ANTONIO GRAMSCI CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE 1891-1911 Antonio Gramsci nasce ad Ales (presso Oristano), in Sardegna, il 22 gennaio 1891, quarto dei sette figli di Francesco Gramsci e Giuseppina Marcias. Nel 1894 la famiglia si trasferisce a Sòrgono (Nuoro): per due anni viene mandato, insieme alle sorelle, in un asilo di suore. A questo periodo, dopo una caduta, risale la malattia che gli lascerà una malformazione fisica: la schiena andrà lentamente incurvandosi e le cure mediche tenteranno invano di arrestare la sua deformazione. Nel 1897 il padre viene sospeso dall'impiego all'Ufficio del registro di Ghilarza e arrestato per irregolarità amministrative. Nel 1902 consegue la licenza elementare a Ghilarza. Studia poi privatamente e intanto lavora, per aiutare la famiglia, presso l'ufficio catastale di Ghilarza. Nel 1905 si iscrive al liceo-ginnasio di Santu Lussurgiu, cittadina a 15 km da Ghilarza. Inizia a leggere la stampa socialista che il fratello Gennaro gli invia da Torino. Nel 1908 consegue la licenza ginnasiale e si iscrive al liceo Dettori di Cagliari, città dove vive presso il fratello Gennaro, segretario della locale sezione socialista. Con molti giovani del liceo Dettori, Gramsci partecipa alle "battaglie" per l'affermazione del libero pensiero e a discussioni di carattere culturale e politico. Abita in una poverissima pensione in via Principe Amedeo, poi si trasferisce in un'altra del Corso Vittorio Emanuele. A scuola si distingue tra i compagni per i suoi vivi interessi culturali, legge moltissimo (in particolare Croce e Salvemini). Rivela spiccatissime tendenze per le scienze esatte e per la matematica. Cagliari, in quel tempo, è una cittadina culturalmente vivace, dove si diffondono i primi fermenti sociali, che influiranno nella sua formazione di una ideologia socialista. Conseguita la licenza liceale, nel 1911 vince una borsa di studio e si iscrive all'università di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia. Si trasferisce a Torino. Gramsci vive i suoi anni universitari in una Torino industrializzata, dove sono già sviluppate le industrie della Fiat e della Lancia, che hanno eliminato le concorrenti più deboli. Il forte sviluppo industriale ha conferito un aspetto nuovo alla città, che intorno al 1909 ospita circa 60.000 immigrati, che lavorano nelle fabbriche. Data l'alta concentrazione operaia e il ruolo avanzato dell'industria torinese, la organizzazione sindacale costituisce, nella città, una presenza attiva e dinamica, sostenuta da un'ampia mobilitazione dal basso. Sono le iniziative di lotta nelle fabbriche che portano alla costituzione delle prime commissioni interne e alla elezione di delegati di fabbrica, che siedono, durante le vertenze, al tavolo delle trattative con i rappresentanti padronali. È in questo periodo di forti agitazioni sociali che lo studente Gramsci vive i suoi anni universitari e matura la sua ideologia socialista. Studia i processi produttivi, la tecnologia e l'organizzazione interna delle fabbriche e si impegna per far acquisire agli operai "la coscienza e l'orgoglio di produttori". A Torino frequenta anche gli ambienti degli immigrati sardi; l'interesse per la sua terra sarà sempre vivo in lui, sia nelle riflessioni di carattere generale sul problema meridionale, sulle sue abitudini, sul linguaggio, sui luoghi e sulle persone dell'infanzia; temi ricorrenti anche negli anni della maturità. Gli avvenimenti. L'Italia è ancora nettamente divisa tra un Nord in cui è presente un relativo sviluppo industriale e un Meridione caratterizzato dal latifondo a coltivazione estensiva. L'assetto del potere nello Stato e nella società è dunque determinato da un'alleanza tra industriali e agrari, fondata sulla politica protezionistica, che esclude ogni partecipazione al potere da parte delle masse popolari. Ma la crisi di fine secolo, con i movimenti dei fasci siciliani (1894) e l'insurrezione proletaria di Milano (1898), costringe la borghesia italiana a scendere a patti con il movimento operaio. Dall'inizio del secolo, Giolitti, che dichiara la neutralità dello Stato nei conflitti di lavoro, apre un nuovo corso politico fondato su un accordo sociale con il movimento socialista riformista. A questo accordo si oppongono l'ala rivoluzionaria del partito socialista e il movimento sindacalista rivoluzionario. 1912 In cattive condizioni economiche e di salute, Gramsci segue i corsi universitari e sostiene alcuni esami. Ha anche i primi contatti con il movimento socialista torinese.Gli avvenimenti. Al congresso socialista di Reggio Emilia i riformisti perdono la direzione del partito. Mussolini diventa direttore dell'Avanti!. 1913 Aderisce ad un pubblico appello contro la politica protezionistica. Probabilmente in quest'anno si iscrive alla sezione socialista di Torino. Gli avvenimenti. Con il patto Gentiloni, i cattolici partecipano alla competizione elettorale in appoggio a Giolitti. 1914 Soffre di periodiche crisi nervose. Sostiene sul Grido del popolo le posizioni della neutralità attiva e operante in contrasto con la politica della neutralità assoluta prevalente in ambito socialista. Gli avvenimenti. Crisi dell'Internazionale socialista e del movimento operaio europeo che non riescono a far prevalere una politica di pace. Scoppia la Prima guerra mondiale. 1915 Continua la collaborazione con Il Grido del popolo e, a dicembre, entra nella redazione torinese dell'Avanti!, organo del Partito socialista italiano. La sua attività giornalistica s'impone all'attenzione generale non solo per la qualità della scrittura, ma anche per lo spessore della ricerca culturale. Gli avvenimenti. L'italia entra in guerra a fianco dell'intesa. Lenin lancia a Zimmerwald la parola d'ordine di "trasformare la guerra imperialista in guerra civile". 1916 Gramsci cura la rubrica "Sotto la mole" dell'Avanti! dove si occupa di critica teatrale e di note di costume. Gli avvenimenti. Nel movimento socialista antimilitarista (conferenza di Kientbal) si fanno strada le posizioni radicali di Lenin. 1917 Dopo la sommossa operaia di agosto, Gramsci diventa segretario della commissione esecutiva provvisoria della sezione socialista di Torino. Dirige di fatto Il Grido del popolo. Nel febbraio del 1917 per conto della Federazione giovanile socialista piemontese esce La città futura, il cui tema di fondo é la contrapposizione tra l'ordine della società borghese e quello della società socialista; a originali articoli di teoria e di propaganda socialista si affiancavano scritti di Croce, Salvemini e A. Carlini. In questo perioda l'influenza di Croce e della polemica antipositivistica dell'idealismo italiano traspare anche nella valutazione entusiastica della rivoluzione russa del novembre 1917, interpretata come "rivoluzione contro il Capitale" (cioè contro la versione deterministica dell'opera di Marx). Gli avvenimenti. In agosto scoppiano in Italia movimenti di protesta contro il carovita e la guerra. In Russia la rivoluzione di febbraio porta all'abdicazione dello zar Nicola II; il governo provvisorio viene rovesciato in novembre dalla rivoluzione bolscevica. 1918 Cessano le pubblicazioni del Grido del popolo (ottobre) e nasce l'edizione piemontese dell'Avanti! (dicembre), diretta da Ottavio Pastore, nella cui redazione Gramsci entra dall'inizio. Gli avvenimenti. Finisce la guerra mondiale. Movimenti rivoluzionari in vari paesi d'Europa. In Russia la controrivoluzione si militarizza: scoppia la guerra civile. 1919 Gramsci e altri (tra cui Tasca, Terracini, Togliatti) danno vita al settimanale L'Ordine nuovo (maggio), che si schiera per l'adesione del Psi all'Internazionale comunista e in favore del movimento dei consigli di fabbrica. Nei suoi articoli Gramsci afferma che il consiglio di fabbrica deve essere eletto da tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro collocazione politica, in modo che gli operai assumano in pieno la funzione dirigente che spetta loro come "produttori". Questa esperienza si collocava, in una prospettiva rivoluzionaria, a sinistra del movimento socialista dell'epoca, ma in consonanza con altri fermenti della cultura italiana del periodo come quelli che facevano capo al neo-liberalismo di Piero Gobetti, che giudicò infatti positivamente l'opera del gruppo. Gli avvenimenti. La nuova legge per il suffragio universale permette al Psi e al Partito popolare di eleggere rispettivamente 156 e 100 deputati, modificando radicalmente l'assetto del potere politico. A Parigi si inaugura la Conferenza di pace. Viene fondata a Mosca la Terza Internazionale (Comintern). Il congresso socialista di Bologna delibera l'adesione alla nuova Internazionale comunista. 1920 Lo sciopero degli operai dell'industria di Torino di marzo-aprile (sciopero delle lancette) per il riconoscimento dei consigli di fabbrica apre una vivace polemica tra la direzione socialista e il gruppo dell'Ordine nuovo, le cui posizioni politiche ricevono l'approvazione di Lenin. Gramsci si avvicina alla frazione astensionista del Psi, guidata da Bordiga, che prospetta la costruzione del Partito comunista.Gli avvenimenti. Giolitti torna a formare il governo. In settembre lo scontro sociale porta all'occupazione delle fabbriche. La sconfitta segna l'inizio del riflusso del movimento proletario. In Russia, i bolscevichi sbaragliano definitivamente gli eserciti controrivoluzionari. 1921 Gramsci si convince che bisogna dar vita a un partito nuovo, secondo le direttive di scissione già indicate dall'Internazionale comunista. Il 25 gennaio 1921 si apre a Livorno il 17° congresso nazionale del Psi; le divergenze tra i vari gruppi: massimalisti, riformisti ecc., inducono Gramsci e la minoranza dei comunisti a staccarsi definitivamente dal Psi. Il 21 gennaio dello stesso anno, nella storica riunione di San Marco, nasce il Partito comunista d'Italia: Gramsci sarà un membro del Comitato centrale. Come organo del nuovo partito Gramsci diresse, ancora a Torino, L'Ordine Nuovo, diventato quotidiano (al quale collaborò anche come critico teatrale Gobetti). Tuttavia nei primi anni del nuovo partito la sua attività fu condizionata dalla direzione di Bordiga, che avendo organizzato una frazione nazionale prima della scissione aveva acquisito una posizione di preminenza, influenzando anche gran parte dello stesso gruppo torinese dell'Ordine Nuovo..Gli avvenimenti. 15 gennaio 1921: si apre a Livorno il XVII Congresso del Psi. Il 21 gennaio, da una scissione minoritaria del Psi, nasce il Partito comunista d'Italia (Pcd'I), sezione italiana della Terza Internazionale comunista. Dopo la grande paura dell'occupazione delle fabbriche, gli industriali guardano con favore al movimento fascista. Lenin lancia la Nuova politica economica.1922 Nel secondo congresso del Pcd'I (Roma, marzo) Gramsci sostiene le posizioni della maggioranza bordighiana, in dissenso con la politica del "fronte unico" con il Psi proposto dall'Internazionale. A maggio parte per Mosca, delegato del partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale e nel giugno partecipa alla conferenza dell'esecutivo allargato. Il soggiorno in Russia sarà importante sia per la sua formazione politica che per la sua vita privata, infatti Gramsci si innamora di una giovane violinista russa, Giulia Schucht che diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli: Delio e Giuliano. In Russia Gramsci approfondisce le sue conoscenze del leninismo e osserva gli sviluppi della dittatura del proletariato, ciò gli consente di misurare diversamente i problemi dei comunisti italiani, collocandoli in una visione di più ampio respiro. Gli avvenimenti. Si moltiplicano le violenze squadristiche e gli assalti alle Camere del lavoro e ai giornali antifascisti. Ulteriore scissione socialista: il congresso di Roma (ottobre) espelle i riformisti. In ottobre marcia su Roma e formazione del governo Mussolini, che in novembre ottiene pieni poteri.1923 L'esecutivo allargato dell'Internazionale (giugno) discute la situazione italiana e stabilisce d'autorità la formazione di un comitato esecutivo del Pcd'I maggiormente rispondente alla propria politica. Gramsci, in dissenso con le posizioni di Bordiga e favorevole a quelle dell'Internazionale (che sostiene la parola d'ordine del "governo operaio e contadino"), si fa carico della svolta (lettera di settembre per la fondazione dell'Unità). In novembre, viene inviato a Vienna per tenere i collegamenti tra il partito italiano e gli altri partiti comunisti d'Europa. Inizia, con un fitto carteggio, a ricostruire il gruppo dirigente del Pcd'I attorno a quella che era stata la redazione dell'Ordine nuovo.Gli avvenimenti. Nel febbraio arresto di Bordiga e di parte del comitato esecutivo del Pcd'I, che si riorganizza semiclandestinamente. Bordiga, in carcere, si schiera contro le posizioni dell'Internazionale per quanto riguarda i rapporti con il Psi. Il parlamento italiano approva la legge elettorale maggioritaria presentata dal fascista Acerbo. In Bulgaria viene rovesciato il governo di Stambolijski, leader del partito contadino. 