16 Febbraio 2009 RELAZIONE PRESSO LA SCUOLA DI FORMAZIONE SOCIALE DI PARMA I cristiani e la politica Rivolgo un cordiale saluto a tutti, complimentandomi con voi per la costanza con cui riflettete insieme sulle questioni sociali, culturali e religiose. Questa sera l’argomento su cui vogliamo riflettere riguarda la politica. O meglio, riguarda “i cattolici e la politica”. Sarà opportuno premettere che non sono un esperto di politica. La mia riflessione si sofferma soprattutto sui cattolici che si impegnano e operano nell’ambito politico. Per cui la mia proposta di riflessione è decisamente più pastorale, con attenzione alle tematiche sociali e culturali. In verità, quando si affronta un tema come questo, e lo si affronta in prospettiva pastorale e non politico, si corre un grande rischio, quello di disattendere i cosiddetti cattolici ‘comuni’, come se non esistessero. E invece esistono e sono di gran lunga i più numerosi. Ma di loro non si parla, mentre si parla di qualche gruppo particolare di cattolici, quelli – diciamo – più impegnati e più attivi in ambito socio-politico. È curioso che i molti cattolici senza particolari aggettivi siano quasi ignorati: sono invece considerati quelli cui Max Weber attribuirebbe la categoria di “virtuosi”, per la loro consapevolezza di avere una vera cultura sociale cattolica. Purtroppo anch’io seguirò in parte questa visione decisamente deformata della realtà, privilegiando un gruppo decisamente minoritario con il rischio di ritenere i cosiddetti cattolici “modali” – ovvero la stragrande maggioranza dei cattolici – politicamente poco rilevanti. Sarebbe un grave errore pastorale (credo anche politico, ma qui riaffermo la mia incompetenza) questo modo di vedere e di ragionare, ma è – purtroppo – il modo tradizionale con cui si affronta questo tema. Spero che un giorno ci sia data la possibilità di considerare pastoralmente (e anche politicamente) rilevante anche il cristiano ‘comune’. Suddivido il mio intervento in due parti, assai diverse. Vorrei accennare nella prima parte ad alcuni criteri molto sintetici della presenza dei cattolici impegnati a diversi livelli nell’azione politica. Più che su specifici contenuti, mi soffermo soprattutto su questi criteri, cercando di vedere come si incontrano azione politica e principi generali. Poiché l’azione politica poggia su un progetto di società e su un’idea di uomo, il riferimento ai principi è indispensabile sapendo però che occorre calarli nel concreto. Per cui espongo sinteticamente questi criteri che sono a tutti noti per poi chiedere come applicarli e viverli da parte di chi è impegnato nella vita sociale e politica. Questa è la prima parte che si richiama dunque alle varie affermazioni che troviamo nei documenti della Chiesa, dal Concilio Vaticano II a quelli della Chiesa italiana, tenendo presente anche il recente invito di Benedetto XVI che sprona i cattolici a tornare ad “essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica” che – ha sottolineato – “necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile” (Benedetto XVI, Omelia tenuta a Cagliari, davanti al Santuario di Nostra Signora di Bonaria nel settembre 2008). Nella seconda parte vorrei accennare ad un tema particolare, legato alla situazione recente del rapporto tra fede/Chiesa e vita democratica in Italia e nel contesto europeo. Mi chiedo quale deve essere la presenza e l’azione dei cattolici in un contesto di ‘laicità’ piuttosto aggressiva. 1. Criteri e modalità per la partecipazione alla vita politica da parte dei cattolici 1 1.1. Traggo il primo principio dalla Gaudium et Spes (n. 75): “È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti”. Dunque il fare le leggi (i fondamenti giuridici), il governo della cosa pubblica, l’amministrazione in senso lato, l’elezione dei governanti sono ‘diritti’ da garantire a tutti cittadini. Un principio generale valido per tutti i cittadini e dunque valido anche per quei cittadini che sono credenti in Gesù Cristo e che sono membri della Chiesa cattolica. 