amministratori locali, sospensione anche con sentenza non

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NEWS DEL GAUDENS N.55 DEL 20 MARZO 2014
Sommario Attualità; TARI TASI e
pasticci ;Memo elezioni amministrative;
ARAN Orientamenti straordinario elettorale; in
tema di incandidabilità FABIO SAITTA
Flessibilità e rigidità dei contratti pubblici:
l’autotutela della stazione appaltante tra norme
(poche)
I riferimenti normativi. – 2.
L’annullamento d’ufficio degli atti di gara: a)
premesse generali. – 3. Segue: b) presupposti e
garanzie procedimentali. – 4. La revoca degli
atti di gara: a) premesse generali. – 5. Segue: b)
presupposti e garanzie procedimentali. – 6.
Segue: c) obbligo di indennizzo e
responsabilità precontrattuale. – 7. Gli effetti
dell’autotutela sul contratto già stipulato. – 8.
Riflessioni conclusive: flessibilità e rigidità in
equilibrio instabile.
TARI: RISCHIO CONCRETO DI UN BUCO SULLE ENTRATE.
Le contorsioni della Tari rischiano di creare un nuovo buco negli incassi dopo quello sfiorato lo scorso anno, e i
Comuni provano a riutilizzare la norma del 2013 che permetteva di misurare gli acconti del tributo sui rifiuti in base
a quanto pagato da ogni utenza nell'anno prima: in qualche caso, le amministrazioni hanno bussato alla porta del
dipartimento Finanze, che l'anno scorso aveva illustrato il meccanismo con la circolare 1/DF/2013 del 29 aprile, e
sono in attesa di risposta. Rispetto al 2013, però, ci sono due differenze: manca una norma-ponte per il passaggio
dalla Tares (o dalla Tarsu/Tia che era ancora in vigore) alla Tari, la nuova versione del tributo sui rifiuti, e 4.096
Comuni (cioè la metà abbondante del totale) sono attesi al voto amministrativo di maggio, con la concreta
prospettiva di allungare ulteriormente i tempi di approvazione dei tributi 2014: tanto più che sono in molti a dare
per scontata un'ulteriore proroga per il termine dei bilanci preventivi, oggi fissato al 30 aprile.
Ad azzoppare il cammino della Tari verso l'approvazione, come accade più in generale per la Iuc di cui è una
componente, è il decreto salva-Roma, che ha tempo fino al 6 maggio per essere esaminato (e rivisto) in Parlamento.
Sul versante Tari, l'ultima novità è arrivata con l'esenzione totale (articolo 2 del Dl 16/2014) per i rifiuti speciali
assimilati agli urbani che il produttore avvia autonomamente al recupero.Il decreto risolve in questo modo la
questione nata con la legge di stabilità, che per questi rifiuti aveva previsto sia l'esenzione sia la possibilità di sconti
da parte del Comune, mentre il ministero dell'Ambiente (circolare 1/2014) aveva proposto di superare l'empasse
creata dalle due norme in conflitto privilegiando gli sconti locali, come accadeva con i vecchi tributi ambientali.
Fatto sta che la regola ora in vigore impone di ripensare tutti i piani finanziari, perché non viene meno l'obbligo di
copertura semi-integrale dei costi del servizio ma si riduce drasticamente la platea dei paganti. Il Parlamento, poi,
ha già stoppato a dicembre una prima versione dell'esenzione, e potrebbe reintervenire a cambiare nuovamente le
carte. Ancora per settimane, quindi, i parametri saranno incerti, ma negli enti al voto l'attività riprenderà solo tra
fine giugno e inizio luglio, con il rischio di vedere i primi pagamenti in autunno. FONTE: IL SOLE 24 ORE
I.U.C.- IMU: Le unita' immobiliari
S. Zammarchi (www.ufficiotributi.it 17/3/2014)
assimilate
alle
abitazioni
principali
La Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di Stabilità per l’anno 2014), con l’istituzione
della I.U.C.., prevede la sua articolazione nelle tre entrate a tutti note (IMU, TARI e TASI).
La norma in parola riporta nel dettaglio la disciplina di TARI e TASI, mentre per quanto
concerne
l’IMU,
rinvia
alle
disposizioni
già
in
vigore.
Il riferimento alla normativa in materia di imposta municipale propria viene espressamente
previsto, al comma 703 della Legge n. 147/2013. Pertanto, se le norme che disciplinano la
I.U.C. non riportano specifiche previsioni in ordine alla componente patrimoniale, vengono
assunte le disposizioni IMU.In merito agli adempimenti concernenti tale imposta, si rammenta
che i termini di scadenza dei versamenti e gli adempimenti inerenti alla dichiarazione, sono i
medesimi già stabiliti in passato: rimangono le due rate con scadenza al 16 giugno ed al 16
dicembre dell’anno di competenza, mentre la dichiarazione va presentata utilizzando
l’apposito modello approvato dal M.E.F. entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in
cui sono intervenute le modifiche. Va ricordato che, per gli enti non commerciali, sono previsti
adempimenti diversi: i versamenti saranno tre, essendo previsto un conguaglio al 16 giugno
dell’anno successivo a quello di riferimento dell’imposta: ciò in quanto l’IMU deve essere
versata solo per gli immobili nei quali, nel corso dell’anno d’imposta, si è svolta attività
commerciale e, tale valutazione, può essere fatta solo a consuntivo. Inoltre per tali soggetti è
previsto un modello di dichiarazione specifico che, al momento, non ha ancora visto la luce.
Da porre in evidenza l’obbligo, per gli enti non commerciali, di trasmissione della
dichiarazione in via telematica. Le modifiche più rilevanti in materia di IMU sono intervenute
nel corso dell’anno 2013, con la “graduale” soppressione dell’imposta sulle abitazioni
principale e con la previsione di nuove esenzioni. Si ribadisce che, a decorrere dal 1° gennaio
2014, le unità immobiliari adibite ad abitazioni principali sono escluse dall’assoggettamento
all’IMU, ad eccezione di quelle appartenenti alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Le
pertinenze di tali unità immobiliari e quelle ad esse assimilate, purché non incluse fra le
abitazioni di lusso, rientrano nelle esenzioni. Vediamo ora di distinguere le assimilazioni ex
lege da quelle introdotte mediante regolamento comunale.Sono assimilate ex lege:
1. la previsione dell’art. 4, comma 12-quinquies, del D.L. n. 16/2012, che considera
“abitazione principale” l’assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a
seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o
cessazione degli effetti civili del matrimonio;
2. gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP)
o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse
finalità degli IACP, istituiti in attuazione dell'articolo 93 del decreto del Presidente
della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (alloggi sociali);
le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad
abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari;
1. l’abitazione posseduta, e non concessa in locazione, dal personale in servizio
permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento
militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché
dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, e, fatto salvo quanto previsto
dall'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139, dal
personale appartenente alla carriera prefettizia; per tali soggetti non è richiesta la
condizione della dimora abituale e della residenza anagrafica; l’assimilazione è
consentita ad un unico immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano
come unica unità immobiliare, purché il fabbricato non sia censito nelle categorie
catastali A/1, A/8 o A/9;
Possono invece essere assimilate con apposita previsione del regolamento
comunale:
1. l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili
che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero
permanente, a condizione che la stessa non risulti locata;
2. l'unità immobiliare posseduta da cittadini italiani non residenti nel territorio dello
Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata;
3. l’unità immobiliare concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta
entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale; l’assimilazione
opera limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di
euro 500 oppure, in alternativa, nel solo caso in cui il comodatario appartenga ad un
nucleo familiare con ISEE non superiore a 15.000 euro annui, inoltre l’agevolazione
può essere applicata ad una sola unità immobiliare.
Si rammenta infine che per le abitazioni principali considerate “di lusso” continuano a
beneficiare della detrazione di euro 200,00 (l’ulteriore detrazione di euro 50,00 era prevista
solo per gli anni 2012 e 2013).
Memo elezioni
OGGETTO:
Legge di stabilità 2014. Modifiche legislative in materia di procedimenti
elettorali.
Come è noto, nel supplemento ordinario n. 87/L della Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27
dicembre 2013 - Serie Generale, è stata pubblicata la legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante
“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di
stabilità 2014)” che, fra l’altro, ha introdotto alcune rilevanti modifiche in materia di
procedimenti elettorali.
Tali disposizioni (articolo 1, dal comma 398 al comma 401), intese a realizzare una
minore spesa in occasione di ogni consultazione elettorale e referendaria, possono così
preliminarmente sintetizzarsi:
-
-
-
-
drastica diminuzione delle risorse destinate al fondo statale per le spese elettorali;
riduzione da due ad un solo giorno della durata delle operazioni di voto per le
consultazioni elettorali e referendarie;
prolungamento dell’orario di votazione della domenica, che viene fissato dalle ore 7 alle
ore 23, al fine di contenere il fenomeno delle file nelle ore serali, possibili al rientro del
fine settimana primaverile o estivo;
totale soppressione della propaganda elettorale indiretta per affissione nei tabelloni
precedentemente destinati ai cd. fiancheggiatori;
consistente diminuzione degli spazi destinati alla propaganda diretta tramite affissioni;
nomina dei presidenti di seggio presso sezioni del comune di residenza degli stessi, con
risparmio delle spese di missione;
diminuzione di taluni orari obbligatori di apertura pomeridiana degli uffici elettorali
comunali, con conseguente riduzione del tetto orario di lavoro straordinario liquidabile
per il personale comunale;
previsione della modifica dei modelli di scheda elettorale per le elezioni comunali
tramite un decreto del Ministro dell’Interno, al fine di evitare la stampa di schede troppo
grandi e costose;
altre misure finalizzate al contenimento delle spese da rimborsare ai comuni.
Venendo ora alle singole disposizioni, si rappresenta che il comma 398 dell’articolo 1
della citata legge di stabilità n. 147/2013, relativamente alle spese per le consultazioni
elettorali, dispone, a decorrere dall’anno 2014, la riduzione di 100 milioni di euro delle
risorse destinate allo stanziamento dell’apposito “Fondo da ripartire per fronteggiare le spese
derivanti dalle elezioni politiche, amministrative, del Parlamento europeo e dall’attuazione dei
referendum”.
Il comma 399 dello stesso articolo ha disposto che, sempre a decorrere dal 2014, le
operazioni di votazione per le consultazioni elettorali e referendarie, disciplinate da legge
statale, avvengano nella sola giornata di domenica dalle ore 7 alle ore 23.
Conseguentemente sono da ritenersi implicitamente abrogate le norme del testo
unico per la elezione della Camera dei deputati, per l’elezione del Senato della
Repubblica e per l’elezione degli organi delle amministrazioni locali che fanno
riferimento ai tempi della votazione su due giorni ed all’orario di chiusura alle ore 22
della domenica.
Con l’occasione, disponendo espressamente la votazione in un solo giorno in tutte le
consultazioni, è stato infatti previsto il prolungamento di un’ora dell’orario di votazione (dalle
ore 22 alle ore 23), al fine di contenere il fenomeno delle possibili file nelle ore serali al rientro
del fine settimana primaverile o estivo.
Sono state anche espressamente modificate le norme che (presupponendo il lunedì di
votazione) prevedono per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica il
completamento delle operazioni di scrutinio entro le ore 14 del martedì, sostituendole con la
previsione, avente carattere sollecitatorio, del termine delle ore 14 del lunedì successivo a
quello della votazione.
Inoltre, con il medesimo comma, sempre per l’esigenza di adeguamento all’unica
giornata di votazione, in caso di contemporaneo svolgimento delle elezioni politiche con le
regionali ed amministrative, lo scrutinio per queste ultime consultazioni, a modifica
dell’articolo 2, primo comma, lettera c) del decreto-legge 3 maggio 1976, n. 161, convertito
dalla legge n. 240 del 1976, è anticipato dalle ore 14 del martedì alla stessa ora di lunedì.
Analogamente, in caso di contemporaneo svolgimento delle elezioni politiche con
quelle comunali del Trentino Alto-Adige, ai sensi dell’articolo 5, primo comma, lettera b)
dello stesso decreto-legge n. 161/76, lo scrutinio per le elezioni dei consigli comunali è stato
fissato al lunedì successivo con inizio alle ore 14 e non più al martedì successivo con inizio
alle ore 10.
Anche in caso di abbinamento di elezioni regionali ed amministrative, dopo lo
scrutinio per le elezioni regionali, il termine previsto dall’articolo 20, secondo comma, lettere
b) e c), della legge n. 108/68 per lo scrutinio amministrativo è opportunamente modificato
dalle attuali ore 8 del martedì alle ore 14 del lunedì, con termine dello scrutinio di cui alla
medesima lettera c), che, a seconda del numero delle elezioni, è anticipato dalle attuali ore 16
e ore 20 del martedì alle ore 24 del lunedì e alle ore 10 del martedì.
Sempre al fine di assicurare il contenimento delle spese per l’organizzazione e lo
svolgimento delle consultazioni elettorali, al successivo comma 400 vengono individuate le
seguenti altre misure.
La lettera a) modifica le disposizioni di cui all’articolo 55, comma 8, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, prevedendo una cadenza triennale, anziché annuale, del decreto
interministeriale che fissa la misura massima del finanziamento delle spese a carico dello Stato
per lo svolgimento delle consultazioni. Ciò al fine di semplificare la procedura di adozione del
predetto provvedimento e consentire una tempestiva ripartizione e comunicazione ai comuni
delle risorse assegnate.
La lettera b) introduce un nuovo comma all’articolo 17 della legge 23 aprile 1976, n.
136, disponendo che l’importo massimo da rimborsare a ciascun comune, fatta eccezione per il
trattamento economico dei componenti di seggio, è stabilito con apposito decreto del
Ministero dell’Interno, nei limiti delle assegnazioni di bilancio effettuate dal Ministero
dell’Economia e Finanze, mediante distinti parametri per sezione e per elettore. Detti
parametri saranno calcolati nella misura del 40% per sezione e del 60% per elettore del totale
da ripartire. Per i comuni aventi fino a 3 sezioni elettorali, le predette quote sono maggiorate
del 40%. Tale disposizione è finalizzata ad assicurare il contenimento delle spese statali da
rimborsare ai comuni, nei limiti delle risorse a tal fine assegnate.
La lettera c) ha abrogato l’articolo 5 della legge 16 aprile 2002, n. 62.
Di conseguenza, in presenza di consultazioni amministrative, lo Stato non sarà più
tenuto a rimborsare la quota parte delle spese derivanti dall’adeguamento degli onorari
spettanti ai componenti dei seggi (art.3, della legge n. 62 del 2002) e della spesa per
l’eventuale acquisto di cabine elettorali, i cui oneri restano, quindi, a carico
dell’Amministrazione interessata alla consultazione.