1924 Il 6 aprile del 1924, dopo una campagna elettorale contrassegnata da violenze e intimidazioni fasciste, si svolgono le elezioni e Gramsci viene eletto deputato della circoscrizione del Veneto, quindi torna in Italia, dopo due anni di assenza e si stabilisce a Roma. In febbraio esce a Milano, su indicazione di Gramsci, il quotidiano l'Unità. Continua il lavoro per ricostruire il gruppo dirigente del partito. Gramsci entra nel comitato esecutivo del partito e viene eletto segretario generale. Partecipa all'opposizione parlamentare che si forma a seguito del delitto Matteotti e propone un appello per lo sciopero generale. In agosto nasce a Mosca suo figlio Delio. Imposta con Grieco e Di Vittorio la politica del partito verso il Mezzogiorno. In ottobre propone che l'opposizione aventiniana si costituisca in Antiparlamento e in novembre il gruppo parlamentare comunista rientra in aula. Gli avvenimenti. Le elezioni politiche di maggio, contrassegnate da violenze e intimidazioni, assegnano il 65 per cento dei suffragi ai fascisti. In giugno viene assassinato il deputato riformista Giacomo Matteotti che aveva denunciato i brogli; ne segue una vasta ondata di proteste. In agosto il gruppo socialista che fa capo a Serrati (i "terzini") aderisce al Pcd'I. Alla morte di Lenin, in Unione Sovietica il potere viene assunto da una direzione collegiale formata da Stalin, Trockij, Zinov'ev e Kamenev. 1925 Tra marzo e aprile partecipa a Mosca ai lavori dell'esecutivo allargato dell'Internazionale. In giugno apre la polemica con la sinistra interna al partito, guidata da Bordiga. Inizia a lavorare all'organizzazione del terzo congresso del Pcd'I.-Gli avvenimenti. Superata la crisi Matteotti, Mussolini torna saldamente alla guida del governo. Vengono abolite le commissioni interne e soppressa la libertà sindacale. 1926 In gennaio si svolge a Lione il terzo congresso del Pcd'I: le tesi politiche, stese da Gramsci e Togliatti, vengono approvate con una maggioranza che supera il 90 per cento. La linea di Gramsci, che raccolse intorno a sé un nuovo gruppo dirigente "centrista," prevalse terzo congresso del Partito comunista d'Italia; alcuni mesi dopo però i suoi rapporti con l'Internazionale comunista subirono una prima incrinatura, con la sua iniziativa di scrivere una lettera allarmata al Comitato centrale del Partito bolscevico per le divisioni interne a quel partito. Pur dando torto all'opposizione la lettere conteneva anche riserve sui metodi della maggioranza (Stalin-Bucharin), e per questo motivo Togliatti, allora rappresentante a Mosca dei comunisti italiani, ritenne opportuno non inoltrarla ufficialmente. Ne nacque una vivace polemica personale tra Gramsci e Togliatti, rilevante soprattutto per l'insistenza da parte del primo sulla necessità di "richiamare alla coscienza politica dei compagni russi, e richiamare energicamente, i pericoli e le debolezze che i loro atteggiamenti stavano per determinare." In agosto nasce Giuliano, il secondogenito di Gramsci. L'8 novembre, a seguito delle leggi eccezionali del regime fascista contro gli oppositori, Gramsci viene arrestato, con gran parte del gruppo dirigente comunista e, nonostante l'immunità parlamentare, è rinchiuso a Regina Coeli. Al processo, tenuto a Roma nel maggio-giugno 1928, fu condannato a oltre vent'anni di reclusione. Il 18 novembre Gramsci è assegnato al confino per cinque anni a Ustica, dove giunge dopo soste nelle carceri di San Vittore a Milano e in quelle di Napoli e di Palermo. A Ustica abita in una casa privata con altri condannati politici con i quali organizza corsi di cultura differenziati a seconda del grado di preparazione dei partecipanti, allo scopo di educare i proletari, per i quali è un dovere, dice, non essere ignoranti, se vogliono essere protagonisti della politica e creatori di una nuova società. Per espiare la pena, Gramsci è poi destinato alla casa penale di Turi (Bari): vi rimane fino al dicembre 1933. Gli avvenimenti. In Italia vengono sciolti i partiti di opposizione; vengono istituiti il confino di polizia e il Tribunale speciale. La Camera dichiara decaduti i deputati aventiniani. In Unione sovietica Stalin riesce a isolare Trockij e Zinov'ev.1927 Trasferito dal febbraio nel carcere di San Vittore a Milano, in attesa del processo, inizia a progettare uno studio di ampio respiro sugli intellettuali italiani. Il 28 maggio inizia il processo e il 4 giugno viene emessa la condanna a vent'anni quattro mesi e cinque giorni di reclusione. Poiché soffre di emicrania cronica viene destinato alla casa penale di Turi ed è messo in una cameretta con altri cinque detenuti politici. Gli avvenimenti. Con la Carta del lavoro il fascismo enuncia i principi dello Stato corporativo. Il X congresso del Pcus espelle Trockij, Zinov 'ev e Kamenev; inizia la politica dell'industrializzazione forzata. 1928 Alla fine di maggio, a Roma, Gramsci è processato. Il 4 giugno viene emessa la sentenza: come accennato, è di venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione. In luglio Gramsci raggiunge il carcere di Turi. Gli avvenimenti. Il Gran consiglio del fascismo diviene organo dello Stato. Il VII congresso dell'Internazionale lancia la parola d'ordine dell'intensificazione della lotta alla socialdemocrazia.1929 In febbraio, nel carcere di Turi, Gramsci, ottenuto il permesso di scrivere in cella, inizia la stesura dei Quaderni dal carcere: saranno 21 nel 1933, quando lascerà Turi per Civitavecchia e complessivamente 33 nel 1937. Gli avvenimenti. Patti lateranensi tra Italia e Vaticano. In Unione Sovietica Bucharin si oppone alla politica di collettivizzazione forzata e viene rapidamente emarginato da Stalin. Il X plenum dell'Internazionale enuncia la teoria del social-fascismo. Crollo della borsa di New York: inizia la grande depressione. 1930 Emergono dissensi con altri detenuti comunisti sulla politica da seguire dopo la caduta del fascismo: Gramsci sostiene la necessità di una fase democratica e propone la parola d'ordine della Costituente. Gli avvenimenti. La grande depressione colpisce anche l'Italia. Il Pcd'I, sulla base dell'analisi dell'Internazionale che ritiene in crisi il regime, fa rientrare decine di quadri in Italia. 1931 Nel 1931 Gramsci è colpito da una grave malattia, perciò il fratello Carlo ottiene che sia messo in una cella individuale, dove Gramsci cerca di organizzarsi una vita "normale", fatta di studio, di riflessione, di elaborazione teorica del suo pensiero politico e sociale, di affetti e di ricordi, sforzandosi di restare a contatto con i suoi familiari e con la realtà. Peggiorano le condizioni di salute: in agosto Gramsci ha un'improvvisa emorragia. Gli avvenimenti. Viene rapidamente smantellata dalla polizia la rete clandestina del Pcd'I. Vittoria elettorale repubblicana in Spagna. 1932 Non ha esito il progetto di uno scambio di prigionieri politici, che avrebbe incluso anche Gramsci, tra l'Italia e l'Unione Sovietica. Gli avvenimenti. Condonato alla Germania il debito di guerra. Salazar assume la guida del governo portoghese. Roosevelt promuove negli Usa il regolamento dell'economia.1933 In marzo, seconda grave crisi delle condizioni di salute di Gramsci. In novembre viene trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e da qui, in dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia. Gli avvenimenti. In Italia viene creato l'Iri. I nazisti assumono il potere in Germania. In Unione Sovietica viene varato il secondo piano quinquennale.1934 Riprende la campagna per la liberazione di Gramsci. In ottobre viene accolta la richiesta per la libertà condizionale. Gli avvenimenti. Patto di unità d'azione tra Pci e Psi. In Germania Hitler assume la carica di capo dello Stato. In Unione Sovietica Zinov'ev e Kamenev vengono processati per tradimento: iniziano le grandi purghe. 1935 In giugno nuova crisi e aggravamento delle condizioni di salute di Gramsci. In agosto viene trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma. Gli avvenimenti. L'Italia invade l'Etiopia. Leggi antisemite in Germania. L'Internazionale adotta la tattica dei fronti popolari. 1936 Lo stato di prostrazione fisica impedisce a Gramsci di lavorare ai Quaderni. Gli avvenimenti. Dopo la conquista dell'Etiopia, l'Italia proclama l'impero. Le sinistre vincono le elezioni in Francia e in Spagna; qui le forze reazionarie rispondono con un pronunciamento militare: è la guerra civile. 1937 Terminato il periodo di libertà condizionale, Gramsci riacquista la piena libertà, ma è in clinica ormai morente. Muore per emorragia cerebrale il 27 aprile. Il giorno seguente si svolgono i funerali. Le sue ceneri vengono inumate al cimitero del Verano a Roma e trasferite, dopo la Liberazione, al Cimitero degli Inglesi.La sua vita in carcere era stata anche amareggiata dai difficili rapporti stabilitisi con il partito che aveva diretto prima dell'arresto. In disaccordo con la linea politica adottata alla fine del 1929 su pressione del Komintern, allora in lotta non solo con il fascismo ma anche con la socialdemocrazia (definita come "socialfascismo"), si era trovato, come si è detto, in aperto conflitto con la maggioranza degli altri comunisti detenuti a Turi, e ciò lo aveva indotto a fare del suo isolamento la forma esclusiva della propria esistenza. Si spiega così perché la sua situazione non sia stata allora posta in discussione negli organi dirigenti operanti in esilio, con i quale i suoi rapporti furono sempre indiretti (con la mediazione dell'amico economista Sraffa che lavorava a Cambridge). Tuttavia dopo il 1934, con l'abbandono della propaganda sul "socialfascismo" e il prevalere della politica di unità antifascista, furono intensificate le campagne di stampa internazionali per chiedere la sua liberazione. Gli avvenimenti. Crisi del governo di fronte popolare in Francia. Si internazionalizza la guerra civile spagnola. L'Italia aderisce al patto anti Comintern con Germania e Giappone. In Unione sovietica vengono accusati di tradimento e fucilati Radek e Tukacevskij. RIASSUNTO GENERALE Indubbiamente Antonio Gramsci é la figura più importante del marxismo italiano. Nato ad Ales (Oristano) nel 1891, grazie ad una borsa di studio si potè iscrivere, nel 1911, alla facoltà di lettere all'università di Torino, ma verso la fine del 1913 aderì al Partito Socialista e abbandonò gli studi per dedicarsi attivamente alla politica. Contrario alla linea riformista, saluta con entusiasmo la rivoluzione russa, da lui interpretata, specialmente in un articolo pubblicato sull' Avanti! del 24/12/1917 e intitolato La rivoluzione contro il 'Capitale' , come la dimostrazione che l'iniziativa rivoluzionaria può avere successo anche saltando fasi (come quella dello sviluppo capitalistico, pressochè assente in un Paese arretrato come la Russia) previste invece come necessarie dalle interpretazioni gradualistiche del processo storico. Nel 1919 fondò il settimanale 'L'ordine nuovo' e appoggiò la costituzione dei consigli di fabbrica a Torino. Nel settembre 1920 ebbe luogo l'occupazione delle fabbriche e la lotta si estese in tutta la Penisola, mentre il Governo Giolitti manteneva una posizione neutrale. A Livorno, nel 1921, Gramsci partecipò al Congresso socialista, contribuendo alla scissione che diede luogo al Partito Comunista; nominato rappresentante del Partito Comunista presso la Terza internazionale risiedette per due anni a Mosca. Eletto deputato nel 1924, rientrò in Italia e fondò il quotidiano 'l'Unità' , ma nel 1926 fu arrestato (nonostante godesse dell'immunità parlamentare) dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a 20 anni di carcere. Qui la sua salute andò peggiorando fino a portarlo alla morte, avvenuta nel 1937, in una clinica di Roma, poco dopo essere stato amnistiato. Nel 1929, in carcere a Turi, aveva iniziato la stesura di appunti e analisi che sarebbero stati pubblicati in 6 volumi dopo la guerra, fra il 1948 e il 1951, con il titolo Quaderni del carcere . Problema di Gramsci é quello di individuare le condizioni di possibilità per la transizione al comunismo nella specificità della situazione italiana. Egli ne scorse la via in un'alleanza tra gli operai del nord e i contadini del sud e, al tempo