MACRO ECONOMIA 1 1. L’EQUILIBRIO ECONOMICO GENERALE Con lo studio dell’equilibrio economico generale, che costituisce il punto di arrivo della teoria neoclassica, si analizza il funzionamento dei mercati concorrenziali rimuovendo la clausola del ceteris paribus. L’ipotesi di base è che tutti i mercati sono perfettamente concorrenziali. L’obiettivo è quello di studiare l’interdipendenza tra i singoli mercati, poiché si ricerca il meccanismo attraverso il quale il comportamento di tanti soggetti che prendono le loro decisioni senza conoscere le decisione degli altri conduce a un equilibrio economico generale, cioè a un equilibrio in tutti i mercati. Questo studio avviene in 2 fasi: a) studio del processo che conduce all’equilibrio generale (EG); b) studio dell’esistenza di un equilibrio generale EG . Gli economisti neoclassici assimilano un mercato concorrenziale ad un mercato d’asta, dove un banditore grida un prezzo a caso. Se tale prezzo iniziale è diverso da quello di equilibrio, l’eccesso di offerta o di domanda spingerà il prezzo verso quello di equilibrio. Questo processo è detto brancolamento (tatộnnement). La rappresentazione dl modello di equilibrio economico presuppone l’esistenza di 4 sub – mercati: 1. 2. 3. 4. MERCATO DEI BENI; MERCATO DEI SERVIZI, DEI FATTORI PRODUTTIVI; MERCATO DEI BENI CAPITALI; MERCATO DELLA MONETA In ciascuno di questi mercati, il comportamento dei soggetti economici è rappresentano da un serie di equazioni. Condizione necessaria e sufficiente perché ci sia equilibrio è che il numero delle incognite sia uguale al numero delle equazioni. Per dimostrare ciò si considera che, inizialmente, nel sistema economico esistono n beni di consumo, m capitali, s servizi lavorativi. Per quanto concerne il numero di equazioni, bisogna considerare che in ogni mercato esistono due funzioni, quella dell’offerta e quella della domanda. Le equazioni sono pertanto: 2n+2m+2s In ogni mercato le incognite sono il prezzo p e la quantità q, e quindi il numero delle incognite è: 2n+2m+2s Nel sistema che stiamo descrivendo non siamo però in grado di attribuire valori numerici ai prezzi, perché non c’è un numerario. Possiamo però prendere una merce e considerarla arbitrariamente come moneta. Una delle incognite, in tal modo, diviene arbitrariamente nota, in quanto funge da numerario. Le incognite sono pertanto: 2n+2m+2s–1 Bene di consumo chiamato moneta In tal modo però le equazioni sono più numerose delle incognite. Per risolvere il problema possiamo però avvalerci della legge di Walras che dice: “se tutti i mercati meno uno sono in equilibrio, anche quest’ultimo è in equilibrio”. Nel nostro caso, poiché tutti i mercati, prima dell’introduzione del numerario, sono in equilibrio simultaneo, lo studio dell’equilibrio del mercato relativo al numerario è irrilevante. E’ del resto inutile preoccuparsi di come si è determinato quell’unità di misura, dato che si è determinata per convenzione. L’implicazione dell’equilibrio economico generale è che mercati perfettamente concorrenziali generano spontaneamente una allocazione efficiente delle risorse. La microeconomia ha mostrato che le relazioni tra gli agenti economici che operano all’interno e all’esterno di una nazione sono molto complesse. 2 Nella macroeconomia una buona rappresentazione del funzionamento di queste relazioni fa capo a 4 soggetti collettivi: 1. 2. 3. 4. FAMIGLIE; IMPRESE; SETTORE PUBBLICO; SETTORE ESTERO La bilancia commerciale è uno strumento che si occupa di misurare gli scambi di merci effettuati tra un paese e il resto del mondo. Essa rappresenta uno dei diversi aggregati di contabilità nazionale, disciplina che si occupa dell’attività economica di una nazione e ne effettua una misurazione quantitativa. Questo compito viene svolto con il ricorso all’analisi dei FLUSSI ECONOMICI e FINANZIARI che si verificano tra i soggetti collettivi, attraverso il calcolo delle consistenze finali dei beni reali e finanziari. In economia, le grandezze di flusso hanno un significato dinamico. Tali grandezze debbono essere sempre misurate in un certo intervallo di tempo. GRANDEZZE STOCK si riferiscono a uno specifico istante di tempo t. Molti dei flussi economici poggiano sul concetto di reddito e di ricchezza tanto che si potrebbe concludere che la contabilità nazionale rappresenta la statistica del reddito e della ricchezza nominale. Il “tenore di vita” che cerca di qualificare il progresso di una nazione attraverso indicatori più o meno riconosciuti come significativi, era ed è ancora oggi abbastanza frequente. Il tenore di vita degli abitanti di un paese veniva prima calcolato sulla base della: - DURATA della VITA; TASSO di MORTALITÁ INFANTILE; CONSUMO PRO – CAPITE di alcuni generi alimentari; POSSESSO di PARTICOLARI BENI. Alcuni di questi indicatori conservano una loro utilità. Tuttavia, dal secondo dopoguerra, ha cominciato a svilupparsi il SISTEMA MODERNO DELLA CONTABILITÁ NAZIONALE, con lo scopo di misurare il benessere di una società utilizzando diversi aggregati economici. La scienza economica ha potuto così acquisire un indice molto importante per misurare la crescita della ricchezza, cioè il PRODOTTO NAZIONALE. Il PRODOTTO NAZIONALE LORDO (PNL) è l’indicatore economico che rappresenta la somma dei beni e dei servizi finali prodotti in un dato periodo di tempo e serve a misurare il loro valore economico. Tale valore viene calcolato come la sommatoria delle quantità dei beni e servizi prodotti moltiplicati per i rispettivi prezzi di mercato: Q L’estensione temporale di tale operazione viene effettuata su base annuale in quasi tutti i paesi sviluppati. Il PNL è una misura aggregata della produzione effettuata da cittadini di un certo paese sia all’interno del paese che all’esterno. Deve quindi venire escluso da tale calcolo il valore della produzione effettuata dai cittadini stranieri residenti nel paese che si sta analizzando. Se si vuole misurare il valore della produzione dei beni e dei servizi finali realizzato in un dato periodo di tempo all’interno di un particolare paese, dovremmo ricorrere al PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL). Esso esclude il valore della produzione dei cittadini di quel paese che viene effettuata all’estero. Non deve sfuggire che nel calcolo del PNL e del PIL vengono considerati esclusivamente i beni e i servizi finali. Il classico esempio del pane può aiutare a capire meglio le modalità del calcolo del PIL. 3 Ipotizziamo un piccolo sistema economico costituito da imprese che producono solo pane e da imprese che producono solo ingredienti necessari per produrre il pane (es. farina e lievito). La quantità prodotta dei singoli bei sono: - 1.000.000 filoni di pane a 2€ al filone; 500.000 kg di farina a 1€ al kg; 50.000 kg di lievito a 1€ al kg determiniamo il PIL se farina e lievito rappresentano i soli beni intermedi, mentre il pane è l’unico bene finale prodotto all’interno del sistema economico per il calcolo PIL (valore della somma dei beni e servizi finali prodotti nell’unità di tempo) è sufficiente moltiplicare il PREZZO e la QUANTITÁ dell’unico bene finale prodotto: (pane) 1.000.000 x 2€ = 2.000.000 Per il calcolo del valore aggiunto nella produzione del pane, data dalla differenza tra PIL – valore intermedio dei beni utilizzati (farina e lievito) Possiamo scrivere: Farina 500.000 x 1€ = 500.000 Lievito 50.000 x 1€ = 50.000 Valore complessivo della produzione: 550.000€ Di conseguenza risulta: valore aggiunto = 2.000.000€ - 550.000€ = 1.450.000€ si può concludere che il PIL misura la somma del valore aggiunto alla ricchezza di un dato paese in un dato periodo di tempo. Il PIL è utilizzato per misurare il grado di sviluppo o di benessere delle nazioni, ma non tiene conto dei limiti effettivi che esso incontra nella rappresentazione della realtà. Le principali insufficienze da ascrivere al PIL si possono riassumere in questo modo: 1. esso non riesce a tener conto delle transazioni che non passano attraverso il mercato. Esistono attività lavorative che effettivamente non vengono incluse nella contabilità nazionale: basti pensare al lavoro delle casalinghe. Certi servizi e certi beni, se svolti o prodotti in un modo “esterno al mercato”, non vengono inclusi nella ricchezza di un paese; 2. il PIL, di conseguenza, perde parte della sua autorevolezza come principale indicatore economico quando misura ECONOMIE SCARSAMENTE MONETIZZATE, come quelle dei paese in via di sviluppo dove le transazioni non monetarie caratterizzano ancora molte delle attività economiche dell’agricoltura e dove gli scambi si effettuano ancora con il baratto; 3. anche le economie avanzate risentono fortemente della mancata contabilità di molte attività di molte attività produttive. Si pensi al LAVORO NERO che pur essendo sottoposto alla dinamica della domanda e dell’offerta non è certo facile individuare e tanto meno da inserire nel PIL; 4. se è difficile contabilizzare il sommerso lo è di più pesare i costi monetari di attività economiche improduttive o addirittura distruttive. 4 Il PIL dovrebbe misurare anche i valori sottratti alla ricchezza nazionale attraverso i danni derivanti dall’impoverimento del patrimonio naturale e ambientale. Lo stato di benessere degli individui è oggi ancora fortemente determinato dalla componente “disponibilità di beni economici”. Tale componente pare sul punto di perdere parte della sua importanza e lasciare sempre più spazio a elementi della vita umana qualificabili in senso meno quantitativo e più qualitativo. La necessità di non preoccuparsi solo della crescita quantitativa del sistema economico ma di ricercare soprattutto modalità che tengono conto della cosiddetta qualità della vita, hanno dato inizio al dibattito sullo sviluppo sostenibile. Possiamo affermare che l’utilizzo del PIL, quale indicatore del benessere nelle società progredite, può risultare assai insoddisfacente. Se, infatti, nel suo calcolo si tengono in conto le diseconomie esterne, si viene a determinare una contraddizione logica tra: CRESCITA ECONOMICA AUMENTO REALE del BENESSERE STESSO La scelta di un indice puramente quantitativo quale indicatore del “successo economico” di una società non parte quindi esente da giudizi di valore. È questa la ragione per cui oltre allo strumento di misura è lo sviluppo economico stesso che, di fronte a problematiche di natura qualitativa, necessita di scelte di valore. In ogni caso, anche se un giudizio di valore è implicito in ogni sistema di contabilità, il fine rimane quello di OPERARE UNA TRASPOSIZIONE QUANTITATIVA DI NOZIONI QUALITATIVE DI BENESSERE Il PIL misura di quanto cresce il prodotto interno di un paese. La grandezza reale è ottenuta sottraendo dalla grandezza nominale – tasso di inflazione. Il semplice aumento dei prezzi non genera una crescita effettiva reale della produzione, ma solo inflazione. È quindi necessario fare riferimenti al PIL reale perché non si incorra nell’errore di sovrastare la crescita. PIL REALE o a prezzi costanti PIL NOMINALE o a prezzi correnti Valuta il medesimo aggregato utilizzando valori monetari riferiti a un anno base. Rappresenta la somma delle quantità dei beni finali valutate ai prezzi correnti. A questo proposito è utile ricordare che esiste un indice dei prezzi di consumo (IPC) che rileva mensilmente l’andamento dei prezzi di alcuni di alcuni prodotti attraverso panieri rappresentativi e che valuta, quindi, l’andamento dell’inflazione. Il TASSO d’INFLAZIONE viene espresso in un DATO CONTABILE TENDENZIALE che confronta inflazione di un certo mese dell’anno Con lo stesso mese dell’anno precedente, o congiunturale, che confronta 5 VALORE del MESE con il VALORE del MESE PRECEDENTE Sia per il PIL che per il PNL si fa riferimento ad aggregati “lordi” poiché si prendono in considerazione misure che includono anche il valore dell’ammortamento Rappresenta la parte della produzione che deve essere utilizzata per ricostruire il CAPITALE ovvero rappresenta il costo del consumo del capitale fisso. Con questa precisazione si può passare a parlare di PRODOTTO NAZIONALE NETTO (PNN) ossia un nuovo aggregato che misura il valore della ricchezza nazionale dopo che è stata sottratta dal PNL la quota destinata agli ammortamenti. Ripartendo da PNL, è facile arrivare ad esprimere l’aggregato della produzione in termini di REDDITO NAZIONALE y (= reddito prodotto nel corso di un anno) Si può infatti sostenere che il REDDITO venga ripartito o: - come remunerazione per i servizi prestati dagli agenti economici; - o dai fattori e servizi produttivi messi a disposizione e di proprietà dei medesimi agenti (famiglie). Se guardiamo all’insieme di queste remunerazioni si viene a determinare un valore (valore del reddito nazionale) che coincide con quello del prodotto nazionale. ANDAMENTO DEL CIRCUITO ECONOMICO SPESA PER IL CONSUMO FAMIGLIE IMPRESE REDDITO Scendendo ancora di più nel dettaglio si può esprimere il valore delle RETRIBUZIONI che formano il reddito nazionale scorporando i salari dei lavoratori (w), i profitti delle imprese (π) e le rendita per l’affitto di stabilimenti, terreni…. ( R ). Da ciò risulta che: 6 PNL W R YL dove YL rappresenta il REDDITO NAZIONALE LORDO. Se dalla formula sottraiamo il valore dell’ammortamento: PNL A YL A Otteniamo l’uguaglianza tra PRODOTTO NAZIONALE NETTO = REDDITO NAZIONALE LORDO. PNN YN Per passare in modo corretto da PRODOTTO NETTO al REDDITO NAZIONALE è necessario tener conto delle IMPOSTE INDIRETTE (F)che i consumatori pagano allo Stato. Tale imposizione riduce il reddito destinato agli agenti economici. Il reddito che percepisce effettivamente ogni famiglia deve inoltre tener conto degli ulteriori aggiustamenti. Il reddito nazionale è limitato dai pagamenti che non vanno alle persone fisiche o alle imprese non costituite in società ma a favore delle società commerciali, delle istituzioni bancarie, dello Stato e dei paesi stranieri. Parte dei profitti è trattenuta direttamente dalle imprese per diverse ragioni. Queste voci passive di bilancio sono spesso compensate da voci attive, quali trasferimenti diretti dallo Stato alle famiglie, in misura della “sensibilità politica”verso i problemi sociali di ogni singoli paese. Con il computo di queste voci si arriva alla fine a un ammontare di reddito personale che non coincide con il reddito nazionale: tanto più che da quest’ultimo occorre detrarre le imposte dirette e gli oneri non fiscali. Dopo queste operazioni si determina il reddito aggregato che effettivamente resta a disposizione dei consumatori e che prende il nome di reddito disponibile. Se alla produzione aggregata di un sistema economico corrisponde un reddito distribuito, è elementare concludere che il reddito stesso venga speso per richiedere i prodotti del mercato, siano essi beni e servizi finali o fattori e servizi della produzione. Alla produzione aggregata corrisponde nella contabilità nazionale la corrispondente della spesa aggregata ovvero un ammontare di reddito che va a costruire il PIL stesso. Il PIL si può leggere in termini di SPESA poiché è abbastanza agevole studiarne la composizione. La I componente del PIL è quella dedicata a beni e servizi acquistati per i consumi (C). Esiste poi la componente della spesa per investimenti (I) effettuata dalle imprese per richiedere fattori e servizi produttivi. Y CI L’equazione rappresenta una condizione di equilibrio che si può realizzare o meno. Per il momento, essa stabilisce solo una condizione di identità contabile tra REDDITO e SPESA AGGREGATA. L’equazione Y C I assume significato comprendendo in essa la spesa effettuata dal settore pubblico (G) e il saldo dei rapporti di scambio con l’estero X M esportazioni importazioni In sintesi: C I G X M Per una buona rappresentazione dei sistemi economici reali, la contabilità nazionale deve introdurre 2 nuovi aspetti: - la pubblica amministrazione; - il resto del mondo tale operazione permette di redigere quello che potrebbe essere il BILANCIO di una NAZIONE. 