1.2. La Chiesa in Italia è una realtà viva, è una realtà di popolo, è attenta particolarmente all’educazione e a coloro che più hanno bisogno di solidarietà. La Chiesa cattolica in Italia non può considerarsi – o essere considerata – estranea a ciò che avviene nel nostro Paese e a quanto si progetta e si decide politicamente, pur nel rispetto delle diverse competenze delle persone e delle istituzioni. Questa è da un lato una constatazione e d’altro lato è anche un principio: la Chiesa esiste, occorre tenerne conto; la Chiesa è interessata al bene comune e ha il diritto dovere di concorrere alla sua determinazione. 1.3. La Chiesa desidera una sana collaborazione con la comunità politica: è il terzo principio. È un principio che è pure un preciso dovere: la Chiesa intende garantire una sana collaborazione, e invita ad avere uno spirito di sana collaborazione con la comunità politica, con le diverse istituzioni civili. 1.4. La Chiesa invita all’impegno sociale e politico tutti i cattolici: con serietà e competenza diano il loro contributo alla vita sociale e politica. È il quarto principio, su cui vale la pena di soffermarsi. Perché questo invito? Per tante ragioni. Accenno ad una motivazione, ricordando prima che vi sono stati periodi in cui l’interesse per le questioni politiche era minore: vi sono stati – e vi sono – gruppi di cristiani, soprattutto protestanti, poco interessati alla politica; vi è stato in campo cattolico il Non expedit – non conviene –, una disposizione della Santa Sede con la quale, per la prima volta nel 1871, si sconsigliò ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche nel Paese e, per estensione, di partecipare alla vita politica italiana. La ragione dell’invito alla partecipazione e all’impegno risiede soprattutto nel fatto che sono in gioco scelte che toccano in profondità la vita della gente, le strutture della libertà e della partecipazione, i valori umani e cristiani fondamentali ai quali ispirare la convivenza civile e le prospettive di un popolo. L’assenteismo, il disinteresse, il qualunquismo e le deleghe non sono segno di consapevolezza e di maturità: possono esprimere, in certe circostanze, sentimenti di reazione, ma oggi c’è bisogno di un forte senso di responsabilità di tutti, e particolarmente dei cristiani. Tutti gli uomini di buona volontà – ma soprattutto i cristiani in quanto portatori di una specifica responsabilità –, devono agire attivamente nella società politica. 1.5 Mi soffermo un po’ di più sul quinto principio che riguarda i criteri della formazione delle coscienze e delle scelte politiche. Ci deve essere un impegno permanente della Chiesa volto alla formazione di coscienze cristiane responsabili. Questa formazione deve illuminare la scelta del progetto di società. Per questo le comunità cristiane devono incontrarsi, analizzare le situazioni, chiarirle, individuare la scelta o le scelte. Quindi chi sta dentro la comunità cristiana, deve essere aiutato a scegliere. Perché non tutte le scelte sono compatibili con la fede cristiana, né sono coerenti con i valori indispensabili per un 2 giusto ordine sociale. I cattolici nelle loro scelte debbono ispirarsi a una coscienza illuminata dalla fede, ricercando sempre in una visione cristiana della vita sociale, la verità e il bene comune. Al di là di interessi particolari o di pura strategia politica, essi devono saper coordinare energie, risorse da mettere a servizio della società e delle strutture pubbliche, con qualificata competenza e in coerenza con la fede e con la morale cristiana. 