stesso, nella conquista di un' egemonia sulla società civile, come preparazione alla conquista del potere, un'egemonia da attuare anche nei libri di storia, cercando di indurre gli studenti ad abbracciare il comunismo. La supremazia di una classe all'interno della società si manifesta, infatti, attraverso la forza e attraverso la direzione intellettuale e morale. Il momento della forza appartiene alla società politica, mentre quello del consenso appartiene alla società civile; gli intellettuali sono quelli che hanno il compito di ottenere il consenso, mentre la classe politica è costituita da quelli che si servono della forza per raggiungere quel che non é ottenibile con il consenso. Quest'ultima ha, dunque, bisogno di intellettuali al suo servizio, anche se questi pretendono o si illudono di essere indipendenti. Negli Stati moderni sta ai partiti, che Gramsci paragona al principe di Machiavelli, l'organizzazione, all'interno della società civile, delle forze necessarie per conquistare lo Stato, ma a tale scopo occorre prima ottenere l'egemonia nella società civile: di qui l'importanza degli intellettuali organici alla classe, di cui il partito rappresenta la punta avanzata. Gramsci ritiene che già Lenin avesse elaborato la teoria dell'egemonia, rivalutando ' il fronte della vita culturale ', cioè l'importanza del momento sovrastrutturale. L'egemonia politico-culturale, all'interno di una società, é conseguente alla formazione di quello che Gramsci, mutuando l'espressione da Sorel, definisce blocco storico : in esso le forze materiali sono il contenuto, mentre le ideologie sono la forma; grazie alle ideologie le forze materiali possono essere comprese nella loro specificità storica, mentre senza forze materiali le ideologie sarebbero solo vuote astrazioni. L'elemento popolare, infatti, 'sente', ma non sempre comprende e sa; l'elemento intellettuale, invece, 'sa', ma non sempre 'sente'. L'errore dell'intellettuale sta nel ' credere che si possa sapere ' senza sentire ed essere appassionato, cioè nel credere di poter essere un intellettuale staccato dalle concezioni del mondo e dalle passioni del popolo-nazione: si tratta invece di saper spiegare storicamente e collegare queste visioni del mondo, e le passioni ad esse annesse, a una visione del mondo elaborata scientificamente. Gramsci è convinto che ' La maggior parte degli uomini sono filosofi in quanto operano praticamente e nel loro pratico operare è contenuta implicitamente una concezione del mondo, una filosofia ' ed è altresì convinto che l'attività pratica e quella intellettuale siano indisgiungibili: ' Non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens. Ogni uomo infine, all'infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un "filosofo", un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare. '. Se non avviene il collegamento delle visioni del mondo alla visione scientifica, gli intellettuali si trasformano in una casta o in un sacerdozio; quando, invece, si realizza un'unità organica, si costituisce una nuova forza sociale, un nuovo blocco storico. La politica é il momento di saldatura fra la filosofia, elaborata dagli intellettuali, e il senso comune. La filosofia in grado di fornire la teoria necessaria alla costituzione del nuovo blocco storico, incentrato sulla classe operaia e sull'alleanza coi contadini (da qui lo stemma del Partito Comunista: la falce dei contadini e il martello degli operai), é la filosofia della prassi , cioè il marxismo. Contro la tendenza oggettivistica a fare della dialettica un principio esplicativo sia della natura sia della storia, Gramsci rivendica l'irriducibilità del sapere sociale a quello naturale. La prassi comprende sia la globalità dell'azione umana nel mondo sia la trasformazione rivoluzionaria della realtà. Proprio la tensione rivoluzionaria permette la comprensione dei meccanismi di dominio e dei rapporti tra le classi sociali, nella cui indagine si delinea il pensiero storico e politico di Gramsci. Questo si concentra nella concezione del partito operaio come intellettuale collettivo , erede del compito di unificazione sociale rimasto incompiuto nel Risorgimento; e Gramsci scrive un'opera intitolata proprio 'Il Risorgimento': in essa vengono criticamente analizzati i risultati dei moti che portarono all'unita' d'Italia e se ne denunciano i limiti proprio nella mancata attuazione di una rivoluzione che unisca la borghesia e il proletariato urbano alle campagne. Ad avviso di Gramsci, però, l'egemonia culturale in Italia é rappresentata dalla filosofia di Benedetto Croce, intellettuale organico al blocco storico dominato dalla borghesia. Nei confront i di Croce, egli intendeva in qualche modo compiere l'operazione di rovesciamento compiuta da Marx nei confronti di Hegel. La differenza, però, sta nel fatto che Croce é venuto dopo Marx: gran parte della sua filosofia, infatti, non é che un tentativo, ad avviso di Gramsci, di riassorbire il marxismo e subordinarlo all'idealismo. Individuando la centralità della storia etico-politica, Croce riconosce l'importanza del movimento sovrastrutturale dell'egemonia e, in questo senso, permette di sfuggire alle interpretazioni materialistiche, economicistiche e deterministiche del marxismo. La filosofia della prassi, facendo della concezione crociana della storia etico-politica un canone di ricerca empirica, può fare storia globale, non puramente parziale, cioè solo economica o solo etico-politica. In questo modo, essa si può configurare come vero e proprio storicismo , mentre quello crociano, parlando dello spirito e delle sue attività, rimane ancora imprigionato nelle maglie del linguaggio speculativo e teologico. Come storicismo coerente, la filosofia della prassi può perfino giungere alla conclusione di essere essa stessa un momento storico meramente transitorio, vincolato ad una fase della società, di cui essa esprime coscientemente le contraddizioni. Col passaggio al regno della libertà, cioè al comunismo, é prevedibile che anche la filosofia della prassi arrivi al tramonto per lasciar spazio a nuove forme di pensiero, non più originate dalle contraddizioni, ormai inesistenti nella nuova società comunista, caratterizzata dalla libertà e dall'uguaglianza. Nei Quaderni del carcere Gramsci parla di ' cesarismo ', riferendosi ad un conflitto in cui le due parti interessate sono in equilibrio, tanto che la situazione può solo risolversi con una distruzione reciproca: ' Si può dire che il cesarismo esprime una situazione in cui le forze in lotta si equilibrano in modo catastrofico, cioè si equilibrano in modo che la continuazione della lotta non può concludersi che con la distruzione reciproca. Quando la forza progressiva A lotta con la forza regressiva B, può avvenire non solo che A vinca B o B vinca A, può avvenire anche che non vinca né A né B, ma si svenino reciprocamente e una terza forza C intervenga dall'esterno assoggettando ciò che resta di A e di B. Nell'Italia dopo la morte del Magnifico è appunto successo questo, com'era successo nel mondo antico con le invasioni barbariche. Ma il cesarismo, se esprime sempre la soluzione "arbitrale", affidata a una grande personalità, di una situazione storico-politica caratterizzata da un equilibrio di forze a prospettiva catastrofica, non ha sempre lo stesso significato storico. Ci può essere un cesarismo progressivo e uno regressivo e il significato esatto di ogni forma di cesarismo, in ultima analisi, può essere ricostruito dalla storia concreta e non da uno schema sociologico. È progressivo il cesarismo, quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare sia pure con certi compromessi e temperamenti limitativi della vittoria; è regressivo quando il suo intervento aiuta a trionfare la forza regressiva, anche in questo caso con certi compromessi e limitazioni, che però hanno un valore, una portata e un significato diversi che non nel caso precedente. Cesare e Napoleone I sono esempi di cesarismo progressivo. Napoleone III e Bismarck di cesarismo regressivo. Si tratta di vedere se nella dialettica rivoluzionerestaurazione è l'elemento rivoluzione o quello restaurazione che prevale, poiché è certo che nel movimento storico non si torna mai indietro e non esistono restaurazioni in toto. Del resto il cesarismo è una formula polemico-ideologica e non un canone di interpretazione storica. Si può avere soluzione cesarista anche senza un Cesare, senza una grande personalità "eroica e rappresentativa". Il sistema parlamentare ha dato anch'esso un meccanismo per tali soluzioni di compromesso. ' Il vero nemico contro cui muovere guerra diventa allora l' indifferenza : ' l'indifferenza é il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, é la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perchè inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica '. Il pensiero di Gramsci, dove ideologia, filosofia e prassi politica trovavano una profonda unità, era volto verso la comprensione della reale situazione italiana dell'epoca e nella certezza della possibilità di trasformarla in senso socialista. Gramsci considerava il fascismo come punto massimo di crisi della società borghese (fascismo= massima espressione della dittatura del capitale), poiché alla classe dominante, cui era sfuggita l'egemonia sociale, intellettuale e morale, per la perdita del consenso delle masse, rimaneva solo la forza coercitiva. La valorizzazione del concetto di cultura, non più vista come fatto aristocratico, ma come mezzo per acquistare consapevolezza della realtà, portò Gramsci a elaborare la nozione di "organizzazione della cultura" che metteva in luce la necessità di esplicare rapporti profondi fra organizzazione economico-sociale e visione del mondo, fra lotta di classe e scoperta scientifica e artistica. La convinzione che la cultura aveva le sue radici nel terreno storico-pratico nel quale era contenuta e che quindi vi era identità tra filosofia e storia, lo indusse a polemizzare con l'idealismo di Croce, visto in funzione ideologica di conservazione borghese, e a individuare la funzione del nuovo intellettuale nella società contemporanea come portatore ed elaboratore professionale dell'ideologia del "blocco storico", cioè della forza politica formata dall'unione di una classe con classi o gruppi alleati, di cui egli stesso era espressione. La straordinaria varietà dei suoi interessi, che lo hanno portato dall'esame della storia d'Italia e del Risorgimento alla teoria di uno Stato socialista e del partito che, "moderno principe", doveva promuoverne la realizzazione, ha fatto sì che nel pensiero gramsciano fosse presente gran parte della problematica politico- culturale del secondo dopoguerra. Abbiamo già accennato all'interesse che Gramsci nutre per il Machiavelli quando arriva a dire che i partiti sono come il principe illustrato dal pensatore toscano: Gramsci é anche autore di un ' Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno ' , in cui vengono rovesciate le interpretazioni allora ricorrenti di un Machiavelli precursore dello stato fascista. Gramsci, non senza forzature, vede nel grande politico fiorentino un anticipatore del giacobinismo. Nei quaderni gramsciani il partito stesso assume il ruolo di un "Principe" dominatore e totalitario, quale neppure Machiavelli aveva mai disegnato: " Il moderno Principe, sviluppandosi, sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento il moderno Principe stesso e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo. Il Principe prende il posto, nelle coscienze, della divinità e dell' imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume." (Quaderni del carcere) Il partito-Principe si trovava al vertice della piramide sociale e politica del nuovo mondo immaginato da Gramsci. Ma il partito era costituito dagli intellettuali. Essi sarebbero stati il Principe della società rinnovata. " Che tutti i membri di un partito politico debbano essere considerati come intellettuali, ecco un' affermazione che può prestarsi allo scherzo e alla caricatura; pure, se si riflette, niente di più esatto. Sarà da fare distinzione di gradi [...] non è ciò che importa: importa la funzione che è direttiva e organizzativa, cioè educativa, cioè intellettuale " (Quaderni del carcere). Rifuggendo dalle individualistiche torri di avorio, gli intellettuali dovevano immergersi nella vita pratica e trasformarsi in "dirigenti organici di partito", dovevano diventare insomma "intellettuali organici" come si ripeté tanto spesso nei tempi in cui le idee di Gramsci imperavano. La classe operaia, teoricamente posta al centro della storia, non possedeva la capacità di