7 1. L’OTTIMO PARETIANO E LA SCATOLA DI EDGEWORTH La teoria dell’equilibrio economico generale fu perfezionata dall’economista italiano Vilfredo Pareto: egli riesce a definire quando si realizza il massimo livello di soddisfazione per una collettività. Possiamo infatti definire una posizione come perfetta rispetto ad un’altra per la collettività quando, spostandoci dalla seconda alla prima aumenta la soddisfazione di un soggetto senza che peggiori quella di nessun’altro. Questa posizione è detta di ottimo paretiano. “ la condizione nella quale è impossibile migliorare la situazione di un individuo senza peggiorare la soddisfazione di almeno un altro individuo”. Questa definizione poggia sull’ipotesi di “non confrontabilità delle utilità tra gli individui”. Pareto dimostra che un’economia di mercato concorrenziale tende a raggiungere una posizione di ottimo paretiano. Prendiamo un’economia di puro scambio, supponiamo che tale economia sia composta da solo 2 soggetti, A e B ed esistano solo 2 beni (x e y). Rappresentiamo le preferenze di A e B. Qual è la quantità di x e y che i 2 individui A e B scambieranno rispettando il criterio di ottimo paretiano? I 2 individui si accordano per scambiarsi i beni in base alle preferenze; quindi, unendo i grafici otteniamo la SCATOLA DI EDGEWORTH. Questa scatola è un rettangolo nel quale il vertice in basso a sinistra rappresenta l’origine di A, il vertice in alto a destra rappresenta l’origine di B, la base rappresenta la quantità esistente nel bene x e l’altezza la quantità del bene y. 8 In altre parole questa scatola è costituita dalla combinazione e contrapposizione delle curve di indifferenza relative ai beni x e y di 2 individui A e B. Le curve di A individuano gradi crescenti di utilità man mano che ci si sposta verso nord – est; quelle di B, al contrario, man mano che ci si sposta verso sud – est. Un punto all’interno della scatola rappresenta un’allocazione dei beni, cioè rappresenta come le quantità date di x e y sono distribuite tra A e B. Supponiamo che A si trovi in un punto (situazione A) e che non sia soddisfatto di ciò che possiede, così inizia a contrattare e a scambiare beni con un altro individuo B, finchè non arriva ad una seconda situazione (situazione B) in cui le sue condizioni migliorano perché aumenta la sua quantità del bene; ma B anche se sta rinunciando alla sua parte di bene, non ottiene una cambiamento della sua situazione, quindi è un miglioramento paretiano, in quanto A si sta spostando lungo la curva di indifferenza di B. La situazione continua finchè la curva di indifferenza di A e quella di B sono tangenti: in questo punto si ha un ottimo paretiano, in cui i saggi marginale di sostituzione di A e di B sono uguali. L’ottimo paretiano si ha sempre nel punto di tangenza tra 2 curva di indifferenza poiché le curve di tangenza sia per A che per B sono infinite. Ci sono infinite curve di tangenza la cui unione determina la curva dei contratti (si chiama così perché rappresenta il luogo in cui i 2 si scambieranno x e y) che definisce tutti i valori di x e y che danno luogo a scambi efficienti. L’OTTIMO PARETIANO STA SULLA CURVA DEI CONTRATTI, CIOÉ STA SU TUTTI I PUNTI DI TANGENZA DI TUTTE LE CURVE DI INDIFFERENZ DI A e B. Nella scatola, inserendo anche il vincolo di bilancio, otteniamo l’equilibrio dei consumatori (yob) che deve essere unico e indica la distribuzione del reddito di A e B. Se le risorse sono distribuite equamente, il vincolo è una diagonale della scatola; se invece il vincolo è spostato, il consumatore più povero è quello al quale corrisponde l’area minore. La scatola sarà più o meno grande a seconda della ricchezza del paese cui si riferisce. Sarà un quadrato quando le dimensione delle imprese che producono i beni x e y sono le stesse perché producono le stesse quantità. L’ottimo paretiano prescinde dalla distribuzione dei redditi e l’equilibrio si ha nel punto in cui il vincolo di bilancio incontra la curva dei contratti (punto di tangenza di 2 curve di indifferenza). 2. LA MONETA: ASPETTI ISTITUZIONALI – TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA Le funzioni della moneta: - mezzo di scambio: utilizziamo cioè la moneta per acquistare beni o servizi e riceviamo moneta in cambio della vendita di beni e servizi; deposito di valore: possiamo cioè tenerla con l’intenzione di utilizzarla in futuro. La moneta, conserva e trasferisce il suo valore (o potere d’acquisto) nel tempo; unità di conto: quando indichiamo i prezzi dei beni, indichiamo il rapporto tra scambio di beni e scambio di moneta. La moneta serve ad esprimere i prezzi tra beni diversi e a confrontarli tra loro. Oggi costituiscono la moneta che circola in un paese: 9 - biglietti emessi dalla banca centrale:sono moneta in forza di legge, cioè per legge debbono essere accettati da chi li riceve come pagamento che estingue un debito e in quanto tale sono moneta legale; depositi di conto corrente bancario:quando invece si effettua un pagamento con un assegno su un conto corrente bancario chi lo riceve non è tenuto ad accettarlo. Si tratta di moneta fiduciaria. In generale si intende per moneta = uno spettro di attività che possiede la caratteristica della liquidità, cioè la possibilità di poter essere prontamente scambiati sul mercato. Le BANCONOTE (moneta legale) sono il debito circolante della Banca centrale. I DEPOSITI IN CONTO CORRENTE sono debiti delle aziende di credito:hanno valore in quanto sul mercato possono essere scambiati con beni e servizi. Se la moneta perde potere d’acquisto viene meno anche la sua funzione. Il compito di controllare l’inflazione e sostenere la circolazione di moneta è affidato al sistema europeo delle banche centrali. Cenni storici sulla moneta Nelle società primitive, gli scambi erano diretti e l’economia era basata sul baratto. Con lo sviluppo degli scambi emerge una moneta: uno dei beni scambiati diviene il comune denominatore dei prezzi: viene accettato da tutti in pagamento e può essere conservato per scambi futuri. Presto ci si accorge che alcuni beni sono più adatti a svolgere le funzioni della moneta rispetto ad altri (es. metalli preziosi). Infatti: - si possono pesare e si può saggiarne la purezza, cioè si può stabilire la quantità e la qualità del bene che ovviamente influenza il suo valore; - sono facilmente divisibili, in modo da poter rapportarsi a diversi valori e non sono deperibili; - hanno sufficiente valore in poco peso e quindi possono essere conservati in poco spazio e essere trasportati. Col tempo per facilitare gli scambi vennero fatti prezzi di dimensione standard. Nascono le monete coniate dalla zecca che assumono nomi diversi a seconda del peso, delle caratteristiche e del paese in cui sono coniate. Con lo sviluppo dei traffici e dei commerci tra paesi lontani vene compiuto un ulteriore passo in avanti. Molti mercanti, quando dovevano affrontare lunghi viaggi per i loro affari, trovavano comodo e sicuro lasciare il loro oro e argento nelle casseforti di un orafo o di un cambia valuta. Quest’ultimi rilasciano un certificato di deposito corrispondente al valore del metallo prezioso che veniva accettato come pagamento da altri mercanti; ovvero il mercante che doveva effettuare il pagamento poteva ordinare di trasferire l’oro dal suo conto a quello di un altro mercante con cui aveva stipulato un contratto. Un po’ prima del ‘600, in Italia e in Olanda, gli orafi e i cambi – valute, fecero il passo decisivo trasformandosi in moderne banche. Essi si accorsero che i loro clienti,che avevano depositato il metallo prezioso, non lo richiedevano indietro tutto insieme. Di conseguenza una parte del metallo restava nei depositi. Cominciano quindi a realizzare che possono utilizzare almeno una parte di questo valore in modo da ricavarne un profitto = possono cioè prestare la moneta in loro possesso ad altri mercanti che se ne serviranno per realizzare i loro affari. Le banche trattengono nelle loro casse solo una parte del metallo ricevuto come riserva, in modo da far fronte alle normali restituzioni. I mercanti che hanno ricevuto il prestito aprono a loro volta un nuovo deposito. Poiché sia il primo mercante, cioè colui che ha effettuato il primo vero deposito di metallo che colui che ha ricevuto il prestito derivato dal primo deposito possono effettuare pagamenti attraverso assegni, si è creta una nuova moneta bancaria. Abbiamo visto che la circolazione di moneta si basa sulla fiducia. Basta, infatti, che in situazioni di crisi si diffonda nel pubblico la voce che una banca è insolente (cioè che non è in grado di restituire i suoi debiti = depositi) che tutti i depositanti si precipitano a ritirare la loro moneta metallica. 10 Inoltre, esiste un altro pericolo. Quando la banca presta ad imprenditori seri, che utilizzano il potere d’acquisto ricevuto per progetti di investimento solidi, non si crea nessun problema. Ma la banca può aver effettuato prestiti a mercanti che poi alla loro scadenza non sono in grado di restituirli. Anche qui si crea una crisi di insolvenza perché la moneta non ritorna più alla banca come avrebbe dovuto e le riserve finiscono per assottigliarsi. Questa situazione si risolve quando siano stati concessi troppi prestiti e mercanti che li hanno usati per attività speculative = attività tesa alla ricerca di un profitto non sulla base della produzione di nuova ricchezza ma della differenza di prezzo di un bene o di un titolo previsto in luoghi o in tempi differenti. Per ovviare a questi rischi, il sistema delle banche si struttura e nasce la banca centrale con la funzione di controllo e sostegno al sistema delle banche private. Ben presto l’oro non fu il principale mezzi di circolazione e venne sostituito dalla carta moneta emessa dalla banca centrale per l’ovvia ragione che L’oro è una merce – moneta che ha un proprio valore e finchè circola come moneta non può essere utilizzato per altri scopi. La circolazione metallica ha un suo costo. Le banconote sono moneta – segno, hanno semplicemente il tenue costo della carta e della stampa. La creazione di moneta e il sistema delle banche Processo di creazione di moneta bancaria Tale processo inizia quando il primo cliente deposita una certa somma di moneta legale nelle sue casse. La banca sa che è del tutto improbabile che il cliente ritiri tutta la somma depositata in un unico momento. Occorre quindi tenere solo una parte dei questo deposito come riserva per far fronte ai pagamenti, mentre il resto può essere prestato ad un altro cliente. Quest’ultimo apre un altro conto di deposito presso la banca con il prestito ottenuto ed effettua i suoi pagamento con assegni. La banca ancora una volta può tenere una parte di questo deposito come riserva e il resto può darlo in prestito ad un altro cliente ancora. Questo processo in modo simile con altri clienti. Come è intuibile tutto dipende dalla quota di riserva che ad ogni singolo passaggio la banca trattine nelle sue riserve. Più alta è questa quota < quantità di moneta bancaria creata. Il processo di creazione di moneta cessa quando le riserve detenute dalla banca eguagliano esattamente la moneta legale inizialmente depositata dal I cliente. Sia cr = coefficiente di riserva che la banche desiderano tenere presso di loro sui depositi che ricevono, cioè la quota trattenuta per ogni euro depositato dai loro clienti. In altri termini se D sono i depositi presso la banca, allora Dcr = riserva che la banca vuole trattenere presso di sé. La banca vende ed espande il credito fino al punto in cui i biglietti a corso legale (B) portati in deposito dal pubblico sono pari alla riserva che desiderano tenere sui depositi accesi. Infatti fino a che la moneta legale in possesso della banca è più alta di questa quantità, si può espandere ulteriormente il credito dato che le riserve effettive sono più alte di quelle desiderate. Se la moneta legale in possesso della banca è più bassa di questa quantità, le riserve effettive non sono sufficienti e il rapporto deve essere ripristinato restringendo il credito. In altre parole si deve avere B = Dcr ovvero: D 1 B cr 11 1 cioè l’inverso del coefficiente di riserva, è il moltiplicatore dei depositi bancari che indica di quanto si cr moltiplica la moneta legale portata inizialmente alle banche dal pubblico nel processo di creazione di moneta bancaria. La base monetaria è formata da biglietti emessi dalla banca centrale che hanno corso legale e debbono essere accreditati come pagamento. La banca centrale svolge le funzioni di: banca dello stato: la banca può prestare moneta allo Stato,cioè può finanziaria una spesa in deficit dello Stato senza che quest’ultimo debba avere entrate corrispettive aumentando le tasse; banca delle banche; la banca può prestare alle banche ordinarie. Quando tali banche hanno problemi di liquidità possono rivolgersi alla banca centrale per ottenere prestiti, chiedendo anticipazioni sulle cambiali dei loro clienti: quest’operazione si chiama RISCONTO = la banca originaria cede cambiali alla banca centrale in cambio del loro valore, pagando un interesse detto tasso di risconto; gestore delle riserve di valuta estera: tutte le operazioni che coinvolgono la valuta estera cioè la moneta circolante in altri Stati avvengono attraverso la Banca Centrale. Quando un operatore economico importa dei beni dall’estero ha bisogno di valuta estera per effettuare il pagamento e si rivolge alla propria banca per ottenerlo e questa a sua volta si rivolge alla banca centrale. Le riserve Una parte di queste riserve è regolata dalla Banca Centrale che impone alle banche ordinarie un coefficiente di riserva obbligatoria. Le riserve al di sopra di questo coefficiente sono riserve facoltative. Ovviamente, potendo decidere il coefficiente di riserva obbligatoria, la Banca centrale influenza il moltiplicatore dei depositi che è pari all’inverso di cr. Se la riserva obbligatoria cresce, il moltiplicatore diminuisce e viceversa. Vanno presi in considerazione due strumenti di controllo della liquidità da parte della banca centrale. - OPERAZIONE DI MERCATO APERTO: la Banca Centrale può acquistare titoli del debito pubblico al momento della loro emissione da parte del governo, finanziando direttamente la spesa pubblica in deficit. Ma la Banca centrale può anche acquistare o vendere titoli sul mercato, cioè in borsa. Quando: acquista titoli: immette nel sistema economico nuova moneta; vende titoli: toglie moneta, restringe la liquidità. - TASSO UFFICIALE DI SCONTO (TUS): ovvero l’interesse pagato dalle banche ordinarie per avere un prestito dalla Banca Centrale. Quando cade il tasso di sconto, le banche sono indotte ad accrescere il loro debito presso la Banca Centrale e la liquidità aumenta. Quando il tasso di sconto sale, le banche ordinarie diminuiscono il loro debito e la liquidità diminuisce. Inoltre la struttura dei tassi di interesse è influenzata dal Tasso di Sconto deciso dalla Banca Centrale. Se quest’ultimo cresce, aumentando anche i tassi di interesse che le banche ordinarie praticano ai loro debitori e conseguentemente diminuisce il credito e viceversa. 