2.1. Credo che possa essere utile suggerire qualche spunto di riflessione sul come partecipare alla vita politica alla luce dei principi indicati. Si potrebbe parlare della necessità di un metodo veramente ecclesiale, in parte già in atto e in parte da inventare, in cui il cattolico impegnato in politica si confronta con il cattolico ‘comune’, in mutuo ascolto. Spetta alle comunità cristiane illuminare e scegliere, in riferimento al Vangelo e alla Dottrina sociale della Chiesa come si è venuta storicamente precisando e determinando. Concretamente, si partecipa col proprio voto libero, che è un diritto/dovere, voto che deve aver di mira la promozione del bene comune, dato che la comunità politica deve ricercare e attuare il bene comune. Si partecipa alla vita politica proprio per trovare la via concreta alla promozione del bene comune, tenendo ben presente sia la persona umana nella sua interezza sia i principi ispiratori della Dottrina sociale. La seconda modalità di partecipazione è la militanza nei partiti. I termini sono un po’ desueti: la ‘militanza’ appare oggi, come termine e forse come atteggiamento, alquanto antiquata; per noi in Italia, con il venir meno dei partiti classici, anche l’impegno nelle coalizioni di partiti – o di orientamenti – sembra problematico. In ogni caso i cattolici nei partiti o nelle coalizioni devono promuovere il bene comune, la res pubblica e non il proprio interesse personale o del partito o coalizione. La terza modalità può essere indicata così: “Chi è e può diventare idoneo per l’esercizio dell’arte politica, così difficile, ma insieme così nobile, si prepari a esercitarla con disinteresse, senza vantaggio materiale, con fortezza, saggezza, equità, integrità” (Gaudium et Spes, n. 75). Dunque la partecipazione politica si rivela come una maniera esigente (ma non la sola, sia chiaro) di vivere l’impegno cristiano a servizio degli altri. Sempre al numero 75 leggiamo: “La Chiesa stima degna di lode e considerazione l'opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità”. Per questi cattolici attivamente impegnati – per i quali si può parlare di una propria speciale vocazione –, si possono suggerire alcuni doveri: - devono essere di esempio nel fare sintesi in se stessi tra le esigenze dell'autorità e quelle della libertà, le esigenze dell’unità e quelle della diversità. Se occorre tenere presente la complessità, non si può dimenticare l’impegno per la giustizia e l’uguaglianza, come ci viene ricordato dal n. 37 della Octogesima adveniens: “Meglio si comprendono oggi i lati deboli delle ideologie esaminando i sistemi concreti nei quali esse cercano di realizzarsi. Socialismo burocratico, capitalismo tecnocratico, democrazia autoritaria manifestano la difficoltà di risolvere il grande problema umano della convivenza nella giustizia e nella uguaglianza”. - devono essere persone capaci di rispettare l’impegno, la militanza e la pluralità degli altri cattolici (e non solo). Viene sottolineato questo dovere riconoscendo la legittimità delle diverse opzioni temporali e rispettando chi difende, anche in gruppo, il proprio punto di vista. - devono riconoscere la distinzione tra la loro azione come cittadini guidati dalla coscienza cristiana e la loro azione compiuta in nome della Chiesa. Non è semplice riconoscere e far valere questa distinzione, ma è importante tenerla presente per non confondere la comunità ecclesiale e la 3 comunità politica. Sempre nella Gaudium et Spes (n. 76) troviamo questo invito: “ci deve essere una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa (che sono indipendenti e autonome, che però devono convergere nel senso che servono le stesse persone, dunque una sana laicità e una sana collaborazione) ed è di grande importanza che si faccia distinzione tra le azioni che i fedeli individualmente o in gruppo compiono come cittadini guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa.”