emanciparsi da sola, come già aveva dimostrato Lenin con il suo ‘partito di quadri’. Per affrancarsi dallo sfruttamento capitalistico aveva bisogno del partito e dunque degli "intellettuali organici". Da sola, sarebbe rimasta un corpo privo di testa. " L'innovazione non può diventare di massa, nei suoi primi stadi, se non per il tramite di una élite " (Quaderni del carcere). Ecco una delle ragioni per le quali il Partito comunista ebbe sempre tanto successo fra gli intellettuali: prometteva di risolvere il problema della civiltà nuova affidando proprio a loro posizioni di prestigio e di comando di gran lunga superiori a quelle che essi avevano mai raggiunte nel passato. Gramsci, come accennato con la teoria dell’ egemonia , riduceva la democrazia a un meccanismo "molecolare" di mobilità sociale, a un mero rinsanguamento del gruppo dirigente con elementi provenienti dai gruppi diretti: " Tra i tanti significati di democrazia quello più realistico e concreto mi pare si possa trarre in connessione col concetto di egemonia. Nel sistema egemonico, esiste democrazia tra il gruppo dirigente e i gruppi diretti, nella misura in cui [lo sviluppo dell' economia e quindi] la legislazione [che esprime tale sviluppo] favorisce il passaggio [molecolare] dai gruppi diretti al gruppo dirigente " (Quaderni del carcere).Non vi son dubbi sul fatto che il pensiero di Gramsci fosse innovativo nei confronti del leninismo e dello stesso marxismo, proprio perché poneva in primo piano i valori politici della cultura.: " Si può dire che non solo la filosofia della praxis non esclude la storia etico-politica, ma che anzi la fase più recente di sviluppo di essa consiste appunto nella rivendicazione del momento dell' egemonia come essenziale nella sua concezione statale e nella valorizzazione del fatto culturale, dell' attività culturale, di un fronte culturale come necessario accanto a quelli meramente economici e meramente politici " (Quaderni del carcere). Tuttavia questa valorizzazione dei fatti culturali era posta al servizio di un disegno politico molto lontano dalla democrazia liberale. Ed è sintomatico, a questo proposito, che un comunista come Luciano Gruppi, nel 1976, arrivasse ad ammettere che, restando fedeli al disegno gramsciano, non si poteva arrivare al "pluralismo". Luciano Pellicani, lo studioso che forse più di ogni altro ci ha aiutati a comprendere i limiti di Gramsci, ha sostenuto che restandogli fedeli non soltanto non si poteva arrivare al pluralismo, ma si giungeva addirittura al totalitarismo ecclesiale, vale a dire al monolitismo politico, economico e culturale, l' esatto contrario della società aperta scaturita dal processo di secolarizzazione.Il comunismo è stato una dei più potenti movimenti politico-religiosi di tutti i tempi e Gramsci non si pose mai al di fuori di esso, contribuendo viceversa a irrobustirne le tendenze messianiche. Per spiegarcelo dobbiamo ricorrere a una spiegazione storica, questa volta legata alla grande crisi spirituale prodottasi nel mondo in seguito alla rivoluzione tecnologica. Stava crollando una grande civiltà, quella agricola, durata ben diecimila anni, e la nuova civiltà tecnologica appariva ancora informe, immatura, incapace di sostituirsi all' antica. Si attendeva insomma il messia dei tempi nuovi. I terribili strumenti della prima guerra mondiale, dai gas asfissianti agli aereoplani, avevano per di più svelato come anche il progresso tecnologico possedesse un volto demoniaco, rafforzando di molto le attese messianiche indirizzate verso l' instaurazione di un ordine nuovo, capace di riportare armonia nella civiltà in frantumi. Il giovane Gramsci condivise queste attese e, nella tumultuosa città di Torino, uscì dal suo isolamento di studente sardo, povero, infelice, stringendo legami di amicizia e di partito con tanti altri che, come lui, erano animati da queste eccitanti speranze. Il comunismo avrebbe interpretato la svolta epocale sostituendosi al cristianesimo: " Il Partito è, nell' attuale periodo, la sola istituzione che possa seriamente raffrontarsi alle comunità religiose del cristianesimo primitivo ", ma non certo al fine di perpetuarle. A giudizio di Gramsci il comunismo era anzi " la religione che doveva ammazzare il cristianesimo. Religione nel senso che anch' esso è una fede, che ha i suoi martiri e i suoi pratici; religione perché ha sostituito nelle coscienze al Dio trascendentale dei cattolici la fiducia nell' uomo e nelle sue energie migliori come unica realtà spirituale " (Sotto la mole). In campo estetico-letterario , la tesi centrale di Gramsci è stata l'affermazione del nesso inscindibile che deve unire lo scrittore al popolo, delle cui esigenze materiali e spirituali egli deve farsi interprete (concetto di "intellettuale organico"). Di qui la polemica contro il cosmopolitismo, dovuto all'influsso esercitato dalla Chiesa sulla formazione degli intellettuali italiani, e contro l'apoliticismo, tara storica della cultura italiana dal Rinascimento in avanti; e la duplice, correlativa negazione sia di un'arte cosmica, ispirata ai valori astratti dell'umanità, sia di un'arte pura e individuale, che non si può giustificare, dal momento che i fatti artistici non si producono per partenogenesi, ma "con l'intervento dell'elemento maschile che è dato dalla storia". La letteratura, secondo Gramsci, avrebbe dovuto essere nazionale-popolare, cioè operare una sintesi tra la componente culturale indigena (la "nazione") e le esigenze di conoscenza che vengono dagli strati subalterni (il "popolo"). In questa prospettiva si colloca l'auspicato ritorno a De Sanctis, che Gramsci considerava come il più valido esponente della cultura della borghesia nazionale nella sua fase progressiva, mentre Croce ne rappresentava la fase difensiva e conservatrice. Gramsci scrive: ‘ Il tipo di critica letteraria propria della filosofia della prassi è offerto dal de Sanctis, non dal Croce o da chiunque altro (meno che mai dal Carducci): essa deve fondere la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo, con la critica estetica o puramente artistica nel fervore appassionato, sia pure nella forma del sarcasmo ‘. E bellissimi, dal punto di vista letterario, sono i Quaderni del carcere, in cui Gramsci affronta in forma frammentaria, ma con rigoroso metodo marxista, alcuni fondamentali temi della storia italiana come quello degli intellettuali attivamente impegnati nel dibattito politico e culturale, delle carenze del partito d'azione e dei caratteri della letteratura nazional-popolare. Egli fa inoltre una scrupolosa opera di informazione sull' evolversi della rivoluzione bolscevica in Russia e di sostegno dello stesso movimento. ‘Bisogna impedire a questo cervello di funzionare’ aveva detto Mussolini a proposito di Gramsci e ne aveva ordinato l’arresto e la reclusione; ma con i 32 Quaderni del carcere, in cui, nell’odissea di indicibili sofferenze che lo distrussero nel fisico, era venuto affidando alla scrittura minuta e precisa il frutto delle sue meditazioni (fortunosamente salvati dalla cognata Tatiana Schucht) proponevano alla commossa ammirazione degli uomini di ogni fede una straordinaria testimonianza di consapevolezza storica e di forza morale, un inestimabile patrimonio spirituale, un grande tesoro di cultura; Mussolini si era sbagliato: sì, perché in carcere il cervello di Gramsci funzionò come non mai, con spirito critico degno di un acuto osservatore e di uno spirito caparbio e tenace. Le 'Lettere dal carcere' sono poi uno dei più splendidi e commoventi epistolari della nostra letteratura, hanno messo in luce le qualità di scrittore di Gramsci, la sua intensa umanità, lo straordinario equilibrio con cui seppe affrontare le sofferenze del carcere, che, anche se insostenibili, egli affrontò con cuore sereno: ' il mio stato d'animo é tale che se anche fossi condannato a morte, continuerei a essere tranquillo e anche la sera prima dell'esecuzione magari studierei una lezione di lingua cinese per non cadere più in quegli stati d'animo volgari e banali che si chiamano pessimismo e ottimismo. Il mio stato d'animo sintetizza questi due sentimenti e li supera: sono pessimista con l'intelligenza, ma ottimista con la volontà '. Anche nella triste e tetra solitudine del carcere egli seppe mantenere la forza e la costanza, senza rinunciare ai suoi ideali, che non stentano a trasparire nelle lettere inviate a familiari e amici: in una lettera al primogenito Delio, lasciato ancora infante, egli scrive: ‘ Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa ‘. Sognare ad occhi aperti o fantasticare per Gramsci è inutile, è prova di mancanza di carattere e di passività: ‘ occorre invece violentemente attirare l’attenzione nel presente così com’è, se si vuole trasformarlo ‘. Gramsci, oltre che di filosofia e di politica, si interessò anche di letteratura e, tra le sue tante riflessioni in merito, è doveroso ricordare quella su ‘I promessi sposi’ di Manzoni : in Letteratura nazionale , dopo aver preso in esame il termine di ‘umili’, Gramsci esamina i seguenti caratteri della posizione del Manzoni nei loro confronti. 1) Lo scrittore lombardo assume un atteggiamento di ‘compatimento’ scherzoso verso di loro, mostrando ‘ condiscendente benevolenza, non medesimezza umana ‘ (a differenza di quanto accade in Tolstoij), un senso di distanza e un ‘ distacco sentimentale ‘. 29 Nega loro ‘ vita interiore ‘, riservandola solo ai potenti, ai colti e ai ricchi: a fare riflessioni profonde sono solo personaggi del calibro dell’ Innominato o di Don Rodrigo, non certo gli umili come Agnese, Lucia o Perpetua. 3) La sua opera è priva di ‘ spirito nazional-popolare ‘e nutrita invece di classicismo distaccato e aulico. 4) Il popolo non è voce di Dio, come in Tolstoij, poiché per il cattolico Manzoni è la mediazione della Chiesa a rappresentare l’unico interprete possibile della parola divina. L'INTERPRETAZIONE DEL RISORGIMENTO Gramsci ha meditato a lungo sul processo storico che, nel secolo XIX, ha prodotto la travagliata costituzione dello stato italiano unitario. A suo avviso, tale processo è stato diretto fondamentalmente da forze moderate, e il cosiddetto Partito d' azione (cioè il complesso di gruppi e di correnti che si richiamavano in parte a Mazzini e a Garibaldi) si è rivelato incapace di svolgere un'opera adeguatamente incisiva e trasformatrice nel contesto politico del tempo. Quella risorgimentale è stata, per usare una celebre espressione gramsciana, una " rivoluzione mancata " - e la causa e la natura di tale "mancanza" sono state essenzialmente di carattere sociale. In effetti il limite storico del Partito d' azione va individuato nel fatto che è rimasto sempre un partito borghese di élite, non disposto o non capace di ricercare l' appoggio dei ceti non borghesi. Quali ceti? E' qui che Gramsci mostra la sua relativa eterodossia rispetto alle tesi canoniche del marxismo. Egli sa bene che nell' Italia dell' Ottocento non c' era un proletariato industriale e tanto meno una classe operaia organizzata - ossia il solo soggetto sociale in grado, secondo i princìpi marxisti, di promuovere una trasformazione radicale della società. L' autore dei Quaderni del carcere ritiene però che il risorgimento avrebbe potuto e dovuto ugualmente assumere un carattere rivoluzionario, acquisendo il consenso dei contadini. Proprio questi ultimi costituivano, infatti, quella massa popolare la cui partecipazione all' azione risorgimentale le avrebbe dato un sostanziale contenuto sociale e un adeguato impulso rinnovatore. Gramsci precisa che il movimento democratico avrebbe realizzato tale disegno e tale strategia se fosse stato capace di farsi partito "giacobino": se avesse saputo far propri gli interessi e le esigenze della classe contadina attraverso una riforma agraria volta a spezzare il latifondo e a creare un ceto di contadini piccoli proprietari. Proprio questo obiettivo era stato tenuto presente dai giacobini francesi, i quali avevano in tal modo evitato l' isolamento delle città e convertito le campagne alla rivoluzione. Solo così essi erano riusciti a superare la situazione di minoranza elitaria in cui si erano trovati inizialmente, e a sconfiggere le forze della reazione aristocratica. Tutto ciò non significa per Gramsci che il risorgimento sia stato un processo storico completamente negativo. In effetti esso ha favorito non solo l' unificazione della penisola ma anche la crescita della borghesia, gettando con ciò alcune premesse per lo sviluppo di una fase capitalistica in Italia. D' altra parte tale sviluppo si è realizzato in misura insoddisfacente; inoltre il nuovo stato si è costituito