti del riassetto che prevede lo scorporo della rete fissa e di Tim. Migliaia i lavoratori scesi in piazza, almeno 10 mila secondo gli organizzatori, per ribadire il «no» al piano e allo scorporo di Tim. Duri gli slogan (i più gridati: «Tronchetti Provera presto andrai in galera» e «Tronchetti, Pirelli, attento c’è Borrelli»), dure le prese di posizione dei segretari generali della Cisl, Raffaele Bonanni, e della Uil Luigi Angeletti. Secondo Angeletti lo scorporo della Tim dalla casa madre è «una scelta sbagliata che mette a rischio posti di lavoro e indebolisce il settore delle telecomunicazioni». C’è il timore, ha aggiunto, che il senso del riassetto stia tutto nel «tentativo di vendere un asset per pagare i debiti finanziari». Anche per questo i sindacati, per bocca del leader della Cisl, hanno chiesto un incontro con il neopresidente di Telecom Guido Rossi perché dica le intenzioni che ha: «Le dimissioni della vecchia presidenza e la nuova di Rossi - ha spiegato Bonanni - non ci faranno cambiare la nostra idea sullo scorporo di Tim: siamo e restiamo contrari». Il sindacato, oltre che un incontro con Rossi, ha chiesto anche di vedere l’Autorità delle comunicazioni. Non solo: «Chiediamo al governo di occuparsi del problema Telecom senza rimettere in mani completamente pubbliche l’azienda», ha insistito Bonanni. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, intervenendo da Roma sulla vicenda, ha chiamato direttamente in causa l’assetto di comando del gruppo (Telecom, ha spiegato, «sconta difficoltà relative prevalentemente all’assetto proprietario che non si possono far pagare all’azienda e ai lavoratori»): «Chi ha le maggiori responsabilità come azionista - ha detto - deve agevolare i passi necessari perché le difficoltà non ricadano sull’integrità e sugli investimenti del gruppo». Oltre alla manifestazione di Milano, altre manifestazioni di lavoratori si sono svolte a Roma, una organizzata dai Cobas e una dall’Udl, e a Palermo. \ Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 21 Data 22 giugno 2017 Pagina 10 Maternità estesa alle precarie Tfr, altolà anche dai sindacati ROMA - Scatterà entro il giugno del prossimo anno l´aumento al 20% della tassazione sulle rendite finanziarie. E´ questo il tempo massimo che il disegno di legge delega affida al governo per riordinare il trattamento tributario di «redditi da capitale», «redditi diversi di natura finanziaria», gestioni patrimoniali e fondi. In pratica, come più volte annunciato in passato, un´operazione di armonizzazione alle soglie europee che dovrebbe far salire le tasse sui Bot e sui capital gain e far scendere quelle sui conti correnti. La delega dà al governo anche il compito di trovare «misure compensative» per i soggetti economicamente più deboli che potrebbero essere «detrazioni o deduzioni» fiscali. Dall´intera operazione il governo conta di incassare 1,1 miliardi nel 2007 e 2 nel 2008. Novità anche in tema di lavoro. Le donne con contratti di lavoro a tempo determinato potranno usufruire dei congedi di maternità. Lo ha annunciato il ministro per la Famiglia, Rosy Bindi. In particolare, ha spiegato, per i lavoratori a progetto, o comunque precari e iscritti alla gestione separata dell´Inps, che riguarda quasi tre milioni di lavoratori, viene stabilità per la prima volta con la Finanziaria l´indennità di malattia e i congedi parentali. Anche per le mamme che hanno un contratto a tempo determinato è riconosciuto entro il primo anno di vita un congedo di tre mesi con una retribuzione pari al 30% del reddito di riferimento. Attualmente, ha precisato il ministro, non hanno alcun diritto. Mentre con la pubblicazione sulla «Gazzetta ufficiale», tra ieri sera ed oggi, diventano operative le disposizioni del «decretone» fiscale (donazioni, successioni, bollo auto, controlli sugli scontrini e ritocco dei diritti per gli atti catastali e visure), sul fronte Irpef ogni contribuente comincia a fare i conti per vedere se guadagna o perde. In questa pagina diamo una guida al calcolo di aliquote, detrazioni e assegni familiari. Si riaccende infine il tema del passaggio del Tfr dalle aziende ad un fondo speciale del Tesoro. Ieri anche il sindacato è sceso in campo per contestare l´operazione definita «un esproprio». Epifani (Cgil) ha detto che «preoccupazione sul Tfr», Bonanni (Cisl) ha detto che la linea del governo sul Tfr «non è convincente»; Angeletti (Uil) ha detto che si tratta di «soldi dei lavoratori». La Confindustria, oltre che per il Tfr, alza il tiro sul cuneo fiscale. «L´operazione è positiva ma rischia di essere un po´ annacquata», ha detto Anna Maria Artoni. L´operazione del taglio dell´Irap, infatti, stando alla relazione tecnica del decreto, costerà nel 2007 una cifra pari a 2,88 miliardi e solo nel 2008 raggiungerà 4,68 miliardi previsti Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 22 Data 22 giugno 2017 Pagina 49 Telecom, i dipendenti in manifestazione contro Tronchetti piazza MILANO - «Siamo noi, siamo noi, la Pirelli di Bollate siamo noi». Non saranno stati in tantissimi. Cinquemila, secondo gli organizzatori. Forse qualcosa meno. Ma, di sicuro, erano molto, molto arrabbiati. C´erano gli impiegati Tim, gli operai delle fabbriche di pneumatici, ma soprattutto c´erano i lavoratori della Telecom: qualche quadro, tecnici e "giubbe rosse", gli addetti agli interventi esterni sulle linee telefoniche. Tutti insieme per lo sciopero indetto dai sindacati confederali per contestate il riassetto annunciato dal gruppo di telecomunicazioni.Un corteo che si è snodato ieri mattina a ridosso del centro di Milano, da Porta Venezia fino agli uffici commerciali di Telecom a due passi dalla stazione Centrale. Cartelli, striscioni e slogan con rime baciate al limite della querela: «Tronchetti Provera presto andrai in