3. LA MACROECONOMIA NEOCLASSICA Rappresentiamo le relazioni economiche che si stabiliscono tra i soggetti in un sistema chiuso, vale a dire che non abbia scambi con l’estero e che sia privo di un settore pubblico. 12 In questo sistema abbiamo solo 2 settori: 1. INSIEME DELLE FAMIGLIE; 2. INSIEME DELLE IMPRESE. Rappresentiamo questo sistema di relazioni tra l’insieme di questi due soggetti in termini di circuito economico, cioè in termini dei flussi monetari e reali (beni e servizi) che vanno dalle famiglie alle imprese e viceversa. Come si vede tra queste due polarità (FAMIGLIE e IMPRESE) si realizzano: - flussi di beni e servizi (indicati dalle frecce continue); flussi monetari (indicati dalle frecce tratteggiate). Ovviamente, a ogni flusso reale corrisponde un opposto flusso monetario. In particolare, le famiglie vendono i servizi del lavoro e degli altri fattori produttivi ( terra e capitale) in loro possesso alle imprese e ne ricevono in cambio un reddito. Le imprese utilizzano i servizi dei fattori produttivi per produrre beni e servizi per il consumo delle famiglie. Quest’ultime utilizzano il reddito ricevuto dalle imprese per acquistare beni e servizi che consentono di soddisfare i loro bisogni e acquistandoli dalle imprese, restituiscono loro la massa di moneta ricevuta in cambio dei servizi produttivi. Il modello reale In primo luogo per i neoclassici, in questo circuito la moneta non svolge alcun ruolo particolare nel determinare la grandezza dei flussi reali (scambio di beni e servizi) dal momento che essa non è altro che l’equivalente della massa dei beni prodotti e, facilitando la sua circolazione e distribuzione, svolge le funzioni di mezzi di scambio e unità di conto, senza esercitare alcuna influenza decisivo sul livello della produzione della ricchezza reale. I neoclassici trovavano conferma di ciò nella famosa “TEORIA degli SBOCCHI” o LEGGE di SAY = ogni offerta crea la propria domanda. Questo conferma che ogni atto di produzione nella misura in cui utilizza nuovi fattori produttivi e crea nuovo reddito è in grado di generare una domanda di importo corrispondente al livello dell’offerta. Nella figura sottostante sono rappresentati solo i flussi monetari: 13 A questo livello dell’analisi si può semplicemente affermare che ad ogni flusso monetario corrisponde un flusso reale di uguale valore. Gli economisti neoclassici che accettano la legge di Say partono dalla produzione Che genera un flusso di REDDITO che va alle famiglie,in cambio dei servizi dei fattori produttivi che esse possiedono e che ha un valore esattamente uguale al valore della produzione. Le famiglie utilizzano questo reddito per acquistare i beni di consumo e i servizi che soddisfano i loro bisogni. Nessuno però obbliga le famiglie a spendere tutto il loro reddito in consumo. Infatti le famiglie possono risparmiare, cioè possono decidere di non utilizzare tutto il loro reddito per consumi, ma di mettere da parte un certo ammontare per qualsiasi loro obiettivo. Abbiamo quindi una perdita, cioè un flusso in uscita all’esterno del nostro sistema economico: i risparmi. Dall’altra parte le imprese possono decidere di effettuare degli investimenti, cioè possono decidere di ampliare la loro capacità produttiva. A questo punto abbiamo un flusso in entrata dall’esterno del nostro flusso economico. Quando i risparmi sono = agli investimenti, la domanda è esattamente uguale all’offerta dato che l’altra componente della domanda, il consumo, resta sempre nel circolo. I risparmi debbono essere per definizione sempre = investimenti. Quando si guarda a questa identità ci si riferisce ai risparmi e agli investimenti realizzati o che si verificano dopo che tutte le decisioni sono state attuate e hanno prodotto i loro effetti. In questo caso, l’eguaglianza si realizza necessariamente a causa del modo in cui sono definiti gli investimenti. 14 Quest’ultimi rappresentano la variazione dello stock di capitale esistente. Lo stock di capitale è formato da: MEZZI di PRODUZIONE e da SCORTE. Generalmente le imprese cercano di tenere una certa quantità di scorte, per poter soddisfare in modo continuo la domanda, che può essere soggetta a fluttuazioni imprevedibili. Tuttavia, quando la domanda è insufficiente, le scorte aumentano in modo indesiderato perché le imprese non riescono a vendere tutti ciò che avevano previsto. In questo caso le DECISIONI DI RISPARMI = DECISIONI DI INVESTIMENTO (risparmio ex ante > investimento ex ante) Una parte della produzione non è venduta e si realizza una variazione indesiderata delle scorte. L’eguaglianza tra DECISIONI DI RISPARMIO e DECISIONI DI INVESTIMENTO non è un identità, ma una CONDIZIONE di EQUILIBRIO e il modo in cui esso tende a realizzarsi è spiegato dalla teoria. Abbiamo visto come gli economisti neoclassici giustificavano la legge di Say, considerando soprattutto i due più importanti redditi sociali: salari dei lavoratori e profitti dei capitalisti. Secondo i classici, i salari sono considerati al livello di sussistenza: questo esclude che i lavoratori possano risparmiare. Cosa succede ai profitti? Ovviamente i capitalisti possono risparmiare ma la loro funzione sociale è quella di investire i loro risparmi per tentare di accrescere ulteriormente le loro ricchezze. Secondo i classici, il risparmio si traduce automaticamente in investimento. Secondo i neoclassici, i soggetti che decidono di risparmiare e quelli che decidono di investire non coincidono perchè Le FAMIGLIE RISPARMIANO Le IMPRESE INVESTONO È in questo caso che il mercato svolge una funzione di coordinare e porre in equilibrio le decisioni dei diversi soggetti economici. Quando i soggetti che risparmiano sono diversi da quelli che investono si forma un mercato particolare: MERCATO DI CREDITO. In base alla teoria dell’utilità,le famiglie decidono di risparmiare solo in cambio della possibilità di consumare di più nel futuro attraverso un tasso di interesse che compensi la rinuncia al consumo. Il risparmio è una funzione crescente del tasso di interesse: + è alto il tasso di interesse; + le famiglie saranno disposte a risparmiare Questa è la funzione dell’offerta del credito. Ma chi sarà disposto a pagare il tasso di interesse alle famiglie per indurle a risparmiare? Le imprese formulano progetti di investimento e hanno bisogno di finanziare questi investimenti. Pur di ricevere potere d’acquisto necessario per realizzare questi progetti, le imprese sono disposte ad offrire un compenso, cioè a pagare un interesse a coloro che lo mettono a disposizione. Ovviamente tale interesse non deve superare i profitti attesi dalle imprese per questi investimenti. Ne consegue che + basso è il tasso di interesse > saranno i progetti di investimento che potranno essere finanziati Abbiamo dunque la funzione della domanda di credito da parte delle imprese che è una funzione inversa del tasso di interesse. Ovviamente nella realtà, le famiglie e le imprese non si incontrano direttamente sul mercato di credito poiché esistono le banche e gli intermediari finanziari che facilitano l’incontro tra domanda e offerta raccogliendo 15 direttamente il risparmio delle famiglie in cambio di un interesse e offrendo prestiti alle imprese, ricevendo in compenso l’interesse. L’interesse dipende dall’incontro tra DOMANDA per INVESTIMENTI e OFFERTA di RISPARMIO che determinano l’equilibrio del mercato. Il prezzo di equilibrio non è altro che il tasso di interesse i, mentre la quantità di equilibrio è quella per la quale i risparmi = investimenti. Secondo questa visione, il risparmio appare come un momentaneo allontanamento di risorse che automaticamente, in relazione al tasso di interesse, si trasformano in investimenti. L’offerta crea la propria domanda, secondo la legge di Say, perché le decisione di risparmio e le decisioni di investimento tendono automaticamente ad equilibrarsi. Ma che cosa garantisce che questo equilibrio corrisponda alla piena occupazione dei lavoratori? MERCATO del LAVORO: abbiamo già visto a proposito della domanda di lavoro dell’impresa che quest’ultima ha un andamento negativo a causa della legge della produttività marginale decrescente, ricavata dalla funzione di produzione dei singoli beni prodotti. Gli economisti neoclassici tracciano anche la funzione di produzione aggregata. Ovviamente ora il prodotto aggregato è composto da tutti i beni prodotti nel nostro sistema economico. Chiamiamo y il prodotto aggregato. L’andamento di questa funzione è analogo a quello della funzione di produzione dei singoli beni: anche in questo caso ad un aumento della qualità di lavoro occupata corrisponde un aumento del prodotto, ma questo aumento si realizza ad un tasso decrescente. Successiva quantità di lavoro apportano cioè al prodotto incrementi via via decrescenti e la curva ha un andamento concavo verso il basso. La produttività marginale del lavoro è decrescente. Le imprese prese nella loro totalità hanno infatti convenienza ad occupare lavoro fino a quando la sua produttività marginale = salario reale. 16 Anche in questo saggiodisa lriono min alew p indicedeip rezzi caso il salario reale è dato da Cioè la media ponderata dei prezzi di tutti i beni con la quale è misurato il prodotto aggregato. Poiché la produttività marginale del lavoro è decrescente, anche la domanda di lavoro ha un andamento negativo. Se diminuisce il salario reale, le imprese sono indotte ad aumentare la loro domanda di lavoro, cioè impiegano nuove unità di lavoro. Per quanto riguarda l’offerta di lavoro, si assume che un incremento di salario reale induca un aumento dell’offerta di lavoro perché chi già lavora è disposto a lavorare di più in seguito all’aumento di retribuzione, mentre nuovi soggetti che non erano disposti ad un salario più basso sono indotti ad entrare nel mercato del lavoro. In realtà, l’analisi dell’offerta di lavoro è più sofisticata poiché si ammette che per l’effetto reddito, chi già lavora possa con un salario più alto voler lavorare di meno domandando più tempo libero; considerato quest’ultimo un bene di consumo, aumenta all’aumento del reddito. L’effetto reddito però è contrastato da un effetto sostituzione: l’incremento del salario rappresenta infatti anche un aumento del prezzo del tempo libero. Ne deriva che la curva di offerta aggregata del lavoro ha un andamento positivo, come tutte le normali curve di offerta. Nel mercato del lavoro quando il suo funzionamento non sia ostacolato, tende a formarsi un prezzo di equilibrio al quale tutti coloro che offrono lavoro sono in grado di lavorare e tutte le imprese che domandano lavoro sono in grado di assumere. Si ha cioè piena occupazione del lavoro. Nella figura 3.6 DL rappresenta la domanda aggregata del lavoro, SL l’offerta aggregata che si incontrano nel punto corrispondente alla piena occupazione. 17 Si ha quindi la seguente catena causale: MERCATO DEL LAVORO PIENA OCCUPAZIONE LIVELLO DEL REDDITO È opportuno produrre una rappresentazione sintetica del modello macroeconomico neoclassico. Partiamo dalla PRODUZIONE: i meccanismi del mercato assicurano che sia occupata la quantità di lavoro di piena occupazione L* cui corrisponde la produzione di piena occupazione y*. Il valore della produzione (offerta) genera un reddito equivalente per le famiglie. Le famiglie decidono di destinare il loro reddito ai consumi e ai risparmi. I consumi sono direttamente domanda di beni alle imprese. Le decisioni di risparmio, grazie al mercato del credito e all’azione equilibratrice del tasso di interesse si eguagliano alle decisioni di investimento da parte delle imprese che rappresentano l’altra componente della domanda. Ma allora la domanda è necessariamente = all’offerta che trova così il proprio sbocco e ha, in questo senso, generato la domanda stessa. In sintesi: i meccanismo di mercato, secondo la teoria neoclassica, assicurano che, il reddito prodotto sia quello di piena occupazione e che tale reddito trovi prontamente una domanda equivalente. 