su una base sia economico sociale che politica assai ristretta. In effetti, per un verso il neonato capitalismo (concentrato nelle sole regioni settentrionali), non ha potuto usufruire di un adeguato mercato per i suoi prodotti, a causa dell' arretratezza economica della società italiana, soprattutto meridionale. Per un altro verso le masse indigenti (in primo luogo i ceti contadini) abbandonate sostanzialmente a loro stesse, non sono riuscite a divenire parte attiva della nuova compagine statuale. Quanto ai raggruppamenti politici anche più aperti e democratici, si sono rivelati incapaci di approfondire i loro legami con le forze sociali potenzialmente disponibili a un' azione di reale emancipazione. Se tutto ciò è vero, si tratta per Gramsci di elaborare le condizioni di una profonda trasformazione della realtà italiana emersa dal processo risorgimentale: una trasformazione il cui obiettivo finale deve essere quella rivoluzione sociale - anzi socialista - che il risorgimento non ha saputo compiere. A giudizio di Gramsci, tale rivoluzione potrà essere fatta solo attraverso un' alleanza tra proletariato settentrionale e contadini meridionali: sono essi, infatti, i soggetti sociali concretamente interessati alla realizzazione di un progetto politico così impegnativo e radicale. IL MARXISMO STORICISTICO-DIALETTICO Ma la riflessione gramsciana non mira soltanto a un determinato, pur complesso e ambizioso, obiettivo politico. Non diversamente da quanto aveva fatto Lukàcs, essa mira anche a rivisitare criticamente il marxismo come teoria: e ciò con lo scopo, in primo luogo, di liberarlo dalle incrostazioni positivistiche ed economistiche e di valorizzarne l' essenza storicistica e dialettica. Solo attraverso questo lavoro di "depurazione" il marxismo potrà, secondo Gramsci, ritrovare la propria ispirazione più profonda e originale, sostenere il confronto con le filosofie più influenti dell' età presente (a cominciare da quella idealistica), e diventare così lo strumento teorico-politico rivoluzionario delle classi oppresse. Come Lukàcs, anche Gramsci respinge l' identificazione del metodo del marxismo coi metodi delle scienze empiriche, perchè ciò lo priverebbe del suo nucleo essenziale, la dialettica. In polemica col filosofo sovietico Bucharin, che aveva presentato il marxismo come una sociologia scientifico-materialistica, Gramsci sostiene che tale sociologia è la " filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente fatti storici e politici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali ". Alla base della sociologia c' è secondo Gramsci, un " evoluzionismo volgare " che " non può conoscere il principio dialettico col suo passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico ". E invero la sociologia, e più in generale le scienze empirico-naturali, studiano i fenomeni come dati puramente quantitativi e omogenei, connessi tra loro da legami causali e necessari (sicchè l' effetto non può mai "superare" la causa). In tal modo esse si vietano a priori di comprendere adeguatamente il mondo umano-sociale. Quest' ultimo per Gramsci, va concepito in effetti non come un inerte insieme di eventi concatenati deterministicamente l' uno all' altro, bensì come un vivente sviluppo storico-dinamico dotato di un suo senso e di una sua direzione. Ora, l' unico modo e strumento teorico per comprendere la realtà come sviluppo storico è il modo/strumento dialettico. Solo la dialettica, a ben guardare, è in grado di cogliere unitariamente l' orizzonte complesso (la "totalità") in cui si inscrivono gli eventi umani, e al cui interno soltanto essi acquistano il loro significato. Solo essa, inoltre è capace di cogliere il movimento, la natura processuale ed autotrasformatrice di questa "totalità". E non basta. Nella misura in cui la dialettica evidenzia per un verso il senso (il senso anche politico) delle vicende umane e per un altro la non-assolutezza, la storicità di queste ultime, essa sollecita l' uomo a congiungere all' analisi puramente cognitiva del mondo una presa di posizione pratica: la presa di posizione di chi vuole (e, insieme, ritiene possibile) trasformare tali vicende. Sotto questo profilo, la dialettica si configura non solo come una certa metodologia di indagine della realtà umana, e neppure come il mero superamento di una concezione naturalisticomeccanicistica di tale realtà, bensì anche come la precondizione di quel nesso di teoria e prassi, di conoscenza e azione che anche per Gramsci (come già per Lukàcs) è il principio più prezioso del marxismo. Risoluto critico di ogni interpretazione positivistico-evoluzionistica del marxismo, Gramsci è avversario non meno radicale di una sua lettura in chiave strettamente materialistica, o " materialistico-volgare ". Se accetta la definizione canonica del marxismo come "materialismo storico", sottolinea però con forza la necessità di " posare l' accento sul secondo termine 'storico' e non sul primo, di origine metafisica ". Si noti: per Gramsci il materialismo è essenzialmente "metafisica". Anche la distinzione fra soggetto e oggetto e la correlata affermazione della "realtà oggettiva" del mondo esterno sono per lui mere affermazioni del senso comune, che questo ha ereditato dalla religione (secondo la quale è indubitabile che l' uomo 'trova' un mondo già dato e creato da Dio). In verità , avverte Gramsci, per una filosofia laica e moderna " oggettivo significa sempre 'umanamente soggettivo', ciò che non può non corrispondere esattamente a 'storicamente soggettivo' ". In altri termini, se nell' ottica del materialismo e del realismo metafisico "oggettivi" significa un' oggettività che esiste al di fuori dell' uomo, per il marxismo, invece, la realtà esiste e può essere conosciuta solo in rapporto all' uomo. In questa prospettiva Gramsci giunge a vedere una connessione tra l' affermazione idealistica che la realtà è una creazione dello spirito umano e la concezione marxista del mondo: nel senso che anche per il marxismo non esiste il mondo in sé, ma esiste la coscienza umana del mondo, esiste una certa consapevolezza che gli uomini hanno delle situazioni e delle strutture nelle quali operano. Se questo è vero, allora va detto che il marxismo può e deve sostituire " la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica " con una concezione più elevata e sofisticata. Qual' è questa concezione? Qual' è la corretta interpretazione della realtà? La filosofia per Gramsci risponde a questo duplice quesito in modo assai preciso. In primo luogo la realtà di cui il marxista deve occuparsi è essenzialmente la realtà umana, oppure la realtà naturale in quanto esperita/trasformata dall' uomo. In secondo luogo, di tale realtà occorre rilevare e valorizzare anzitutto la sua natura di "sistema", di "totalità". Guidato da una razionalità profonda, l' universo sociale tende per Gramsci a inverare i fenomeni particolari in strutture sempre più complesse, sempre più consapevoli delle proprie leggi e delle proprie contraddizioni. Il primo ispiratore di tale concezione (e, insieme, della particolare versione gramsciana del marxismo) è Hegel. Sotto più profili, Gramsci è (con Gentile e Croce) uno dei più significativi esponenti italiani della rinascita dell' hegelismo che ha avuto luogo in Europa nel primo terzo del Novecento. Non diversamente da Lukàcs, anch' egli insiste sulla sostanziale continuità tra il pensiero di Hegel e la dottrina marxiana e marxista. Grazie alla dottrina hegeliana, egli scrive, " si riesce a comprendere cos' è la realtà [...]. In un certo senso, la filosofia della prassi (= il marxismo) è una riforma e uno sviluppo dello hegelismo, è una filosofia liberata (o che cerca di liberarsi) da ogni elemento ideologico unilaterale e fanatico, è la coscienza piena delle contraddizioni del mondo ". A Hegel e alla tradizione dialettica (della quale Marx è l' interprete più valido) va inoltre attribuito, per Gramsci, il merito di aver concepito il reale come movimento e come processo. Tale processo è la storia, di cui la dialettica costituisce in qualche modo la legge. Se la storia e la dialettica sono senza dubbio uno dei temi della riflessione gramsciana, è però anche vero che Gramsci non intende assolutamente farne (rispettivamente) una realtà e una norma necessarie-trascendenti. In effetti, l' unica realtà effettiva è rappresentata per lui solo dai soggetti umani. Solo il loro concreto impegno, la loro concreta attività promuovono il cammino storico e il progresso sociale. Per questo al centro del pensiero gramsciano si colloca non tanto (hegelianamente) la logica del reale e neppure (marxianamente) la dinamica oggettiva delle contraddizioni economico-sociali, bensì (umanisticamente) l' opera di quelli che vengono chiamati gli " omini reali ": coi loro bisogni e i loro progetti , i loro conflitti e le loro iniziative. LA PRASSI E IL RAPPORTO CON CROCE Il concetto che esprime nel modo più diretto la prospettiva "umanistica" e "attivistica" della fiosofia gramsciana è quello di "prassi". La sua origine è rintracciabile nell' opera di Antonio Labriola, il quale con questa nozione si era proposto di superare criticamente le concezioni da un lato idealistiche e coscienzalistiche, dall' altro naturalistiche e positivistiche dell' umano e del sociale. Per quanto riguarda Gramsci, egli intende sviluppare e approfondire un programma teorico per più versi analogo a quello labriolano. Nel suo pensiero la prassi si configura, in qualche misura, come una mediazione tra gli uomini e la realtà in quanto natura ed esperienza e in quanto complesso di tradizioni e istituzioni. La prassi è, infatti, la maniera in cui gli agenti storico-sociali conoscono e trasformano il mondo impegnando le loro cognizioni ed energie e tenendo conto del contesto concreto in cui operano. E' inoltre, attraverso la prassi che ( a parte subiecti ) gli uomini realizzano la loro crescita ed emancipazione sociale, e che ( a parte obiecti ) la storia procede nel suo travagliato itinerario. In conclusione, l' essenza più originale e profonda della filosofia gramsciana sembra costruita dal quadruplice tema dell' assenza di fondamenti trascendenti l' operare umano (immanentismo), della necessità di concepire la struttura sociale in modo storicoconcreto (antispeculativismo), della centralità degli uomini come soggetti, valori e motori del cammino storico (umanesimo) e della radicale storicità delle situazioni pratiche e delle dottrine intellettuali (ivi compreso lo stesso marxismo). " La filosofia della praxis deriva certamente dalla concezione immanentistica della realtà, ma da essa in quanto depurata da ogni aroma speculativo e ridotta a pura storia o storicità o a puro umanesimo. Se il concetto di struttura viene concepito 'speculativamente' certo esso diventa un 'dio ascoso'; ma appunto esso non deve essere concepito speculativamente ma storicamente, come l' insieme dei rapporti sociali in cui gli uomini reali si muovono e operano. La filosofia della praxis è la concezione storicistica della realtà che si è liberata di ogni residuo di trascendenza e di teologia. " (Quaderni del carcere, IX, 1, VIII). Un cenno a parte merita, infine, la posizione assunta da Gramsci nei confronti di Croce: e ciò sia per i consensi, sia per i dissensi espressi verso una filosofia di cui il pensatore sardo colse assai bene l' importanza teorica e le ragioni del successo storico. Per Gramsci il motivo più sostanziale della grande diffusione e popolarità delle concezioni di Croce è " intrinseco al suo stesso pensiero e al metodo del suo pensare ", ed è da ricercare " nella maggiore adesione alla vita della filosofia del Croce che di qualsiasi altra filosofia speculativa ". Rispetto a quelle dei filosofi "tradizionali", infatti, le principali caratteristiche della dottrina crociana sono, secondo Gramsci, le seguenti: " dissoluzione del concetto di 'sistema' chiuso e definito e quindi pedantesco e astruso in filosofia: affermazione che la filosofia deve risolvere i problemi che il processo storico nel suo svolgimento presenta volta a volta ". In questa adesione della filosofia crociana alla vita e alla storia, nella sua lotta contro la trascendenza e la teologia, Gramsci individua il forte influsso esercitato su Croce dalla "filosofia della prassi". Non è un caso, sottolinea Gramsci, che quando andava gettando le basi della propria concezione Croce avesse assunto verso il marxismo un atteggiamento tutt' altro che negativo. Egli aveva scorto in esso, in particolare, un fecondo canone empirico per l' interpretazione della storia. Inoltre, aveva giudicato la teoria del valore-lavoro il risultato di