. - devono ricordare che la Chiesa non è legata a nessun sistema politico/partitico. Il compito proprio della Chiesa, infatti, è quello di “essere il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana” (Gaudium et Spes, n. 76). Per cui i cattolici che si impegnano nella comunità politica devono far valere i valori spirituali e i diritti fondamentali della persona umana secondo l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa. Possiamo concludere questa prima parte con l’Octogesima Adveniens che invita a non arrendersi di fronte alla complessità e agli ostacoli: “bisogna reagire di fronte all’invadenza della tecnocrazia, e inventare forme moderne di democrazia, che diano all’uomo possibilità di esprimersi e di partecipare veramente, finché i gruppi si trasformino a poco a poco in una comunità di partecipazione e di vita, dove si viva veramente la solidarietà attiva”. 2) I cattolici e l’attuale democrazia Questa seconda parte vuole cercare di illuminare alcuni aspetti della situazione odierna relativi al rapporto tra religione/Chiesa e contesto politico attuale (italiano, europeo). È necessario che i cattolici impegnati in ambito socio-politico prestino la dovuta attenzione a questa situazione decisamente problematica. 2.1. Parto da due affermazioni che ispirano questa riflessione che sottopongo alla vostra attenzione. La prima è del noto antropologo Clifford Geertz: “Il mondo non va avanti solo grazie alla fede religiosa, ma senza di essa gli è difficile andare avanti” (Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, Il Mulino, Bologna 1999). La seconda affermazione è di Giovanni Paolo II: “Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus annus, 46). 2.2. Forse alcuni ricorderanno un famoso libro in cui si affermava che la religione è ormai diventata “una faccenda privata” (T. Luckmann, La religione invisibile, Il Mulino, Bologna 1963). Secondo lo studioso tedesco, “la religione di tipo ecclesiastico è divenuta un fenomeno marginale nella società moderna”, almeno a livello europeo. In verità, già a partire dagli anni ’80, la situazione appariva diversa rispetto all’analisi di Luckmann: la religione riprendeva una certa soggettività pubblica, o forse, la palesava in modalità tali da farsi notare anche da chi non voleva riconoscerla. Si pensi, ad esempio, al sorgere ed al diffondersi dei cosiddetti nuovi movimenti religiosi che, nella loro ambivalenza, fin dagli inizi degli anni ’80 ponevano in discussione i confini fra politica e religione e problematizzavano la netta separazione fra il pubblico e il privato. Inoltre la religione ha guidato molti movimenti di società civile verso la conquista della democrazia: si pensi ai casi della Polonia, dei Paesi dell’ex blocco sovietico e di vari paesi del Sud-America. La religione è stata vista non come un fatto privato ed ostacolo alla libertà, ma come motivo ispiratore delle libertà civili e di una sfera pubblica democratica. 4 Ma decisamente diversa è poi apparsa la situazione con la presenza sempre più marcata dell’Islam in Europa occidentale, ormai sede stabile di una vasta comunità islamica in rapido aumento. Per la visione islamica la religione è un fatto pubblico ed è soprattutto un fatto che raggruppa tutti i credenti al di là delle diversità interne e delle stesse appartenenze nazionali. Insomma, nell’attuale situazione storico-politica, il rapporto fra modernità/democrazia e religione è diventato assai più articolato. 2.3. In un articolo apparso recentemente sulla rivista Vita e Pensiero (n. 5, 2008), intitolato Secolarizzazione, la falsa profezia, Peter Berger, un noto sociologo della religione, nato in Austria, ma residente negli Stati Uniti d’America, dove dirige l’istituto di sociologia dell’Università di Boston, afferma: “È passato oltre un secolo da che Nietzsche ha annunciato la morte di Dio, profezia ampiamente accettata in collegamento con un progressivo scetticismo religioso da parte sia di chi guarda alla religione con favore sia di chi l’avversa. Nel corso del XX secolo, tuttavia, una tale verità è parsa sempre più contestabile. E in questo momento storico, all’inizio del XXI secolo, lo è più che mai. La religione non è in declino. Anzi, in gran parte del mondo si sta verificando un incontestabile risveglio della fede religiosa” (p. 15). L’autore prosegue affermando che, fin