18 La moneta Vi è dicotomia tra SISTEMA REALE e SISTEMA MONETARIO Nel sistema tradizionale, la moneta viene considerata rispetto alle due funzioni di favorire la compravendita di beni e servizi, ovvero di intermediario degli scambi che evita le ovvie difficoltà che incontra un’economia basata sul baratto. La moneta non incide però sulla ricchezza reale rappresentata da beni e servizi, ma semmai sul livello generale dei prezzi. Una tale visione è stata formalizzata nella teoria quantitativa della moneta sviluppata da FRIEDMAN: 0. IL MERCATO HA MECCANISMI AUTOREGOLATIVI che consentono, se lasciati operare senza interferenze di acquisire livelli di equilibrio del sistema economico in grado di garantire la piena utilizzazione delle risorse; 1. LA MONETA non può avere effetti sulle componenti della ricchezza ma può determinare solamente una variazione nel livello generale dei prezzi. Teoria quantitativa della moneta di FISHER nota come “equazione degli scambi”. Sul mercato abbiamo una massa di beni (a,b, c, d….n) che sono scambiati ai loro prezzi. La quantità di moneta in circolazione deve garantire il livello normale degli scambi; tuttavia bisogna considerare che ogni unità monetaria realizza non una sola transazione, ma più transazioni nell’unità di tempo presa in considerazione. La quantità di moneta (M) circolante non dipende solo da M ma anche dalla sua velocità di circolazione (V). Equazione degli scambi: pa a pb b pc c pd d ... pn n MV PQ PQ MV P = livello generale dei prezzi, ottenuto come media ponderata dei prezzi delle merci scambiate. Q = insieme delle quantità dei beni e servizi scambiati. L’equazione è un’identità e non un’uguaglianza cioè è sempre vera. V PQ M Perché l’identità divenga un’eguaglianza bisogna adottare delle restrizioni, vale a dire bisogna considerare costanti: 1. velocità di circolazione (V): si ipotizza che la velocità di circolazione in una situazione di breve periodo non cambia, dipendendo da aspetti consuetudinari e fattori istituzionali; 2. livello globale di output presenti nel circuito (Q): dipende dai meccanismo autoregolativi del mercato; si sarà certamente in uno stato di ottimale utilizzazione dei fattori produttivi (tutte le risorse materiali e umane saranno utilizzate); Scriviamo un trattino sopra Q e V per indicare che sono quantità costanti: 19 PQ PV Considerati Q e V costanti, diventa quindi agevole capire le ragioni per cui l’aggiunta di moneta potrà avere un’influenza solo su un’altra variabile, quella relativa al livello generale dei prezzi (p). Un aumento dell’offerta di moneta si traduce in un aumento dei prezzi (Inflazione). 4. IL MODELLO KEYNESIANO Il modello di un’economia semplificata In tale modello non esistono rapporti con il resto del mondo, né esiste un settore pubblico. In questo caso la domanda aggregata (DA) è uguale a = consumi + investimenti DA C I In equilibrio, la domanda aggregata è uguale al reddito prodotto (y) e distribuito alle famiglie che a sua volta può essere destinato a CONSUMI (C ) e RISPARMI (S). Avremo quindi: y c s e y DA In tal senso la variabile y può essere intesa come PIL e si può scrivere sostituendo, nell’equazione y DA , DA: yCI Soffermiamoci sul consumo che dipende dal reddito, cioè è una funzione crescente del reddito. Per semplicità possiamo assumere che tale funzione sia lineare, cioè corrisponda ad una retta: C Co Cy Co = intercetta della retta con l’asse delle ordinate QUOTA AUTONOMA di CONSUMO = ovvero quanto una collettività ha bisogno di consumare se non ha prodotto reddito; in altri termini, la collettività ha un livello minimo di consumo che cerca di mantenere in ogni caso, indipendentemente dal reddito ottenuto. C = pendenza della retta PROPENSIONE MARGINALE al CONSUMO = la formula della propensione marginale al consumo è un rapporto tra variazione è: Cma C y Ci dice quanta parte di un incremento di reddito viene consumata dai componenti della collettività. La propensione marginale al consumo è compresa in un intervallo di valori tra 0 e 1. (0 < c < 1) Se infatti c fosse = a 0, le famiglie non consumerebbero nulla dell’incremento del reddito. 20 Essa è < di 1 perché le famiglie vogliono posticipare una parte dei propri consumi, destinando una quota del loro reddito attuale al risparmio. PROPENSIONE MEDIA AL CONSUMO (Cme ) è la quota di reddito che in media gli individui destinano ai CONSUMI e non a risparmi ed è = C . y Sostituendo il valore del consumo ottenuto della C Co Cy , si ottiene la seguente formula: C me Co Cy Co c y y Nel caso in cui la quota autonoma di consumo fosse pari a 0 (Co = 0), la propensione media e marginale sarebbero uguali. Siamo ora in grado di disegnare la FUNZIONE DEL CONSUMO: - Sulle asse delle ascisse è misurata la variabile indipendente (REDDITO); Sulle asse delle ordinate, la variabile dipendente (CONSUMO). La funzione del consumo è rappresentata come una retta che incontra l’asse delle ordinate in Co e ha una pendenza pari a c. FUNZIONE DEL RISPARMIO Dalla funzione del consumo è facile ricavare la funzione del risparmio. Ricordando che y = C+S, possiamo scrivere: S Y C Y Co cY Co (1 c)Y cioè Co sY Con s = 1 - c Come è intuitivo anche la retta del risparmio è una funzione crescente del reddito. Ora l’intercetta con l’asse delle ordinate ha un valore negativo (-Co): infatti ad un reddito nullo, le famiglie si indebitano per realizzare un consumo pari a Co. La pendenza della retta è s, cioè la propensione marginale al risparmio che ha un valore compreso tra 0 e 1. Ora possiamo disegnare il grafico della funzione del risparmio: 21 Passiamo agli INVESTIMENTI: sono una funzione inversa del tasso di interesse e funzione soprattutto delle aspettative imprenditoriali. Si può scrivere: I f (i, e) , dove i = tasso di interesse ; c = aspettative Il segno (-) indica una relazione inversa. Il segno (+) indica una relazione diretta. Gli investimento sono una componente autonoma della domanda, cioè non dipendono dal reddito. Come si determina il reddito di equilibrio nel nostro sistema semplificato? 1. FUNZIONE DEL RISPARMIO; 2. FUNZIONE DEL CONSUMO La condizione di equilibrio può essere intesa come eguaglianza tra risparmi e investimenti. I S Sostituendo al risparmio la funzione espressa dall’equazione Co sY , si ottiene I Co sY Risolvendo per il reddito,otteniamo il valore del reddito di equilibrio (Ye): 1 Y (Co I ) s Per ottenere il valore del reddito di equilibrio non dobbiamo fare altro che moltiplicare le componenti autonome della domanda (Co e I) per l’inverso della produzione marginale al risparmio, cioè 1 . s Grafico dell’equilibrio: La funzione dell’investimento è indipendente dal reddito e può essere rappresentata come una retta orizzontale che ha sempre lo stesso valore dell’ordinata,qualsiasi sia il valore del reddito misurato nell’ascissa. Il reddito di equilibrio si trova nel punto in cui la retta di risparmio e la retta dell’investimento si incontrano. Se il sistema economico si trova a sinistra di Ye, gli investimenti > risparmi. 22 Ciò che entra nel circuito economico è > di ciò che ne esce e gli imprenditori sono indotti ad aumentare la produzione e conseguentemente l’occupazione. Se il sistema economico si trova a destra di Ye, i risparmi > investimenti ex ante. Le scorte invendute si accumulano nei magazzini e gli imprenditori diminuiscono i livelli di produzione e di occupazione. In Ye si raggiunge l’equilibrio. La seconda via si concentra sulla funzione della domanda aggregata. Partendo dall’equazione y C I e sostituendo al consumo (c ) la sua funzione y Co Cy I Dall’equazione possiamo facilmente raggruppare i termini che contengono il reddito y cY Co I e infine possiamo scrivere y 1 Co I 1 c Poiché sappiamo che la somma della propensione marginale al consumo e della propensione marginale al risparmio è = all’UNITÁ Evidentemente il termine 1 1 è = al termine 1 c s L’equilibrio del reddito è dato dalle quote autonome della domanda moltiplicate per l’inverso del complemento ad 1 della propensione marginale al consumo. La descrizione grafica del modello keynesiano rappresenta il cosiddetto “SCHEMA a 45°”. Nel grafico sono misurati sulle ordinate, i CONSUMI INVESTIMENT DOMANDA AGGREGATA sulle ascisse il REDDITO. La funzione dell’investimento è una RETTA ORIZZONATALE. La funzione del consumo è 23 La domanda aggregata (C+I) è una retta parallela alla funzione del consumo. La distanza tra le 2 rette è = ad 1. La bisettrice (retta a 45°) è il luogo geometrico di tutti i punti che hanno i valori delle ordinate = a quelli delle ascisse. Di conseguenza rappresenta tutte le possibili eguaglianza tra domanda (C+I) e produzione (y). Il punto nel quale la semiretta C+I incontra la bisettrice si definisce la domanda effettiva ovvero quanto di fatto consumatori e imprese spendono. La domanda effettiva fissa quindi il volume di produzione. Si ottiene così l’equilibrio del reddito. Anche qui per valori - a sinistra del punto di equilibrio del reddito Ye → la domanda è > dell’offerta ( la retta DA corre sopra la retta a 45°) e gli imprenditori sono indotti ad aumentare la produzione; - a destra del punto di equilibrio del reddito → la domanda è < dell’offerta ( la retta DA a 45° corre al di sopra della retta DA) e gli imprenditori sono indotti a diminuire la produzione. Soffermiamoci sul coefficiente 1 1 o . Esse non solo ci dice come si raggiunge l’equilibrio, ma anche di 1 c s QUANTO AUMENTA IL REDDITO QUANDO AUMENTA UNA COMPONENTE AUTONOMA DELLA DOMANDA. Per questo motivo è chiamato MOLTIPLICATORE. TROVARE SVOLGIMENTO EQUAZIONE DEL MOLTIPLICATORE La conclusione di Keynes: non vi è alcuna ragione logico – teorica perché il reddito di equilibrio debba necessariamente eguagliare il reddito potenziale, cioè di piena occupazione. Le implicazioni di questa conclusione sono le seguenti: a) la legge degli sbocchi viene privata di fondamento dal momento che nulla assicura che ciò che viene offerto sia interamente domandato; Il reddito potenziale è determinato dalla quantità di risorse (LAVORO, TERRA, CAPITALE) delle quali un’economia dispone e viene raggiunto quanto tutte queste risorse sono occupate in modo efficiente. Il reddito di equilibrio è determinato dalle decisione di CONSUMO e INVESTIMENTO. b) Nulla assicura che l’EQUILIBRIO MACROECONOMICO che si raggiunge quando I = S si ottenga in corrispondenza del pieno impiego. Ciò a ragion del fatto che le decisioni di investimento sono prese indipendentemente dalle decisioni di risparmio. Mentre il RISPARMIO è funzione del REDDITO,gli INVESTIMENTI sono funzione del TASSO di INTERESSE e ASPETTATIVE. Conseguentemente, non esiste un mercato nel quale le due funzioni si incontrano e il TASSO di INTERESSE non svolge alcuna funzione di equilibrio. c) Mentre l’equilibrio in senso neoclassico è una condizione nella quale DOMANDA = OFFERTA e gli operatori economici sono soddisfatti delle loro scelte nel senso che non esistono alternative che permettono loro di migliorare la propria posizione. L’equilibrio keynesiano va concepito come STATO di QUIETE anche se la DOMANDA = OFFERTA POTENZIALE, il sistema rimane stabilmente in una condizione di non pieno utilizzo delle risorse (EQUILIBRIO di SOTTOCCUPAZIONE) Il mercato del lavoro e la disoccupazione Il modello macroeconomico neoclassico si basa sull’analisi di 2 mercati per giungere alla conclusione che il sistema tende automaticamente a raggiungere un equilibrio di piena occupazione. Il I mercato, in cui si equilibrano RISPARMI e INVESTIMENTI permette di escludere la possibilità di insufficienza della domanda aggregata. Secondo Keynes, il risparmio non dipende dal tasso di interesse. Quest’ultimo non può quindi coordinare le decisioni di investimento e quelle di risparmio. 24 Il II mercato, considerato dai neoclassici, è quello del LAVORO: secondo questi economisti esso tende automaticamente a raggiungere un equilibrio di piena occupazione, poiché la DOMANDA e l’OFFERTA di lavoro sono entrambe funzioni crescenti (la domanda) e decrescenti (l’offerta) del salario reale. All’opposto, l’analisi keynesiana del mercato del lavoro ha come punto di partenza la considerazione della natura duale del SALARIO: - COSTO DI PRODUZIONE PER LE IMPRESE; REDDITO PER IL LAVORO e occorre determinare la domanda aggregata per il tramite dei consumi. Ciò per la semplice ragione che i lavoratori, una volta percepito il salario spendono il reddito ricevuto nell’appunto di beni di consumo. Quindi quando il SALARIO varia bisogna tener conto di una duplice ordine di effetti: - quello sui costi; - quello sulla domanda aggregata per poter vedere quali effetti si avranno per l’occupazione. Non è cioè possibile isolare quanto avviene sul mercato del lavoro da quanto avviene nell’economia nel suo complesso. Infine, in un’economia monetaria nella quale le scelte vengono effettuate in condizioni di incertezza, occorre assumere, secondo Keynes, che nel mercato del lavoro si contratti il salario monetario, non come per gli economisti neoclassici, il salario reale (l’effettivo potere d’acquisto = cioè quanti beni i lavoratori possono acquistare con il loro reddito). In simboli possiamo indicare con w = salario monetario. Per indicare il SALARIO REALE: SALARIOMON ETARIO w LIVELLOdeiPREZZI p OFFERTA DI LAVORO I sindacati dei lavoratori contrattano il salario monetario e il contratto di lavoro ha validità per un certo periodo di tempo. La quantità di beni che i lavoratori potranno acquistare con il loro dato salario nominale sarà da loro conosciuta solo successivamente, quando spenderanno i salari per acquistare i beni. Come osserva Keynes, è molto probabile che i lavoratori e i loro sindacati si oppongono ad ogni riduzione del salario monetario, mentre non si oppongono e non possono opporsi allo stesso modo ad ogni aumento del livello dei prezzi, che dato il salario monetario, si traduce in una diminuzione del potere d’acquisto, cioè del salario reale. Questo equivale a dire che non è possibile determinare il salario reale e l’occupazione tracciando le curve di offerta e di domanda del lavoro come funzioni di questa grandezza. Si può concludere che la curva di offerta di lavoro in funzione del salario reale non può essere tracciata o non è rilevante. Gli imprenditori conoscono il salario reale o comunque formulano sul suo andamento previsioni molto più struggenti al fine di conseguire l’obiettivo della massimizzazione del profitto. Esiste una differenza fondamentale: x gli ECONOMISTI NEOCLASSICI = la DOMANDA di LAVORO è funzione del SALARIO REALE, il cui livello è determinato dall’incontro con l’OFFERTA del LAVORO. Per Keynes, l’occupazione domandata dagli imprenditori è soprattutto funzione crescente della domanda aggregata attesa da parte delle imprese. In altri termini, le imprese prendono le proprie decisioni relativamente al numero di lavoratori da impiegare sulla base di quanto prevedono di poter vendere e dei profitti attesi. Deciso il livello di occupazione, il salario reale si adegua ad esso. 25 Il mercato del lavoro, in Keynes, è un mercato residuale dal momento che il livello di occupazione e quello del salario reale sono determinati da ciò che accade nel mercato dei beni. Nella macroeconomia keynesiana, il livello della domanda effettiva determina il reddito prodotto, cui corrisponde un certo livello dell’occupazione e di conseguenza del salario reale. DOMANDA AGGREGATA →LIVELLO del REDDITO →OCCUPAZIONE →w/p * I GRAFICO: Il grafico mostra la determinazione del livello del reddito di equilibrio. Il punto di equilibrio è dato dal punto in cui la funzione della domanda aggregata incontra la retta a 45°, corrispondente al reddito Ye: in