un paragone 'ellittico' fra un' astratta società lavoratrice e la società borghese moderna: ma non aveva negato qualsiasi valore a quel paragone, ammettendo anzi che costituiva un notevole contributo ad un' economia sociologica comparata. Infine aveva ricavato dalla filosofia della prassi alcune tesi di fondamentale importanza: dalla dottrina dell' origine pratica dell' errore (" l' errore del Croce è l' illusione dei filosofi della prassi ") alla concezione delle ideologie politiche considerate costruzioni pratiche e strumenti di direzione politica. Senonchè Croce, secondo Gramsci, ha poi inserito tutti questi elementi realistici all' interno di una dottrina 'speculativa' (nel senso negativo del termine) che costituisce un grave arretramento non solo rispetto alla filosofia della prassi, ma anche rispetto allo stesso hegelismo. Anzi la concezione di Croce costituisce per Gramsci una sorta di " hegelismo mutilato " in quanto stravolge, 'addomesticandola' la dialettica hegeliana: " L' errore filosofico (di origine pratica!) di tale concezione consiste in ciò, che nel processo dialettico si presuppone 'meccanicamente' che la tesi debba essere 'conservata' dall' antitesi per non distruggere il processo stesso, che pertanto viene 'preveduto', come una ripetizione all' infinito, meccanica, arbitrariamente prefissata. In realtà si tratta di uno dei tanti modi di 'mettere le brache al mondo', una delle tante forme di razionalismo antistoricistico. La concezione hegeliana, pur nelle sua forma speculativa, non consente tali addomesticamenti e costrizioni mutilatrici. " (Quaderni del carcere, X, 1, VI) L'EGEMONIA DELLA CLASSE OPERAIA La forte accentuazione della componente umanistico-'prassistica' della realtà sociale ha sollecitato Gramsci a rivedere alcuni concetti centrali del marxismo, soprattutto nell' ambito della teoria socio politica. Di particolare rilievo è la sua presa di posizione dinanzi alla questione della natura della sovrastruttura e del suo rapporto con la struttura. Gli stessi Marx ed Engels erano parsi in più occasioni ambigui nell' interpretazione di tale questione. Successivamente, una parte cospicua del marxismo ufficiale aveva inclinato a privilegiare la struttura (economica) e a considerare la sovrastruttura (politica, istituzionale, culturale) una mera conseguenza o proiezione della prima. Ora, tra i marxisti primo-novecenteschi Gramsci è uno di coloro che modifica questa posizione nel modo più radicale. Per lui la sovrastruttura è una dimensione legata si a precise premesse di carattere socio-economiche: ma è dotata anche di una sua precisa e irriducibile specificità, che reclama un tipo di analisi e di intervento appropriato a tale specificità. Questa concezione della sovrastruttura è la premessa di un' altra importante innovazione introdotta da Gramsci nella concezione marxista: quella relativa al concetto di società civile . Anche a proposito di tale fondamentale 'figura' dell' intera tradizione dialettica il marxismo tra Otto e Novecento era parso poco propenso a fornire un' immagine in qualche modo autonoma. Per Lenin e per altri teorici marxisti la società civile costituiva puramente la sfera dei rapporti materiali dell' esistenza associata: essa veniva collegata cioè alla dimensione strutturale. Per Gramsci, invece, la società civile è da riferire essenzialmente alla sovrastruttura. Essa comprende per lui un ricco complesso di istituzioni e di funzioni sociali: la chiesa, i partiti, i sindacati, la stampa, i centri produttori di idee e ideologie. Ora tale complesso, se indubbiamente dipende da una determinata situazione socioeconomica, altrettanto indubbiamente opera in un modo articolato, molteplice, che non consente di appiattirne entro schemi semplicistici la sua fisionomia e la sua azione. Con particolare riferimento alla realtà politico-sociale d' occidente ciò significa che non si può ridurre la società civile a mera proiezione meccanica e passiva del sistema capitalistico. In effetti, secondo Gramsci alcune delle sue componenti contengono tendenze e tensioni conflittuali nei confronti delle strutture socio-economiche dominanti: di quì la necessità di un'analisi capace di cogliere le potenzialità di sviluppo critiche della società civile. Tale concezione ha anche importanti implicazioni pratiche. Essa sollecita infatti a prestare molta attenzione alle possibilità di azione trasformatrice su istituzioni e modalità di vita che un certo marxismo tendeva (perchè "sovrastrutturali") a trascurare. L'iniziativa politica si viene così articolando per Gramsci in direzioni che investono i più diversi aspetti e livelli della convivenza sociale. A questo proposito egli ha lasciato in eredità tutta una serie di indicazioni sulle quali il pensiero marxista successivo è tornato spesso ad interrogarsi. Sempre nell'ambito della teoria politica è da sottolineare l'interpretazione per molti versi innovatrice che Gramsci dà, da un lato, della dialettica tra le classi, dall'altro delle funzioni e modalità d'azione del partito rivoluzionario. Estremizzando alcune tesi di Marx ed Engels, un certo marxismo aveva innegabilmente semplificato oltre il lecito il tema della lotta di classe, riportandola ad un puro e semplice scontro frontale tra capitalisti e lavoratori. Ora Gramsci, pur senza contestare la concezione marxista della dinamica fondamentale del capitalismo (crescente concentrazione del capitale, crescente impoverimento del proletariato, conflitto finale tra i due), ridisegna tale quadro in modo più sottile. Anzitutto, egli tende a non ridurre la competizione sociale alla meccanica contrapposizione tra le due forze; in secondo luogo prospetta interessanti strategie di alleanza tra diversi ceti e forze sociali; in terzo luogo sembra ammettere processi di trasformazione socialista del mondo capitalistico diversi da quelli teorizzati dal marxismo tradizionale. Sotto questo profilo, particolarmente rilevante appare la preferenza accordata alla nuova nozione di " egemonia " rispetto a quella di "dittatura" del proletariato. L' "egemonia" di cui Gramsci parla a più riprese sembra infatti alludere non solo a un meccanismo più articolato e meno violento di transizione al socialismo, ma anche a un processo in cui le altre forze e ideali hanno la possibilità di cooperare col proletariato alla costruzione di una società più giusta e libera. Ma non basta. A proposito del ruolo privilegiato della classe operaia, Gramsci sottolinea ch'esso non è esclusivamente il prodotto necessario di una certa condizione economico-sociale. O, almeno, è indispensabile che la classe operaia sappia divenire quella che Gramsci definisce la "classe dirigente". Classe dirigente non è agli occhi di Gramsci la stessa cosa che "classe dominante": la prima espressione implica la duplice capacità del proletariato organizzato di elaborare una linea d'azione adeguata ai tempi e alle circostanze, e di conquistare autorità e seguito entro il sistema politico-sociale. La principale verifica della capacità dirigenziale della classe operaia è l'acquisizione del " consenso ", un'altra originale nozione teorica del pensiero gramsciano. Il consenso è il riconoscimento della validità della prospettiva e della strategia elaborate dal partito rivoluzionario da parte di altre organizzazioni politiche e di ampi gruppi sociali. Esso deve essere ottenuto non solo in sede strettamente politica, ma anche nell'ambito della società civile, attraverso un'opera di persuasione che sappia influenzare le varie componenti e istituzioni di quest'ultima. Dal punto di vista politico, è necessario che il consenso sia conseguito a livello di massa, con particolare riferimento ai ceti sfruttati e subalterni. Su un altro versante il consenso può e deve essere ricercato anche presso la borghesia, o almeno presso le sue file socialmente e ideologicamente più avanzate. Su questo piano, in ideale rapporto col concetto di consenso sta l'altra e non meno nuova nozione gramsciana di " blocco storico ": un'espressione con la quale Gramsci indica la possibilità/necessità di istituire un'alleanza (per più versi inter- o meta-classista) tra tutte le forze politico-sociali interessate alla modernizzazione e all'innovazione in senso democratico (e, in seconda approssimazione, socialista) del paese. IL PARTITO E GLI INTELLETTUALI La realizzazione del consenso, del blocco storico e, ancor prima, di una prospettiva di trasformazione della società richiede per Gramsci un'organizzazione politica appropriata. Non diversamente da Lenin, Gramsci dà anzi un rilievo centrale al momento propriamente organizzativo dell'azione politico-sociale: " una massa non si 'distingue' e non diventa 'indipendente' senza organizzarsi ". E anche Gramsci, come Lenin, individua nel partito la struttura in grado di porre in essere nel modo più efficace tale organizzazione. Riflettendo sui caratteri e le funzioni che il partito deve avere nell'età contemporanea, egli riscopre l'attualità delle idee di un autore a lui (come a Croce) molto caro: Machiavelli. Per Gramsci il partito è e dev'essere, in larga misura, la reincarnazione del Principe machiavelliano. Naturalmente, come chiariscono alcune celebri pagine dei Quaderni , questo " moderno Principe " non può essere (come in Machiavelli) " una persona reale, un individuo concreto ": esso è invece " un organismo, un elemento di società complesso nel quale già abbia inizio il concretarsi di una volontà collettiva riconosciuta ed affermatasi parzialmente nell'azione . " Tuttavia, non diversamente dal Principe, il partito opera in modo specificamente ed esclusivamente politi- co, in vista di fini e obiettivi pur essi soltanto politici. Di conseguenza esso si riferisce a una scala di valori e a criteri di condotta, i quali non possono essere valutati alla luce di astratti principi extra-politici. L'unico metro di giudizio è l'efficacia della sua azione: un'efficacia che si misura esclusivamente in rapporto al traguardo della trasformazione democratico-socialista della società. Per vari aspetti la teorizzazione gramsciana del partito-Principe assume toni e accenti simili a quelli che si trovano in Lenin. Il partito, scrive ad esempio Gramsci, " prende il posto, nella coscienza, della divinità e dell'imperativo categorico ". Esso diventa l'unico principio, l'unico punto di riferimento dei soggetti impegnati nell'azione rivoluzionaria. Sotto altri profili le posizioni di Gramsci sono invece sensibilmente diverse da quelle di Lenin. Intanto egli appare molto più sensibile dell'eroe della Rivoluzione russa all'istanza di una conduzione democratica della vita interna del partito. In secondo luogo (e soprattutto) quest'ultimo non risulta edificato e operante in uno stato di 'separatezza' rispetto alla realtà della classe operaia e della restante società civile: al contrario esso viene strettamente intrecciato sia alla prima che alla seconda, così da coglierne adeguatamente i modi d'essere e le esigenze. Ma l'aspetto più caratteristico della concezione gramsciana del partito è il ruolo da essa assegnato agli intellettuali. Per Gramsci " non c'è organizzazione senza intellettuali ": solo essi, in effetti, possono dare al proletariato " la coscienza della sua missione storica ". Partito da questa premessa, in larga misura leninista, Gramsci è poi andato molto al di là di Lenin. Nessuno dei grandi teorici del marxismo contemporaneo ha sottolineato più di lui l'indispensabile nesso che deve sussistere fra teoria e politica, fra trasformazione rivoluzionaria del mondo e tradizione culturale borghese. E proprio gli intellettuali sono i preziosi, insostituibili depositari di tale tradizione. Essi sono, scrive Gramsci, i " rappresentanti della scienza e della tecnica ", in grado di offrire i lumi e gli strumenti di queste alla causa rivoluzionaria. Solo essi, inoltre, possono realizzare appropriatamente quell'azione ammaestratrice in seno alla società che, come si è visto, appare a Gramsci un fattore indispensabile di crescita della coscienza democratico-socialista. E solo essi, infine, possono interpretare adeguatamente le linee di tendenza e le aspirazioni profonde della realtà sociale contemporanea. Naturalmente Gramsci ha in mente non già un intellettuale astratto, dedito a studi puramente speculativi, bensì un uomo capace di " mescolarsi attivamente alla vita pratica come costruttore, organizzatore, persuasore permanente ". Questo intellettuale deve essere o diventare un uomo capace di parlare alle masse lavoratrici, di mediare l'alta cultura e i princìpi della strategia politica con le energie e le capacità di comprensione della gente comune. Il