galera». Oppure, per incrociare le vicende calcistiche: «Tronchetti, Pirelli, attenti c´è Borrelli». Non sono mancati slogan più impegnativi, ma sempre collegati con gli ultimi fatti di cronaca: «Per lo sviluppo del paese intercettare il lavoro».L´ex presidente di Telecom è stato chiamato in causa anche negli interventi dei sindacalisti su un palco improvvisato in un parcheggio sotto il palazzone vetro-cemento: «Al signor Tronchetti Provera – ha scandito Raffaele Bonanni – non ci stancheremo mai di dire che ha pensato troppo alla finanza e poco all´industria e che non ci stiamo a pagare il dazio dei debiti». Si spera in Guido Rossi: «L´arrivo del nuovo presidente ci tranquillizza, soprattutto quando parla di un debito sostenibile, ma le cose non possono restare come sono». A Rossi è stato chiesto un incontro urgente. Così come al governo: Prodi dovrà impegnarsi a fornire «garanzie di stabilità per l´azienda e i lavoratori, sperando che la vicenda Telecom non sia simile a quella Abertis-Autostrade». In attesa di avere soddisfazione, i lavoratori mantengono lo stato di mobilitazione: «Quello di oggi – ha annunciato il segretario nazionale dello Slc-Cgil, Emilio Miceli – è solo il primo sciopero: nei prossimi giorni chiederemo il blocco degli straordinari e delle prestazioni aggiuntive: Tronchetti ha pensato troppo alla finanza e poco all´industria e i debiti li dovranno pagare tutti i lavoratori con il caro bolletta».Proseguono intanto le trattative per il riassetto finanziario a monte di Telecom. Tronchetti Provera insieme al suo advisor Gerardo Braggiotti sta trattando con alcune banche e investitori finanziari l´allargamento dell´azionariato di Olimpia. Da oggi, infatti, Pirelli sale ufficialmente all´80% mentre Unicredit e Banca Intesa escono ottenendo 1,17 miliardi di euro. Il problema fondamentale, però, riguarda il prezzo a cui Olimpia svaluterà le azioni Telecom (18%) in portafoglio. A 3 euro, questa la valutazione intorno a cui si sta ragionando, non è detto che le banche ritengano attraente un ingresso in Olimpia poiché devono giustificare tale prezzo (rispetto ai 2,2 euro che esprime oggi la Borsa) di fronte ai propri azionisti. Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, ha già fatto sapere a tutti che se l´operazione non sarà "di mercato" la sua banca non parteciperà all´operazione. Mediobanca e Generali, dal canto loro, posseggono già un 2% a testa di azioni Telecom e potrebbero non entrare in Olimpia ma legarsi ad essa attraverso un patto di sindacato. Chi non ha già le azioni, come Banca Intesa, Capitalia e altri, potrebbe invece decidere di entrare o per comprare nuove azioni o per ridurre il debito oggi pari a circa 3 miliardi. L´obbiettivo è blindare un pacchetto di titoli che si avvicini il più possibile al 30% in modo da evitare attacchi ostili dall´estero. Tuttavia una costruzione del genere somiglia molto a quella già formata per blindare il controllo di Rcs, che finora non ha portato grandi risultati alla società operativa. Se così andranno le cose, il prossimo consiglio di amministrazione Telecom che verrà nominato con l´assemblea di aprile 2007 sarà dunque espressione non più di Pirelli soltanto ma di una pluralità di azionisti. Oggi è in programma una riunione del direttivo del patto di sindacato Mediobanca e i rappresentanti dei grandi soci potrebbero cogliere l´occasione per discutere anche del riassetto Olimpia-Telecom. Sul tavolo c´è anche la questione della partecipazione di Pirelli in Piazzetta Cuccia che la società della Bicocca potrebbe voler vendere per arrivare ai 400 milioni di introiti finanziari già annunciati per fine anno. La fetta più importante dell´importo giungerà però dalla Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 23 cessione dell´1,9% di Capitalia di cui uno 0,5% verrà assorbito dalla banca olandese Abn Amro. Gli altri partecipanti al patto dovranno decidere entro lunedì prossimo e solo allora si capirà meglio il rimescolamento di carte in corso. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 24 Data 22 giugno 2017 Pagina 37 La cultura piange, appello alle imprese Tagli alla cultura, a cominciare da Regio, Stabile e musei, per far fronte alla scure in arrivo sui Comuni dalla Finanziaria? L’assessore Fiorenzo Alfieri ieri non ha fatto mistero d’aver espresso tutta la sua contrarietà alla giunta comunale, aprendo la stura alla presentazione della prima di «Turandot» che aprirà la stagione d’opera al Regio. Occasione in cui ha annunciato anche una contromossa di Chiamparino: un appello del sindaco alla società civile, imprenditori in testa.Al Regio Alfieri ha detto chiaro e tondo: «In giunta ho spiegato che non si può ricominciare con la solita logica, per cui quando tocca tagliare ci rimette sempre la cultura. Ho detto anche che questi messaggi, se mai hanno trovato consenso, oggi ai torinesi non piacciono più. La reazione della gente non è l’applauso, nemmeno da parte delle fasce economicamente più fragili, ben contente di sentire Beethoven al PalaIsozaki. Tra la gente è passato il concetto che non si può prescindere dagli investimenti in cultura». Se comunque lo tsunami arriverà, per Alfieri ci sono due vie d’uscita. La prima: «Forse lo Stato finalmente smetterà di pretendere che gli enti locali facciano tutto da soli». Un’ipotesi percorribile, visto che, come ha sottolineato il sovrintendente del Regio Walter Vergnano, «Finalmente dallo Stato è arrivata un’inversione di tendenza in tema di fondi per i teatri d’opera. Questa Finanziaria non taglia più gli stanziamenti, ma li aumenta, e si prevede un’ulteriore crescita fino al 2009, quando torneremo alle cifre del 2002. Finalmente si comprende il ruolo cruciale della cultura per la crescita del Paese». La seconda via indicata da Alfieri: «Il sindaco sta preparando un incontro