La lettera d) modifica l’articolo 15 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8,
convertito dalla legge 19 marzo 1993, n. 68, disciplinando la durata del periodo elettorale
“utile” ai fini del lavoro straordinario comunale, il limite di spesa del lavoro straordinario dei
dipendenti comunali, nonché il termine per la presentazione dei rendiconti da parte dei comuni
delle spese anticipate per conto dello Stato.
In particolare, la modificazione disposta dal numero 1 della lettera d), pone il limite
medio di spesa per lo svolgimento del lavoro straordinario dei dipendenti comunali
riducendolo a 40 ore mensili per persona e sino ad un massimo individuale di 60 ore mensili
per il periodo intercorrente dal cinquantacinquesimo giorno antecedente la data delle
consultazioni (periodo in cui hanno generalmente inizio le operazioni di revisione straordinaria
delle liste) al quinto giorno successivo alla stessa data.
La modifica apportata dal numero 2 della medesima lettera d) riguarda
l'aggiornamento della tipologia del provvedimento autorizzativo allo svolgimento del lavoro
straordinario dei dipendenti comunali, che dovrà essere disposto con “determinazione da
adottare preventivamente”, anziché con deliberazione di giunta, nonché la soppressione delle
parole “per il periodo già decorso”. Tale nuova formulazione, nella sostanza, nulla cambia
agli effetti dell’autorizzazione al lavoro straordinario dei dipendenti comunali, che dovrà
continuare ad essere adottata preventivamente all’effettivo svolgimento delle prestazioni e,
comunque, nei limiti temporali rideterminati come dal precedente punto 1.
La modifica disposta dal successivo punto n. 3, interessa il termine di presentazione
dei rendiconti da parte dei comuni delle spese anticipate per conto dello Stato. Detta modifica
riduce il termine perentorio di presentazione dei predetti rendiconti a quattro mesi dalla data
delle consultazioni, pena la decadenza dal diritto al rimborso.
Per assicurare l’attuazione del principio dell’ “election day” anche in caso di
annullamento delle elezioni comunali con decisione giurisdizionale passata in giudicato, si è
provveduto con la lettera e) del comma 400 a modificare testualmente il secondo comma
dell’articolo 85 del d. P. R. 16 maggio 1960, n. 570, con la previsione del rinnovo delle
elezioni in occasione del primo turno amministrativo utile ai sensi dell’articolo 2 della legge 7
giugno 1991, n. 182 e cioè di quello primaverile ordinario.
La lettera f) dello stesso comma 400 abroga il comma 4 dell’articolo 1 della legge 23
febbraio 1995, n. 43, che, per favorire la sottoscrizione delle liste dei candidati, prescriveva ai
comuni, in ogni regione dove si svolgono elezioni regionali, l’apertura degli uffici nei venti
giorni precedenti il termine di presentazione delle liste stesse, per non meno di dieci ore al
giorno dal lunedì al venerdì e di otto ore il sabato e la domenica.
La lettera g) prevede - per il rilascio delle tessere elettorali non consegnate o per il
loro rinnovo o la consegna dei duplicati - la riduzione del periodo di apertura dell’ufficio
elettorale comunale dagli attuali cinque giorni (previsti dall’abrogato art. 9 del d. P. R. n.
299/00) a due giorni antecedenti la consultazione (dalle ore nove alle ore diciotto) e nel giorno
della votazione per tutta la durata delle operazioni di voto; quanto sopra, in considerazione
della notevole concentrazione delle richieste solo nei giorni immediatamente antecedenti le
votazioni.
La riduzione dell’orario di apertura degli uffici comporterà il risparmio di risorse
finanziarie legate all’organizzazione del servizio e al costo della retribuzione del lavoro
straordinario.
Sempre per il contenimento delle spese della pubblica amministrazione, la lettera h)
dello stesso comma apporta modifiche alla disciplina della propaganda elettorale di cui alla
legge 4 aprile 1956, n. 212, semplificando il regime delle affissioni di propaganda elettorale
nei periodi elettorali.
A tal fine, si opera il superamento dell’attività di affissioni elettorali negli spazi
gratuiti da parte dei soggetti che non partecipano direttamente alla competizione elettorale
(cioè della propaganda effettuata dai cosiddetti “fiancheggiatori” come associazioni, circoli,
ecc…); tale forma di propaganda, infatti, costituisce una costosa duplicazione di spazi per le
affissioni.
Si riducono, inoltre, gli spazi gratuiti di propaganda diretta spettanti alle liste
partecipanti alle consultazioni, che attualmente risultano essere di numero troppo elevato.
A seguito delle modificazioni introdotte, il numero degli spazi è ora stabilito, per
ciascun centro abitato, in base alla relativa popolazione residente, nelle misure seguenti:
- da 150 a 3.000 abitanti: almeno 1 e non più di 3;
- da 3.001 a 10.000 abitanti: almeno 3 e non più di 5;
- da 10.001 a 30.000 abitanti: almeno 5 e non più di 10;
- da 30.001 a 100.000 abitanti e nei capoluoghi di provincia aventi popolazione
inferiore: almeno 10 e non più di 25;
- da 100.001 a 500.000 abitanti: almeno 25 e non più di 50;
- da 500.001 a 1.000.000 abitanti: almeno 33 e non più di 166;
- oltre 1.000.000 di abitanti: almeno 166 e non più di 333.
In tal modo, inoltre, si riducono le incombenze amministrative e le spese a carico delle
Amministrazioni comunali, in particolare quelle per il montaggio e smontaggio dei tabelloni e
quelle di acquisto di nuovi tabelloni per deterioramento dei precedenti, con conseguenti,
notevoli economie di spesa.
Ai sensi della lettera i) il presidente della Corte d’Appello, ove ciò non sia
impossibile (ad esempio in caso di assenza di un numero di residenti nel comune iscritti
nell’albo dei presidenti almeno pari al numero dei seggi), nomina all’ufficio di presidente di
sezione esclusivamente coloro che siano residenti nel comune in cui è ubicato il relativo
ufficio elettorale di sezione.
Tale ultima disposizione trova la sua ratio nella necessità di evitare la corresponsione
dei trattamenti di missione dovuti, invece, in caso di nomina di presidenti non residenti nel
comune ove è allestito il seggio.
La lettera l) prevede la soppressione dell’articolo 1, comma 3, secondo periodo, del
decreto-legge 1° aprile 2008, n. 49, convertito dalla legge 30 maggio 2008, n. 96, che
stabilisce l’annotazione in apposito registro della presa in consegna e della restituzione dei
telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini (che non
possono essere introdotti nelle cabine elettorali).
La ratio di tale disposizione è, anche in tal caso, da rinvenire nel risparmio della spesa
per la stampa dei registri ma, soprattutto, nello snellimento e nella semplificazione delle
operazioni dell’ufficio elettorale di sezione, chiamato a svolgere in una sola giornata tutte le
operazioni connesse all’espressione del voto.
La lettera m) prescrive che, con decreto del Ministro dell’Interno, entro il 31 gennaio
2014, siano determinati i nuovi modelli di schede per le elezioni comunali.
Tale disposizione, prevede che, con decreto del Ministro dell’Interno, non avente
natura regolamentare, in un’ottica di semplificazione, vengano introdotte soluzioni grafiche
più razionali nella collocazione dei contrassegni delle liste comunali, particolarmente utili in
caso di un numero rilevante di liste nei comuni sopra 15.000 abitanti; ciò consentirà di evitare
eccessivi oneri per la stampa di schede di dimensioni sproporzionate, tali da rendere
difficoltosa l’espressione del voto da parte dell’elettore e la apertura e ripiegatura delle schede,
con velocizzazione delle operazioni di voto.
In tale ottica, con la stessa lettera m) viene modificato anche l’articolo 72, comma 3,
secondo periodo, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, prevedendo, nella scheda elettorale per
l’elezione del sindaco nei comuni sopra 15.000 abitanti, la collocazione dei contrassegni delle
liste collegate con il candidato sindaco non più al fianco, ma al di sotto del rettangolo che
contiene il nominativo del candidato (utilizzando, quindi, in modo più razionale lo spazio
interno alla scheda).
Si invitano le SS.LL. a dare notizia del contenuto della presente agli Ufficiali
Elettorali vigilando sul corretto adempimento di quanto disposto con la presente circolare.
Si ringrazia per la collaborazione e si chiede di dare assicurazione con lo stesso
mezzo.
Si informa che questa circolare sarà visibile anche sul sito Internet di questa Prefettura
all’indirizzo http://www.prefettura.it/ancona sezione “Enti Locali 2014 - circolari”.
Mini-Imu, nuovo appello dei Sindaci virtuosi al Governo
"Il premier Matteo Renzi non dimentichi il suo recente passato da primo cittadino di
Firenze e accolga l'appello lanciato dai Sindaci virtuosi incontrandoli a Palazzo Chigi
per sciogliere il nodo della disparità di trattamento sull'Imu". Lo chiede il senatore
Udc Antonio De Poli che, a pochi giorni dalla presentazione della petizione
sottoscritta da 300 Sindaci virtuosi di tutta Italia, tra cui 129 dal Veneto, rilancia la
battaglia intrapresa qualche mese fa: "Nella ripartizione dei proventi Imu sulla prima
casa - spiega il parlamentare Udc - il Governo paradossalmente premierà chi ha
aumentato le aliquote, mentre chi ha rinunciato a tassare i propri cittadini verrà beffato
con minori rimborsi. Lo scorso dicembre mi feci carico di promuovere un tavolo in
Senato e il sottosegretario all'Economia Baretta, confermato ora da Renzi, si impegnò
a intervenire. Adesso chiediamo al premier Renzi di accogliere le preoccupazioni
espresse da molti suoi ex-colleghi e al Governo di passare dalle parole ai fatti".
i fini dello svolgimento lavoro straordinario elettorale, è sufficiente una
autorizzazione preventiva, generale, del solo responsabile dell’Area
amministrativa, sulla base dell’art.15 del D.L. n.8/1993 (con l’indicazione dei
nominativi del personale previsto, delle funzioni da assolvere e delle ore di
straordinario effettuabili), secondo una prassi seguita, oppure sono necessarie
specifiche autorizzazioni, in relazione alle attività di volta in volta occorrenti, da
parte dei relativi responsabili?
L’avviso della scrivente Agenzia è nel senso che, anche nel caso del lavoro
straordinario elettorale, le prestazioni di lavoro straordinario, in conformità alla regola
generale sancita nell’art.38, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, devono sempre essere
preventivamente autorizzate dal dirigente o dal responsabile del servizio (negli enti
privi di dirigenza), in relazione alle effettive esigenze organizzative e di servizio
(elettorali) da fronteggiare e che giustificano il ricorso all’istituto.
Il dirigente (o il responsabile del servizio) può autorizzare (sempre in via preventiva in
relazione alle varie esigenze elettorali presentatesi, e non a conclusione dell’arco
temporale di riferimento) l’effettuazione di prestazioni straordinarie, in presenza delle
esigenze dallo stesso attestate con la propria autorizzazione (e con assunzione di
responsabilità anche per ciò che attiene alla spesa), solo nei limiti delle risorse
effettivamente assegnate a tale titolo e disponibili.
In relazione alla prassi da voi evidenziata, si può ritenere che essa possa valere solo a
determinare il monte delle ore di lavoro straordinario elettorale effettivamente a
disposizione e, quindi utilizzabili, per tale finalità nonché ad individuare i lavoratori
che possono essere chiamati ad effettuare le suddette prestazioni di lavoro
straordinario.
Nell’ambito di tale monte orario generale, il dirigente o il responsabile del servizio
decide, assumendosi ogni responsabilità in proposito, quando e in che misura i
lavoratori individuati effettueranno le prestazioni di lavoro straordinario elettorale, in
modo da garantire la maggiore efficienza ed efficacia delle operazioni.
Diversamente ritenendo, la determinazione di autorizzazione preventiva che
caratterizza la prassi evidenziata finirebbe per configurarsi come una forma
autorizzazione generalizzata allo straordinario non consentita dalle previsioni del
citato art.38 del CCNL del 14.9.2000.
A ciò deve aggiungersi anche una ulteriore conseguenza di tale prassi: potrebbe
ritenersi che siano i dipendenti a decidere autonomamente quando effettuare le
prestazioni di lavoro straordinario, magari privilegiando le esigenze personali o in
modo comunque da utilizzare, secondo il proprio giudizio, tutte le ore di lavoro di
straordinario disponibili (nella vostra nota si legge che il “responsabile non è
nemmeno a conoscenza dell’attività svolta dal dipendente”..).
Appare evidente il contrasto di un tale comportamento gestionale con la chiara
disciplina contrattuale e con quanto sopra detto in ordine alla precisa responsabilità
che incombe sul dirigente o sul responsabile del servizio che organizza il lavoro e
richiede prestazioni di lavoro straordinario (nel caso in esame si tratta del dirigente
competente che ha organizzato il lavoro elettorale, nel rispetto delle direttive del
Ministero dell’Interno e delle eventuali norme di legge in materia).
Spetta, infatti, sicuramente ad ogni dirigente controllare il proprio personale ed evitare
ogni possibile forma di scorrettezza o abuso, garantendo il pieno rispetto della
disciplina contrattuale in sede di applicazione dei vari istituti (normativi ed
economici), impedendo ogni possibile ed imprevisto oneri o costi aggiuntivi.
E’ possibile autorizzare i titolari di posizione organizzativa all’espletamento dello
straordinario elettorale in occasione di elezioni comunali?
La speciale disciplina contrattuale dello straordinario elettorale (art.14, comma 2, del
CCNL dell’1.4.1999; art.39, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, come modificato
dall’art.16 del CCNL del 5.10.2001), trova applicazione, per espressa previsione
contrattuale, solo nei casi nei quali vi sia l’acquisizione delle specifiche risorse da
parte di altre amministrazioni (solitamente il Ministero dell’Interno).
Nello specifico, l’art. 39, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, espressamente prevede
di corrispondere i compensi correlati alle prestazioni aggiuntive effettuate in occasione
di consultazioni elettorali o referendarie, anche ai dipendenti incaricati di posizioni
organizzative.
In relazione a tale disciplina, si evidenzia che, di norma, i responsabili di posizione
organizzativa hanno diritto alla liquidazione dello straordinario elettorale (in coerenza
con la disciplina della retribuzione di risultato) solo per il lavoro straordinario prestato
(anche al di fuori delle giornate di riposo settimanale) in occasione di consultazioni
elettorali per le quali vi è acquisizione di risorse dal Ministero dell’Interno e non
anche, ad esempio, per le elezioni del Consiglio Comunale (interamente a carico del
bilancio dell’ente).