riferimento di fondo di questa attività di illuminazione e di mediazione resta peraltro il partito, rispetto al quale l'intellettuale viene concepito da Gramsci come una ,sorta di componente organica. E in effetti l'espressione " intellettuale organico " viene usata nei Quaderni del carcere per sottolineare la stretta connessione che deve esistere tra l'opera dell'uomo di cultura politicamente impegnato e la realtà del partito. D'altra parte, nella misura in cui quest'ultimo è in parte guidato da intellettuali e più in generale da una robusta coscienza teorica, da un pensiero culturalmente attrezzato, esso stesso si configura come una sorta di " intellettuale collettivo ": un'espressione che esprime da un lato la già notata esigenza gramsciana che intelligenza e cultura, abbandonata ogni 'separatezza' elitaria, si reintegrino nel processo autoemancipativo dei ceti lavoratori; e dall'altro che l'organizzazione (politica) di tale processo dia adeguato spazio e rilievo al pensiero e al sapere. Il partito deve essere per Gramsci la mente non meno che il braccio della trasformazione democratico-socialista del mondo. QUADERNI DEL CARCERE I Quaderni del carcere è l'opera che contiene le note, gli appunti, le riflessioni su vari argomenti che Gramsci elaborò nel periodo della sua reclusione compilando i quaderni che gli venivano concessi dalle autorità carcerarie. La compilazione dei quaderni non aveva, nel progetto dell'autore, lo scopo della pubblicazione: l'opera non aveva perciò un titolo e quello attuale lo dobbiamo all'editore, non a Gramsci. Il pensatore sardo ne iniziò la stesura nel carcere di Turi l'8 febbraio 1929, due anni e tre mesi dopo l'arresto avvenuto l'8 novembre 1926. L'idea del lavoro, però, era già vivissima nel 1926 e in una lettera alla cognata Tania del 19 marzo di quell'anno Gramsci manifesta la volontà di " far qualcosa 'für ewig' ", ossia "per l'eternità". Egli intendeva cioè occuparsi di argomenti di alto spessore culturale da un punto di vista "disinteressato", libero dai limiti e dalle contingenze politiche del presente. Gramsci lavora alla stesura di ben 33 quaderni (non tutti compiuti però) dal febbraio 1929 all'agosto 1935: seguendo l'evoluzione compositiva dell'opera, possiamo individuare tre fasi, di cui le prime due interessano il periodo di reclusione a Turi e la terza quello di Formia (1933-1935); il passaggio da una fase all'altra è annunciato o accompagnato dall'aggravarsi della condizione fisica del detenuto. La prima fase dura circa due anni (febbraio 1929-agosto 1931) e, in questo periodo, Gramsci compone 10 quaderni, di cui tre sono dedicati agli esercizi di traduzione per lo studio delle lingue che doveva servire come " mezzo terapeutico " contro l'inaridimento dovuto al carcere. La conclusione di questa prima fase e il passaggio alla seconda sono segnati dalla grave crisi che colpì Gramsci il 3 agosto 1931. La seconda fase si protrae per due anni (dalla fine del 1931 alla fine del 1933) ed è caratterizzata dall'intensificarsi del ritmo di lavoro sulle questioni già individuate nel periodo precedente e dall'abbandono degli esercizi di traduzione (a cui son dedicati quattro dei 33 quaderni). In questo periodo, Gramsci compone altri 10 quaderni lavorando contemporaneamente alla stesura di note miscellanee e dei cosiddetti "quaderni speciali"; con questi ultimi, egli intendeva riordinare e riscrivere (in base ad una distinzione per argomenti) molte delle note già abbozzate nei quaderni precedenti. Un'ulteriore, più dura, crisi colpisce però lo scrittore sardo nel marzo 1933, con stati di allucinazione, di ossessione e di tormenti psicologici. Proprio questa crisi sarà determinante per il passaggio alla terza fase: essa si apre alla fine del 1933 con il trasferimento di Gramsci (per via delle sue gravi condizioni di salute) nella clinica di Formia. Qui egli si avvierà alla stesura di altri dodici quaderni (tutti "speciali"), la maggior parte dei quali però resteranno incompleti. L'irreversibile esaurimento di forze a cui Gramsci è giunto sfocia in una nuova crisi del giugno 1935, in seguito alla quale viene ricoverato nella clinica "Quisisana" di Roma; il lavoro di composizione dei Quaderni è interrotto e non sarà mai ripreso. L'opera è, pertanto, incompiuta e ciò fa sì che essa non abbia un carattere concluso e definitivo: Gramsci stesso afferma che le sue note sono spesso formate da " affermazioni non controllate ", " di prima approssimazione " e che alcune di esse potrebbero in seguito essere abbandonate. Dopo la morte di Gramsci, i Quaderni furono numerati e custoditi dalla cognata Tania, che li spedì a Mosca, dove furono presi in consegna dai membri del Partito Comunista Italiano. I temi che ricorrono e che si intrecciano all'interno dei Quaderni sono molteplici; tra i più importanti, meritano di essere ricordati: FOLCLORE : Gramsci intende, con questo termine, la " concezione del mondo e della vita " e tutto il sistema di credenze e superstizioni propri degli strati sociali popolari. Nel folclore Gramsci individua una potenzialità critica e rivoluzionaria rispetto alle concezioni del mondo "ufficiali" espresse dalle " parti colte delle società storicamente determinate ". QUESTIONE MERIDIONALE : Gramsci vuole analizzare il problema dello squilibrio e della contraddizione dovuti all'incapacità delle forze dirigenti risorgimentali di affrontare e di risolvere la questione contadina, particolarmente grave nel Sud. Il partito comunista doveva, agli occhi di Gramsci, assumersi l'impegno di favorire il superamento della disgregazione interna alle masse contadine che le rendeva incapaci di sottrarsi alla dura subordinazione nei confronti delle classi dominanti e di allearsi alla classe operaia settentrionale (la falce e il martello dello stemma comunista indicano esattamente questo: l'alleanza tra contadini del Sud e operai del Nord). CROCE E L' "ANTICROCE" : nei confronti di Benedetto Croce, Gramsci vuole ripetere l'operazione che Marx ha compiuto nei confronti di Hegel: come Hegel è stato il massimo rappresentante dell'idealismo e del progresso borghese del XIX secolo, così Croce lo è dell'idealismo e della borghesia italiana del XX secolo. Si tratta dunque di rovesciarne radicalmente le prospettive e, così, Croce è al tempo stesso il principale interlocutore e il principale antagonista del materialista Gramsci. RISORGIMENTO : il Risorgimento viene letto, sulle orme di Gobetti, come "rivoluzione mancata"; l'egemonia dei moderati (che Gramsci analizza in tutte le sue articolazioni) ha impedito quelle trasformazioni radicali che pure erano necessarie. Spetterà quindi alla rivoluzione proletaria compiere il processo risorgimentale fino in fondo. FILOSOFIA DELLA PRAXIS : è la parte dei Quaderni dedicata più specificatamente alla filosofia e, in particolare, al materialismo storico o marxismo, che Gramsci definisce appunto " filosofia della praxis ". MACHIAVELLI E IL PRINCIPE : Gramsci interpreta il "Principe" di Machiavelli come un manifesto politico della nascente borghesia italiana; fallimento del nuovo ceto borghese e fallimento del progetto di unità nazionale sono per Gramsci una cosa sola. In età contemporanea, i processi politici non sono però più guidati da una singola persona (un principe) ma dai partiti: anche i rivoluzionari (secondo l'insegnamento di Lenin) per realizzare il loro progetto hanno bisogno di un partito, che Gramsci definisce il " nuovo Principe ". LA QUESTIONE DEGLI INTELLETTUALI : il ruolo riservato da Gramsci agli intellettuali è quello di elaboratori e mediatori delle ideologie ed è fondamentale per la conquista e per l'esercizio dell'egemonia culturale da parte di ogni classe sociale che miri a diventare dominante. A questo tema si legano quindi direttamente quello dell'egemonia e della rivoluzione passiva. Gramsci afferma che " tutti gli uomini sono intellettuali ", poichè ogni uomo, consapevolmente o no, esplica " una qualche attività intellettuale ", ha una propria concezione del mondo e una consapevole linea di condotta morale, e contribuisce a modificare altre visioni del mondo suscitando nuovi modi di pensare. Il linguaggio stesso è " una minima manifestazione " intellettuale, visto che già in esso è cristallizzata una " determinata concezione del mondo ", una qualche " filosofia spontanea ". Non vi è pertanto attività umana (neppure la più pratica) " da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale ": " non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens ". Ma se tutti gli uomini sono intellettuali, " non tutti gli uomini hanno nella società la funzione di intellettuali "; per l'esercizio di tale funzione, si formano storicamente delle categorie specializzate in connessioni con le classi sociali e specialmente con quelle più importanti e dominanti. Gramsci distingue fra: 1) intellettuali "tradizionali", che generalmente si rappresentano come " autonomi e indipendenti dal gruppo sociale dominante " e dal mondo della produzione, considerandosi piuttosto come seguaci disinteressati dei valori tradizionali; 2) intellettuali "organici", cioè legati organicamente al gruppo sociale fondamentale; però anche gli intellettuali "tradizionali", anche se non ne sono consapevoli, sono in ultima analisi "commessi" della classe dominante, "organici" al gruppo sociale fondamentale e svolgono " funzioni organizzative e connettive ", di direzione ideologica e culturale. Sta qui il rapporto tra intellettuali ed egemonia: la classe dominante o che aspira a divenire tale cerca di utilizzare gli intellettuali per esercitare un'egemonia su tutta la società; Gramsci dice che " la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come 'dominio' e come 'direzione intellettuale e morale' "; lo Stato stesso, poichè espressione diretta del gruppo dominante, si fonda e si regge su due elementi: a) la "dittatura", ovvero l'apparato di decisione e di coercizione rappresentato dalla "società politica"; 2) l' "egemonia" e l'organizzazione del consenso, dipendenti dalla "società civile" e attuate attraverso un apparato di "strutture ideologiche" e di istituzioni a cui spetta il compito della direzione culturale per conto della classe politica dominante. Operano nella società civile e nelle strutture ideologiche la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati, la stampa, e così via, nonchè i funzionari dell'ideologia e della cultura, cioè gli intellettuali, fra i quali Gramsci fa rientrare tutti quelli che ricoprono ruoli sociali di educazione, formazione, organizzazione. L'egemonia è dunque il dominio di una classe sulle altre attraverso un'operazione di controllo culturale e ideologico e di esercizio del potere, in senso non tanto coercitivo, quanto di persuasione razionale, di influenza sul pensiero, sulla vita, sulla moralità, sulle abitudini sociali e culturali dei singoli. La conquista e la salvaguardia del potere da parte della classe dominante sono, per Gramsci, sempre più determinati dalla stretta connessione di egemonia e coercizione. L'esercizio dell'egemonia (tipico dei regimi liberali e parlamentari) è caratterizzato dalla combinazione e dall'equilibrio fra forza e consenso e la forza deve sembrare sempre giustificata dal consenso della maggioranza; quest'ultimo è espresso dagli organi di opinione pubblica (giornali e associazioni) che, a questo scopo, " vengono moltiplicati artificiosamente ". Poichè nell'epoca moderna, avverte Gramsci, " la categoria degli intellettuali [...] si è ampliata in modo inaudito " e questi appaiono ormai necessari al funzionamento dello Stato moderno, la lotta per la conquista e per il mantenimento dell'egemonia non si può risolvere nello scontro materiale delle classi, ma deve investire il piano culturale. Le trasformazioni rivoluzionarie non sono più immaginate, secondo le modalità tradizionali, come scontro diretto, violento, fra gruppi o classi sociali antagonisti. D'altra parte, per evitare conflitti pericolosi per la sua esistenza, la classe dominante favorisce una serie di trasformazioni volte ad adeguare la società allo sviluppo economico: si tratta di "rivoluzioni passive", tra cui rientra "l'americanismo". Per la costruzione di uno Stato alternativo a quello di stampo americanista, Gramsci vede il bisogno di un reale processo rivoluzionario e di una sistematica contrapposizione operaia mossa da un concreto " spirito di scissione ", rispetto al blocco sociale dominante. La conquista dell'egemonia e del potere da parte del proletariato è dunque indisgiungibile dallo scontro delle classi e dalla lotta proletaria, ma per far ciò la classe operaia ha bisogno di attirare a sè