con le forze economiche. Dirà che per un paio d’anni il Comune non potrà reggere il ritmo di investimenti in cultura e promozione della città che finora abbiamo potuto permetterci. Le imprese hanno beneficiato delle Olimpiadi, e hanno vantaggi se cresce l’immagine della città in cui operano. E’ tempo che si responsabilizzino. Per il festival della lirica di Pesaro ci sono tre pagine di sponsor, e il sostegno dei privati ai teatri lirici di Firenze e Genova è superiore a quello per il Regio, anche se Torino non è economicamente meno forte di queste due città».Una chiamata a raccolta per le aziende? Sergio Chiamparino conferma. Premette: «So benissimo che gli investimenti in cultura sono importanti, e che è sbagliato contrapporli a quelli sullo stato sociale. Sono altrettanto cruciali, ce lo siamo detto mille volte». Il problema «è che bisogna tagliare tutto. Ci sono difficoltà gravi». C’è un secondo ragionamento: «nel 2006, per i Giochi, abbiamo sostenuto sforzi eccezionali per la promozione e la cultura che non si potrebbero riproporre. Altri settori hanno nel frattempo atteso, e gli investimenti vanno graduati e spalmati negli anni». L’appello alle imprese «è l’unica strada. A questo punto, il maggior sostegno dei privati e delle fondazioni bancarie è più che mai cruciale. Altrimenti sarà difficile mantenere gli obiettivi nel settore culturale: nemmeno quelli riposizionati per gli anni post-olimpici». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 25 Data 22 giugno 2017 Pagina 43 Trenitalia frena sulla Tav «Le linee storiche sono ben lontane dalla saturazione e i tempi non sono maturi per decidere la realizzazione di linee ad Alta velocità/capacità». Chi parla non è un leader del movimento No Tav valsusino, ma Marco Manfredini, direttore operativo cargo di Trenitalia. Il suo intervento gela la platea del convegno riservato che si è svolto nei giorni scorsi a Torino Incontra sul futuro dell’Interporto merci di Orbassano. Il ragionamento di Manfredini si inserisce in un’analisi dei flussi del traffico merci che prevede una crescita di domanda di trasporto su nave e aereo (che si utilizza prevalentemente per tratte superiori ai 1000 chilometri) e di staticità di quella su treno (tra i 400 e i 1000 chilometri) e cargo (inferiore ai 400 chilometri). Se queste sono le tendenze allora diventa chiaro che per Trenitalia puntare sull’alta capacità significherebbe programmare investimenti non sostenibili visto che per il nuovo parco locomotive e il nuovo parco carri la necessità stimata è fra i 7000 e i 10 mila carri. Certo Trenitalia è solo uno dei tanti attori pubblici che si muovono sulla scacchiera della Tav ma è evidente che in una situazione finanziaria dove il piatto piange quelle riflessioni possono avere un peso almeno dal punto di vista dell’indicazione delle priorità di spesa. Un esempio? Lunedì a Roma il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, commentando la Finanziaria spiegava: «E’ meglio un piano di edilizia popolare che la Tav in Val di Susa». Ferrero è di Rifondazione e da sempre contrario all’opera ma le sue parole aggiunte alla presa di posizione di Trenitalia suonano come un ulteriore campanello d’allarme per chi, come l’assessore regionale ai Trasporti, Daniele Borioli, crede nella necessità di realizzare il tunnel. Spiega: «Il punto di partenza di Trenitalia capovolge la base di lavoro su cui in questi anni sono stati elaborati i progetti a partire da quelli dell’Unione Europea per finire con i documenti di Rfi. La realizzazione del tunnel di base è fondamentale per assicurare il riequilibrio modale del traffico merci». Borioli si dice convinto che «si tratta di una posizione di cui bisogna tener conto ma da non prendere troppo sul serio, è solo una posizione aziendale e le scelte strategiche vanno fatte in sede politica». Si vedrà anche perché nei palazzi della politica la situazione si complica. Così se il sindaco, Sergio Chiamparino, tira fuori dal cassetto una vecchia proposta cara all’allora amministratore delegato di Rfi, Mauro Moretti, che punta alla valorizzazione dello scalo merci di Chivasso al posto dell’Interporto di Orbassano, Regione e Provincia fanno muro in difesa del collegamento con il Sito. E a Borioli che parla di una «scelta strategica» fa eco il presidente Antonio Saitta: «Parlare di Chivasso al posto di Orbassano vuol dire ignorare il grande sviluppo dell’Interporto e le potenzialità future. Rfi fa un mestiere, il compito degli enti locali è quello di valorizzare il territorio». Senza dimenticare che la cancellazione del collegamento di Orbassano rischia di far saltare il già fragile accordo con i comuni della Gronda. Polemiche su un futuro ancora incerto. Oggi a Roma è prevista una nuova riunione della Conferenza Intergovernativa sulla Torino-Lione. Si parlerà soprattutto di fondi, quelli che l’Unione Europea dovrà stanziare per il periodo 2007-2013. Il rapporto De Palacio e i problemi di bilancio a Bruxelles potrebbero portare i due governi ad un’azione congiunta di Roma e di Parigi. Ieri con un comunicato stampa si sono fatti sentire i Sì Tav. Bruno Bottiglieri, segretario generale della Transpadana, spiega: «Se dalla Valle di Susa continueranno ad emergere esclusivamente posizioni pregiudizialmente contrarie alla Torino-Lione il governo dovrà procedere egualmente nella realizzazione dell’opera per rispettare gli impegni presi con l’Ue». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 26 Data 22 giugno 2017 Pagina 39 L’effetto-Finanziaria travolge Alfieri La tassa di soggiorno per i turisti in arrivo sotto la Mole che passa da 0,50 a 1 euro (per un ricavo globale di 6 milioni). La conferma che l’Ire - «se non ci saranno buone sorprese da Roma» - salirà allo 0,4 per mille, e che la corsa semplice del bus arriverà a 1 euro. E poi, oltre mezza giunta all’assalto della diligenza guidata dall’assessore alla Cultura Fiorenzo Alfieri, nel mirino per la questione tagli. «Mi dicano a che cosa devo rinunciare commenterà l’”imputato” all’uscita dalla giunta - e io a quel punto valuterò se restare o no al mio posto». Sono gli ingredienti base dell’incandescente giunta comunale dedicata ieri agli effetti della Finanziaria. Coperta troppo corta che (in attesa di conoscere le cifre definitive dei trasferimenti da Roma) costringe l’assessore al Bilancio Gianguido Passoni a passare al setaccio le spese dei singoli assessorati. A dar fuoco alla miccia delle polemiche, proprio una delibera dell’assessore Alfieri. Un milione e 428 mila euro a favore della Fondazione Musei per allestire la grande mostra del 7 novembre a Torino Esposizioni con tutte le collezioni provenienti dalla Gam che non sono state ancora esposte. Un documento presentato nello stesso giorno in cui l’assessore Passoni, su «La Stampa», spiegava di voler tagliare del 20-30 per cento i trasferimenti a tutte le fondazioni. A quel punto sono intervenuti, nell’ordine, l’assessore al Commercio Altamura, quello ai Servizi sociali Marco Borgione, quella alla Viabilità Maria Grazia Sestero e quindi la responsabile della partita post-olimpica Elda Tessore. Arrabbiati? Chi più e chi meno. E mentre Altamura chiedeva conto della cifra stanziata, Borgione ha spiegato che i suoi conti grazie alla legge sull’indulto sono in rosso: «Il mio budget è di 80 milioni di euro dagli Anni Novanta, soltanto negli ultimi mesi abbiamo speso 450 mila euro per trasferire 18 minori dal Ferrante Aporti in comunità». Affondo finale: «Non è possibile che il mio budget resti invariato da secoli e che quello della Fondazione Regio sia quintuplicato». Borgione un po’ se l’è presa perché Alfieri, commentando la questione, si è polemicamente chiesto «per quale ragione si tocca sempre la Cultura e mai il Welfare». Ma anche l’assessore alla Casa Roberto Tricarico, che pur non se l’è presa con Alfieri, ha comunque lanciato un allarme: «Con questi chiari di luna se la Regione non ci darà una mano ci scordiamo di comprare i villaggi olimpici da destinare all’edilizia popolare...». A dirimere la matassa l’intervento finale del sindaco, riassumibile nello slogan: basta piagnistei, siamo tutti sulla stessa barca, quindi basta considerare inviolabile soltanto il proprio orto.Fin qui la polemica, con l’assessore al Bilancio che comunque esce soddisfatto dalla giunta «perché tutti gli assessori hanno accettato l’idea di tagliare i trasferimenti alle fondazioni». Poi le misure. Confermato l’aumento - insieme con il costo della corsa semplice sui mezzi pubblici (da 0,90 a 1 euro) - della sosta all’interno delle strisce blu che toccano buona parte dei cittadini. Ribadita anche la necessità di mettere mano all’Ire «ma soltanto come extrema ratio», sino allo 0,4 per mille, e, novità annunciata ieri, la necessità di aumentare il costo dell’imposta sulla pubblicità e la tassa di occupazione del suolo pubblico. La scure del bilancio si abbatterà (eccome) anche sul settore Infrastrutture: «Non capisco perché il collega Alfieri si atteggi a vittima - ha commentato ieri l’assessore alla Viabilità Sestero -, fra quelli che devono tagliare di più non c’è lui bensì la sottoscritta. In pratica mi resta mano libera soltanto sul metrò e sul Passante. Blocco dei parcheggi, dei minitunnel e della manutenzione straordinaria». Già, la manutenzione straordinaria, quella che doveva mantenere perfetta la Torino postolimpica. Chissà che ne sarà. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 27 Data 22 giugno 2017 Pagina II Torino "Corso Marche, no al dietrofront" Il collegamento tra l´Alta velocità e l´interporto di Orbassano «è una delle opere essenziali per il territorio torinese». Il presidente della Provincia, Antonio Saitta, risponde così a Sergio Chiamparino che ieri aveva ipotizzato la realizzazione di un nuovo scalo logistico a Chivasso. «Quel che conta - aveva detto il sindaco - è che ci sia una piattaforma logistica nell´area torinese. Noi preferiremmo il collegamento con Orbassano ma se le ferrovie intendono realizzare un interporto a Chivasso possiamo discuterne». Presidente Saitta, perché lei è meno possibilista del sindaco? «Non voglio alimentare una contrapposizione che, nei fatti, non esiste». Anche lei sarebbe disponibile a un trasferimento dell´interporto a Chivasso? «No. Come, nei fatti, non lo è il sindaco e non lo è la Regione. Un anno fa abbiamo siglato tutti un protocollo d´intesa per potenziare il nodo di Orbassano con il collegamento di corso Marche. E anche ieri Chiamparino ha ripetuto che per il Comune di Torino la soluzione di corso Marche è la soluzione migliore. Direi che in questa fase è utile mantenere l´unità di intenti che abbiamo sempre dimostrato sulla questione anche quando le amministrazioni torinesi non erano tutte dello stesso colore politico». Le ferrovie non vorrebbero né Orbassano né Chivasso: dicono che sarebbero sufficienti i nodi di Novara e Milano. Come risponde?«Che la politica non la fanno le ferrovie e non la fa l´amministratore delegato Michele Moretti. Queste non sono scelte da lasciare ai tecnici. Se no si finisce per dare ragione ai No Tav che accusano le ferrovie di imporre le loro scelte al territorio e alle istituzioni locali».Perché è tanto importante il Sito di Orbassano?