questo punto i valori dell’ascissa sono = a quelli dell’ordinata. * II GRAFICO: possiamo quindi riportare il valore del reddito di equilibrio sulle ordinate del II grafico che rappresenta la funzione di produzione P. Lungo la funzione di produzione, possiamo trovare il corrispondere livello effettivo dell’occupazione Le: ciò spiega come la propensione al consumo e il saggio dei nuovi investimenti determinano entrambi il volume dell’occupazione. * III GRAFICO: viene mostrata la correlazione esistente tra occupazione e salario reale che determina il livello di equilibrio (w/p)e Il volume dell’occupazione è unicamente correlato a un dato passaggio, secondo cui il volume dell’occupazione è unicamente correlato a un dato livello del salario reale. La curva WL è simile alla curva di domanda del modello neoclassico. Per Keynes, tale curva non rappresenta la domanda di lavoro. Nel contesto keynesiano, si contratta il salario monetario e non quello reale e nel grafico, il salario reale, è funzione dell’occupazione e non è la variabile indipendente. D’altra parte,poiché il grafico non rappresenta le contrattazioni del mercato del lavoro non c’è nessun motivo per il quale in esso debbano incontrarsi domanda e offerta di lavoro. Possiamo dire che la curva WL rappresenta il salario massimo che gli imprenditori sono disposti a pagare per occupare una data quantità di lavoro che dipende dal livello del reddito prodotto, al fine di massimizzare il loro profitto. Possiamo considerare come prima approssimazione un dato, il livello di piena occupazione L*. L’equilibrio avviene ad un livello dell’occupazione minore di L*. Come si vede nel grafico III, al livello di piena occupazione, gli imprenditori sarebbero disposti a pagare un salario reale a (w/p)* minore di (w/p)e. Ma questa coppia di valori non permetterebbe alcun equilibrio: nel grafico II vediamo che a quest’occupazione sarebbe prodotto un reddito pari a Y*. Come si vede dal grafico I, tuttavia, il reddito Y* giace su un punto della retta a 45° situato sopra la curva della domanda aggregata. Ciò significa che, dati la 26 propensione al consumo e gli investimenti, questo livello del reddito non potrebbe essere mantenuto perché la domanda aggregata che si genera non sarebbe sufficiente ad assorbirlo. Quest’analisi dimostra come un’economia di mercato non tenda spontaneamente a generare piena occupazione, dato che non c’è nessuna ragione per cui il livello della domanda effettiva corrisponda al livello necessario al pieno impiego. LA DOMANDA DI MONETA E L’EQUILIBRIO NEL MERCATO MONETARIO La teoria neoclassica si fonde su 2 tesi nel campo dell’economia monetaria: 1. moneta = “velo” che copre la dimensione reale dell’economia; 2. moneta = svolge 2 funzioni: I. NUMERARIO ( unità di conto); II. MEZZO DI SCAMBIO. ovvero serve ad attribuire un valore alle merci e agisce come strumento di agevolazione delle transazioni. Keynes ritiene infondate entrambe le tesi ed elabora a tal fine una struttura teorica fondata su un’approfondita analisi delle determinanti della domanda e dell’offerta. Critica alla teoria quantitativa della moneta Si ricorderà che l’equazione degli scambi è MV = PQ M = massa monetaria in circolazione (offerta di moneta); V = velocità di circolazione della moneta (pagamenti effettuati in una unità di tempo); P = livello generale dei prezzi; Q = quantità di beni e servizi prodotta. Gli economisti neoclassici assumevano come costanti V e Q. Di conseguenza,l’aumento dell’offerta di moneta si traduce unicamente in un aumento nella stessa proporzione genera solo INFLAZIONE. La critica di Keynes si svolge proprio all’assunto che Q sia dato,avendo dimostrato che un’economia di mercato tende a generare DISOCCUPAZIONE, poiché le risorse non sono tutte occupate, la quantità prodotta può essere accresciuta. Segue che AUMENTO DELL’OFFERTA Teoria neoclassica genera solo Inflazione Teoria keynesiana genera un aumento dell’occupazione e della produzione. Per Keynes la moneta non è neutrale. Keynes individua 3 MOVENTI per i quali gli individui domandano moneta e 3 TIPOLOGIE di DOMANDA di MONETA. a) la domanda di moneta per scopi transattivi (L1) ovvero quella destinata a far fronte ai pagamenti correnti; Keynes assume che L1 sia crescente al crescere del reddito, in ragione del fatto che tanto > è il reddito, tanto > è ragionevolmente la spesa che gli individui effettuano. La domanda di moneta L1 è rappresentata graficamente come una curva decrescente in funzione del reddito. Per semplicità assumiamo che la funzione sia una retta: 27 b) la domanda di moneta per scopo precauzionale (L2). L’economia descritta da Keynes è un’economia nella quale l’incertezza domina le scelte di tutti gli altri operatori. In tali condizioni, è ragionevole domandare moneta per detenerla, ovvero per fra fronte a pagamenti futuri, la cui necessità e il cui ammontare sono incerti. Naturalmente, il livello del tasso di interesse (i) influisce su queste scelte, nel senso che tanto > è i tanto > è il costo opportunità detenendo moneta liquida. L2 e i sono legati da una relazione inversa: In più in condizioni di elevata incertezza, gli individui tendono a manifestare un’elevata preferenza per la liquidità, ovvero tendono a porre in primo piano il primo bisogno di sicurezza. In tal senso, la moneta è anche riserva di valore, essendo domandata non solo per effettuare spese correnti, ma anche per far fronte a eventi futuri incerti. Più che la moneta è riserva di valore, equivale sostanzialmente a dire che la moneta non è richiesta solo per la sua utilità indiretta ma anche per la sua utilità diretta. c) la domanda per scopi speculativi (L3). È la domanda di moneta che viene espressa da coloro che oprano in borsa, acquistando e/o vendendo titoli. I titoli ai quali ci si riferisce sono azioni → quote di proprietà di imprese →la proprietà di azioni dà diretto a ricevere un dividendo, ovvero una somma di moneta il cui importo dipende dai profitti che l’impresa ha ottenuto e dal tasso di interesse. Sono inoltre titoli anche le obbligazioni = cioè i prestiti che le imprese ricevono e per le quali si impegnano a pagare un interesse (CEDOLA) a scadenze regolari. Il prezzo del titolo (o corso) si muove in relazione inversa rispetto al tasso di interesse: Pt R i Pt = prezzo del titolo; R = rendimento (quanto si ottiene dalle cedole); i = tasso di interesse CICLO DI BORSA Supponiamo che il tasso di interesse corrente sia considerato basso (il prezzo dei titoli è quindi alto) e che, perciò gli operatori si attendono un aumento (riduzione prezzo titoli). In tali circostanze (TENDENZA RIBASSISTA), conviene vendere, ovvero domandare moneta. 28 Un massiccio aumento di vendite determina una riduzione dei prezzi dei titoli (aumento del tasso di interesse). La tendenza prosegue fino a quando gli operatori non cominciano a considerare ALTO TASSO DI INTERESSE BASSO PREZZO DEI TITOLI In tali circostanze conviene acquistare, ovvero ridurre la domanda di moneta per scopo speculativi. Si determina una svolta e si avvia la TENDENZA RIALZISTA. In conclusione nel modello keynesiano: la domanda di moneta è funzione diretta del reddito e funzione inversa del tasso di interesse. TRAPPOLA DELLA LIQUIDITÁ = una condizione nella quale il tasso di interesse è considerato così basso da indurre gli individui a non domandare, più titoli, bensì a domandare soltanto moneta Il fenomeno è rappresentato così graficamente: Posta la DOMANDA di MONETA (L) sulle ascisse e il TASSO di INTERESSE (i) sulle ordinate si mostra come la relazione inversa fra le due variabili sussiste solo fino a quando non si raggiunge il tasso di interesse giudicato minimo. Oltre a quel punto, la curva di domanda di moneta diventa asintotica1 all’asse della ascisse, il che significa che la domanda di moneta tende all’infinito, cioè gli speculatori non sono disposti ad acquistare titoli (perché prevedono una diminuzione del loro corso in seguito ad un probabile aumento del tasso di interesse) e trattengono presso di loro tutta la moneta di cui vengono in possesso. Vediamo come è possibile determinare il valore di equilibrio del tasso di interesse sul mercato monetario. Al grafico precedente, aggiungiamo alla domanda di liquidità (L), l’offerta di moneta (M) che, essendo decisa dalle autorità monetarie, deve essere considerata indipendente dal tasso di interesse. L’offerta si rappresenta come una variabile esogena (cioè come una retta verticale parallela all’asse dove è misurato il tasso di interesse). L’incontro tra domanda e offerta di moneta determina il tasso di interesse di equilibrio Le . 1 Retta cui una curva data si avvicina indefinitamente senza mai toccarla. 29 Si può notare che l’incremento dell’offerta di moneta può fare scendere il tasso di interesse e per questa via può stimolare una crescita degli investimenti. Un incremento dell’offerta da M1 a M2 fa infatti diminuire il tasso di interesse da i1 a i2. Tuttavia l’incremento dell’offerta di moneta diviene inefficace quando siamo in una situazione di trappola di liquidità. Il passaggio dall’offerta M3 a M4 lascia infatti invariato il tasso di interesse minimo, perché gli speculatori ormai convinti che il corso dei titoli scenderà nel futuro, trattengono presso di loro tutta la moneta di cui entrano in possesso. PROBLEMA DELL’INFLAZIONE Modello neoclassico Modello keynesiano Dipende da un eccesso di offerta di moneta, sulla Dipende da un eccesso di domanda aggregata (cioè base dell’equazione degli scambi su cui si basa la l’eccesso della domanda effettiva rispetto alla teoria quantitativa della moneta domanda potenziale di piena occupazione). Infatti se tutte le risorse fossero occupate in modo efficiente, l’aumento degli investimenti e/o consumi non potrebbe che dar luogo ad un aumento generalizzato dei prezzi, dal momento che non esistono fattori produttivi da occupare e retribuire, ma soltanto fattori produttivi già occupati e retribuiti. L’INTERVENTO PUBBLICO: POLITICA MONETARIA e POLITICA FISCALE Avendo dimostrato che un’economia di mercato produce spontaneamente un’allocazione delle risorse non ottimale, in particolare genera disoccupazione, Keynes volge la sua attenzione alle misure di politica economica più efficaci per accrescere l’occupazione. I responsabili della politica economica dispongono di due leve per il governo dell’economia: POLITICA MONETARIA POLITICA FISCALE È gestita dalla Banca Centrale e il suo principale È gestita dal governo e consiste nella manovra delle strumento è la manovra del tasso ufficiale di sconto IMPOSTE (costituiscono una decurtazione del (TUS = tasso di interesse che la banca centrale reddito dei consumatori e il loro aumento riduce la applica nelle operazioni di risconto con le banche domanda aggregata) e SPESA PUBBLICA: ordinarie). 30 L’aumento del TUS configura una politica monetaria - IMPOSTE DIRETTE: ovvero le imposte che restrittiva, mentre la riduzione del TUS dà luogo a gravano sul reddito delle famiglie; una politica monetaria espansiva. - IMPOSTE INDIRETTE: ovvero quelle che Un altro strumento della politica monetaria è il gravano sui prezzi di vendita dei beni; controllo dell’offerta di moneta. - SPESA PUBBLICA: non è altro che Un’espansione dell’offerta di moneta, quando noi ci l’immissione di moneta nel circuito troviamo in una situazione di trappola della liquidità, economico da parte dello Stato; si capisce causa una diminuzione del tasso di interesse e ha che il suo aumento comporta un aumento effetti reale sulla domanda aggregata, stimolando un del reddito dei consumatori e dunque della aumento degli investimenti. domanda aggregata. All’opposto, una diminuzione dell’offerta di moneta AUMENTO SPESA PUBBLICA => politica espansiva; causa un incremento del tasso di interesse e di AUMENTO IMPOSTE => politica restrittiva conseguenza scoraggia gli investimenti. L’elaborazione sin qui esposta può essere rielaborata così: G = spesa pubblica; T = imposizione fiscale La domanda aggregata diviene DA C I G La condizione di equilibrio è Y C I G dove G ne accresce il valore. La spesa pubblica è un flusso in entrata. L’imposizione fiscale è un flusso in uscita perché diminuisce il reddito disponibile ( Yd Y T ) sulla base del quale, le famiglie possono prendere le loro decisioni di consumo e di risparmio. Evidentemente la parte del reddito che si risolve in imposte non è a disposizione delle famiglie. La funzione del consumo diviene quindi ora: C Co cYa C Co c(Y T ) Vediamo come si modifica l’equazione dell’equilibrio y 1 (Co I ) . 1 c Sostituiamo nell’equazione Y C I G , la funzione del consumo dell’equazione C Co cYa e otteniamo: Y Co c(Y T ) I G da questa equazione possiamo ottenere Y cY Co cT I G Y (1 c) Co Y i cT otteniamo finalmente l’equazione di equilibrio Y 1 (Co I G cT ) 1 c Riprendendo il grafico dell’equilibrio del reddito con la retta a 45° si mostra che per raggiungere il reddito potenziale Y*,lo Stato deve effettuare una manovra espansiva cioè aumentate la spesa pubblica, in modo da far spostare la semiretta C+I verso l’alto fino a raggiungere la semiretta C+I+G. Ovviamente la distanza tra queste due semirette è data dall’ammontare della spesa pubblica G. Come sappiamo, al pari degli investimenti, la spesa pubblica è una spesa autonoma rispetto al reddito. 