dall’Illuminismo, intellettuali di ogni orientamento hanno ritenuto il declino della religione un’inevitabile conseguenza della modernità”. Conclude dicendo: “si sbagliavano, […] credo che l’errore trovi la sua spiegazione in una confusione di categorie: la modernità non è necessariamente secolarizzante; è necessariamente pluralizzante. La modernità è caratterizzata da un crescente pluralismo all’interno della società, dove convivono diversi credi, valori, e visioni del mondo” (pp. 15-16). Ritengo che Berger sia molto generoso nell’affermare che l’errore sia dovuto solo alla “confusione di categorie”: troppo poco per un errore così palese, che ha riguardato gli “intellettuali di ogni orientamento”. Berger evidenzia due casi che costituiscono delle vistose eccezioni al fenomeno della persistenza e/o della crescita della religione nella modernità: da una parte vi è l’eurosecolarismo che caratterizza l’Europa occidentale e centrale; dall’altra vi è l’élite culturale internazionale, che coincide essenzialmente con una forma globalizzata dell’intellighenzia illuminata d’Europa: “si tratta ovunque di una minoranza della popolazione, ma di una minoranza molto influente” (p. 17). Dunque noi siamo in un’Europa segnata, come afferma Berger, dall’eurosecolarismo: in un simile contesto culturale l’intellighenzia europea ha stabilito l’inesorabile declino della religione, anzi ha decretato che la religione è finita. 2.4. La laicità che proibisce Cito solo – tra i tanti – il caso del ‘velo islamico’ (lo hijab) in Francia. Nello spazio pubblico non ci devono essere espressioni religiose. I segni religiosi disturbano: nel Trentino alcuni politici volevano togliere i crocifissi ben presenti lungo le vie di montagna e sulla cima di alcune montagne. La laicità – istituita, come in Francia, o culturale, come in Italia – considera la religione come faccenda privata. Il suo eventuale risvolto sulla sfera pubblica è ritenuto pericoloso per la democrazia. La sfera pubblica deve essere neutrale. 2.5. La laicità che esige il ‘pianissimo’ del cattolicesimo (della religione) Anche il secondo caso riguarda la laicità francese. Accenno solo, senza soffermarmi, ad alcuni documenti che i vescovi francesi hanno redatto per “esaminare le condizioni relativamente nuove a cui la fede e la Chiesa sono oggi confrontate in Francia”. Si tratta innanzi tutto del documento Proposer la foi dans la société actuelle, detto ‘rapporto Dagens’ dal nome del vescovo Claude Dagens, coordinatore e redattore del testo adottato dall’assemblea plenaria dei vescovi; si tratta poi di una Lettre des évêques aux catholiques de France, anch’essa redatta dallo stesso vescovo e diventata la ‘carta’ del cattolicesimo francese. 5 I contenuti della Lettre esplicitano questo cambiamento: “Noi accettiamo senza esitare di situarci, come cattolici, nel contesto culturale e istituzionale di oggi, segnato in particolare dall’emergenza dell’individualismo e dal principio di laicità”. La Lettre conclude: “Noi vogliamo essere riconosciuti non solo come degli eredi, solidali di una storia nazionale e religiosa, ma anche come dei cittadini, che prendono parte alla vita attuale della società francese, che ne rispettano la laicità costitutiva e che desiderano manifestarvi la vitalità della loro fede”. I vescovi francesi chiedono che i cattolici siano riconosciuti come cittadini. Potremmo aggiungere: lo chiedono con molta gentilezza e con molta prudenza, dicendo ‘per favore’, ‘s’il vous plait’, concedeteci di essere considerati cittadini. L’accettazione della ‘laicità istituita’ o ‘costitutiva’ comporta una ridiscussione della missione stessa della Chiesa, più esattamente dello stile della missione che deve caratterizzarsi come semplice e sommessa “proposta della fede”. La figura appropriata di questo cattolicesimo è quella della “fragilità”, come indica bene il titolo del libro di mons. A. Rouet, vescovo di Poitiers, La chance d’ un christianisme fragile. La “proposta della