«Perché un territorio come quello torinese accetta l´Alta capacità se ne trae vantaggi. È uno scambio alla luce del sole. Sull´interporto di Orbassano abbiamo investito da anni e ora i risultati cominciano a vedersi. È un´area di 4 milioni di metri quadrati che dà lavoro a un migliaio di persone e che ha molte possibilità di crescere. Non si capisce perché abbandonarla oggi tagliando fuori Torino dal mercato della logistica. Che non è solo smistamento di merci ma anche lavorazione, imballaggio. Insomma, attività produttive che hanno effetti sull´economia locale».Perché non trasferire tutto a Chivasso? «Perché sarebbe antieconomico. Che senso avrebbe investire altri milioni per realizzare ciò che abbiamo già?».Lei crede che corso Marche si realizzerà? «Corso Marche è destinato a diventare una delle spine di Torino. L´architetto Cagnardi ci consegnerà nei prossimi mesi uno studio di massima. È un´area di sviluppo irrinunciabile per la città e i comuni della cintura ovest». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 28 Data 22 giugno 2017 Pagina IV T orino Sui bilanci della Regione la scure della Finanziaria Tagli alla spesa per oltre 100 milioni di euro, minori possibilità di investire e di accendere mutui. Ma, ed è l´unico flebile spiraglio di luce, fondi per la sanità in arrivo da Roma «quasi» sufficienti e che daranno la possibilità di programmare la situazione economica nelle Asl e negli ospedale per almeno tre anni. Sono queste, spiega Paolo Peveraro, vicepresidente della giunta e assessore al bilancio, le novità che la Finanziaria nazionale porta al Piemonte. Novità, ovviamente, anche qui per nulla positive: «Quella del governo è stata una manovra molto pesante: saremo costretti a tagli severi in molti settori - dice Peveraro - ma non toccheremo la spesa sociale e cercheremo di mantenere una buona quota di investimenti specie in settori strategici come la ricerca e l´innovazione». Metterete nuove tasse. «Il nostro obiettivo e non aumentarle», anche se la possibilità (su Irap e imposte automobilistiche, non per l´Irpef dove l´addizionale spettante alla Regione è già al massimo consentito dai tempi della giunta Ghigo) in teoria, ci sarebbe. Difficile però strappare a Peveraro qualche anticipazione sui settori in cui i tagli saranno più severi. «Dovremo intervenire ovunque sarà possibile, anche se i margini di manovra non sono amplissimi. Perché su circa 3 miliardi e 400 milioni di spesa corrente e investimenti che (esclusa ovviamente la sanità) avremo a disposizione nel 2007 circa 500 sono già bloccati: 250 milioni di oneri finanziari e 250 milioni di spese per il personale due voci su cui non si può certo applicare il taglio che la finanziaria ci impone». Entrando nel dettaglio sono tre, per l´assessore, gli aspetti principali della Finanziaria che riguardano le regioni. La sanità prima di tutto: «Qui complessivamente abbiamo ottenuto dallo Stato 98 miliardi contro i 92 dello scorso anno. Il Piemonte avrà diritto come sempre a circa l´8 per cento, qualcosa di meno di 8 miliardi dunque. In più è stato previsto un ulteriore accantonamento di 2 miliardi (circa 150 milioni dei quali finiranno in Piemonte) per il 2006». Significa, aggiunge Peveraro, che a fine anno il «buco» che eresterà da coprire nella sanità con fondi regionali dovrebbe essere di circa 200 milioni di euro. «Quello che abbiamo scritto nel bilancio di assestamento». Per il 2007 però bisognerà tagliare ulteriormente: «Almeno il 4 per cento. Perché se è vero che i flussi finanziari in arrivo ad Roma sono stati determinati per il prossimo triennio, e ci permetteranno finalmente una vera programmazione e altrettanto vero che la cifra è inferiore appunto del 4 per cento rispetto a ciò che come Regioni avevamo chiesto». Poi ci sono i tagli alla spesa: «La Finanziaria stabilisce per le regioni un taglio dell´1,8 per cento sulle spese correnti per competenza e sulle spese di investimenti per cassa nel 2005. Al netto, ovvio, della sanità». Per il Piemonte, che nel 2005 ha avuto circa 2 miliardi e mezzo di spese correnti e un miliardo di investimenti, un taglio minimo di 70 milioni di euro rispetto a quel bilancio. E di circa 100 milioni di euro rispetto al bilancio 2006. Infine c´è la possibilità di contrarre debiti per cui viene fissato un nuovo tetto. «Finora la legge prevedeva - conclude Peveraro - che gli oneri finanziari non potessero essere più del 25 per cento del totale della spesa corrente. Adesso la percentuale scende al 20 e questo riduce in modo considerevole la nostra capacità di indebitamento». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 29 Data 22 giugno 2017 Pagina VI Torino Malattie da catena di montaggio la Fiat pronta a risarcire gli operai Si alza domani il sipario sul processo per la "sindrome di Charlot", e la Fiat Auto pensa già a metter mano al portafoglio. La prima udienza dibattimentale che vede imputati 68 manager accusati di aver cagionato malattie professionali agli operai per non aver saputo organizzare un´adeguata metrica del lavoro in fabbrica, sarà infatti subito rinviata proprio per consentire alle parti di trovare un accordo per un maxi-risarcimento. L´inizio del processo vede però anche altre importanti novità: gli imputati - tra cui gli amministratori Paolo Cantarella (responsabile legale dal primo gennaio ‘92 al 31 gennaio ‘96), Roberto Testore (dal primo febbraio ‘96 al 31 dicembre 2001) e Giancarlo Boschetti (dal primo gennaio 2002 al 17 luglio dello stesso anno) - stanno trattando il patteggiamento: il reato contestato verrà comunque coperto dall´indulto. Ad alcuni amministratori delegati inoltre è stato recapitato un ulteriore avviso di garanzia per omissione dolosa di cautele antinfortunistiche: il pm Raffaele Guariniello contesta loro di non aver saputo organizzare il lavoro anche dopo che erano già state riconosciute le patologie professionali degli operai. A questo nuovo procedimento la Fiat ha però subito risposto sia chiedendo di patteggiare e poi, soprattutto, con l´introduzione del "metodo Ocra", una tecnica che permette di valutare gli sforzi sul lavoro secondo un sistema riconosciuto a livello internazionale, esteso a tutti gli stabilimenti italiani. Quantificare