gli intellettuali "tradizionali" e di crearsi i propri intellettuali "organici". L'intellettuale nuovo deve dunque " mescolarsi attivamente alla vita pratica " e diventare dirigente politico (cioè "specialista + politico") proprio a partire dalla centralità del lavoro industriale nella società moderna. EGEMONIA : Gramsci impiega questo termine nel senso di "direzione culturale"; egli contrappone infatti al concetto di dominio, basato sulla forza, quello di egemonia, fondato sul potere di persuasione. Gli stati moderni tendono a reggersi sempre più sull'egemonia e sempre meno sul dominio, ma i due momenti sono comunque essenziali alla vita dello Stato. RIVOLUZIONE PASSIVA : Gramsci deriva questa nozione dall'analisi della storia del Risorgimento. Lo applica poi allo studio di tutti quei fenomeni di profondo mutamento economico, sociale, culturale diretto e gestito dalle classi dominanti con una operazione che tende a favorire l'adeguamento passivo della mentalità delle masse e del costume collettivo alle esigenze economiche dominanti. AMERICANISMO E FORDISMO : tale concetto (esaminato a fondo nel Quaderno 22) nasce dalla riflessione di Gramsci sul fenomeno dello sviluppo capitalistico americano e dalla razionalizzazione del lavoro e della vita privata dei lavoratori, favorito, nei primi decenni del Novecento, dall'organizzazione del lavoro di Taylor e Ford. Con questi termini si definisce anche un modo di fare e di pensare tipicamente americano che viene preso a modello dai Paesi capitalistici occidentali: di qui il termine "americanismo". Le considerazioni di Gramsci si basano su alcuni eventi concreti: la sempre maggiore deprofessionalizzazione del lavoro operaio e il suo adeguamento al funzionamento meccanico e automatico della macchina con la conseguente affermazione della figura dell' "operaio-massa", con il tramonto di quella dell'operaio artigiano e della dimensione dell' "umanesimo del lavoro", in cui la centralità operaia era ancora rappresentata dal lavoratore creativo e specializzato, dotato di una forte coscienza delle proprie prestazioni; a tutto ciò si aggiunge, appunto, la radicalizzazione del taylorismo, attuata dalla politica economica e industriale di Ford. Gramsci è favorevole alla tecnologia e alla razionalizzazione del lavoro, ma non può accettare l'intento capitalistico di ridurre il lavoratore a " gorilla ammaestrato ", privato di coscienza e di pensiero. L'americanismo è una forma di "rivoluzione passiva", perchè si mira ad ottenere, attraverso il dominio economico, il controllo politico e culturale degli operai e tale dominio imposto non resta solo in fabbrica, ma esce e passa alla società civile, alla morale, alla cultura; il controllo da parte dei grossi industriali sulla vita privata del lavoratore costituisce appunto una rivoluzione capovolta, vissuta passivamente. CRITICA LETTERARIA : Gramsci distingue in primo luogo la critica estetica, volta ad accertare il valore letterario delle opere, dalla critica ideologica e politica che considera solo il contenuto. Questa posizione differenzia notevolmente Gramsci dalla critica marxista promossa in Unione Sovietica dal despotico Stalin (aspre sono le critiche rivolte da Gramsci alla politica culturale di Stalin), che faceva dipendere il giudizio estetico da quello politico. Però Gramsci cerca anche una mediazione tra le due forme di critica, ravvisandola nel modello di "critica militante" offerto da De Sanctis. Come sosteneva De Sanctis, bisogna battersi per una nuova cultura più impegnata moralmente e civilmente, dalla quale soltanto potrà nascere una nuova letteratura. CONCETTO DI NAZIONAL-POPOLARE : è un parametro che Gramsci impiega spesso per considerare la vicinanza delle opere letterarie rispetto alla realtà concreta dei problemi, degli interessi e dei sentimenti del popolo/nazione; non è tanto un concetto di natura estetica, quanto di natura sociologica. Privi di qualsiasi senso di appartenenza ad una classe sociale o ad una realtà nazionale e popolare, gli intellettuali italiani sono a lungo stati dominati da un "cosmopolitismo" umanistico; il che li ha portati spesso ad aderire a correnti o a categorie filosofiche-letterarie che restano astratte e prive di una reale rispondenza nella concreta realtà nazionale. Gramsci afferma la necessità del nesso fra intellettuali e nazione, fra intellettuali e realtà popolare e dunque la necessità del carattere nazional-popolare della letteratura. Gramsci riprende e corregge Croce su tre punti: 1) Gramsci tende a rivalutare il contenuto di pensiero di un'opera e perciò, ad esempio, a considerare positivamente anche la struttura della "Commedia" dantesca, che invece Croce condannava come "non poesia"; 2) studia in modo più concreto il rapporto scrittore-società, proponendosi di inserire la storia degli scrittori e degli artisti all'interno della storia degli intellettuali e dunque di condizioni storico-sociali precise e determinate; 3) tenta una mediazione tra critica estetica e critica politica, sull'esempio di De Sanctis. L'assunzione di de Sanctis a modello è funzionale alla proposta di una critica militante capace di fondere " la lotta per una nuova cultura, cioè per un nuovo umanesimo, la critica del costume, dei sentimenti e delle concezioni del mondo con la critica estetica o puramente artistica ". Gramsci, grazie a de Sanctis come modello, vuole anche esaminare gli aspetti dell'opera d'arte grossolanamente trascurati da Croce, soprattutto il momento etico-ideologico. La letteratura, dice Gramsci, non nasce dalla letteratura (cioè " per partenogenesi ") ma dal mondo della cultura, delle idee, della morale, dell'economia e, in definitiva, dalla storia di una nazione e dei suoi intellettuali; attraverso la categoria di nazionalpopolare, Gramsci considera la letteratura in rapporto alla storia degli intellettuali e sottolinea, in fin dei conti, il nesso fra l'opera d'arte e la condizione dello scrittore nella società, la reciprocità e la dinamicità dei rapporti fra dimensione spirituale (o sovrastrutturale) e dimensione materiale (o strutturale); il pensiero gramsciano muove perciò in direzione di uno storicismo assoluto. Altri criteri metodologici sono connessi alle categorie di "vecchio-nuovo" e di "distruzione-creazione": alla loro luce, Gramsci esprime ad esempio un giudizio altamente positivo sull'opera di democratizzazione e di sprovincializzazione della cultura svolta dagli esponenti della rivista "La Voce"; viceversa, "La Ronda" viene da lui criticata per l'involuzione e per il "vecchio" che rappresenta con la riproposta di una concezione tradizionale del letterato e della cultura. Queste categorie spingono Gramsci a vedere nella " vuota concettosità " (quello che Labriola chiamava "verbalismo") e nel "secentismo" della poesia pura (e anche di Ungaretti) il segno del " vecchio che ritorna ". Ancora più interessante è l'operazione critica che Gramsci svolge nei confronti di Pirandello, apprezzandolo per l' " importanza critica di corrosione del vecchio costume teatrale " e della mentalità borghese, cattolica o positivistica. La valutazione positiva dei vociani e di Pirandello mostra come la distruzione del vecchio e la creazione di nuovi atteggiamenti mentali siano fattori fondamentali del giudizio positivo dato da Gramsci. Con Pirandello, nota Gramsci, l'oggettività del reale, invalsa con la tradizione aristotelico-cristiana, viene spodestata da una nuova concezione soggettivistica e relativistica; cionostante, a Gramsci pare poco convincente (e in ciò si rivela vicino a Croce) la dimensione artistica dei drammi di pirandello per il loro carattere di "dialoghi filosofici" in cui la nuova concezione della realtà è inquinata da elementi intellettualistici. Ecco perchè la sua opera preferita di Pirandello era "Liolà", in cui è del tutto assente ogni contenuto intellettualistico. QUESTIONE DELLA LINGUA : Gramsci dedica grande attenzione al problema dell'evoluzione della lingua italiana nel tempo e in rapporto alla letteratura, alle classi intellettuali e soprattutto all'esercizio del dominio e dell'egemonia culturale. IL DISCORSO ALLA CAMERA Gramsci pronunciò alla Camera un unico discorso prima di essere incarcerato: contro la legge che, col pretesto di colpire la massoneria (che invece <<passerà in massa al partito fascista e ne costituirà una tendenza>>, preconizza Gramsci), mirava a mettere a tacere ben altre "società segrete", e segreta era già in pratica l’attività dei comunisti. Il discorso è importante per vari aspetti. I comunisti avevano deciso di interrompere la protesta aventiniana promossa dalle opposizioni in seguito all’assassinio (10 giugno ’24) di Matteotti per avvalersi del Parlamento al fine di imprimere slancio alla lotta contro il fascismo. Gramsci si rivelò allora come figura di primo piano a molti che fino ad allora non ne avevano saputo quasi nulla. Il ritorno in aula dei deputati comunisti, le energiche iniziative del loro piccolo gruppo (erano diciannove) contro l’arroganza degli avversari tornati all’attacco, diedero nuova ancorché precaria linfa al movimento antifascista. E si diffuse, proprio allora, l’interesse per quell’uomo singolare che rappresentava ormai notoriamente il centro intellettuale e propulsivo del partito. Così che egli venne a identificarsi con qualcosa di molto più profondo che non il protagonista di una iniziativa politico-parlamentare quando, quel 16 maggio, intervenne a Montecitorio. C’è la riprova in una lettera scritta alla moglie Julka pochi giorni dopo il discorso: <<I fascisti mi hanno fatto un trattamento di favore: quindi, dal punto di vista rivoluzionario, ho incominciato con un insuccesso>>. Perché? <<Poiché ho la voce bassa, si sono riuniti intorno a me per ascoltarmi, e [mi hanno] lasciato dire quel che volevo, interrompendomi continuamente solo per deviare il filo del discorso, ma senza volontà di sabotaggio: non seppi trattenermi dal rispondere e ciò fece il loro gioco, perché mi stancai e non riuscii più a seguire l’impostazione che avevo pensato di dare al mio intervento>>. Niente vero. Intanto Gramsci era riuscito a rivendicare (anche in trasparente polemica con altri settori della sinistra) che i comunisti erano già allora <<tra i pochi che abbiano preso sul serio il fascismo, anche quando sembrava che fosse solo una farsa sanguinosa, quando intorno al fascismo si ripetevano solo i luoghi comuni sulla ‘pricosi di guerra’ (…) Noi pensiamo che questa fase della ‘conquista fascista’ sia una delle più importanti attraversate dallo Stato italiano>>. Il fascismo dunque come erede delle forme retrive cui lo stato liberale non tardò a indirizzare le proprie eredità del Risorgimento. Gramsci: <<La rivoluzione fascista è solo la sostituzione di un personale amministrativo ad un altro>>. Mussolini: <<Di una classe ad un’altra, com’è avvenuto in Russia, come avviene normalmente in tutte le rivoluzioni!>>. Gramsci: <<E’ rivoluzione solo quella che si basa su una nuova classe. E il fascismo non si basa su nessuna classe che non sia già al potere>>. Le interruzioni si moltiplicano quando Gramsci affronta il nodo del Mezzogiorno e delle enormi risorse che attraverso un’imposizione feroce <<lo Stato estorce alle regioni meridionali per dare una base al capitalismo dell’Italia settentrionale>>. Altro che capitalismo sviluppato, sembra dire il leninista Gramsci riferendosi al meridionalismo nordico del "Corriere" di Luigi Albertini come pure a quel che maturava nel Sud: sul "Mondo" di due settimane prima era uscito il Manifesto crociano degli intellettuali antifascisti. Mussolini: <<Il Partito comunista ha meno iscritti del partito fascista!>> Gramsci: <<Ma rappresenta la classe operaia!>> Farinacci: <<La tradisce, non la rappresenta!>> Gramsci: <<Il vostro è consenso ottenuto col bastone.>> Presidente: <<Non interrompano! Lei però, onorevole Gramsci, non ha parlato della legge!>> Rossoni: <<La legge non è contro le organizzazioni!>> Gramsci : <<Onorevole Rossoni, ella stesso è un comma della legge contro le organizzazioni. I cittadini devono sapere a che cosa lavorate.>> Presidente: <<Onorevole Gramsci, questo concetto lo ha ripetuto tre o quattro volte!>> Gramsci: <<Bisogna ripeterle invece: bisogna che lo sentiate sino alla nausea. [interruzioni, rumori che impediscono li registrare le prime parole della frase successiva] …vincerà il fascismo [rumori, commenti]. Il resoconto stenografico finisce qui. A Gramsci è impedito di concludere. L’8 novembre dell’anno dopo Gramsci, appena rientrato da Montecitorio, viene arrestato nel suo appartamento in violazione dell’immunità parlamentare. Dal sito www.filosofico.net