Questa regola subisce una sola eccezione, espressamente disciplinata nell’art.39,
comma 3 del CCNL del 14.9.2000 (introdotto dall’art.16 del CCNL del 5.10.2001),
secondo il quale “il personale che, in occasione di consultazioni elettorali o
referendarie (di qualunque specie, comprese quindi quelle per l’elezione del sindaco e
del consiglio comunale – n.d.r.), è chiamato a prestare lavoro straordinario nel giorno
di riposo settimanale, in applicazione delle previsioni del presente articolo, oltre al
relativo compenso, ha diritto anche a fruire di un riposo compensativo corrispondente
alle ore prestate. Il riposo compensativo spettante è comunque di una giornata
lavorativa ove le ore di lavoro straordinario effettivamente rese siano
quantitativamente maggiori di quelle corrispondenti alla durata convenzionale della
giornata lavorativa ordinaria. In tale particolare ipotesi non trova applicazione la
disciplina dell'art.24, comma 1, del presente contratto. La presente disciplina trova
applicazione anche nei confronti del personale incaricato di posizioni organizzative".
In base a tal “eccezione” il titolare di posizione organizzativa, in occasione di
qualunque consultazione elettorale, ha comunque e sempre diritto al compenso per
lavoro straordinario (da erogare sempre in coerenza con la disciplina della retribuzione
di risultato) qualora le relative prestazioni siano rese nel giorno del riposo settimanale.
La diversa formulazione della clausola contrattuale (nella quale manca ogni
indicazione sul preciso vincolo del reperimento delle risorse) comporta che tali
compensi debbano essere corrisposti anche nei casi nei quali tutte o anche solo parte
delle risorse debbano essere apprestate direttamente dall’ente.
La previsione contrattuale “in coerenza con la disciplina della retribuzione di
risultato”, riguarda le modalità di erogazione dello straordinario elettorale e deve
essere interpretata nel senso che i relativi compensi devono essere corrisposti “a
consuntivo” in analogia con quanto previsto per la disciplina della retribuzione di
risultato (richiamata dallo stesso art.39) e in coincidenza con la relativa attribuzione,
anche se non è richiesto il momento della valutazione; in sostanza si esclude che tali
compensi possano essere erogati con le medesime modalità, anche temporali, previste
per la generalità degli altri dipendenti.
Relativamente al rapporto tra i compensi per lavoro straordinario elettorale e
retribuzione di risultato, si deve evidenziare che la clausola dell’art.39, comma 2, del
CCNL del 14.9.2000 espressamente prevede che: “Tali risorse vengono comunque
erogate a detto personale in coerenza con la disciplina della retribuzione di risultato di
cui all’art.10 dello stesso CCNL e, comunque, in aggiunta al relativo compenso,
prescindendo dalla valutazione”.
Proprio, tale ultimo inciso (“in aggiunta”) consente di ritenere che il compenso per
lavoro straordinario si cumula in ogni caso con l’importo della retribuzione di risultato
spettante al titolare di posizione organizzativa, anche se questa sia già stata
determinata nella misura massima prevista dalla disciplina contrattuale (25% della
retribuzione di posizione, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del CCNL del 31.3.1999).
Il riposo compensativo sancito dall’art. 16 del CCNL del 5/10/2001 (straordinario
elettorale) entro quali termini deve essere fruito?
Evidenziamo che in assenza di una specifica disciplina contrattuale (non necessaria) i termini
per la fruizione del riposo compensativo possono essere correttamente concordati con il
competente dirigente che deve autorizzare la fruizione dei riposi compensativi in
considerazione alle prioritarie esigenze di servizio.
Il riposo compensativo riduce il “debito orario settimanale” per cui se, ad esempio il lavoratore
interessato deve beneficiare di un riposo compensativo di 6 ore, nella settimana di fruizione
dovrà espletare solo le restanti 30 ore d’obbligo.
E’ corretto affermare che l’art. 16, comma 5 del CCNL del 5.10.2001, nel prevedere il
diritto al riposo compensativo del dipendente che effettui lo straordinario in occasione
delle consultazioni elettorali, pone un ulteriore onere a carico dei bilanci degli enti?
Non possiamo non concordare con le vostre valutazioni secondo le quali l’art. 16 del CCNL
del 5.10.2001, riconoscendo anche il diritto ad un riposo compensativo in favore del personale
impegnato nel lavoro straordinario per consultazioni elettorale, ha posto a carico dei bilanci
dei singoli enti anche un ulteriore onere finanziario.
Infatti occorre ricordare che sia in base all’art. 36 Cost. che in base all’art. 2109 CC, con
disposizione di carattere imperativo, riconoscono al lavoratore il diritto, irrinunciabile ed
indispensabile, a fruire di un giorno di riposo settimanale per ogni sei giorni di lavoro.
La violazione di tale diritto del lavoratore avrebbe potuto determinare, in sede di eventuale
contenzioso, conseguenze risarcitorie a favore del lavoratore stesso per il danno che gli deriva
alla salute ed alla vita familiare, per l’impossibilità di non potere ritemprare, dopo sei giorni di
lavoro consecutivi, le proprie energie psico-fisiche.
Dobbiamo rilevare, peraltro, che la predetta scelta negoziale, è stata condivisa dagli enti del
comparto il cui Comitato di settore ha assicurato la necessaria copertura finanziaria da parte
dei bilanci delle amministrazioni interessate.
INCOMPATIBILITA’
Comune chiede di conoscere se sussistano cause di incompatibilità nel caso in cui al
consigliere di un Comune, partecipante a un'associazione intercomunale, venga affidato, con
procedura aperta, da un Ufficio comune dell'associazione, un incarico professionale da
svolgersi
presso
i
comuni
associati.
Esaminato il quadro normativo di riferimento e sentito il Servizio elettorale, si formulano le
seguenti
considerazioni.
In relazione alla situazione prospettata dall'Ente instante, rilevano le disposizioni di cui
all'articolo 63, comma 1, n. 2 del d.lgs. 267/2000 (TUEL).
Tale comma prevede che non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia,
consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale: '2) colui che, come titolare,
amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte,
direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti,
nell'interesse del comune o della provincia [...]'. Nel caso in esame, l'incarico professionale
affidato al consigliere può essere ricondotto alternativamente ai 'servizi' o agli 'appalti'
contemplati dalla citata norma. Come affermato dalla Cassazione civile, Sez. I, nella Sentenza
n. 550 del 16-01-2004, la ratio della causa di incompatibilità di cui all' articolo 63, comma 1,
n. 2 del TUEL 'risiede nell'esigenza di impedire che possano concorrere all'esercizio delle
funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi configgenti con quelli del comune
o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità'. In
altri termini, la norma è finalizzata ad evitare che la medesima persona fisica rivesta
contestualmente la carica di amministratore di un comune e la qualità di titolare,
amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di un soggetto
che si trovi in rapporti giuridici con l'ente locale, caratterizzati da una prestazione da effettuare
all'ente o nel suo interesse, atteso che tale situazione potrebbe determinare l'insorgere di una
posizione di conflitto di interessi. Pertanto, deve sussistere una duplice, concorrente
condizione: la prima, di natura soggettiva; la seconda, di natura oggettiva.
È necessario, innanzitutto, che il soggetto - in ipotesi incompatibile all'esercizio della carica
elettiva - rivesta una di quelle qualità indicate dalla legge. Come rilevato dalla giurisprudenza
nella sentenza citata, tale condizione può essere integrata anche in ipotesi di esercizio di una
professione intellettuale; il secondo requisito consiste nel fatto che il soggetto sia parte in
servizi
o
appalti,
assunti
nell'interesse
del
comune.
La circostanza che l'incarico professionale in argomento venga svolto nei confronti di tutti i
Comuni appartenenti all'associazione intercomunale[1] in parola e, quindi, anche per il
Comune presso cui il consigliere esercita il proprio munus, comporta un potenziale conflitto di
interessi tra i due ruoli dallo stesso ricoperti: quello di soggetto controllato, in relazione
all'incarico professionale conferitogli e quello di controllore in relazione alla propria
appartenenza all'organo consiliare del Comune, con il conseguente sorgere della causa
d'incompatibilità prospettata.
------------------------------------------------------------------------------[1] Nelle associazioni intercomunali, costituite ai sensi dell'articolo 22 della lr 1/2006, prive di
personalità giuridica, l'ufficio comune svolge le funzioni pubbliche in luogo dei comuni
associati che ne rimangono titolari.
amministratori locali, sospensione anche con sentenza non definitiva
Il candidato eletto viene sollevato temporaneamente dalla carica, di diritto, con
provvedimento del Prefetto, per un periodo di diciotto mesi, trascorsi i quali può essere
reintegratodi Antonino Masaracchia
La condanna dell'amministratore di un Ente locale comporta la sospensione dalla carica prima
che sia dichiarata la sua decadenza. Il Consiglio di Stato, infatti, ha ribadito la legittimità
costituzionale dell'articolo 11, commi da 1 a 6, del Dlgs 235/2012 (legge Severino), che
prevede appunto la sospensione.
LA LEGGE SEVERINO
Nel solco del principio costituzionale di elettorato passivo (articolo 51 della Carta), le
eccezioni devono riposare su principi di pari rango costituzionale e devono, pertanto, essere
determinate rigorosamente.In generale, le possibili eccezioni al diritto di elettorato passivo
possono essere catalogate nei tre istituti dell'incandidabilità, dell'ineleggibilità e
dell'incompatibilità i quali – comunque non espressamente disciplinati dal legislatore, ma
oggetto di ricostruzioni in dottrina – pur configurandosi tutti e tre quali limiti alla generale
libertà di accedere agli uffici pubblici, presentano presupposti ed effetti diversi.
L'incandidabilità riguarda qualità personali o situazioni giuridiche soggettive facenti capo al
candidato, non modificabili con atto della propria volontà e sottratti alla discrezionalità
dell'amministrazione, e determina la nullità insanabile dell'eventuale elezione (per esempio,
aver riportato condanne definitive per delitti contro la Pa). L'ineleggibilità è un vincolo al
diritto di candidarsi che richiede la preventiva (e, quindi, possibile) rimozione di una causa
ostativa, sì che la successiva elezione sarà affetta da nullità, sanabile o insanabile a seconda
che l'interessato possa o meno rimuoverla dopo la data di elezione (per esempio, i dipendenti
del Comune o della Provincia per i rispettivi Consigli: articolo 60 del Dlgs 267/2000).
L'incompatibilità richiede una scelta successiva da parte di chi, in modo legittimo, ha ottenuto
due cariche che non possono coesistere, ma non costituisce di per sé un impedimento
all'elezione (per esempio, il Sindaco o l'assessore di un Comune non può esercitare allo stesso
tempo la carica di Consigliere regionale nella Regione di riferimento territoriale: articolo 65
del Dlgs 267/2000.
L'INCANDIDABILITÀ
I casi contemplati e disciplinati dalla legge Severino rientrano appieno nella categoria delle
incandidabilità.
Principio di base è che la condanna per alcune fattispecie di reato (in particolar modo, si tratta
dei reati contro la Pubblica amministrazione) determina l'impossibilità di ricoprire la carica
elettiva, in considerazione del particolare disvalore collegato al reato commesso e per finalità
di salvaguardia del pubblico interesse coincidente con la tutela della libera determinazione
degli organi elettivi e con il buon andamento e l'imparzialità delle amministrazioni pubbliche
(Corte costituzionale, sentenza 118/1994).In tale quadro la condanna funge da "mero
presupposto oggettivo", non disponibile né da parte dell'interessato né da parte della pubblica
amministrazione, cui è automaticamente ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a
ricoprire la carica elettiva; in altri termini, la condanna si configura alla stregua di un
"requisito negativo" o "qualifica negativa" ai fini della capacità di partecipare alla
competizione elettorale e di mantenerne la carica (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza
695/2013).Deve ricordarsi, in particolare, che la legge Severino è stata varata dal Governo in
attuazione della delega parlamentare prevista dall'articolo 1, comma 64, lettera m, della legge
190/2012 (legge anti-corruzione). Essa disciplina compiutamente tutti i casi di incandidabilità
dei condannati, con riferimento alle elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo, Regioni
e Autonomie locali (anche le circoscrizioni comunali). Secondo questa disciplina, dalla
sentenza di condanna discende automaticamente la decadenza dalla carica elettiva; con la
rilevante precisazione, tuttavia, che per le elezioni politiche di Camera, Senato e Parlamento
europeo l'incandidabilità è temporanea, avendo effetto solo per un periodo corrispondente al
doppio della durata della pena accessoria comminata dal giudice e, comunque, per un periodo
non inferiore a sei anni (articolo 13, comma 1, Dlgs 235/2012); laddove, per le elezioni
regionali e amministrative non è prevista siffatta limitazione temporale dell'incandidabilità.
Va aggiunto che legge Severino allarga la propria disciplina anche agli incarichi di Governo
nazionale, rispetto ai quali parimenti è stabilito un divieto di assunzione o di svolgimento in
base agli stessi presupposti (o "requisiti negativi") che circoscrivono l'incandidabilità alle
elezioni. Per le elezioni regionali e amministrative, inoltre, è previsto anche l'istituto della
"sospensione dalla carica" (articoli 8 e 11 del Dlgs 235/2012), che scatta di diritto per coloro
che abbiano riportato una condanna non definitiva, in attesa che con la pronuncia
dell'eventuale condanna definitiva dalla sospensione si passi alla vera e propria decadenza.