l´indennizzo per gli operai che hanno subito danni da catena di montaggio, non sarà un´operazione semplice e veloce per gli avvocati delle parti (i legali Laura D´Amico e Augusto Fierro assistono gli operai, mentre il pool della difesa è composto dagli avvocati dello studio Chiusano, Giovannandrea Anfora e Luigi Chiappero). Sono 182 le parti offese al processo: un numero così elevato che porterà la Fiat a pagare un prezzo altrettanto alto. L´aver eseguito movimenti meccanici ripetitivi, con un "sovraccarico biomeccanico delle braccia" ha infatti causato negli operai malattie differenti, correlate al "taylorismo di fabbrica", tra cui dito a scatto, cisti del polso, epicondilite, tendiniti al polso e alle spalle. E poi sindromi del tunnel carpale, di De Quervain, di Guyon e di Dupuytren. A seconda della gravità della malattia, gli operai hanno subito danni di invalidità che variano dal 7 al 30 per cento. «Ma ci sono madri che non possono più prendere i figli in braccio, e operai che non possono fare sport. Nessun indennizzo potrà ricompensarli», ha commentato Giorgio Airaudo, il segretario generale della Fiom torinese che per primo aveva inoltrato l´esposto in procura. E ha spiegato: «L´inizio del processo è la dimostrazione che per anni la Fiat ha avuto un atteggiamento di chiusura ideologica a qualsiasi trattativa sindacale, basti pensare che fino a pochi mesi fa l´azienda ha continuato ad avere lo stesso problema. Solo ora assistiamo, con la tecnica Ocra, a una prima apertura importante. Nessuna innovazione tecnologica potrà infatti sostituire la catena di montaggio: in Fiat ci sono ancora operai che compiono operazioni ripetitive sotto il minuto. Servono pause più frequenti e rotazione delle mansioni anche perché il sistema Ocra misura la fatica fisica ma non quella psicologica». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 30 Data 22 giugno 2017 Pagina IX Torino Scuola, partenza difficile 1700 le cattedre scoperte Sono più di 1700 le cattedre ancora scoperte a Torino: tra posti ‘completi´ e spezzoni, un vuoto pesante da colmare, a tre settimane dall´inizio della scuola. Nella maggior parte degli istituti gli orari delle lezioni sono ancora provvisori. I docenti si improvvisano supplenti nelle proprie classi per ‘coprire´ il vuoto d´organico. «Non dipende certo dai nostri uffici – ha spiegato ieri da via Coazze, Caterina Petrasanta, funzionario responsabile delle scuole per tutti gli ordini e gradi della provincia – perché noi abbiamo provveduto come da programma alle nomine d´ufficio, sulle graduatorie permanenti. Una volta esaurite quelle, si passa alle graduatorie d´istituto che sono divise in tre fasce: una prima, definitiva, e seconda e terza provvisorie che si aggiornano ogni anno e sui cui le nomine vengono effettuate ma in attesa dell´avente titolo». E quindi ecco i ritardi, e le assenze sui registri di classe: per le materne, mancano ancora all´appello 13 maestre su posti comuni e 23 per il sostegno; per le primarie, 83 sui posti comuni e 312 per il sostegno; nelle scuole medie, la situazione si fa davvero problematica: mancano 548 docenti sui posti comuni e 197 per il sostegno, mentre alle superiori, 300 ‘comuni´ e 148 per il sostegno. «Certo, non si tratta sempre di cattedre intere ma anche lo ‘spezzone´, spesso di 13 ore, è comunque un ‘posto´ di insegnamento, che per noi vale allo stesso modo della chiamata per una cattedra completa – ha aggiunto la Petrasanta – ma ciò che più ci preoccupa, e che costituisce un problema urgente per noi da risolvere, è la mancanza di insegnanti di inglese alle elementari: sembra un paradosso, ma non possiamo neppure fare chiamate, perché non ci sono sul territorio abbastanza figure professionali con ‘quei´ titoli di idoneità, all´insegnamento della lingua, richiesti per legge: quanti infatti aspirano ad insegnare inglese alle elementari, devono essere in possesso della laurea in scienze della formazione primaria e devono aver superato l´esame di idoneità per l´insegnamento della lingua straniera. Altrimenti essere già docenti di ruolo comunque in possesso dell´idoneità. Una laureata in lingue straniere, ad esempio, non può insegnare alle elementari…». Ne mancano 100: in più di cento scuole elementari, quindi, non vengono svolte ‘ore´ di inglese, quelle ore che ormai fanno obbligatoriamente parte dell´offerta formativa. «L´inglese alle elementari è acquisizione recente – conclude la responsabile – e i corsi per formare i docenti, sempre promessi dai vari governi, ritardano. Ora la nuova finanziaria ne assicura altri, anche on line, ma nel frattempo noi chi mandiamo in classe? Sono più di cento le scuole ‘scoperte´, considerando che un insegnante di lingua potrebbe anche dividersi (questo almeno alle elementari) su più sezioni in più scuole». Chi chiamare allora ad indicare windows, blackboard, desks e books? «Stiamo verificando con la Direzione regionale la possibilità e l´opportunità di reclutare giovani laureati in lingue e letterature straniere, o studenti dell´ultimo anno di Scienze della formazione. Magari sfogliando le graduatorie di istituto scopriremo che qualche aspirante insegnante ha frequentato o sta frequentando un corso di lingua straniera, e allora ne verificheremo titoli e competenze». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 31 Data 22 giugno 2017 Pagina Padoa Schioppa: «La manovra è una svolta per la vita economica del Paese» Crescita, risanamento e solidarietà sociale: sono i tre ingredienti su cui si basa il complesso degli interventi e delle norme della Finanziaria per il 2007: lo ha sottolineato ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa illustrando la manovra per il 2007 alla Camera.Accompagnato dalla contestazione dell'opposizione che ha criticato con interventi a raffica la mancanza di un dibattito in aula dopo l’informativa del Governo sulla Finanziaria, il ministro ha sottolineato che la manovra da 33,4 miliardi di euro contenuta nei 217 articoli del provvedimento rappresenta una vera e propria svolta per la vita economica e sociale del Paese, una uscita dei conti dalla situazione di pericolo. La parola d’ordine è uscire dai problemi legati alla bassa crescita, ai conti pubblici in disordine, allecondizioni economiche sempre più diseguali fra i cittadini. La seduta si è aperta con un minuto di silenzio per ricordare il caporalmaggiore Vincenzo Cardella, morto a Roma dopo essere stato ferito in un attentato in Afghanistan. Quattro i punti salienti della manovra: in primo luogo, sottolinea il ministro, i conti della finanza pubblica sono stati portati fuori dalla zona di pericolo. In secondo luogo, c'é stata «una significativa redistribuzione del reddito» verso le fasce povere. Terzo, dice ancora il ministro dell'Economia «sono stati irrigati campi della spesa pubblica che la finanziaria del 2005 aveva disidratato fino al rischio della desertificazione», e il riferimento é tra l'altro a infrastrutture, turismo, ambiente. Ultimo, conclude Padoa Schioppa, «si sono fatti i primi passi per alcune riforme» nei settori, dice, della pubblica amministrazione, del federalismo fiscale, della sanità.«Siamo usciti dalla zona rossa - dice Padoa Schioppa - il paziente Italia ha lasciato la terapia intensiva anche se non si é del tutto ristabilito». Ribattendo le critiche mosse dall’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti il ministro Padoa-Schioppa ha sottolineato che «attraverso questa manovra il Paese compie uno sforzo straordinario. Il mio predecessore Tremonti ha parlato di "un esercizio politico difficilissimo" e ha affermato che "una manovra di 35-30 o anche 20 miliardi da realizzare anche in due anni é enormemente difficile, anche solo 20 miliardi sono cifra metafisica". Questa finanziaria ne ha raccolti, tenendo conto della manovra bis, più del doppio, confermando che la metafisica, come diceva Aristotele, é la più reale e concreta delle scienze». Illustrando la parte della Finanziaria relativa alle norme di contrasto all’elusione e all’evasione fiscale Padoa Schioppa attacca gli evasori e fa un riferimento ai comandamenti. «Gli evasori dice Padoa Schioppa - non solo hanno messo le mani nelle tasche dello Stato e in quelle degli altri cittadini che pagano le tasse, ma violano anche il settimo comandamento». Parlando del cuneo fiscale il ministro ha sottolineato che «c'è bisogno di un nuovo patto sociale sia per il settore pubblico sia per il settore privato» per garantire al Paese la «ripresa della crescita della produttività» senza la quale non avrebbe efficacia il taglio del cuneo fiscale. Secondo il ministro il settore delle imprese è «quello maggiormente beneficiario della manovra».Presentando la Finanziaria il ministro ha sottolineato che «quando si chiede al Paese uno sforzo per risanare i conti pubblici e por mano a riforme necessarie e faticose, il bisogno di equità sociale si fa più acuto. Rendersene conto e darne esempio spetta in primo luogo a chi sta bene e appartiene al ceto dirigente del Paese: questo intendeva dire sicuramente il presidente di Confindustria quando ha detto "Siamo pronti a fare la nostra parte"». Il ministro ha chiesto al Paese «buona volontà e riscatto». Il ministro ha sottolineato che «Chi ha parlato di rapina ha dimenticato che il Tfr appartiene al lavoratore ed è prestato all'impresa a tasso di favore. Il trasferimento all'Inps avviene per una quota del modesto nuovo flusso di fondi, non per l'ingente stock accumulato». Dopo aver replicato alle critiche dei giorni scorsi il ministro ha concluso che «il trattamento di fine rapporto appartiene a un'era in via di superamento».Sul fronte delle pensioni Padoa Schioppa ha sottolineato che qualsiasi modifica prevederà, per chi vuole uscire dal mondo lavorativo, «flessibilità e volontarietà nel rispetto delle compatibilità finanziarie con l'obiettivo di aumentare gradatamente l'età lavorativa». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 32 Data 22 giugno 2017 Pagina Maggioranza battuta al Senato sulla Giustizia. Mastella: «Mi sono rotto i c... con Di Pietro» «Mi sono rotto i c. .. con Di Pietro». Il ministro della Giustizia Clemente Mastella, hareagito così, furioso, alla bocciatura del Senato dell'articolo 5 del decreto che porta il suo nome e che interviene sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. E punta, senza giri di parole, il dito contro il ministro delleInfrastrutture: Il Guardasigilli è netto e fa riferimento anche ad una citazione latina per dire: «La mia pazienza è finita». «Qui si tratta di un dato politico. Già - spiega furibondo Mastella - è una fatica enorme tenere la maggioranza, e poi arrivano questi e agiscono senza dirti nulla. È un attacco a freddo. Non è accettabile né umanamente, né moralmente». Il ministro della Giustizia ce l'ha chiaramente con i senatori dell'Italia dei valori che con i loro tre voti hanno consentito la bocciatura dell'articolo 5. E promette vendetta a meno che Di Pietro non giustifichi questo comportamento direttamente con Prodi. «Si può discutere, ma non si può pensare che se non passa questa legge noi votiamo i suoi provvedimenti. O domani Di Pietro si giustifica con il presidente del Consiglio o noi non votiamo nemmeno uno dei suoi provvedimenti», avverte Mastella. La maggioranza è andata sotto per un voto per l'astensione dell'Idv (astensione al Senato vale voto contrario) nell'ultima votazione, un passaggio formale, prima della sospensione dei lavori d'aula, cheriguardava l'entrata in vigore del ddl Mastella. é stato così bocciato l'art. 5 che stabilisce l'entrata in vigore della legge il giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Il Guardasigilli insiste: «Chiedo un chiarimento politico e lo chiedo prima del voto di domani». Il ministro della Giustizia, sentito al telefono il premier Romano Prodi, ribadisce che la questione con Antonio Di Pietro non è personale, ma politica.