fede” all’insegna di un cattolicesimo ‘fragile’ sembra prefigurare una forma di cattolicesimo non lontana, ci sembra, dalla indicazione già formulata a suo tempo da Max Weber circa il futuro della religione in Europa: il “disincantamento del mondo” (Entzauberung der Welt), così egli qualificava il processo di secolarizzazione/razionalizzazione, esige che la musica religiosa sia eseguita ed ascoltata solo nel ‘pianissimo’ (l’espressione è di Weber stesso). (Per approfondimenti, rinvio a G. Ambrosio, Forme di cattolicesimo nella postmodernità. Limiti e chances di un ‘cattolicesimo fragile’, in «Rivista del Clero Italiano», 2003, 10, pp. 652-678). 2.6. Ho citato alcuni casi che possono apparire di non grande rilievo. Tuttavia pongono una serie di questioni che riguardano non solo la Francia ma l’Europa. In Francia le tendenze risultano più chiare anche perché più drastiche: ma le questioni valgono per tutta l’Europa e per l’Italia. Non deve esistere – questa è l’esigenza dell’eurosecolarismo europeo – alcuna “verità” che guida ed orienta l’azione politica. L’affermazione di Giovanni Paolo II è allora di notevole importanza per capire ciò che è in gioco: “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Il relativismo etico afferma che è bene ciò che a ciascuno sembra bene. Chi non è relativista – chi è convinto che vi sia, e si debba ricercare, una verità sul bene – non può entrare nel dibattito pubblico e quindi partecipare alla vita sociale e politica: pretenderebbe di imporre il suo punto di vista, sarebbe incapace di riconoscere il punto di vista dell’altro, contrario al suo. Sarebbe un intollerante, quindi è un soggetto pericoloso per la democrazia. In conclusione, forse un po’ forzata, si può dire: solo se si è relativisti, si è democratici; se si è non relativisti, si è non democratici o antidemocratici, insomma intolleranti. La fede cristiana – ogni fede, in verità, ma in Europa sono prese di mira soprattutto la fede cristiana e la Chiesa cattolica – è una vera e propria insidia alla democrazia. Per cui il cristiano deve dimenticare di essere tale quando entra nel dibattito politico, ed allora egli può essere riconosciuto come interlocutore vero. Se il cristiano non intende mettere fra parentesi la sua fede, allora non può essere riconosciuto pubblicamente: gli è consesso solo ‘il pianissimo’ della sua coscienza, il privato della sua casa o della sua sacrestia. 2.7. Si tratta di una democrazia intollerante, contraria ai fondamenti stessi della vita democratica, in quanto esclude – o tende ad escludere, in modo subdolo o in modo sfacciato – chi afferma che esistono valori in grado di offrire un fondamento razionale e di porre un limite anche giuridico ad ogni decisione politica, anche alle decisioni della maggioranza. Non ogni scelta che riesce ad avere il consenso dei più è, per ciò stesso, vincolante. Tanto più se questo consenso della maggioranza è ottenuto grazie a mezzi sempre più sofisticati che manipolano l’opinione pubblica. Questa concezione della democrazia comporta conseguenze negative per la libertà, per i diritti dell’uomo, 6 configurando la stessa vita politica come scontro di interessi, gioco di astuzia e di forza (il leone e la volpe di Machiavelli): i più deboli inevitabilmente devono soccombere. 2.8. Un cattolico che si impegna nella comunità politica oggi non può ignorare questa battaglia in cui si gioca il futuro della nostra società europea e italiana. Il cattolico non entra nella vita pubblica per proporre ciò che è specificamente proprio della sua fede, come la professione della fede o gli atti di culto. Ma entra nella vita politica per promuovere e difendere quelle verità sul bene della persona che sono il risultato della ricerca dell’uomo e il frutto dell’umanesimo europeo, come il diritto alla vita di ogni persona umana innocente dal concepimento alla morte; il valore della famiglia fondata sul matrimonio fra persone di sesso diverso, il diritto alla libertà