LA SOSPENSIONE DALLA CARICA ELETTIVA
Le pronunce giurisprudenziali che fino ad oggi si sono occupate della legge Severino si sono
concentrate sul problema della retroattività della decadenza, ossia della sua applicabilità anche
a coloro che abbiano commesso il reato ostativo prima dell'entrata in vigore della legge.In
proposito, l'orientamento della giurisprudenza amministrativa è stato nel senso che, proprio
perché la condanna penale è da qualificarsi come un requisito (negativo) di ammissione al
procedimento elettorale, la decadenza dalla carica elettiva non si configura come una sanzione
penale accessoria o come una sanzione amministrativa, ma piuttosto come un semplice effetto
amministrativo della pronuncia, e dunque non viene in rilievo il principio costituzionale di
irretroattività della condanna penale.La sentenza del Consiglio di Stato 730/2014, invece, si è
occupata di una diversa questione, anch'essa veicolata dal ricorrente (un Consigliere comunale
condannato in base all'articolo 323 del Codice penale, l'abuso d'ufficio) sotto le spoglie
dell'eccezione di incostituzionalità, ossia quella concernente l'istituto della sospensione dalla
carica. La legge (articoli 8 e 11 del Dlgs 235/2012) qui stabilisce che, limitatamente ai casi
delle elezioni regionali, provinciali, comunali o circoscrizionali, finché la sentenza di
condanna rimane non definitiva (in quanto non sono ancora scaduti i termini per proporre il
giudizio di appello, o perché quest'ultimo giudizio non si è ancora concluso), il candidato
eletto viene sospeso di diritto dalla carica, con provvedimento del Prefetto, per un periodo di
diciotto mesi, trascorsi i quali egli viene reintegrato (anche se si fosse ancora in attesa della
sentenza definitiva di appello).In particolare, il ricorrente – che aveva subito il provvedimento
di sospensione in seguito a una sentenza di condanna non ancora definitiva – lamentava
l'incostituzionalità della previsione di legge per eccesso di delega (articolo 76 della
Costituzione) in quanto, a suo dire, la legge-delega avrebbe collegato le conseguenze della
sospensione o della decadenza unicamente alle sentenze di condanna definitive, e non anche a
quelle non definitive.Il Consiglio di Stato, pur convenendo con il ricorrente sulla non
correttezza dell'espressione letterale utilizzata dalla legge-delega (l'articolo 1, comma 64,
lettera m, della legge 190/2012, infatti, si riferisce letteralmente alle sole sentenze definitive di
condanna, dalle quali fa discendere gli effetti sia della sospensione sia della decadenza), sulla
scorta dell'insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui il contenuto della leggedelega deve essere identificato alla luce della sua ratio e del complessivo contesto normativo
in cui si colloca, fa valere un argomento logico e uno sistematico. Evidenzia, sotto il primo
profilo, che il concetto di sospensione implica di per sé il riferimento a un presupposto (nel
nostro caso, la condanna penale) non ancora definitivo: se il Parlamento ha voluto mantenere,
a fianco della misura della decadenza, anche la possibilità della "sospensione" della carica
elettiva, ciò ha fatto – evidentemente – sull'implicito presupposto che tale misura (a differenza
della decadenza, che poggia su una condanna definitiva) non può non inerire che a una
condanna non definitiva, in linea con la natura tipicamente cautelare che la pervade.Sotto il
secondo aspetto, poi, è decisivo il riferimento alla ratio legis della legge delega 190/2012, che
è quella di rendere più efficaci i controlli e la prevenzione della corruzione. Pertanto, mal si
concilierebbe con tale esigenza la soppressione della misura della sospensione dalla carica,
misura già prevista e delineata dalle leggi previgenti come strettamente temporanea e
funzionale rispetto alla definitiva decadenza. Pertanto, laddove il legislatore delegante ha fatto
riferimento all'istituto della sospensione, esso ha richiamato la necessità che anche le sentenze
non definitive di condanna (pur non menzionate dalla legge-delega) possano assumere un
importante ruolo nel delineare il complessivo istituto dell'incandidabilità, quantomeno sotto
l'aspetto dell'anticipazione (necessariamente temporanea) degli effetti preclusivi sulla carica
elettiva, tipici della sentenza definitiva.
CONSIGLIERI COMUNALI: La p.a. paga i contributi se il sindaco lascia il lavoro.
Gli amministratori locali lavoratori autonomi qualora richiedano il versamento degli oneri
previdenziali a carico dell'ente presso cui esercitano il loro mandato, ai sensi dell'articolo
86, comma 2 del Tuel, devono astenersi del tutto dall'attività lavorativa. Tale sospensione
deve essere messa nero su bianco in un'apposita certificazione da inoltrare all'ente e
all'istituto previdenziale.
È quanto ha osservato la Sez. regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia, nel
testo del parere 05.03.2014 n. 95, confermando le conclusioni cui nei mesi scorsi era
pervenuta la sezione regionale della Basilicata (si veda ItaliaOggi del 24 gennaio), in merito al
pagamento, da parte degli enti locali, della somma forfetaria annua per oneri previdenziali,
assistenziali e assicurativi nel caso di amministratori lavoratori autonomi.l casus belli
sollevato si fonda sulla presunta diversità di trattamento per gli amministratori lavoratori
dipendenti i quali, per aver diritto al pagamento degli oneri da parte dell'ente, devono
necessariamente collocarsi in aspettativa non retribuita dal proprio datore di lavoro ed è palese
che, nel caso di lavoratori autonomi, tale differenza sia più marcata in quanto non è
contemplato, in tali evenienze, l'istituto dell'aspettativa. Per la magistratura contabile
lombarda, l'opzione del collocamento in aspettativa non può essere misurata differentemente
per il lavoratore dipendente rispetto a quello autonomo. La ratio dell'articolo 86 Tuel è, infatti,
quello di «premiare» l'amministratore che sceglie di non esercitare più il suo lavoro da
dipendente o la sua professione, per dedicarsi alle attività politico-istituzionali presso l'ente
ove esercita il proprio mandato. Se si giungesse a una diversa soluzione, si legge nel parere,
stabilendo che l'ente sia tenuto a corrispondere gli oneri contributivi dell'amministratorelavoratore autonomo, si avallerebbe un'interpretazione che faciliterebbe quest'ultimo,
aggravando il bilancio comunale di tali oneri senza che, dall'altra parte, ci sia «una
corrispettiva dedizione del tempo lavorato ai soli compiti di amministratore locale».
Senza dimenticare che, come ha rilevato anche la Corte dei conti lucana, permettendogli di
svolgere ugualmente la sua professione, si finirebbe per consentire l'alterazione delle
condizioni di mercato, dal momento che, in questo modo, l'amministratore locale non sarebbe
gravato dall'obbligo di versamento degli oneri contributivi e assistenziali. Pertanto, conclude
la Corte, il secondo comma dell'articolo 86 Tuel, può trovare applicazione solo quando il
lavoratore autonomo che svolga le funzioni di amministratore locale si astenga del tutto
dall'attività lavorativa (articolo ItaliaOggi del 12.03.2014).
FABIO SAITTA Flessibilità e rigidità dei contratti pubblici: l’autotutela della stazione
appaltante tra norme (poche) e prassi**
SOMMARIO: 1. I riferimenti normativi. – 2. L’annullamento d’ufficio degli atti
di gara: a) premesse generali. – 3. Segue: b) presupposti e garanzie
procedimentali. – 4. La revoca degli atti di gara: a) premesse generali. – 5. Segue:
b) presupposti e garanzie procedimentali. – 6. Segue: c) obbligo di indennizzo e
responsabilità precontrattuale. – 7. Gli effetti dell’autotutela sul contratto già
stipulato. – 8. Riflessioni conclusive: flessibilità e rigidità in equilibrio instabile.
1. Anche nell’ambito dei pubblici appalti opera il generale principio di autotutela di cui
agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, sicchè tutti gli atti di gara, dal
bando all’aggiudicazione definitiva [1], possono formare oggetto di ritiro da parte della
stazione appaltante.
Siccome l’art. 11, comma 9, del decreto legislativo n. 163 del 2006 si limita a fare
«salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti», la materia
deve ritenersi disciplinata dalle succitate disposizioni generali contenute nella legge sul
procedimento [2].
L’applicabilità del generale principio di autotutela decisoria all’amministrazione
appaltante è stata messa in discussione soltanto con riguardo all’incidenza del ritiro di atti del
procedimento ad evidenza pubblica sul contratto già stipulato, visto come un «vulnus al tipico
assetto tendenzialmente paritario che è proprio delle vicende contrattuali» [3].
Secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, tuttavia, il codice dei contratti pubblici,
nel suo complesso (oltre che del succitato art. 11, comma 9, va tenuto conto dei commi 7 ed 11
del medesimo articolo, nonché del successivo art. 81, comma 3), finisce per confermare –
addirittura rafforzandoli – i poteri di riesame delle stazioni appaltanti [4], il cui esercizio non
sembra precluso dall’intervenuta stipulazione del contratto [5].
Il che, peraltro, non significa – come avremo modo di illustrare nel prosieguo
dell’indagine [6] – che il ritiro in autotutela degli atti di gara produca effetti automatici sul
negozio nel frattempo concluso e/o, più in generale, che la stazione appaltante abbia anche il
potere di disporre unilateralmente di quest’ultimo.
2. Prendendo le mosse dall’annullamento d’ufficio, va preliminarmente precisato che,
prima che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva, il procedimento ad evidenza pubblica
non può ancora ritenersi concluso, sicchè non v’è ragione per configurare l’eventuale
«retromarcia» della stazione appaltante in termini di autotutela decisoria, essendo il potere di
non procedere all’aggiudicazione definitiva – ergo di non confermare l’aggiudicazione
provvisoria, avente natura di atto endoprocedimentale – intrinseco al procedimento di primo
grado [7]. Alla luce dell’art. 12, comma 1, del codice dei contratti pubblici (ma anche
dell’espressa previsione contenuta nel successivo art. 81, comma 3 [8]), d’altronde, il diniego
di aggiudicazione definitiva appare un evento del tutto fisiologico [9].
Per il resto, la doverosa osservanza dei principi che governano il generale potere di
riesame della pubblica amministrazione [10] impone, in primo luogo, di considerare
l’annullamento degli atti di gara come extrema ratio, cioè come una soluzione che si giustifica
soltanto dopo che è risultata impossibile una diversa composizione degli interessi [11]. In
applicazione della regola della conservazione degli atti giuridici [12], va comunque evitato
l’annullamento dell’intera procedura in presenza di vizi concernenti soltanto determinate fasi
della stessa, dovendosi in siffatte ipotesi circoscrivere la rinnovazione del procedimento alle
sole fasi viziate ed a quelle successive [13].
E’ convincimento unanime, poi, che l’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241 del
1990 abbia confermato la dimensione tipicamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio, il
quale, rifuggendo da qualsivoglia automatismo, dev’essere espressione di una congrua
valutazione comparativa degli interessi in conflitto [14].
3. Muovendosi nel quadro dei principi generali in tema di annullamento d’ufficio dettati
dalla legge sul procedimento, la giurisprudenza ha, innanzitutto, affermato che la stazione
appaltante è tenuta a fornire un’adeguata motivazione in ordine alla natura ed alla gravità delle
anomalie contenute nel bando e/o negli altri atti del procedimento ad evidenza pubblica che,
alla luce della doverosa comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni
consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di annullamento [15].
Della sussistenza di uno specifico interesse pubblico che giustifichi il sacrificio del privato può
farsi a meno solo in presenza di un’aggiudicazione provvisoria, che – come si è detto – ha
natura di atto endoprocedimentale con effetti ancora instabili e del tutto interinali, in relazione
al quale non si forma alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente [16].
Un ulteriore presupposto richiesto dall’art. 21-nonies è che l’annullamento del
provvedimento venga disposto «entro un termine ragionevole», espressione indubbiamente
alquanto vaga [17], che tuttavia – come abbiamo avuto modo di notare in precedente
occasione [18] – ha il pregio di introdurre un concetto giuridico indeterminato in luogo di un
termine massimo prestabilito (come si era pensato di fare nel corso dei tormentati lavori
preparatori della legge di riforma della legge n. 241 del 1990) [19], che avrebbe finito per
«ingessare» le pubbliche amministrazioni. Si allude al fatto che – com’è ben stato notato in
dottrina – il decorso del tempo assume un significato non solo quantitativo, ma anche
qualitativo [20], sicchè è necessario valutare caso per caso se il tempo trascorso dall’adozione
del provvedimento è davvero talmente lungo da indurre a preferire la soluzione conservativa a
quella eliminatoria [21].
Va da sé, poi, che, se si conviene sul fatto che l’irragionevolezza del termine costituisce
un limite per l’annullamento d’ufficio nella misura in cui concorre a consolidare l’affidamento
originato dalla pregressa decisione amministrativa, deve, coerentemente, ammettersi che, in
determinati casi, tale consolidamento possa aversi anche in un lasso di tempo brevissimo [22].
Il concetto di «termine ragionevole», in sostanza, si connota di una valenza relativa, che
si apprezza in relazione alla natura dei provvedimenti oggetto del potere di annullamento e
della sequenza procedimentale in cui si collocano, nonché agli effetti prodotti, a livello sia
materiale che psicologico (l’affidamento), in capo al destinatario del precedente
provvedimento favorevole [23].
Per quanto attiene, poi, alle garanzie procedimentali, la giurisprudenza sembra unanime
nel ritenere che l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva debba essere preceduto
dalla comunicazione dell’avvio del relativo procedimento [24], la quale, invece, non occorre
nel caso di ripensamento su un’aggiudicazione provvisoria, che – come si è detto – non si
atteggia ad autotutela in senso tecnico [25].
4. Come abbiamo notato già in passato[ 26], nel caso della revoca [27] la codificazione
operata nel 2005 serve a superare non solo il problema del fondamento normativo del potere di
riesame, ma anche le molte dispute sulle diversità terminologiche e sul diverso significato da
attribuire ai vari termini finora utilizzati da giurisprudenza e dottrina per individuare i
provvedimenti di secondo grado [28]. L’art. 21-quinquies della legge n. 241 del 1990
accomuna, infatti, sotto la medesima rubrica («Revoca del provvedimento») sostanzialmente
tutte le ipotesi di ritiro di un atto per ragioni, lato sensu, di opportunità [29]. In sostanza, il
legislatore del 2005 ha accolto una nozione ampia di revoca, prevedendo tre presupposti
alternativi che consentono l’adozione del relativo provvedimento: a) sopravvenuti motivi di
pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse
pubblico originario (c.d. jus poenitendi) [30]. Ne consegue, ad es., che la c.d. abrogazione –
termine con cui si era soliti indicare il ritiro di un atto che, a causa di un fatto sopravvenuto,
non risulti più rispondente all’interesse pubblico – deve oggi ritenersi ricompresa dell’ampia
nozione di revoca.
Tuttavia, nonostante non dovrebbero più sussistere dubbi sull’esistenza di un generale
potere di revoca e non vi siano valide ragioni per escluderne l’esercizio nell’ambito dei
pubblici appalti [31], non sono mancate pronunce secondo cui l’aggiudicazione di una gara
sarebbe suscettibile di annullamento d’ufficio, ma non anche di revoca, «atteso che i
meccanismi di aggiudicazione sono congegnati in modo da escludere apprezzamenti di
interesse pubblico, convenienza, opportunità, ed il ritiro di essa può dunque avvenire solo ove
il seggio di gara riscontri una illegittimità nell’aggiudicazione» [32]. Trattasi, peraltro, di
affermazione che, almeno nella sua assolutezza, non può essere condivisa [33] ed è, infatti,
smentita dalla copiosa giurisprudenza che – come vedremo di qui a poco [34] – individua
numerose ipotesi in cui è consentito alla stazione appaltante revocare gli atti di gara qualora
quest’ultima non risponda più alle esigenze dell’ente e sussista un interesse pubblico, concreto
ed attuale, all’eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del
contrapposto interesse dell’aggiudicatario [35].