31 Ciò significa che nel nostra grafico un incremento della spesa pubblica fa spostare verso l’alto la curva della domanda aggregata parallelamente a se stessa. La condizione di equilibrio può essere esposta anche come uguaglianza tra flussi in entrata e flussi in uscita. Abbiamo dunque: S T I G ( S I ) (T G ) Considerando un sistema economico con due settori (pubblico e privato) perché l’economia sia in equilibrio macroeconomico non è necessario che il saldo di ciascun settore sia in equilibrio ( cioè che I = S e G = T), basta che sia in equilibrio il saldo complessivo del sistema. In questo senso, quando si verifica un saldo NEGATIVO del settore pubblico (entrate fiscali < spesa pubblica) può garantire ugualmente una condizione di equilibrio. Si osservi che non vi è alcuna ragione per la quale la spesa pubblica debba essere coperta da un pari ammontare di imposte, così da ottenere il bilancio dello Stato in pareggio. Secondo gli economisti neoclassici, lo stato dovrebbe rispettare il principio di finanza sana, ovvero dovrebbe cercare di mantenere sempre in equilibrio entrate e uscite. Ma siccome risulta che le spese sono sempre eccedenti le entrate, lo Stato potrebbe indebitarsi e trasferire l’onere sulle generazioni future spendendo senza copertura. La politica economica keynesiana è una politica di deficit spending, ovvero la spesa pubblica in disavanzo. CRESCITA E INSTABILITÁ Differenza tra concezione keynesiana e quella neoclassica dello sviluppo economico attiene al diverso ruolo che svolgono nelle due teorie dei risparmi e dei consumi. Secondo la teoria neoclassica, il SISTEMA tende all’equilibrio di piena occupazione. Di conseguenza, le risorse per gli investimenti che nel lungo periodo determinano la crescita della capacità produttiva e lo sviluppo economico, non possa che venire dal risparmio. Nella teoria keynesiana, il SISTEMA non tende alla piena occupazione. In questa situazione una parte della capacità produttiva non è sfruttata in pieno e gli investimenti sono scarsamente stimolati. In questa situazione non c’è quindi bisogno di rinunciare al consumo dato che esistono risorse non utilizzate che possono essere impiegate e addirittura un aumento del CONSUMO, stimolando la domanda e la crescita del reddito di breve periodo, può indurre un clima più favorevole agli investimenti e crescita della capacità produttiva. Su una prospettiva leggermente diversa si indirizzarono HARROW e DOMAR elaborando 2 modelli: Obiettivo: individuazione delle condizioni che consentono una crescita economica equilibrata, ovvero incremento nel tempo del reddito e per crescita in equilibrio un tasso di crescita tale da garantire l’uguaglianza tra risparmi e investimenti. Per comprendere il modello HARROD – NARROW occorre tener presente la doppia natura degli investimenti: - mentre vengono effettuati, per esempio nel periodo t, essi sono una componente della DOMANDA; 32 - una volta effettuati, ad esempio nel periodo t+1, gli investimenti fanno aumentare lo stock di capitale esistente, cioè fanno accrescere la capacità produttiva. Si pongono le seguenti ipotesi: a) il RISPARMIO è funzione crescente del REDDITO S t sYt dove s è la PROPENSIONE al RISPARMIO. Per semplicità supponiamo che la COMPONENTE AUTONOMA del CONSUMO Co sia pari a 0 (come si nota questa non è altro che la funzione keynesiana del RISPARMIO con la sola aggiunta dell’indice temporale). b) gli INVESTIMENTI sono funzione crescente dell’incremento del REDDITO (pari all’incremento della domanda) ovvero: I t bDY y dove b è l’ACCELERATORE. Il PRINCIPIO ACCELERATORE che caratterizza questo modello stabilisce che, al crescere della domanda, potendo vendere quantità > di beni, le imprese accrescono la loro capacità produttiva Lo accrescono in ragione di un coefficiente (b) che riflette il grado di utilizzazione degli impianti. Infatti, perché il REDDITO cresca da un periodo all’altro è necessario che il capitale, da cui dipende la capacità produttiva, cresca in modo tale da rendere possibile la crescita della produzione. Il COEFFICIENTE b indica il rapporto tra CAPITALE in condizione normale di utilizzazione degli impianti, REDDITO cioè quanto CAPITALE occorre per produrre un’unità di REDDITO. Di conseguenza moltiplicando b • ∆Y (variazione del reddito) otteniamo ∆K (variazione del capitale) necessario. L’ipotesi su cui si basa il principio dell’acceleratore è che gli imprenditori operino in maniera da mantenere costante il rapporto tra lo stock di capitale impiegato e il livello di produzione, cioè il rapporto tra CAPITALE e PRODOTTO. b K Y K = valore di capitale In un anno iniziale abbiamo Kt = bYt . Se per l’anno successivo l’impresa si attende una variazione di un determinato ammontare del reddito prodotto, adotterà di conseguenza il suo capitale. Ovviamente la variazione del capitale ∆Kt non è altro che l’investimento che viene effettuato nel periodo t e che fa crescere lo stock capitale nel periodo di tempo t+1. Di conseguenza la variazione del capitale tra il periodo di tempo t e il periodo t+1 sarà l’investimento e sarà poi all’inizio pari a I t bYt . L’equilibrio si realizza quando il capitale desiderato nel periodo t sarà esattamente = al capitale effettuato nello stesso periodo. Perché si abbia equilibrio occorre che il reddito effettivamente realizzato nel periodo di tempo t+1 corrisponda esattamente al reddito previsto nel periodo precedente, di modo che gli investimento realizzati nel periodo di tempo t facciano crescere il capitale nel modo esattamente necessario. Occorre individuare il TASSO di CRESCITA di EQUILIBRIO,ovvero quello che garantisce l’uguaglianza tra risparmi e investimenti. 33 sYt bYt Questo tasso è definito da Harrod TASSO GIUSTIFICATO di CRESCITA, dal quale si ricava il TASSO GIUSTIFICATO di CRESCITA di EQUILIBRIO. Yt s Yt b Tale tasso è tanto > quanto > è la propensione al risparmio. Gw Ciò sta a significare che la crescita economica non è trainata dai consumi e dalla domanda aggregata come dovrebbe succedere nel modello keynesiano. Approfondendo le implicazioni del modello Harrod – Domar, si può giungere a una conclusione diversa. Si consideri il caso in cui il tasso effettivo di crescita (G*) sia inizialmente diverso dal tasso garantito (Gw). Si consideri il caso in cui G*>Gw. Se G*>Gw, deve essere che I>S. Infatti in questo caso rifacendoci all’equazione Gw Yt s Yt s dovremmo avere cioè bYt sYt . Yt b Yt b A fronte di questo eccesso di domanda aumentano i prezzi. L’aumento dei prezzi spinge le imprese ad accrescere i propri investimenti in vista dei propri profitti attesi, determinando un aumento della differenza I – S. Si consideri il caso opposto, nel quale G*< Gw ovvero I < S. Infatti in questo caso, rifacendoci all’equazione Gw Yt s Yt s dovremmo avere cioè Yt b Yt b bYt sYt . In questo caso si determina una carenza di domanda e una diminuzione dei prezzi che spinge gli imprenditori a diminuire ulteriormente gli investimenti, il che accentua ulteriormente lo squilibrio fra risparmi e investimenti. La ragione per cui esso si produce è la sfasatura temporale tra i due effetti degli investimenti. 0. un INVESTIMENTO rappresenta oggi (periodo t) una componente della domanda; 1. se oggi si è investito troppo rispetto ai RISPARMI, si realizza una DOMANDA > di quanto il capitale attuale consente di produrre; 2. se oggi si è investito troppo poco rispetto ai RISPARMI si realizza una domanda attuale insufficiente rispetto alla capacità produttiva attuale e di conseguenza gli imprenditori investono ancora meno in futuro, anche in questo caso aggravano lo squilibrio futuro. In conclusione: il modello Harrod – Domar descrive un’economia nella quale, a fronte di un iniziale disequilibrio, non esistono meccanismo endogeni tali da ripristinare l’equilibrio. In altri termini, il modello Harrod – Domar descrive il capitalismo come un sistema altamente instabile nel senso che, da un lato, soltanto per caso, la crescita economica può avvenire in equilibrio e dall’altro, se non vi è equilibrio nella posizione iniziale, i meccanismi di mercato tendono spontaneamente ad amplificare lo squilibrio e a generare instabilità. 5. MODELLO IS – LM Nel 1937, con un famoso articolo , HICKS si propose di sintetizzare la teoria neoclassica e quella keynesiana, costruendo il modello IS – LM. Questo modello prende in considerazione il MERCATO REALE e il MERCATO DELLA MONETA considerando le =S reciprocheIinfluenze dell’uno sull’altro e si propone di studiare l’equilibrio simultaneo nei mercati dei beni idalla condizione I Se (dato I = S) e della moneta. I S MERCATO REALE Per Y S Cominciamo dall’analisi del mercato reale (I = S). secondo la teoria keynesiana, i risparmi dipendono dal livello del reddito, più aumenta il reddito e più aumentano i risparmi delle famiglie. 34 Gli investimenti dipendono dall’interesse: più è basso il tasso di interesse e più gli imprenditori sono disposti ad investire. Da ciò deriva che la relazione che lega il tasso di interesse e reddito nel mercato reale è una relazione “inversamente proporzionale” = a tassi di interesse più bassi corrispondono livelli di reddito più alti, dato che aumentano gli investimenti. Infatti, supponiamo che il tasso di interesse salga: gli imprenditori riducono la loro domanda di investimenti. A questo punto si abbassa anche la domanda aggregata (di cui gli investimenti sono una componente essenziale). Per arrivare all’uguaglianza investimenti = risparmi, è necessaria una riduzione del reddito che implica la riduzione dei risparmi (essendo funzione diretta del reddito). Quindi, ad ogni livello del tasso di interesse corrisponde un livello di reddito tale da rispettare l’equilibrio tra risparmi e investimenti e viceversa. Curva IS Tale curva è il luogo geometrico di tutti i possibili punti di equilibrio tra interesse e reddito (quando i risparmi sono = agli investimenti) sul mercato reale (o dei beni). Per spostare questa curva occorre l’aumento della spesa pubblica che fa aumentare il reddito anche se si riducono le imposte. È decrescente, infatti: a valori più alti del tasso di interesse (i1) corrispondono valori più bassi del reddito (y1) e a valori più alti del reddito (y2) corrispondono valori più bassi del tasso di interesse. Costruzione curva IS 35 Che succede se il mercato reale si trova in un punto al di sotto o al di sopra della curva? Gli altri punti del grafico che non appartengono alla curva IS sono punti di disequilibrio in quanto non viene soddisfatta la condizione I = S, ma dove gli I possono essere > dei risparmi o viceversa. - se I > R = il punto 1 è al di sotto della curva e in questo caso il tasso di interesse è più alto rispetto al livello del reddito che aumenta. Di conseguenza, gli investimenti tendono ad aumentare e a far crescere il reddito fino a che il mercato non raggiunge un punto sulla curva. se R > I = il punto 2 è al di sopra della curva e avviene il contrario del punto 1 (In generale, sono i movimenti del reddito, dato il tasso di interesse a garantire la convergenza verso la curva) MERCATO MONETARIO L=M Se i L2 LM Per Y L1 Analizziamo ora il mercato della moneta. Qui l’equilibrio è dato dall’uguaglianza tra offerta e domanda di moneta (L = M). L’offerta di moneta è considerata esogena,cioè un dato determinato dalle autorità monetarie. La domanda di moneta, invece, ha diverse componenti; è in questo contesto che ne prendiamo in considerazione 2: 1. DOMANDA DI MONETA A SCOPO DI TRANSAZIONI: che varia in modo direttamente proporzionale al reddito (L1); 2. DOMANDA DI MONETA A SCOPO SPECULATIVO: che varia in modo inversamente proporzionale al tasso di interesse (L2). Individuiamo la precisa relazione che lega il reddito e il tasso di interesse sul mercato monetario. Infatti, supponiamo che il reddito salga: con un reddito più alto, il pubblico chiede più moneta per le transazioni. La domanda di moneta a scopo speculativo, invece,dipende dal tasso di interesse e può diminuire se questo aumenta. Ad ogni livello del tasso di interesse corrisponde un livello del reddito tale da rispettare l’equilibrio domanda e offerta di moneta. Quindi, la relazione che lega tasso di interesse e reddito nel mercato monetario è una relazione direttamente proporzionale: a tassi di interesse più bassi, corrispondono livelli di equilibrio del reddito più bassi, dato che aumenta la quantità di moneta detenuta per motivi speculativi e diminuisce di conseguenza la quantità di moneta a disposizione delle famiglie per le transazioni. Curva LM Luogo geometrico di tutti i possibili punti di equilibrio tra interesse e reddito (quando la domanda di moneta è = all’offerta) sul mercato monetario. 36 Nel mercato monetario, - a valori più bassi del tasso di interesse corrispondono valori più bassi del reddito; - a valori più alti del reddito corrispondono valori più alti del tasso di interesse. Costruzione curva LM Che succede se il mercato monetario si trova al di sopra o al di sotto della curva LM? 0. Quando il mercato monetario si trova in un punto al di sotto di LM, il tasso di interesse è troppo basso rispetto al reddito prevalente (ovvero la domanda speculativa è troppo alta, data la domanda per transazioni), cioè si verifica un eccesso di domanda, data l’offerta. Gli operatori vendono i titoli per procurarsi moneta , il corso dei titoli scende e il tasso di interesse sale, finchè il mercato raggiunge un punto sulla curva LM; 1. L’inverso avviene se il mercato monetario si trova in un punto sopra la curva LM, in generale, ora sono i movimenti del tasso di interesse, fermo restando il reddito, a determinare la tendenza verso l’equilibrio. L’equilibrio simultaneo In un solo punto le 2 curve si incontrano, cioè in un solo punto il mercato reale e il mercato monetario sono simultaneamente in equilibrio, date le decisioni di tutti gli operatori economici. m L1 y L2 i p m = moneta (costante) 37 p = livello dei prezzi ( variabile) Esiste un meccanismo per il quale dal punto A si arrivi al punto di equilibrio? In corrispondenza del punto A (punto di equilibrio nel mercato dei beni ma punto di disequilibrio nel mercato monetario, I = S ma L M) il tasso di interesse è troppo alto per garantire lo spostamento da A a E. A L2 L2 * Y L1 S Per I S i i da A a E aumento del risparmio genera un aumento del reddito; generale diminuzione del tasso di interesse che aumenta gli investimenti 6. CURVA DI PHILLIPS •S 2 1 NAIRU Non Acelerating Inflaction Rate of Unemployment Phillips, con un’analisi empirica, nel 1958 rilevò l’esistenza di una relazione inversa fra disoccupazione e tasso di variazione dei salari (e quindi inflazione). La spiegazione teorica proposta fu che all’aumentare del tasso di occupazione cresce il potere contrattuale dei lavoratori, quindi i salari monetari sono più alti e di conseguenza, a parità di profitto e produttività del lavoro, aumenta l’inflazione. 38 Supponendo di porre sull’asse delle ascisse il tasso percentuale della disoccupazione e sull’asse delle ordinate il tasso d’inflazione (o incremento nel tempo del livello generale dei prezzi), Phillips ha rilevato questa curva. La curva presenta 2 punti rilevanti: - punto A: indica il margine di disoccupazione ineliminabile (frizionale); - punto B (detto Nairu), in cui la curva incontra le ascisse: indica il tasso di disoccupazione naturale, cioè che non accelera l’inflazione. Proprietà della curva: 1. è decrescente: al crescere del tasso di inflazione, si riduce quello della disoccupazione; 2. è asintotica alle ordinate; 3. tocca le ascisse in un punto detto Nairu 1° proprietà: la curva è negativamente inclinata (decrescente): fra salario e occupazione, come abbiamo già detto, c’è un rapporto diretto (ossia, se aumenta l’occupazione, aumenta il salario). Se le imprese trasferiscono l’aumento del salario sul livello dei prezzi, allora l’aumento del salario produce l’aumento dei prezzi (e quindi l’inclinazione negativa). N W P 2° proprietà: esiste un margine di disoccupazione che è ineliminabile in ogni circostanza di tempo e luogo = tasso di disoccupazione frizionale (A) A: MISS MATCH → mancato incontra tra offerta e domanda di lavoro, dovuto a carenze informative. 