«Alle parole di Mastella non replico, questa non è una guerra personale". Antonio Di Pietro, ministro per la Infrastrutture, preferisce non commentare lo scivolone della maggioranza in Senato. «Siamo all'interno di una coalizione dove siamo sopportati ma dobbiamo mantenere i nervi saldi anche se la situazione è sempre più calda. Per Mastella - dice Di Pietro - provo simpatia personale e umana, ma sulla giustizia sono in totale disaccordo politico. Questa legge non mi piace. Se avessimo rispettato le promesse agli elettori avremmo dovuto scrivere un solo articolo:"La legge Castelli è abrogata". Ma siccome siamo persone responsabili voteremo comunque la legge.Del voto non sapevo niente. Ma attenzione: non prendo le distanze dai miei senatori e da quel voto. Me ne assumo le responsabilità politiche e ne capisco i motivi». È crisi aperta. E Nello Formisano, capogruppo dell'Idv la spiega così: «Abbiamo deciso di astenerci perché, con un artificio regolamentare, ci è stato impedito di votare su tre emendamenti a mia firma predisposti sull'articolo 4. Né più né meno che una tecnica parlamentare per dimostrare il nostro disappunto».Insomma, una ripicca che costa all'Unione un bel problema.L'articolo 5 del Ddl Mastella, infatti riguarda l'entrata in vigore della legge sull'ordinamento giudiziario. Per Formisano è «una norma che non inficia tutto il provvedimento», ma l'ex ministro della Giustizia Castelli la vede diversamente. Secondo il leghista, che si ferma sornione a ironizzare, a seguito di questa votazione la probabile sospensione del provvedimento sulla separazione delle carriere dei magistrati non entrerà in vigore prima del 27 ottobre, giorno in cui i magistrati dovranno scegliere fra la via della magistratura giudicante e quella della magistratura inquirente. «Avremo almeno un bel dato statistico, il Csm dovrà lavorare su questo», anche se, con la sospensione che si prevede verrà votata dal Parlamento, sarà lavoro inutile. Ma la frittata, più che giuridico-normativa, per Mastella è politica. «La mia pazienza è finita - tuona il ministro - Qui si tratta di un dato politico. Già è una fatica enorme tenere la maggioranza, e poi arrivano questi (i senatori dell'Idv, ndr.) e agiscono senza dirti nulla. E' un attacco a freddo. Non è accettabile né umanamente, né moralmente". Per questo minaccia la "crisi di governo: ce ne andiamo tutti a casa». Surreale, su tutti, il commento di Gianfranco Fini che riassume il senso della giornata: «È una maggioranza coesa, compatta, graniticamente schierata a difesa di tutte le sue componenti che dimostra che l'opposizione dice sempre solo bugie. Lo capiranno continua sul filo dell'ironia - che è una battuta?». Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 33 Data 22 giugno 2017 Pagina La sentenza della Corte Ue: l'Irap è salva L'Irap è stata assolta dalla Corte di giustizia europea: i giudici comunitari, infatti, hanno giudicato legittima l'imposta. L'Irap, dunque, è compatibile con il diritto comunitario, in quanto presenta caratteristiche che la differenziano dall'Iva e non può quindi essere ritenuta un'imposta sulla cifra d'affari. La decisione, molto attesa, fa tirare un sospiro di sollievo all’Erario italiano, visto che si tratta di un gettito che sfiora i 36 miliardi l’anno. Un no della Corte avrebbe avuto una ricaduta devastante sui conti pubblici. Secondo i giudici comunitari l’Irap si distingue dall’Iva in quanto non è proporzionale al prezzo dei beni o dei servizi forniti e non è strutturata in modo da essere posta a carico del consumatore finale nel modo tipico dell’Iva. L’Irap, dunque, secondo la Corte di Lussemburgo, si distingue dall’Iva tanto da non poter essere considerata un’imposta sulla cifra d’affari ai sensi della sesta direttiva. Da questo deriva che un prelievo fiscale con le caratteristiche dell’Irap è compatibile con la sesta direttiva. Il verdetto, capovolge le conclusioni degli avvocati generali Francis Jacobs e Christine Stix-Hackl, che avevano affermato nelle loro conclusioni che l’Irap non era compatibile con la sesta direttiva Iva. L’avvocato generale Stix-Hackl, dopo la riapertura della fase orale del procedimento, nelle conclusioni del marzo scorso aveva confermato che l’Irap presentava i tratti essenziali dell’Iva, ma aveva indicato nuovi test per stabilire l’equivalenza e aveva riconosciuto la necessità di limitare nel tempo gli effetti della condanna, indicando la possibilità di considerare valide solo le azioni di rimborso iniziate prima del 17 marzo 2005. Nelle precedenti conclusioni dell’avvocato Jacobs che avevano riconosciuto l’equivalenza dell’Irap all’Iva, era stato riconosciuto l’enorme problema degli effetti retroattivi della bocciatura dell'imposta. La decisione è giunta dopo notevoli pressioni da parte dei Governi di molti Stati membri per evitare la condanna dell’imposta. Il gettito Irap complessivo è stato di 33.384 miliardi di euro nel 2004 e di 35.995 miliardi di euro nel 2005. È stata la Banca popolare di Cremona a impugnare dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cremona il provvedimento con il quale l’ufficio di Cremona dell’Agenzia delle entrate le aveva rifiutato il rimborso. Sul fronte Irap resta comunque aperta la questione dell’assoggettamento o meno al tributo dei professionisti e degli autonomi senza una vera e propria organizzazione: sulla questione la Cassazione ha sospeso il giudizio in attesa della sentenza dei giudici di Lussemburgo. Rassegna Stampa a cura dell’Ufficio Comunicazione www.uil.it/uilpiemonte 34