5. Per quanto concerne i presupposti della revoca, è di tutta evidenza che le tre ipotesi
individuate dall’art. 21-quinquies sono diverse tra loro [36] e che è soprattutto l’ultima – la
c.d. revoca jus poenitendi – ad implicare una valutazione particolarmente attenta da parte
dell’amministrazione procedente, che deve tener conto sia dell’affidamento riposto
dall’interessato nell’atto da revocare, sia del pregiudizio che la revoca può comportare in
danno di quest’ultimo e del conseguente obbligo di indennizzarlo [37]. In quest’ultimo caso,
vanno individuati con certezza i parametri in base ai quali valutare i contrapposti interessi –
cioè, le sopravvenienze, da un lato, e la situazione consolidata dell’interessato, dall’altro – ed a
tal fine recitano un ruolo sicuramente decisivo, come del resto avviene anche
nell’annullamento d’ufficio [38], il decorso del tempo ed il consolidamento degli effetti
prodotti dall’atto revocando [39].
Per tali ragioni, è sicuramente deprecabile l’omessa previsione di un limite temporale,
specie con riguardo alla revoca espressione di jus poenitendi. Se, infatti, sarebbe stato, forse,
inopportuno – per le ragioni già evidenziate con riguardo all’annullamento d’ufficio – il
mantenimento del rigido termine di due anni previsto nelle prime versioni dell’art. 21quinquies, si sarebbe potuto quantomeno introdurre un limite più elastico, come quello del
«termine ragionevole» previsto dall’art. 21-nonies [40].
In ogni caso, è pacifico che la revoca degli atti di gara debba essere adeguatamente
motivata con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico [41], con conseguente
illegittimità del provvedimento di revoca fondato su ragioni del tutto generiche [42].
Ad un diverso trattamento, tuttavia, è ancora una volta assoggettata l’aggiudicazione
provvisoria, la mancata conferma della quale non configura una vera e propria revoca, sì da
richiedere il raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato; non essendo
l’aggiudicazione provvisoria l’atto conclusivo del procedimento ad evidenza pubblica, non é
nemmeno prospettabile alcun affidamento del destinatario, sicchè non v’è ragione di motivare
sulle ragioni di pubblico interesse [43].
Per comprendere appieno l’ampiezza del potere di revoca spettante alla stazione
appaltante, può essere utile segnalare che la giurisprudenza ne ha ritenuto legittimo l’esercizio
nelle seguenti tipologie di casi [44]:
- carenza di copertura finanziaria [45];
- ragioni di convenienza economica lato sensu intese [46], come ad es. la sopravvenuta
disponibilità degli uffici interni della stazione appaltante a svolgere l’attività oggetto
dell’appalto ed il conseguente risparmio di spesa [47], la scelta di diverse soluzioni tecniche
idonee a comportare un minor dispendio di risorse [48], la necessità di evitare che i risultati
della procedura ad evidenza pubblica siano in contrasto con le sopravvenute norme sulla
spending review [49] e la sopravvenuta incongruenza dell’oggetto dell’appalto a fronte del
mutato scenario organizzativo [50];
- fatti e/o comportamenti concernenti l’aggiudicatario, come ad es. il rifiuto di
quest’ultimo di stipulare il contratto d’appalto [51], l’omesso pagamento delle spese
contrattuali (che l’art. 139 del d.p.r. n. 207 del 2010 pone a carico dell’affidatario) [52], il
notevole ritardo nel depositare la documentazione necessaria per pervenire all’aggiudicazione
definitiva [53], il rinvio a giudizio del legale rappresentante dell’impresa aggiudicataria [54] e
la circostanza che la ditta aggiudicataria ha praticato nei confronti dei lavoratori dipendenti
dell’impresa uscente condizioni economiche più svantaggiose rispetto a quelle in godimento,
facendo in tal modo venir meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante [55].
La conferma che l’ipotesi più problematica sia quella della c.d. revoca jus poenitendi
proviene, poi, dalla giurisprudenza che, in svariate ipotesi, ha ritenuto irrilevante che la
determinazione della stazione appaltante di rivedere la scelta originaria potesse avvenire, con
l’uso di maggiore accortezza, prima dell’indizione della gara e non dopo l’aggiudicazione
della stessa, atteso che tale circostanza non incide sulla legittimità del potere di revoca
esercitato, costituendo nuova valutazione dell’interesse pubblico originario [56].
Per quanto concerne, poi, le garanzie procedimentali, la giurisprudenza è assestata su
posizioni analoghe a quelle assunte in materia di annullamento d’ufficio e distingue tra la
revoca dell’aggiudicazione definitiva, che dev’essere preceduta dalla comunicazione
dell’avvio del relativo procedimento [57], e quella provvisoria, ritenuta inidonea a far sorgere
un interesse qualificato e differenziato meritevole di tutela attraverso detta comunicazione
[58].
6. Un disincentivo alla revoca, ed in particolare a quella conseguente ad una diversa
valutazione dell’interesse pubblico originario, è sicuramente rappresentato dall’obbligo di
corrispondere un indennizzo ai soggetti che hanno subìto un pregiudizio per effetto del
provvedimento di ritiro: a seguito delle innovazioni introdotte nel 2005, la sopravvenienza
(intesa sia come fatto materiale nuovo che come valutazione soggettiva nuova dell’opportunità
originaria del provvedimento) non giustifica più una revoca «a costo zero» per
l’amministrazione, la quale deve ormai dare conto anche del costo sociale rappresentato
dall’indennizzo [59]. Tale previsione, in altri termini, introduce un elemento che
l’amministrazione dovrà valutare nel bilanciamento di interessi che è chiamata a fare per
stabilire se revocare o meno il provvedimento: ed infatti, proprio per il fatto di non essere «a
costo zero», l’opportunità della revoca dovrà essere messa a raffronto con altre soluzioni
alternative, magari più economiche, di soddisfacimento del pubblico interesse [60].
Dal punto di vista dell’analisi economica del diritto, l’internalizzazione delle esternalità
provocate dalla revoca costituisce adesso un preciso onere per le finanze pubbliche, ragion per
cui le esternalità stesse vengono frammentate sui cittadini contribuenti [61]; ne consegue che,
a ben guardare, alla tradizionale comparazione tra interesse pubblico specifico ed interesse del
privato interessato si sostituisce, in tali ipotesi, una comparazione tra due diversi interessi
pubblici, cioè quello alla rimozione dell’atto e quello all’economicità della gestione [62].
Comparazione che, peraltro, l’amministrazione sarà spesso chiamata ad operare, anche ai fini
dell’annullamento d’ufficio, in pendenza di giudizio, spontaneamente o su sollecitazione di
ordinanze propulsive o richieste di riesame, in modo tale da eventualmente ritirare la propria
determinazione prima della definizione della controversia, valutate le implicazioni di carattere
finanziario del relativo esito [63].
I condizionamenti economici che subisce l’esercizio dell’autotutela decisoria della
stazione appaltante non sono, peraltro, circoscritti alla sola revoca, ma – come vedremo –
riguardano anche l’annullamento d’ufficio degli atti di gara.
E’ ormai pacifico, sia in giurisprudenza che in dottrina, che l’esercizio, anche legittimo,
del potere di autotutela, può determinare responsabilità precontrattuale dell’amministrazione
in caso di ingiustificato recesso dalle trattative e/o di violazione degli obblighi di correttezza:
in siffatta ipotesi, non viene in gioco l’indennizzo che la stessa amministrazione, in virtù
dell’art. 21-quinquies, comma 1, della legge sul procedimento, deve corrispondere al privato
che ha incolpevolmente confidato nel provvedimento poi revocato, bensì il risarcimento che le
norme di diritto comune (artt. 1337 e 1338 c.c.) prevedono in caso di violazione degli obblighi
di correttezza e buona fede [64].
La tematica, involgendo i rapporti tra legittimità e liceità, implicherebbe
approfondimenti che in questa sede non è possibile svolgere [65], sicchè ci limiteremo a
tracciare rapidamente il quadro dei problemi e delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza
[66].
Il punto di partenza è rappresentato dal convincimento, pressochè unanime, che
l’affidamento dell’aggiudicatario di una gara nella stipula ed esecuzione del contratto sia
suscettibile di lesione al contempo legittima ed illecita allorquando la stazione appaltante
intervenga in autotutela sugli atti di gara con un provvedimento di per sé legittimo, che
tuttavia si inquadra nell’ambito di un comportamento complessivamente contrario ai canoni
della correttezza e buona fede oggettiva; è, del resto, di tutta evidenza che il giudizio sul
comportamento, avendo quale parametro i predetti canoni di diritto comune, è strutturalmente
diverso da quello sulla legittimità del singolo provvedimento di ritiro, che dev’essere condotto
alla stregua delle cause di annullabilità oggi previste dall’art. 21-octies della legge n. 241 del
1990 [67].
Ebbene, ormai da tempo la giurisprudenza separa nettamente il comportamento tenuto
dall’amministrazione nel corso del procedimento dalla legittimità del provvedimento
conclusivo [68], affermando che, nelle procedure ad evidenza pubblica, la responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante si può indifferentemente configurare sia in presenza
del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale, sia
nell’assodato presupposto della loro validità ed efficacia, nel caso di annullamento d’ufficio o
revoca degli atti stessi [69]. Si mostra così una diversa attenzione nei confronti dell’impresa,
fino a riconoscere valenza e tutela giuridica al legittimo affidamento suscitato in capo alla
stessa dallo svolgimento degli atti di un procedimento ad evidenza pubblica, che dà diritto non
ad un indennizzo, ma ad un vero e proprio risarcimento: l’accertamento della responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante non è precluso dalla legittimità del provvedimento di
ritiro [70], dovendosi tenere conto della correttezza del comportamento complessivo tenuto
dall’amministrazione, anch’essa tenuta ad agire secondo buona fede, durante il corso delle
trattative [71].
L’applicazione, in siffatte ipotesi, dell’art. 1337 c.c., che prescrive l’osservanza dei
principi di correttezza e buona fede «nello svolgimento delle trattative e nella formazione del
contratto», non trova ostacoli nel fatto che le parti del procedimento ad evidenza pubblica sono
in realtà in attesa non già del contratto, quanto del provvedimento di aggiudicazione, che ne
costituisce l’indefettibile presupposto [72].
Va da sé, poi, che, inquadrando la fattispecie nell’ambito della responsabilità
precontrattuale e sganciandola dall’indennizzo da revoca, non v’è nemmeno ragione per
escludere il risarcimento nel caso di annullamento d’ufficio degli atti di gara, trattandosi di
intervento in autotutela che incide allo stesso modo sull’affidamento suscitato nell’impresa
dagli atti poi rimossi [73].
Anche sotto il profilo ora in esame, tuttavia, riemerge la differenza tra la revoca
dell’aggiudicazione definitiva e la mancata conferma di quella provvisoria, la quale ultima,
non rientrando tra i provvedimenti ad efficacia durevole contemplati dall’art. 21-quinquies
della legge n. 241 del 1990, non dà titolo a pretendere l’indennizzo [74].
Per quanto concerne, infine, il quantum del pregiudizio ristorabile, il comma 1-bis
dell’art. 21-quinquies circoscrive l’indennizzo al danno emergente, nel quale la giurisprudenza
ha incluso le spese di partecipazione alla gara per lesione della «pretesa a non essere coinvolto
in trattative inutili» [75].
L’anzidetta parametrazione dell’indennizzo al solo danno
emergente, operata dall’anzidetta disposizione per ragioni «politiche» che qui non è possibile
esporre [76], è stata criticata in dottrina, anche perché, applicandosi soltanto alla revoca che
incide su rapporti negoziali, pone problemi di disparità di trattamento rispetto alle altre ipotesi
di revoca [77].
Ma non si tratta dell’unica perplessità generata dalla novella del 2007 [78], in quanto
anche l’ulteriore criterio, consistente nel dover considerare sia l’eventuale conoscenza o
conoscibilità, da parte dei contraenti, della contrarietà dell’atto amministrativo revocato
all’interesse pubblico, sia l’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea
valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse stesso, è apparso discutibile.
In verità, come abbiamo già avuto modo di evidenziare [79], non sembra che entrambi i
due profili meritino lo stesso giudizio critico.
Per quanto attiene al primo, è obiettivamente difficile ipotizzare la conoscenza o
conoscibilità, da parte del privato, di vizi di merito del provvedimento [80], non potendosi
pretendere che egli controlli, oltre ai propri interessi, quelli dell’amministrazione e dei terzi,
ciò che comporterebbe una vera e propria inversione dei ruoli [81].
Relativamente al secondo profilo, invece, deve, in linea di massima, convenirsi sul fatto
che, qualora l’erronea valutazione dell’interesse pubblico sia stata determinata da un’inesatta
rappresentazione della realtà da parte del privato, quest’ultimo non possa pretendere un
indennizzo pieno [82]. Ed infatti, come in passato abbiamo cercato di dimostrare, ad
un’amministrazione imparziale deve rapportarsi un cittadino leale, sincero e non reticente,
configurandosi, in caso contrario, una vera e propria responsabilità da inesatta informazione, a
suo carico, nei confronti dell’amministrazione [83]. Non si vede perché, allora, dell’inesatta o
incompleta informazione del cittadino nell’ambito di un rapporto procedimentale non
dovrebbe tenersi conto in sede di determinazione dell’indennizzo da revoca.
Da questo punto di vista, non possiamo che dissentire dall’impostazione secondo cui la
libertà di cui gode il cittadino nell’ambito di un «rapporto amministrativo democratico» gli
consentirebbe «di “gestire” al meglio le risorse di cui dispone, per elaborare, serenamente e
senza condizionamenti, la sua strategia procedimentale», sicchè «[t]ra i diritti di
partecipazione vi è […] un diritto di cercare d’influire, a proprio favore, sulle decisioni in
formazione» [84]. A nostro avviso, non è accettabile che il cittadino possa invocare la parità
delle armi solo quando gli fa comodo, pretendendo l’applicazione unilaterale del principio di
buona fede/correttezza nei rapporti giuridici esclusivamente a suo favore [85], ragion per cui
ci sembra del tutto ragionevole precludere a colui che non abbia fornito tutte le informazioni in
suo possesso o, peggio ancora, abbia fornito informazioni false di ottenere un indennizzo pari
a quello spettante a chi non abbia in alcun modo contribuito all’errore valutativo della
pubblica amministrazione. Il che non significa – sia ben chiaro – pretendere che il cittadino
apprenda «l’arte di amministrare» [86], ma semplicemente evitare che l’esistenza del principio
fondamentale dell’istruttoria procedimentale sancito dall’art. 6, lett. b), della legge n. 241 del
1990 – secondo cui «l’Amministrazione ha l’obbligo di accertare d’ufficio, per quanto
possibile, la realtà dei fatti e degli atti, anche acquisendo, ove necessario, precisazioni relative
all’interpretazione di istanze poco chiare o troppo generiche»[87] – finisca per diventare un
alibi per il cittadino, che ha sì il diritto di utilizzare la partecipazione come strumento per
ottenere il provvedimento che gli è più congeniale, ma non può essere perciò sleale, falso o
anche soltanto reticente.