3° proprietà: l’intercetta delle ascisse (punto in cui la curva incontra l’asse delle ascisse) incontra un punto chiamato Nairu → indica il tasso di disoccupazione naturale, cioè che non accelera l’inflazione. Cosa determina la posizione del punto nairu sulle ascisse? La posizione teorica più accreditata in ambito neoclassico fa riferimento al potere contrattuale dei sindacati = il nairu è tanto > quanto > è il potere contrattuale dei sindacati. Cioè, tanto > è l’intervento esterno, tanto maggiore è la disoccupazione. Quindi, se i sindacati sono forti, la curva si sposta verso destra (dalla 1 alla 2 sul grafico sopra) perché per moderare le loro richieste deve essere alto il tasso di disoccupazione. Per Keynes il nairu è tanto maggiore quanto minore è la domanda aggregata. Accanto a questa definizione, se ne affianca un’altra post - keynesiana, secondo la quale “ perché il tasso di inlfazione venga azzerato, occorre un maggiore tasso di disoccupazione”. Fino alla metà degli anni 70 la curva di Phillips è stata molto usata dai governi per programmare i loro interventi economici: questa curva veniva presentata ai ministri dell’economia dell’epoca e questi dovevano scegliere se posizionarsi + in basso o + in alto: PUNTO 1 (sul grafico) MASSIMA DISOCCUPAZIONE MINIMA INFLAZIONE PUNTO 2 (sul grafico) MINIMA DISOCCUPAZIONE MASSIMA INFLAZIONE 39 Poi si è verificato il fenomeno della stagflazione (alta disoccupazione associata ad elevata inflazione) che durò fino alla 1° metà degli anni 80. (le combinazioni di queste due grandezze – inflazione e disoccupazione -,nelle economie industriali sono andate quindi a posizionarsi a destra della curva) Ciò ha comportato la crisi della teoria keynesiana, secondo la quale non possono esserci contemporaneamente inflazione e disoccupazione. Perché avviene il fenomeno della stagflazione? Questo fenomeno è stato determinato dalla crisi petrolifera. L’ OFEC (organizzazione esportatrice del petrolio) quadruplica il prezzo del petrolio e questo ha un effetto negativo sui consumatori. Cosa succede all’Italia che dipende dall’OFEC? Si ha una condizione di crisi con il tasso di inflazione molto alto. Sono apparse pertanto due nuove scuole che si richiamano alla tradizione neoclassica, ed il cui obiettivo comune è spiegare la stagflazione: 1. MONETARISMO di Milton Friedman 2. NMC, ovvero nuova macroeconomia classica, i cui principali esponenti sono Lucas, Sargent, Laffer 1. Friedman sostiene questa tesi: “ciò che ci aspettiamo dal futuro è circa uguale a ciò che stiamo sperimentando oggi”. La scuola di Friedman critica innanzitutto la teoria keynesiana delle aspettative, chiedendosi come sia possibile che gli operatori non abbiano qualche elemento su cui fondare più o meno razionalmente le previsioni sul futuro, e concludendo che invece ciò è possibile. A tal proposito elabora la TEORIA DELLE ASPETTATIVE ADATTIVE. Secondo questa ipotesi il livello dei prezzi atteso (pe ) è circa uguale a quello del periodo precedente: Livello dei prezzi atteso p e p t 1 t t Livello dei prezzi atteso del periodo precedente Supponiamo di partire da una situazione iniziale di massima occupazione (pari al Nairu). 40 Il Governo, se di ispirazione keynesiana, accrescerà la spesa pubblica (portando il sistema al punto A) che implica la massima occupazione e quindi, la sua lotta, determina l’inflazione. Questo porta all’aumento del salario effettivo che porta a due implicazioni: - aumento del salario reale; essendo aumentati i prezzi, però, aumenterà anche l’aspettativa sui prezzi futuri, diminuendo il salario reale atteso. A queste condizioni ai lavoratori non converrà offrirsi e pertanto l’occupazione diminuirà, tornando al livello del Nairu (punto B della figura). Il meccanismo funzionerà così nel tempo, generando inflazione. Poiché il Nairu, per i neoclassici, è determinato dal potere contrattuale dei sindacati, per ridurre la disoccupazione, l’unica soluzione è indebolire i sindacati. 2. Gli allievi di Friedman sono ancora più radicali: “ ciò che sarà domani è uguale a oggi”. Si arriva alla TEORIA DELLE ASPETTATIVA RAZIONALI : il livello dei prezzi atteso è circa uguale a quello che effettivamente si verificherà. Se il Governo, partendo dal Nairu, aumenta la spesa pubblica, i lavoratori, che già sanno che ciò accrescerà l’inflazione, reagiranno subito non offrendosi sul mercato del lavoro: la curva di Phillips è verticale già nel breve periodo. Sia Friedman sia la NMC confermano il principio neoclassico della neutralità della moneta, riaffermando la validità della teoria quantitativa (se lo Stato immette moneta nel sistema genera solo inflazione, senza sortire effetti sulle variabili reali). I suggerimenti conseguenti sono: - minimo intervento pubblico; - pareggio di bilancio, - flessibilità del mercato del lavoro, - riduzione delle aliquote di imposta (intervento proposto soprattutto da Laffer). 7. CURVA di LAFFER = reddito fiscale delle imposte Supponiamo di avere sull’asse delle ascisse (x) le aliquote delle imposte e sull’asse delle ordinate il reddito fiscale (ossia ciò che lo stato ricava dall’imposizione fiscale). Come si vede nel grafico, la relazione tra aliquota e gettito fiscale è definita da una parabola = se lo Stato applica un’aliquota pari a 0, il gettito sarà ovviamente nulla (cioè lo Stato ricava 0). Se lo Stato applica un’aliquota che è del 100% anche il questo caso il gettito è nullo perché non si ha nessuna convenienza a lavorare. 41 Secondo Laffer, l’aliquota di imposta funzione come incentivo o disincentivo al lavoro = infatti se ci spostiamo dal 100% all’origine degli assi dovremmo avere un effetto di incentivazione al lavoro: questo effetto è “più ti detasso, più ti invito a lavorare”. I soggetti che subiscono la detassazione sono le imprese. Perché la curva di Laffer si può spostare in alto? - aumento demografico; riduzione dell’evasione fiscale. Quali sono i soggetti che bisogna detassare per accrescere la domanda aggregata? Conviene detassare i lavoratori e non i datori di lavoro. Il modello della domanda e dell’offerta macroeconomiche La teoria macroeconomica affronta l’analisi del rapporto tra livello dei prezzi e reddito o produzione aggregata. Come variano offerta e domanda macroeconomiche in funzione del livello dei prezzi? OFFERTA MACROECONOMICA Per offerta macroeconomica si intende la relazione esistente tra le quantità di beni e servizi che l’insieme delle imprese è disposto ad offrire e il livello dei prezzi. Se i salari monetari restano costanti, ad un aumento del livello dei prezzi corrisponde una diminuzione dei salari reali,le imprese sono indotte ad assumere più lavoro e la produzione cresce. Risulta quindi facilmente intuibile che la curva di offerta macroeconomica è inclinata positivamente.. Per bassi livelli del reddito e della produzione nel sistema economico vi è un alto livello di disoccupazione e gli impianti sono scarsamente sfruttati: eccesso di capacità produttiva. In questa situazione è facile intuire che un piccolo aumento dei prezzi fa crescere sensibilmente la produzione poiché i costi unitari non crescono o crescono poco. La curva di offerta macroeconomica ha dunque un primo tratto molto piatto o elastico. Per alti livelli di prodotto gli impianti sono già sfruttati in modo consistente e la disoccupazione è relativamente bassa: i costi di produzione aumentano rapidamente al crescere della disoccupazione e di conseguenza ad un consistente aumento del livello dei prezzi corrisponde un piccolo incremento della produzione. La curva di offerta macroeconomica ha dunque un tratto finale molto rigido o rigido, che tende a diventare verticale man mano che ci si avvicina al limite della capacità produttiva del sistema economico. Poiché in ogni dato momento le risorse a disposizione sono date, si deve infatti concludere che la produzione non può essere aumentata oltre questo limite. 42 Come la curva AS dell’offerta macroeconomica tenda a divenire sempre più rigida, fino ad assumere, in corrispondenza della massima produzione ottenibile date le risorse e gli impianti a disposizione della società, una pendenza verticale. Come si vede, quando: - il reddito è relativamente basso (come a livello Y1) un piccolo incremento dei prezzi da P1 a P2 è in grado di far crescere la produzione offerta in modo consistente fino a Y2; - il reddito è relativamente alto rispetto alla capacità produttiva a disposizione della società provoca un piccolo incremento dell’offerta da Y3 a Y4. DOMANDA MACROECONOMICA Per domanda macroeconomica si intende la relazione esistente tra le quantità di beni e servizi domandate dall’insieme delle famiglie e il livello dei prezzi. Occorre far attenzione a non confondere la domanda macroeconomica che chiameremo AD con la domanda aggregata DA (quest’altra è infatti stata tracciata supponendo costante il livello dei prezzi). Come possiamo intuire, si assume che la domanda macroeconomica abbia una pendenza negativa, che cioè la diminuzione del livello dei prezzi abbia come conseguenza una crescita della domanda. Facciamo riferimento a due effetti: 1. EFFETTO PIGOU o dei saldi monetari reali: in mercati monetari concorrenziali, se esiste disoccupazione si riducono i salari monetari; a parità di prezzi, le imprese sono indotte ad accrescere l’occupazione e la produzione; il che determina una riduzione dei prezzi stessi. Essendo ora aumentato il potere d’acquisto dei lavoratori – consumatori, cresce la domanda aggregata e, dunque, aumenta ulteriormente l’occupazione. Secondo gli economisti neoclassici, il processo continua fino a quando la disoccupazione non viene interamente riassorbita. In sostanza: una variazione del livello dei prezzi può stimolare o frenare i consumi: la giustificazione di quest’idea è che la ricchezza di una famiglia non è composta solo dal reddito corrente, ma anche dalle scorte monetarie accumulate nel passato. Ne segue che se i prezzi diminuiscono, il valore reale di quelle scorte aumenta e le famiglie saranno disposte ad aumentare i consumi. 2. EFFETTO KEYNES o effetto del tasso di interesse: in seguito a una riduzione dei prezzi, per far fronte ai loro pagamenti, le imprese hanno bisogno di una quantità di moneta inferiore. La conseguente riduzione della domanda di moneta rivolta al sistema bancario si accompagna a una riduzione del tasso di interesse e quindi a un aumento degli investimenti e dell’occupazione. Questo effetto fu considerato da Keynes poco probabile nella realtà, dal momento che le banche reagiscono normalmente a una riduzione della domanda di moneta come riduzione dell’offerta di moneta, non con una variazione del tasso di interesse. Infine, una diminuzione dei prezzi all’interno di un paese, fermo restando il tasso di cambio con le altre monete,stimola le esportazioni. Tutte queste ragioni spiegano perché la curva di domanda macroeconomica è inclinata negativamente. 43 In generale, gli economisti keynesiani ritengono che la curva di domanda macroeconomica AD sia relativamente rigida. 8. LE TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE La riflessione sul tema del commercio internazionale fu connessa con il lento affermarsi di modelli di sviluppo tipicamente capitalistici e con l’emergere di indirizzi di politica economica tesi a determinare l’incremento della ricchezza all’interno dei singoli paesi. 1. La prima considerazione dei classici insiste sui vantaggi della specializzazione e della divisione del lavoro,così rilevanti sul piano interno, appaiono importanti anche sul piano degli scambi internazionali; 2. la seconda insiste su un elemento differenziale tra scambi interni e scambi internazionali. Mentre, sul piano interno si poteva ipotizzare la mobilità dei fattori,sul piano internazionale si doveva prendere l’avvio dall’ipotesi opposta: la sostanziale immobilità dei fattori produttivi. Smith applicò al commercio internazionale la sua analisi relativa ai positivi effetti sociale derivanti dalla specializzazione del lavoro e dalla straordinaria estensione delle attività individuali, determinate dalla ricerca del massimo vantaggio possibile, tipiche del capitalismo. Ciò che è vantaggioso per un individuo negli scambi interni, non può essere considerato svantaggioso sul piano degli scambi internazionali. Ogni individuo in possesso di un capitale si sforzerà di impiegarlo in modo che “il suo prodotto possa avere il massimo valore”. Ragionamento di Smith:ipotizzando rapporti di scambi tra due paesi A e B che producono due beni X e Y, utilizzando solo il fattore lavoro L. La tecnologia è rappresentata dalla produttività del fattore, il lavoro, in ognuna delle due industrie X e Y. La produzione avviene a rendimenti costanti, per cui il costo unitario di produzione è costante. La produttività è data dal rapporto tra la quantità di prodotto X e Y e la quantità di lavoro necessario a produrlo L. Nel paese A con un’ora di lavoro si producono 6 unità del bene X o 4 unità del bene Y. Nel paese B con un’ora di lavoro si producono 1 unità del bene X o 5 unità del bene Y. Beni/paesi X Y A 6 4 B 1 5 Alternativamente si può far riferimento alle unità di lavoro necessarie alla produzione di un’unità di ciascun bene: - nel paese A è sufficiente 1/6 di ore di lavoro (10) per produrre 1 unità del bene X mentre occorre ¼ (15) per produrre 1 unità del bene; nel paese B occorre 1 ora per produrre 1 unità del bene X e solo 1/5 di ore di lavoro (12) per produrre 1 unità del bene Y. Beni/paesi X Y A 1/6 = 10’ ¼ = 15’ B 1 = 60’ 1/5 =12’ Il paese A è più efficiente nella produzione del bene X e il paese B è più efficiente nella produzione del bene Y. Specializzandosi nella produzione del bene in cui sono più efficienti e scambiando i beni, entrambi i paesi possono trarre beneficio dal commercio internazionale poiché la produzione totale aumenta. 