di educazione, la tutela sociale dei minori, lo sviluppo di una economia solidale; il valore della pace. 2.9. Tra l’altro sarebbe utile riflettere sulle conseguenze della “neutralità” (presunta: di fatto è la ‘nuova religione’ della ‘laicità’, agnostica e fondamentalmente nichilista) della democrazia così concepita: la sfera pubblica europea si scopre fredda e nuda, senza valori, priva di quella fiducia che pure è alla base della vita democratica. L’etica – con la religione: ricordo la frase citata di C. Geertz – è quanto mai necessaria soprattutto oggi per il prevalere della “politica dei diritti” sulla “politica dei beni”. La nostra modernità europea si limita ad una politica formale dei diritti riferiti all’individuo autonomo, senza legami, senza radici, senza appartenenze, senza tradizioni. Occorre sottolineare che il neutralismo etico, considerando solo astrattamente l’individuo autonomo, non tiene conto dei bisogni profondi di relazioni della persona umana. Se la modernità europea ha esaltato ed esasperato la differenziazione fra individuo e società, nella situazione odierna è manifesto il bisogno di una maggior integrazione fra l'una e l’altra. Conclusione Credo che i cattolici che si impegnano in politica non possano ignorare ciò che è in gioco. Soprattutto devono riconoscere che, proprio per venire incontro ai problemi posti dal pluralismo culturale, al bisogno di relazioni, all’esigenza di una democrazia non puramente formale, è necessario pensare ad – e lavorare per – una sfera pubblica eticamente qualificata. È all’interno di questa prospettiva che diventa possibile una relazione diversa fra democrazia e religione/etica. La sfera pubblica eticamente qualificata ha al suo centro la relazionalità civile, l’incontro cioè fra soggetti che entrano in scambi sociali non già privati delle proprie appartenenze religiose ma qualificati da tali appartenenze. Si tratta dunque di riconoscere la persona umana nella sua concretezza storica e quindi si tratta di promuovere l’incontro fra le persone con le loro appartenenze. Non nel senso di un intervento dall’alto da parte di un sistema politico invadente, pervasivo, controllore di tutto e di tutti: questo è il sistema ottocentesco che alcuni ripropongono oggi come novità. Ma nel senso di favorire e valorizzare l’interazione di tali appartenenze e dunque lo scambio fra posizioni religiose e culturali diverse. Se il sistema democratico non è meramente procedurale e la religione non è un affare privato, la loro relazione avviene tramite la cooperazione nella sfera pubblica. Per cui i pur necessari interscambi fra Stato/Regione e religione risultano al limite secondari rispetto al primato degli interscambi diretti fra i soggetti sociali e fra le stesse religioni, con i loro approcci alla realtà, con i loro valori, con le loro verità sull’essere umano. Concludo ritornando ancora a Luckmann, da cui sono partito per la riflessione di questa seconda parte. Nel Postscritto del suo saggio che ho citato, Luckmann, passando dal piano descrittivo a quello valutativo, afferma che la nuova forma sociale di religione, quella invisibile e privata, 7 “attribuendo il carattere sacro alla crescente soggettività dell’esistenza umana, […] favorisce non solo la secolarizzazione, ma anche ciò che abbiamo chiamato la disumanizzazione della struttura sociale (p. 163). Un esito triste da Luckmann ritenuto non solo come rischio incombente, ma come un processo in atto, per di più difficilmente reversibile. Credo che oggi i cattolici – insieme a ogni persona che ama l’Europa – possano e debbano fare molto per cercare di evitare questo esito triste: la disumanizzazione della struttura sociale europea significherebbe la fine dell’Europa. (cf G. Ambrosio, Democrazie occidentali e tradizioni religiose, in «La Società», XVI, 2006,1, pp. 58-67 e Una sfera pubblica eticamente qualificata, in AA.VV., Cattolicesimo italiano e futuro del paese, EDB, Bologna 2006, pp. 35-45). 8