D’altronde, se l’indennizzo è davvero uno strumento per compensare la lesione
dell’affidamento legittimo, non si vede perché dovrebbe essere integralmente corrisposto
anche a protezione dei soggetti in mala fede, cioè d’interessi non meritevoli di tutela da parte
dell’ordinamento [88].
Sta di fatto che la giurisprudenza ha fatto applicazione dell’anzidetta disposizione,
affermando, in presenza di una revoca di aggiudicazione definitiva disposta in ragione delle
condizioni di precarietà dell’area di sedime dell’opera pubblica, che la determinazione
dell’indennità ragguagliata al danno emergente è decurtata per il fatto che l’aggiudicataria era
a conoscenza che l’opera non poteva essere ragionevolmente realizzata mediante il progetto
esecutivo assunto dalla stazione appaltante [89].
In caso di responsabilità precontrattuale, invece, il danno risarcibile deve intendersi
limitato a: a) rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in
vista della conclusione del contratto (danno emergente); b) ristoro della perdita (se
adeguatamente provata) di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o
maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro
cessante); c) risarcimento del c.d. «danno curriculare», consistente nell’impossibilità di far
valere, in future contrattazioni, il requisito economico dell’appalto non eseguito; viene escluso
il mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del
contratto [90].
7. All’inizio dell’indagine, nell’evidenziare che l’esercizio dei poteri di riesame delle
stazioni appaltanti non sembra precluso dall’intervenuta stipulazione del contratto, ci eravamo
riservati di stabilire se il ritiro in autotutela degli atti di gara produca effetti automatici sul
negozio nel frattempo concluso e/o, più in generale, se la stazione appaltante abbia anche il
potere di disporre unilateralmente di quest’ultimo [91]. In sostanza, se non pare dubbio che le
amministrazioni abbiano il potere di procedere in via di autotutela sugli atti di gara con l’unico
limite temporale espressamente previsto dalla legge a tutela dell’affidamento dei concorrenti
che aspirano alla stipulazione del contratto (id est, il «termine ragionevole» di cui all’art. 21nonies della legge sul procedimento [92]), occorre verificare entro quali limiti tale potere
esplica i propri effetti.
Com’è noto, in linea di principio, il generale potere di autotutela di cui gode la pubblica
amministrazione può essere esercitato esclusivamente nei confronti degli atti amministrativi
adottati nell’ambito del procedimento ad evidenza pubblica, assoggettato al regime
pubblicistico, mentre nei confronti degli atti negoziali appartenenti alla fase privatistica
dell’esecuzione del contratto l’amministrazione contraente può esperire esclusivamente i
rimedi previsti dalla legge o dal contratto stesso [93].
La più recente giurisprudenza, tuttavia, non si limita ad affermare che la stazione
appaltante può intervenire in autotutela sugli atti di gara anche dopo la conclusione del
contratto, ma ritiene, altresì, che il ritiro di tali atti comporti, al pari del loro annullamento
giurisdizionale, la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente
stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti [94].
Decisamente minoritario è l’indirizzo che, invece, esclude siffatta automaticità,
affermando che per rendere inefficace il contratto medio tempore stipulato occorre l’intervento
di una pronuncia costitutiva del giudice, spettando unicamente a quest’ultimo, e non anche alla
stazione appaltante, la valutazione degli interessi connessi alla continuazione nell’esecuzione
del contratto stesso [95].
Di avviso decisamente opposto è la stragrande maggioranza della dottrina, che, sulla
base di svariate argomentazioni, esclude che la stazione appaltante possa direttamente
incidere, mediante l’autotutela sugli atti di gara, sul contratto stipulato.
Le principali ragioni addotte a sostegno di tale opinione attengono al fatto che il potere
di dichiarare l’inefficacia del contratto dev’essere espressamente previsto dalla legge, non
potendo altrimenti consentirsi, attraverso il meccanismo dell’analogia, l’ingresso di poteri
pubblicistici nell’ambito di un contesto contrattuale, eminentemente privatistico [96]. Nella
specie, né la norma generale sull’annullamento d’ufficio contenuta nell’art. 21-nonies della
legge n. 241 del 1990 né quella speciale (in quanto operante solo nel caso del contenimento
della spesa) recata dall’art. 1, comma 236, della legge n. 311 del 2004 attribuiscono un
generale potere di incidere su atti negoziali, sicchè consentire alla stazione appaltante di
sciogliere unilateralmente il vincolo negoziale significherebbe violare apertamente il principio
di legalità [97].
Una revocabilità degli atti di gara con effetti immediati sul contratto equivarrebbe,
inoltre, ad un recesso dal contratto stesso, mentre il potere della pubblica amministrazione di
recedere unilateralmente dal contratto è consentito nei soli casi «previsti dalla legge o dal
contratto» (art. 21-sexies della legge n. 241 del 1990) [98].
Va, altresì, considerato che il codice del processo amministrativo, in linea con le
indicazioni comunitarie (già recepite con il decreto legislativo n. 53 del 2010), «intesta al
giudice (amministrativo) il potere di dichiarare l’inefficacia del contratto, concentrandolo con
il potere di annullamento dell’aggiudicazione», ed esclude che quest’ultimo incida
automaticamente sulla sorte del contratto. Siffatta scelta legislativa di legare l’inefficacia
negoziale ad una pronuncia giurisdizionale, peraltro basata su una valutazione delle
circostanze del singolo caso e su un’attenta ponderazione degli interessi in gioco, induce ad
escludere con fermezza che l’inefficacia stessa possa essere pronunciata dalla stazione
appaltante – la quale non possiede certo i requisiti di soggetto terzo rispetto alle parti
contraenti richiesto dalla normativa comunitaria [99] – in sede di ritiro dell’aggiudicazione
[100].
Alla luce di tali condivisibilissime osservazioni, deve, conclusivamente, ritenersi che la
stazione appaltante che sia intervenuta in autotutela sugli atti del procedimento ad evidenza
pubblica debba, al pari degli altri soggetti coinvolti, eventualmente chiedere al giudice
(amministrativo [101]) di pronunciare l’inefficacia del contratto [102].
L’unica ipotesi in cui può, forse, predicarsi a ragione la tesi della caducazione
automatica del contratto a seguito di annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione è quella
dell’interdittiva antimafia postuma, per la quale il legislatore (artt. 92 e 94 del decreto
legislativo n. 159 del 2011) ha previsto la risoluzione ex lege, salva la sussistenza di
circostanze eccezionali (contratto pressochè ultimato e difficile sostituibilità dell’appaltatore)
che spostano il giudizio di interesse pubblico a favore della conservazione del contratto [103].
Va, peraltro, segnalato che, da ultimo, lo stesso Consiglio di Stato è parso dubitare della
sussistenza del potere della stazione appaltante di disporre la revoca dell’aggiudicazione dopo
la conclusione del contratto, tanto da deferire la questione all’Adunanza plenaria [104].
8. Le riflessioni svolte possono adesso essere «calate» nel contesto per il quale erano
state pensate: l’eterno dilemma tra flessibilità e rigidità, che da sempre tormenta la normativa
nazionale in tema di contratti pubblici.
Non pare possa mettersi in dubbio che un fil rouge della direttiva comunitaria n.
2004/18/CE fosse quello della ricerca della flessibilità delle procedure di aggiudicazione
(nonchè dei modelli contrattuali) e del recupero della discrezionalità amministrativa; obiettivo
che si è cercato di perseguire in vario modo, nel convincimento, da un lato, che procedure più
flessibili con ampi margini di discrezionalità per le stazioni appaltanti – come, ad es., il
dialogo competitivo – favoriscano la scelta del miglior contraente e, dall’altro, che attraverso
adeguati controlli ex post sulle scelte effettuate possa scongiurarsi il rischio che l’aumento di
discrezionalità si traduca in brogli e collusioni [105].
In quest’ottica, l’autotutela della stazione appaltante potrebbe rappresentare uno
strumento prezioso per rimediare agli errori commessi: l’annullamento d’ufficio, in
particolare, ben si comprende in un quadro preordinato ad assicurare effettività alle regole
della procedura ad evidenza pubblica, sicchè la circostanza che la stazione appaltante possa
esercitare il relativo potere anche dopo la stipula del contratto può, in fondo, ritenersi
«coerente all’enfasi che la disciplina normativa assegna al rispetto delle regole, e ai molteplici
strumenti per ciò predisposti» [106].
E’ anche vero, tuttavia, che, nell’impostazione del legislatore comunitario, tutti i vari
istituti di tutela in materia di appalti pubblici (stand still, tutela cautelare, accelerazione del
rito, inammissibilità del ricorso straordinario) sono chiaramente finalizzati a congelare la
procedura di gara ed accelerare la decisione in ordine alla legittimità dell’aggiudicazione,
dimodochè la stessa sia definitivamente assunta prima della stipula del contratto e, in linea di
massima, non vi siano annullamenti in un momento successivo: il che, evidentemente,
dovrebbe indurre a non largheggiare troppo nell’ammettere l’esercizio dell’autotutela dopo
che è già insorto il vincolo contrattuale [107].
L’equilibrio tra flessibilità e rigidità dei contratti pubblici sembra, quindi, destinato a
restare instabile e soltanto una maggiore fiducia nel corretto esercizio della discrezionalità
amministrativa, che è inevitabilmente insita nelle scelte delle stazioni appaltanti [108] e che è
comunque assoggettata all’incisivo controllo dei giudici amministrativi, potrà evitare eccessivi
irrigidimenti del sistema.
* Professore ordinario nell'Università di Catanzaro.
** Testo rielaborato ed aggiornato dell’intervento alla Giornata di studio su: «Flessibilità e
rigidità dei contratti pubblici» - Milano, 18 novembre 2013. In corso di pubblicazione in Il
diritto dell’economia.
[1] Nel senso che l’art. 11 d.lgs. n. 163/2006 non detta una disciplina esaustiva dell’autotutela,
la quale non riguarda solo l’aggiudicazione, ma anche tutti gli altri atti di gara, Cons. St., Sez.
V, 23 febbraio 2012, n. 1054, in Giurisd. amm., 2012, I, 354.
[2] M. RAMAJOLI, Provvedimenti amministrativi di secondo grado. Report annuale - 2011 –
Italia, in www.ius-publicum.com (febbraio 2011), § 5; T.A.R. Veneto, Sez. I, 14 settembre
2010, n. 4745, in www.giustizia-amministrativa.it; A.V.L.P., determ. 10 luglio 2002, n. 17, in
www.avcp.it. Secondo A. Travi, La giurisdizione sul contratto fra giurisdizione
amministrativa e giurisdizione ordinaria: la disciplina del c.p.a. e i nuovi interrogativi, in
Urb. e app., 2012, 1153-1154, la mancanza di una disciplina specifica costituisce una grave
lacuna del sistema introdotto dal d.lgs. n. 53/2010, poi riordinato nel codice del processo
amministrativo.
[3] Così A. Massera, Lo Stato che contratta e che si accorda, Pisa, 2011, 260. Nello stesso
senso, già prima, A. Bardusco, La struttura dei contratti delle pubbliche amministrazioni,
Milano, 1974, 232; G. Greco, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e privato. I
contratti ad evidenza pubblica, Milano, 1986, 105-106.
[4] R. Caranta, I contratti pubblici, Torino, 2012, 511.
[5] L. Garofalo, Annullamento dell’aggiudicazione e caducazione del contratto: innovazioni
legislative e svolgimenti sistematici, in Dir. proc. amm., 2008, 138 ss.; Cons. St., Sez. V, 14
maggio 2013, n. 2602, 7 settembre 2011, n. 5032 e 12 febbraio 2010, n. 743, in
www.giustizia-amministrativa.it; Sez. IV, 14 gennaio 2013, n. 156, ibidem; T.A.R. CampaniaNapoli, Sez. I, 28 marzo 2013, n. 1689, in Giurisd. amm., 2013, II, 605; T.A.R. Lazio-Roma,
Sez. III, 9 marzo 2009, n. 2372, in Urb. e app., 2009, 869, con commento di A. Valletti, La
revoca degli atti di gara e la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante; T.A.R.
Lombardia-Milano, Sez. III, 29 dicembre 2008, n. 6171, ibidem, 483, con commento di C.
Mucio, I limiti dell’autotutela in materia di appalti; T.A.R. Liguria, Sez. II, 28 maggio 2008,
n. 1133, in Foro amm. – TAR, 2008, 1267; T.A.R. Puglia-Lecce, Sez. I, 21 febbraio 2008, n.
562, in Guida al diritto, 2008, 11, 90; T.A.R. Puglia-Bari, Sez. I, 29 marzo 2007, n. 945, in
www.giustizia-amministrativa.it. Il tenore dubitativo di quanto affermato nel testo («non
sembra») è giustificato dal fatto che in talune pronunce, anche recenti, si afferma che la
stazione appaltante può revocare in autotutela gli atti di gara «fino a che il contratto non sia
concluso» (Cons. St., Sez. V, 23 febbraio 2012, n. 1054, ibidem) o addirittura «fino a quando
non sia intervenuta l’aggiudicazione» (Cons. St., Sez. V, 9 aprile 2010, n. 1997, in Boll. legisl.
tecnica, 2010, 5, 478). Di segno del tutto opposto è, poi, T.A.R. Lazio-Roma, Sez. II ter, 6
marzo 2013, n. 2432, in Giurisd. amm., 2013, II, 520, secondo cui l’aggiudicazione definitiva
può essere oggetto di revoca solo fino alla data di stipulazione del contratto o, più
propriamente, sino all’avvio della sua esecuzione, iniziata la quale l’amministrazione deve,
invece, eventualmente avvalersi del potere di recesso di cui all’art. 134, comma 1, d.lgs. n.
163/2006. Va, infine, dato atto di certa giurisprudenza che ha ritenuto illegittimo, per
sviamento di potere, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento di aggiudicazione
provvisoria già oggetto di ricorso giurisdizionale, assumendo che in tal modo s’impedirebbe al
giudice di esaminare le censure di maggiore pregnanza rispetto all’interesse sostanziale del
ricorrente, volto all’aggiudicazione: Cons. St., Sez. VI, 2 ottobre 2007, n. 5086, in Giorn. dir.
amm., 2008, 538, con commento di G. Di Maria, L’autotutela decisoria nelle gare d’appalto:
presupposti e problematiche.
[6] Cfr. infra, § 7.
[7] Cons. St., Sez. V, 20 aprile 2012, n. 2338, in Urb. e app., 2012, 917, con commento di F.