44 Smith riconosce i vantaggi assoluti che derivano dalla specializzazione e dal commercio internazionale. Ricardo considera esplicitamente il caso dei due paesi di cui uno è meno efficiente rispetto all’altro nella produzione di entrambi i beni. Secondo Ricardo, anche in questo caso, specializzazione e commercio internazionale risultano vantaggiosi per entrambi i paesi, a condizione che il paese più svantaggiato si specializzi nella produzione ed esportazione del bene nel quale ha un vantaggio comparato, cioè il suo svantaggio assoluto è inferiore. Perché si abbia commercio internazionale occorre, quindi, che lo svantaggio assoluto di un paese rispetto all’altro non sia nella stessa proporzione in entrambi i paesi. I vantaggi comparati vengono rappresentati dalla struttura dei costi comparati dati dal rapporto tra i costi unitari assoluti: 1. dei due beni nello stesso paese: 2. dello stesso bene nei due paesi XA/YA XA/XB XB/YB YA/YB L’esistenza di una differenza fra i costi comparati dei due paesi, A e B, nella produzione dei due beni X e Y, è condizione necessaria perché si abbia scambio internazionale. Beni/paesi X Y A 6 4 B 1 2 Nella tabella sopra, la produttività di A è il doppio di quella di B per il bene Y e sei volte tanto per il bene X, quindi il paese A ha un vantaggio comparato nella produzione di X ed il paese B ha un vantaggio comparato nella produzione di Y. Al fine di massimizzazione della produzione occorre, dunque, che il paese A si specializzi nella produzione del bene X ed il paese B nella produzione del bene Y. Con soli due paesi e due beni i vantaggi comparati sono necessariamente simmetrici per quanto riguarda la specializzazione produttiva, ma il rapporto di scambio (prezzo relativo) tra i due beni resta indeterminato. La legge dei costi comparati Il paese in cui si osserva il più basso costo – opportunità nella produzione di un bene ha un vantaggio comparato nella produzione di quel bene. Dato che il lavoro è l’unico fattore di produzione, il costo opportunità dipende esclusivamente dalla quantità di lavoro che entra nella produzione del bene. Il lavoro è perfettamente mobile all’interno dei paesi nella produzione dei due beni X e Y, ma è perfettamente immobile tra i paesi A e B. Il lavoro è omogeneo, cioè tutto il lavoro è per ipotesi ugualmente adatto alla produzione di entrambi i beni; la produzione avviene a costi costanti; la tecnologia è data dalle unità di ciascun bene che possono essere prodotte nell’unità di tempo. In assenza di commercio internazionale, i prezzi relativi dei beni sono uguali al rapporto tra le unità di lavoro necessarie a produrli. Per produrre un’unità di bene Y il paese A deve rinunciare ad 1,5 unità del bene X. Infatti nel paese A un’unità del bene Y richiede per essere prodotta un quarto d’ora. Poiché in un quarto d’ora è possibile produrre 1,5 unità di X, il costo opportunità di un’unità Y in termini di X è 1, 5. Se il paese in questione potesse importare 1 unità di Y cedendo meno di 1,5 unità di X avrebbe tutta la convenienza allo scambio internazionale. Per converso, il paese B, per produrre un’unità di X deve rinunciare a due unità di Y, il che equivale a dire che 2 è il costo opportunità in questo paese di un’unità di X in termini del bene Y. Di conseguenza, esso avrebbe tutta la convenienza ad importare il bene X quando deve cedere in cambio meno di due unità di Y. Per esempio, supponiamo che i due paesi si accordino per scambiare un’unità di X per un’unità di Y. 45 Tanto il paese A che B si troverebbero in condizioni migliori rispetto all’alternativa di produrre entrambi i beni al loro interno perché a questi rapporti di scambio dovrebbero rinunciare ad una quantità minore del bene nella cui produzione hanno un vantaggio comparato specializzandosi nella sua produzione e importando l’altro bene. Lo scambio internazionale permette ad entrambi i paesi di consumare una quantità di beni maggiori. Possiamo rappresentare questa situazione con la frontiera delle possibilità produttive: questa curva rappresenta le combinazioni possibili dei beni prodotti in ciascun paese utilizzando tutte le risorse a disposizione e le tecnologie più efficienti. Supponiamo che entrambi i paesi abbiano 100 ore di lavoro a disposizione per la produzione dei 2 beni. PAESE A: Prima dell’apertura al commercio internazionale il paese A potrebbe dedicare tutte le risorse nella produzione del bene X, producendo 600 unità, oppure nella produzione del bene Y, producendone 400, oppure potrebbe produrre una combinazione intermedia dei due beni. Poiché nel nostro esempio, la produttività resta costante graficamente questa situazione è rappresentata da una retta (che si ottiene unendo i punti tra le ascisse e le ordinate). La pendenza della curva è detta Saggio marginale di Trasformazione = rapporto tra la variazione del bene Y e la variazione di segno opposto del bene X, cioè rappresenta quanto si deve rinunciare del bene Y per ottenere un’unità in più del bene X. (Il SMT per A è 2/3, per B è 2) PAESE B: se volesse produrre solo il bene X otterrebbe 100 unità e se volesse produrre solo il bene Y otterrebbe 200 unità. In ragione di quanto detto prima, è come se la frontiera delle possibilità produttive del paese A ruotasse verso l’alto, fino a raggiungere una pendenza pari a 1, facendo perno sull’intersezione dell’asse delle ascisse. Il paese A, rinunciando alla stessa quantità di X, può ora consumare una maggiore quantità di Y. Analogamente, è come se la frontiera delle possibilità produttive del paese B ruotasse verso destra, facendo perno sull’intersezione sull’asse delle ordinate. Occorre avvertire che in presenza di commercio internazionale, i prezzi relativi non saranno più determinati dalle unità di lavoro necessarie a produrli nello stesso paese, ma potranno essere determinati solo dopo che ha avuto luogo lo scambio. 46 La domanda e l’offerta relative rappresentano la quantità di un bene che viene domandata o offerta rispetto alla quantità domandata e offerta dell’altro bene. Il prezzo relativo di un bene rispetto ad un altro si situerà ad un livello intermedio rispetto a quello precedente il commercio internazionale e sarà dato dal punto di intersezione tra la funzione di domanda relativa e la funzione di offerta relativa. La struttura produttiva Heckscher – Ohlin La struttura del commercio internazionale è dovuta alle diverse dotazioni di fattori che caratterizzano i diversi paesi e ne determinano la frontiera delle possibilità produttive. Secondo tale teoria, i flussi commerciali tra due paesi con identiche funzioni di produzione sono determinati dalle diverse dotazioni di fattori produzione = un paese esporterà beni prodotti con il fattore di produzione più abbondante al suo interno e importerà beni prodotti con il fattore di produzione più scarso. Dati due paesi A e B, due beni X e Y, due fattori K e L, sarà possibile determinare la dotazione relativa dei fattori per ciascun paese, in modo da poterne indicare uno ad alta intensità di capitale, se in tale paese il capitale è relativamente più abbondante del lavoro e l’altro ad alta intensità di lavoro. Il prezzo del fattore, la cui disponibilità è maggiore in un paese, sarà inferiore in quello stesso paese e pertanto si renderà più conveniente la specializzazione produttiva nel prodotto che fa un uso relativamente maggiore di tale fattore. Si dimostra pertanto che, se la dotazione di fattori è data e la tecnologia è in grado di identificare l’intensità fattoriale in modo non ambiguo, i paesi esportano i beni la cui produzione richiede un uso intensivo del fattore di cui dispongono in quantità relativamente più abbondante ed importano i beni la cui produzione richiede un uso intensivo del fattore relativamente più scarso sul mercato nazionale. Considerando la tecnologia un fattore di produzione si può ammettere che nella realtà la stessa tecnologia non è disponibile per tutti i paesi e trattarla nell’ambito della diversa dotazione di fattori tra i paesi. Dalla teoria di Heckscher – Ohlin, Samuelson fa discendere il teorema del pareggiamento dei fattori che afferma che “ se sono soddisfatte tutte le ipotesi suddette attraverso il commercio internazionale verranno eguagliate le remunerazioni dei fattori produttivi”. Una buona parte del commercio internazionale in prodotti industriali è dovuta alla differenziazione dei prodotti e alla produzione in presenza di economie di scala e quindi non rientra in questo schema interpretativo: 1. commercio inter – industriale = che è quello che riguarda i prodotti completamente diversi per i quali ogni paese è importatore o esportatore, è determinato dai vantaggi comparati ed è probabilmente più ampio quanto più grande è la differenza nella dotazione di fattori nei paesi. 2. commercio intra – industriale = riguarda prodotti differenziati, cioè prodotti ampiamente sostituibili tra loro, appartenenti ad una stessa industria e per i quali ogni paese può essere allo stesso tempo importatore ed esportatore. Esso sfugge a una chiara determinazione dei vantaggi comparati ed è più ampio fra economie di dimensione analoga e simile dotazione di fattori. Si può osservare che i paesi importano ed esportano gli stessi beni. Lo sviluppo del commercio internazionale e intra – industriale è determinato da una diversa tecnologia che offre la possibilità di sfruttare economie di scala nella produzione, attraverso una migliore utilizzazione dei fattori fissi nelle aziende. La concorrenza internazionale impone ad ogni impresa la specializzazione in una o poche varietà dello stesso prodotto, da produrre a costi unitari contenuti. Il commercio intra –industriale, offrendo un più ampio ventaglio di scelte a prezzi più bassi è vantaggioso per i consumatori. Ipotizzando rendimenti di scala crescenti e dunque livelli di produttività funzione crescente della quantità prodotta comporta l’abbandono dell’ipotesi della condizione di concorrenza perfetta sul mercato. La possibilità dello sfruttamento di economie di scala può favorire la concentrazione produttiva ed il conseguente verificarsi di situazioni di monopolio, oligopolio e concorrenza monopolistica. Poiché l’impresa deve abbassare il prezzo (P) di tutte le unità se vuole aumentare le vendite, la curva del ricavo marginale (rma) dell’impresa sta sotto la curva di domanda e rma < P. La curva di domanda di un prodotto differenziato venduto da un’impresa, ha un’inclinazione negativa che riflette un certo grado di monopolio dell’impresa, limitato dal fatto che anche altre imprese vendono prodotti simili: la pendenza della funzione è modesta e corrisponde ad un’elasticità della domanda sufficientemente alta. 47 A causa dei rendimenti di scala crescenti nella produzione, anche la curva dei costi medi (cme) sarà inclinata negativamente e la curva dei costi marginali giace sotto la curva cme. Infatti perché la curva cme si riduca, la curva cma deve essere inferiore ad essa: la variazione del costo di un’unità aggiuntiva (cma) deve essere inferiore alla media (cme) perché la media possa abbassarsi. Nella figura abbiamo supposto un costo marginale costante: questo significa che il costo medio variabile è anch’esso costante e coincide con il costo marginale. Il costo medio deve essere decrescente, poiché quest’ultimo è influenzato anche dai costi medi fissi che sono decrescenti al crescere della quantità. Il livello di produzione ottimale è dato dall’intersezione di rma e cma. Se: - rma > cma = all’impresa conviene espandere la produzione; rma < cma = all’impresa conviene ridurre la produzione. La curva di domanda corrispondente alla singola impresa è tangente sotto la sua curva cme nel punto cui corrisponde la quantità che deve essere prodotta. Mercati non perfettamente concorrenziali Con mercati imperfettamente concorrenziali, le politiche protezionistiche intese a conferire un vantaggio commerciale al paese che le pratica possono condurre a risultati superiori per il paese stesso. Krugman si chiese se la protezione dalle importazioni non equivalga alla promozione delle esportazioni. Ipotizzando mercati non concorrenziali e segmentati, se il governo di un paese esclude l’impresa estera da qualche mercato cui aveva precedentemente accesso, a parità dei costi marginali farà aumentare la produzione nazionale a scapito di quella estera nel mercato protetto. La protezione dell’ impresa nazionale in un mercato farà salire le vendite di quest’ impresa e diminuire le vendite dell’impresa estera in tutti i mercati,se la produzione avviene con costi decrescenti. Garantendo all’impresa nazionale una posizione di vantaggio in qualche mercato, un paese fornisce un vantaggio di scala sui rivali stranieri che si risolve in minori costi marginali e più elevate quote di mercato anche nei mercati non protetti. 48 In tutti i casi in cui è possibile il ricorso alle politiche commerciali strategiche, l’appropriazione di un vantaggio comunque acquisito all’impresa nazionale di produrre ed esportare sui mercati internazionali in modo analogo a quanto teorizzato dai mercantilisti. Se le economie di scala sono infinitamente sfruttabili, le frontiere delle possibilità produttive saranno convesse verso l’origine e i due paesi finiranno con lo specializzarsi completamente nella produzione di un bene o dell’altro. Commercio internazionale ed efficienza produttiva Il commercio internazionale accresce l’efficienza produttiva mondiale, consentendo ai paesi di specializzarsi in attività in cui sono relativamente più produttivi o in cui vi è un utilizzo intensivo delle loro risorse relativamente abbondanti. Con mercati perfettamente concorrenziali, la divisione internazionale del lavoro dà luogo ad una struttura produttiva nella quale ogni paese può trovare il settore nel quale gli conviene specializzarsi, date le risorse di cui dispone. Con mercati imperfettamente concorrenziali, la determinazione della struttura produttiva diviene arbitraria e consente ai paesi di attuare politiche di intervento volte ad assicurarsi vantaggi dal commercio internazionale. La mobilità internazionale dei fattori potenzia l’efficienza mondiale trasferendo risorse ai paesi nei quali la loro produttività marginale è maggiore. L’estensione dei traffici a livello internazionale ha costituito al contempo uno dei tratti distintivi del mondo di produzione capitalistico e una delle condizione del suo ulteriore sviluppo. Il sistema economico capitalistico ha evidenziato una straordinaria capacità di svilupparsi su scala planetaria, superando le barriere nazionali. Globalizzazione Alcuni degli effetti economici significativi che si realizzano nei mercati valutari globali e che influenzano in maniera diretta l’andamento delle singole economie nazionale e dell’economia internazionale: 1. ENORME VOLUME DI TRANSAZIONO FINANZIARIE che si realizzano nei mercati valutari globali e che influenzano in maniera diretta l’andamento delle singole economie nazionale e dell’economia internazionale; 2. SOFISTICATA ERETE DI COMUNICAZIONE che determina una straordinaria circolazione di ogni tipo di informazione; 3. STRAORDINARIO INCREMENTO del NUMERO DI PAESI COINVOLTI nel commercio internazionale; 4. INTENSIFICAIZONE dell’INTEGRAZIONE INTERNAZIONALE: tale processo passa significativamente attraverso la costituzione di organi soprannazionali di tipo regionale; 5. PARZIALE PERDITA di POTERE di CONTROLLO sull’economia degli STATI NAZIONALI. 49