Dello Sbarba, L’art. 4, comma 33, D.L. 138/2011 e la revoca dell’aggiudicazione provvisoria
del servizio di igiene urbana; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. II, 25 ottobre 2010, n. 32996, in
Giurisd. amm., 2010, II, 1182; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 25 febbraio 2010, n. 224, in
www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Nel senso che il potere di non procedere all’aggiudicazione definitiva, previsto da tale
disposizione, ha un carattere amplissimo, servendo alla stazione appaltante un’ampia gamma
di poteri circa la possibilità di non concludere il contratto per specifiche ed obiettive ragioni di
pubblico interesse, Cons. St., Sez. III, 4 settembre 2013, n. 4433, in Lexitalia.it, n. 9/2013,
pag. http://www.lexitalia.it/p/13/cds_2013-09-04-5.htm. Con riguardo al diniego di
approvazione dei contratti statali, ancorchè riconosciuti regolari, di cui all’art. 113 r.d. n.
827/1924, cfr. Sez. VI, 14 maggio 1997, n. 719, in Urb. e app., 1998, 64, con commento di L.
Valla, Autotutela della P.A. ed eccessiva onerosità dell’offerta.
[9] Cons. St., Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467, in Lexitalia.it, n. 1/2014, pag.
http://www.lexitalia.it/p/2014/cds_2013-01-31-1.htm; Sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 195 e 6
aprile 2010, n. 1907, in www.giustizia-amministrativa.it e in Giurisd. amm., 2010, I, 444; Sez.
V, 2 febbraio 2009, n. 526, in Giorn. dir. amm., 2009, 960, con commento di G.F. Nicodemo,
Diniego di aggiudicazione e responsabilità dell’amministrazione. Cfr., però, Sez. III, 15
maggio 2012, n. 2805, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui anche il potere di non
procedere all’aggiudicazione di una gara deve trovare fondamento in specifiche ragioni di
pubblico interesse che siano prevalenti rispetto agli altri interessi militanti in favore della
conservazione degli atti della procedura. In dottrina, A. Sdanganelli, Il diniego di
aggiudicazione nel Codice dei contratti pubblici, in Lexitalia.it, n. 11/2007, pag.
http://www.lexitalia.it/articoli/sdanganelli_diniego.htm; C. Volpe, Stazioni appaltanti e potere
di non procedere all’aggiudicazione. Il via definitivo da parte del codice dei contratti
pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it (settembre 2007); da ultimo, R. Caridà,
L’aggiudicazione della gara, in F. Saitta (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture, 2 ed., Padova, in corso di pubblicazione.
[10] Sui quali sia consentito rinviare a F. Saitta, L’amministrazione delle decisioni prese:
problemi vecchi e nuovi in tema di annullamento e revoca a quattro anni dalla riforma delle
legge sul procedimento, in Dir. e soc., 2009, 583 ss.; adde C. Napolitano, Autotutela
amministrativa: riflessioni su una figura ancipite, in Foro amm. – CdS, 2012, 2946 ss.
[11] Da ultimo, Cons. Giust. Amm. Reg. sic., 13 settembre 2013, n. 746, in Lexitalia.it, n.
9/2013, pag. http://www.lexitalia.it/p/13/cga_2013-09-13-1.htm
[12] Sul valore della conservazione nell’ambito dei procedimenti di riesame, G. Pepe, Il
principio di conservazione degli atti giuridici con particolare riguardo alla attività
amministrativa, in www.giustamm.it, n. 5/2009, spec. cap. V, § 3.
[13] T.A.R. Toscana, Sez. I, 2 luglio 2012, n. 1225, in www.giustizia-amministrativa.it. Nel
senso che il potere di annullamento degli atti amministrativi può essere sempre esercitato
parzialmente, potendosi annullare solo alcuni atti del procedimento mantenendo validi ed
efficaci gli atti anteriori qualora, rispetto a questi, non sussistano ragioni demolitorie, Cons.
St., Sez. V, 9 giugno 2008, n. 2843, in Urb. e app., 2008, 1273, con commento di R. Depiero,
Autotutela e rinnovazione parziale delle gare d’appalto..
[14] Cons. Giust. Amm. Reg. sic., n. 746/2013, cit.; già prima, T.A.R. Lazio-Roma, Sez. IIbis, 20 giugno 2008, n. 6978, in Urb. e app., 2008, 1467, con commento di L. Cameriero, Il
nuovo volto dell’autotutela nell’art. 21-nonies. Di tale comparazione può legittimamente farsi
a meno solo nel caso in cui l’esercizio dell’autotutela dipenda da comportamenti del soggetto
privato che abbiano indotto l’autorità amministrativa ad emanare un atto poi risultato
illegittimo: Cons. St., Sez. V, 8 febbraio 2010, n. 592, ivi, 2010, 714, con commento di R.
Perticarari, Annullamento in via di autotutela e interesse pubblico. In argomento, di recente,
M.T.P. Caputi Jambrenghi, Il principio del legittimo affidamento, in M. Renna – F. Saitta (a
cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012, 173-176.
[15] Tra le tante, Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 781, in Lexitalia.it, n. 2/2014, pag.
http://www.lexitalia.it/p/14/cds_2014-02-20.htm; Sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7273, in Giurisd.
amm., 2010, I, 1135.
[16] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 25 marzo 2011, n. 280, in www.giustizia-amministrativa.it;
T.A.R. Sardegna, Sez. I, 11 novembre 2010, n. 2582, in Foro amm. – TAR, 2010, 3723;
contra, però, T.A.R. Emilia Romagna-Parma, 24 dicembre 2012, n. 368, in Giurisd. amm.,
2012, II, 2020, che fa leva sulla natura comunque discrezionale dell’annullamento in
autotutela.
[17] Lo pensano anche gli studiosi di altri Paesi: J. Ramon Fuentes I Gasò – J. Gifreu, Il
sistema di revisione degli atti amministrativi: la revisione d’ufficio e la revoca in Spagna e in
Italia, in www.giustamm.it, n. 1/2009, § VIII.
[18] F. Saitta, op. cit., 596-597.
[19] Nel senso che la disposizione in esame «non fissa un termine ultimo oltre il quale
l’esercizio dell’attività di autotutela è illegittimo, riconducendo la valutazione in concreto in
ordine alla tempistica della vicenda al parametro di valutazione della ragionevolezza del
termine», T.A.R. Campania-Napoli, Sez. II, 4 febbraio 2013, n. 704, in Giurisd. amm., 2013,
II, 339. Un termine massimo continua ad essere previsto dall’art. unico, comma 236, l. n.
311/2004, che limita ad un triennio dall’acquisizione di efficacia l’annullamento d’ufficio di
provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali e convenzionali con privati; ma si tratta di una
disposizione eccezionale, in quanto tale di stretta interpretazione (Cons. St., Sez. VI, 17
gennaio 2008, n. 106, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Calabria-Catanzaro, Sez. II,
10 gennaio 2008, n. 6, in www.giustamm.it, n. 1/2008).
[20] G. Barone, Autotutela amministrativa e decorso del tempo, in Dir. amm., 2002, 691 ss.,
spec. 704, laddove efficacemente si afferma che «non è il tempo trascorso che porta a un
consolidamento delle situazioni, ma ciò che in realtà i soggetti interessati hanno fatto a seguito
dell’emanazione del provvedimento».
[21] Così T.A.R. Lazio-Roma, Sez. II bis, n. 6978/2008, cit.
[22] Così A. De Siano, Interesse pubblico e decorso del «termine ragionevole»
nell’annullamento d’ufficio (nota a TAR Campania, Sez. V, n. 5439/2008), in
www.giustamm.it, n. 2/2009, § 5, che porta l’esempio dell’aggiudicazione della gara alla quale
abbia fatto seguito, subito dopo, la stipula del contratto. Nel senso che, nell’esercizio del
potere di annullamento d’ufficio degli atti di gara, va considerato, tra l’altro, «l’intervento
dell’atto di ritiro in un torno di tempo anteriore alla stipulazione del contratto e al conseguente
consolidamento del relativo affidamento in capo al soggetto aggiudicatario», Cons. St., Sez. V,
16 marzo 2011, n. 1628, in Dir. e prat. amm., 2011, 6, 59, con nota di F. Lombardo,
L’irrisolto dilemma tra l’amministratore e il contraente.
[23] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1077, in Giurisd. amm., 2013, II,
365.
[24] Tra le tante, Cons. St., Sez. V, 12 ottobre 2010, n. 7406, in Foro amm. – CdS, 2010, 2127.
Per ulteriori indicazioni, cfr. G. Guzzo, L’appalto pubblico: fisiologia e patologia della
vicenda contrattuale nel nuovo schema legislativo e giurisprudenziale, in www.giustiziaamministrativa.it (maggio 2010), § 8.
[25] T.A.R. Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, 16 aprile 2012, n. 251, in www.giustiziaamministrativa.it; Cons. St., Sez. V, 5 aprile 2012, n. 2007 e 13 ottobre 2010, n. 7460, ibidem
e in Foro amm. – CdS, 2010, 2128.
[26] F. Saitta, op. cit., 599.
[27] Tema sul quale si è recentemente soffermata A. Lupo, Premesse per uno studio sulla
revoca degli atti amministrativi, Milano, 2013.
[28] Ro. Chieppa, Provvedimenti di secondo grado (dir. amm.), in Enc. dir., Annali, II, t. 2,
Milano, 2008, 915. Non è certo casuale che, in una delle più attente trattazioni manualistiche
dell’argomento antecedenti alla riforma del 2005, si esordisse chiarendo «che cosa la revoca
non è», ossia sostanzialmente segnalando i casi in cui il termine revoca era utilizzato per
descrivere vicende che, a ben guardare, non hanno nulla da spartire con tale istituto: R. Villata,
L’atto amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A.
Romano, F.A. Roversi Monaco e F.G. Scoca, 3ª ed., Bologna, 2001, II, 1586.
[29] Tanto da indurre B.G. Mattarella, Il provvedimento amministrativo, in Giorn. dir. amm.,
2005, 478 ad affermare che «le prime ventitré parole dell’art. 21-quinquies potrebbero essere
sostituite da una sola: “sempre”», essendo in pratica stabilito che il provvedimento ad efficacia
durevole può essere sempre revocato.
[30] Cons. St., Sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334, in Foro amm. - CdS, 2011, 488, con nota
critica di A. Lupo, Le incongruenze dell’art. 21-quinquies commi 1 e 1 bis della legge n.
241/1990: revoca ius poenitendi o annullamento per illegittimità sostanziale?
[31] Al riguardo, ex multis, T.R.G.A. Trentino Alto Adige-Trento, 22 marzo 2011, n. 79, in
www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VIII, 9 febbraio 2011, n. 764,
ibidem; Cons. St., Sez. V, n. 1997/2010, cit.
[32] Così T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. I, 8 febbraio 2008, n. 226, in www.giustiziaamministrativa.it.
[33] Cfr. ad es., già prima della riforma della l. n. 241/1990, T.A.R. Lazio-Roma, Sez. III, 1
settembre 2004, n. 8180 (in Giorn. dir. amm., 2005, 158, con commento di G. Bacosi - F.
Raponi, Tutela dell’aggiudicatario e autotutela della pubblica amministrazione), secondo cui
l’aggiudicazione di un appalto pubblico, avendo natura provvedimentale, è sempre suscettibile
di riesame da parte dell’amministrazione nell’esercizio della potestà di autotutela, fermo
restando che alla revoca può pervenirsi soltanto in presenza di concrete ed adeguate ragioni di
interesse pubblico.
[34] Infra, § 5.
[35] T.A.R. Lazio-Latina, Sez. I, 17 maggio 2007, n. 375, in Ragiusan, 2008, 289-290, 138.
[36] Anche se è obiettivamente più difficile tenere distinte, ritenendole «autosufficienti ed
alternative», le prime due ipotesi:E. Sticchi Damiani, La revoca dopo la l. n. 15 del 2005, in
Foro amm. – TAR, 2006, 1547 ss.
[37] Ro. Chieppa, op. cit., 923.
[38] V. supra, § 3.
[39] M. Sinisi, Il «potere» di revoca, in Dir. amm., 2007, 645.
[40] A. Contieri, Il riesame del provvedimento amministrativo alla luce della legge n. 15 del
2005. Prime riflessioni, in La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma
della legge sul procedimento (Atti della giornata di studio svoltasi a Caserta il 20 maggio
2005), a cura di G. Clemente di San Luca, Torino, 2005, 222; R. Spagnuolo Vigorita, La
revoca tra antichi privilegi e nuove codificazioni, in Studi sul procedimento e sul
provvedimento amministrativo nelle riforme del 2005, a cura di F. Liguori, Bologna, 2007,
122, la quale, peraltro, segnala che, secondo certa giurisprudenza, il richiamo al termine
ragionevole ed al principio del legittimo affidamento contenuto nell’art. 21-nonies sarebbe
applicabile, come principio generale, anche all’ipotesi della revoca (così T.A.R. Lazio, Sez.
III, 3 agosto 2006, n. 6911, in Foro amm. – TAR, 2006, 2545).
[41] T.A.R. Puglia-Bari, Sez. I, 12 gennaio 2011, n. 20, in www.giustamm.it, n. 1/2011.
Recente giurisprudenza rimarca, peraltro, come l’affidamento dell’impresa partecipante sia
comunque recessivo rispetto alla tutela dell’interesse pubblico portato dal provvedimento di
autotutela, il quale non può, quindi, ritenersi illegittimo in relazione ad una presunta
supremazia del principio di affidamento: T.A.R. Sicilia-Palermo, Sez. I, 24 luglio 2013, n.
1535, in Rass. amm. sic., 2013, 530.
[42] Cons. St., Sez. III, 15 maggio 2012, n. 2805, in Lexitalia.it, n. 5/2012, pag.
http://www.lexitalia.it/p/12/cds_2012-05-15.htm
[43] Cons. St., Sez. III, 4 settembre 2013, n. 4433, in Lexitalia.it, n. 9/2013, pag.
http://www.lexitalia.it/p/13/cds_2013-09-04-5.htm; T.A.R. Liguria, Sez. II, 21 marzo 2013, n.
492, in Giurisd. amm., 2013, II, 487.
[44] La rassegna che segue non ha pretese di completezza ed è circoscritta alle pronunce più
recenti; per ulteriori riferimenti, cfr. M. Sinisi, Il potere di revoca nell’ambito delle gare per
l’affidamento di contratti pubblici alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, in
Foro amm. – TAR, 2011, 239 ss.; S. Pavoni, La revoca della stazione appaltante alla luce
della più recente giurisprudenza, in Resp. civ. e prev., 2010, 1123 ss.
[45] Cons. St., Sez. III, n. 467/2014, cit., e 26 settembre 2013, n. 4809, in Lexitalia.it, n.
10/2013, pag. http://www.lexitalia.it/p/13/cds_2013-09-26-5.htm
[46] Cons. St., Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2400, in www.giustizia-amministrativa.it; già prima,
T.A.R. Puglia-Bari, Sez. I, 26 ottobre 2002, n. 4676, in Lexitalia.it, n. 10/2002, pag.
http://www.lexitalia.it/tar1/tarpugliaba1_2002-10-26.htm con nota di O. Carparelli, E’
legittimo, in applicazione del principio di buon andamento, l’annullamento in autotutela degli
atti di gara, per ragioni di convenienza economica.
[47] T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. III, 3 ottobre 2012, n. 2269, in [48] Cons. St., Sez. V, 25
maggio 2011, n. 3131, in Lexitalia.it, n. 6/2011, pag. http://www.lexitalia.it/p/11/cds5_201105-25.htm
[49] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 18 settembre 2013, n. 4365, in Lexitalia.it, n. 9/2013,
pag. http://www.lexitalia.it/p/13/tarcampaniana_2013-09-18.htm
[50] Cons. St., Sez. III, n. 4433/2013, cit.
[51] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 22 novembre 2013, n. 1252, in Lexitalia.it, n. 11/2013, pag.
http://www.lexitalia.it/p/13/tarpiemonte_2013-11-22-1.htm; T.A.R. Abruzzo-L’Aquila, Sez. I,
20 marzo 2012, n. 174, in Corr. merito, 2012, 511.
[52] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 14 luglio 2011, n. 783, in Lexitalia.it, n. 7-8/2011, pag.
http://www.lexitalia.it/p/11/tarpiemonte_2011-07-14.htm
[53] Cons. St., Sez. IV, 6 giugno 2011, n. 3395, in Foro amm. - CdS, 2011, 1890, con nota di
G. Bozzello Verole, La revoca dell’aggiudicazione definitiva per comportamento scorretto
dell’impresa.
[54] Cons. St., Sez. V, 1 ottobre 2010, n. 7264, in Foro amm. – CdS, 2010, 2120. Cfr., però,
T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. I, ord. 26 luglio 2013, n. 1982, in Lexitalia.it,, n. 9/2013, che
ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di valutare la conformità al diritto
comunitario della decisione della stazione appaltante di non procedere all’aggiudicazione
definitiva, in applicazione dell’art. 21-quinquies l. n. 241/1990, sulla base della mera
pendenza di un’indagine penale nei confronti del legale rappresentante della società
provvisoriamente aggiudicataria.
[55] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. I, 10 settembre 2013, n. 4216, in Lexitalia.it, n. 9/2013,
pag. http://www.lexitalia.it/p/13/tarcampaniana_2013-09-10-1.htm
[56] In tal senso, in un caso di carenza di copertura finanziaria, T.A.R. Sicilia-Catania, Sez.
III, 16 febbraio 2012, n. 436, in Giurisd. amm., 2012, II, 465; con riguardo a sopravvenute
esigenze pubbliche connesse al progetto dell’opera appaltata, Cons. St., Sez. IV, 7 febbraio
2012, n. 662, in Corr. giur., 2012, 675, con nota di V. Carbone, Le nuove frontiere della
responsabilità precontrattuale della P.A.; con riferimento alle condizioni di precarietà
dell’area di sedime dell’opera pubblica contemplata dalla progettazione esecutiva posta a
base di gara, redatta dall’amministrazione, T.A.R. Veneto, Sez. I, 14 settembre 2010, n. 4745,
in Urb. e app., 2010, 1459, con commento di O.M. Caputo, Ius poenitendi, aggiudicazione
definitiva e determinazione dell’indennizzo.
[57] Cons. Giust. Amm. Reg. sic., 12 dicembre 2013, n. 929, in Lexitalia.it, n. 12/2013, pag.
http://www.lexitalia.it/p/13/cga_2013-12-12-1.htm; T.A.R. Veneto, Sez. I, 8 novembre 2013, n.
1242, ivi, n. 11/2013; Cons. St., Sez. III, n. 2805/2012, cit.
[58] Da ultimo, T.A.R. Lazio-Roma, Sez. I, 8 gennaio 2014, n. 191, in Lexitalia.it, n. 1/2014,
pag. http://www.lexitalia.it/p/14/tarlaziorm_2014-01-08.htm; in termini, T.A.R. SiciliaPalermo, Sez. I, n. 1535/2013, cit.; T.A.R. Lazio-Roma, Sez. II-quater, 16 marzo 2010, n.
4175, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina, da ultimo, A. Giannelli, La revoca
dell’aggiudicazione provvisoria: brevi note a margine di una recente pronuncia del Tar Friuli
Venezia Giulia.
[59] A. Travi, La revoca dopo la legge n. 15/2005 e l’analisi economica del diritto, in
Associazione Italiana dei Professori di Diritto Amministrativo, Annuario 2006, Milano, 2007,
183 ss., spec. 184-185; G. Corso, Manuale di diritto amministrativo, 6 ed., Torino, 2013, 307,
il quale parla di «remora contro il mero “pentimento” dell’amministrazione».
[60] Così Ro. Chieppa, op. cit., 923-924.
[61] Sul punto, A. Travi, op. ult. cit.. Più in generale, sull’analisi costi-benefici che le
amministrazioni pubbliche sono tenute a fare in sede procedimentale, G. Napolitano – M.
Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 272 ss..
[62] G. Manfredi, Le indennità di autotutela, in Dir. amm., 2008, 193.
[63] C. Deodato, Autotutela e risarcimento (relazione al Convegno su: «Le nuove frontiere
del Giudice amministrativo» - Lecce, 12-13 ottobre 2007), in www.giustizia-amministrativa.it,
§ 1, secondo il quale tali implicazioni di carattere finanziario devono senz’altro essere
ricomprese nella generica dizione «ragioni di interesse pubblico» di cui all’art. 21-nonies l. n.
241/1990.
[64] A. Ardizzi, Rapporti tra ritiro in autotutela degli atti di gara e culpa in contraendo della
P.A., in Giur. merito, 2010, 2621 ss.; G. Crepaldi, La revoca dell’aggiudicazione provvisoria
tra obbligo indennitario e risarcimento, in Foro amm. - CdS, 2010, 868 ss.; in giurisprudenza,
tra le più recenti, Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 790, in Lexitalia.it, n. 2/2014, pag.
http://www.lexitalia.it/p/14/cds_2014-02-20-1.htm
[65] Per una dettagliata analisi delle varie prospettive emergenti dal dibattito dottrinale e
giurisprudenziale, si rinvia a L. Bertonazzi, La tutela dell’affidamento nelle procedure
selettive, in Dir. proc. amm., 2010, 39 ss., spec. 57-78.
[66] Per maggiori approfondimenti cfr., da ultimo, l’ampia analisi di E. Lubrano, Il
risarcimento dei danni nel settore degli appalti pubblici (questioni specifiche alla luce della
giurisprudenza amministrativa), in www.giustamm.it, n. 1/2014, 71-79, corredata di un’ampia
casistica giurisprudenziale.
[67] L. Bertonazzi, op. cit., 78-79.
[68] A. Rallo, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione: risarcimento
o indennizzo?, in Foro amm. - TAR, 2002, 904.
[69] Tra le tante, Cons. St., Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245, in www.giustiziaamministrativa.it.
[70] T.A.R. Abruzzo-L’Aquila, Sez. I, 29 marzo 2012, n. 198, in www.giustiziaamministrativa.it.
[71] Ex multis, Cons. St., Sez. VI, 1 febbraio 2013, n. 633, in Urb. e app., 2013, 1085, con
commento di S. Ponzio, Il comportamento contraddittorio nella revoca dell’aggiudicazione di
un appalto pubblico: la responsabilità precontrattuale e il danno risarcibile; T.A.R.
Campania-Napoli, Sez. VIII, 3 ottobre 2012, n. 4017, in [72] V. Carbone, op. cit., 682.
[73] T.A.R. Campania-Napoli, Sez. VIII, 25 settembre 2012, n. 3923, in www.giustiziaamministrativa.it. A ben guardare, peraltro, il risarcimento del danno da lesione del legittimo
affidamento non dovrebbe a priori escludersi nemmeno nel caso di annullamento d’ufficio di
un provvedimento favorevole illegittimo, anche al di fuori della responsabilità
precontrattuale, in quanto anche l’affidamento derivante da un provvedimento illegittimo può
essere incolpevole se il destinatario non è in grado di conoscere o rilevare l’illegittimità: D.
Satullo, Responsabilità precontrattuale della P.A. e annullamento d’ufficio: il problema del
legittimo affidamento, in Foro amm. – TAR, 2011, …
[74] Cons. St., Sez. III, n. 4433/2013, cit., e 11 luglio 2012, n. 4116, in Giurisd. amm., 2012,
Anteprima, 233; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. III, n. 2269/2012, cit.; contra, però, Cons. St.,
Sez. III, 16 ottobre 2012, n. 5282, in Lexitalia.it, n. 3/2013, pag.
http://www.lexitalia.it/p/12/cds_2012-10-16-2.htm, con nota di A. Ubaldi, L’indennizzo da
revoca
legittima
dell’aggiudicazione
provvisoria,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/13/ubaldi_indennizzo.htm
[75] Cons. St., Sez. V, 6 ottobre 2010, n. 7334 e 10 febbraio 2010, n. 671, in www.giustiziaamministrativa.it.
[76] Cfr., se vuoi, G. Manfredi, op. cit., 213-222.
[77] Ro. Chieppa, op. cit., 925.
[78] In relazione alla quale si rinvia all’ampia trattazione di G. Manfredi, op. cit., 200 ss..
[79] F. Saitta, op. cit., 608-610.
[80] E’ stato, al riguardo, giustamente notato che, se è già difficile dimostrare la conoscenza
di vizi di legittimità, potendo il privato confidare nella presunzione di legittimità degli atti
amministrativi, a fortiori è difficile dimostrare il contrasto con l’interesse pubblico, elemento
di regola sottratto alle valutazioni del privato: Ro. Chieppa, ibidem. Nel senso che la norma
pone «un gravoso onere di valutazione prognostica in capo al privato», M. Sinisi, Il potere,
cit., 650.
[81] S. Puddu, La revoca: profili problematici alla luce del nuovo art. 21 quinquies, comma 1
bis, l. n. 241 del ’90, in Dir. e proc. amm., 2008, 581 e 583.
[82] Ro. Chieppa, ibidem.
[83] F. Saitta, Del dovere del cittadino di informare la P.A. e delle sue possibili implicazioni,
in I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto d’informazione, a cura di F. Manganaro e A.
Romano Tassone, Torino, 2005, 111 ss..
[84] Così S. Puddu, op. cit., 583-584.
[85] T.A.R. Campania-Salerno, Sez. I, 13 febbraio 2003, n. 139, in Foro amm. - TAR, 2003,
715.
[86] Come provocatoriamente affermato da S. Puddu, op. cit., 584.
[87] Così T.A.R. Piemonte, Sez. I, 26 novembre 2003, n. 1677, in Trib. amm. reg., 2004, I,
203.
[88] T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 27 maggio 2008, n. 1839, in www.giustiziaamministrativa.it.
[89] T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 4745/2010, cit.; in termini, da ultimo, T.A.R. Campania-Salerno,
Sez.
II,
4
marzo
2014,
n.
518,
in
Lexitalia.it,
n.
3/2014,
pag.
http://www.lexitalia.it/p/14/tarcampaniasa_2014-03-04.htm, che ha respinto la domanda di
risarcimento danni per responsabilità precontrattuale in quanto le carenze della lex specialis
poste a fondamento dell’annullamento d’ufficio della gara erano immediatamente ed
agevolmente percepibili dai concorrenti.
[90] In tal senso, tra le più recenti, Cons. St., Sez. VI, n. 633/2013, cit.; Sez. IV, 14 gennaio
2013, n. 156, in Giurisd. amm., 2013, I, 49, e n. 662/2012, cit.; T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. III,
n. 436/2012, cit.. Per ulteriori riferimenti, si rinvia a L. Bertonazzi, op. cit., 89 ss.
[91] Cfr. supra, § 1.
[92] Abbiamo già criticamente evidenziato come analogo limite temporale non sia stato
previsto per l’esercizio del potere di revoca, anche se giustificato da una nuova valutazione
dell’interesse pubblico originario: v. supra, § 5.
[93] Per tutti, S. Usai, Project financing ed esercizio del potere di autotutela della stazione
appaltante, in Urb. e app., 2011, 444 ss.; già prima, E. Giardino, Autotutela amministrativa e
riparto di giurisdizione nel contratto di opere pubbliche, in Riv. trim. app., 2003, 915 ss.,
spec. 926-927. Com’è parimenti noto, in materia di appalti pubblici, la fase di esecuzione del
contratto è di fatto disciplinata da norme di «diritto privato speciale», con la previsione di
poteri di autotutela privata, appunto, speciali della stazione appaltante, i quali rendono
inapplicabili le regole civilistiche generali, salvo che la legge disponga altrimenti (Cons. St.,
Sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5747, in www.giustizia-amministrativa.it). L’analisi di tali
poteri speciali (su cui possono vedersi A. Catricalà, L’autotutela della stazione appaltante, in
Riv. trim. app., 2001, 421 ss.; da ultimo, G. Caputi – D. Villa, Lo scioglimento del contratto
per volontà della stazione appaltante: recesso e risoluzione contrattuale, in F. Saitta (a cura
di), Il nuovo codice, cit., in corso di pubblicazione) esula, tuttavia, dall’oggetto della presente
indagine.
[94] In tal senso, T.A.R. Piemonte, Sez. II, 22 marzo 2013, n. 343, in Giurisd. amm., 2013, II,
439, che fa leva su presunte «esigenze di semplificazione e di concentrazione
procedimentale»; Cons. St., Sez. VI, 12 dicembre 2012, n. 6374, in www.giustiziaamministrativa.it; Sez. V, 7 settembre 2011, n. 5032, in Giorn. dir. amm., 2012, 394, con nota
di F. Cortese, Le operazioni con strumenti finanziari derivati e l’autotutela amministrativa; in
Resp. civ., 2012, 42, con nota di F.R. Fantetti, L’annullabilità in autotutela dei contratti
derivati; in www.3.unisi.it, con nota di G. Ucciardello, Potere di autotutela, strumenti derivati
e finanza pubblica alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 7 settembre 2011, n.
5032; 4 gennaio 2011, n. 11, in Guida al diritto, 2011, 6, 109; T.A.R. Puglia-Bari, Sez. I, n.
945/2007, cit.
[95] Così T.A.R. Toscana, Sez. I, 11 novembre 2010, n. 6579, in Giurisd. amm., 2010, II, 1346
e in Guida al diritto, 2010, 47, 87, con commento di G. Caruso, L’amministrazione deve
rivolgersi al giudice se vuol far dichiarare l’inefficacia dell’accordo; in termini, T.A.R. LazioRoma, Sez. III-bis, 8 marzo 2011, n. 2122, in Foro amm. – TAR, 2011, 879.
[96] E. Sticchi Damiani, Annullamento dell’aggiudicazione e inefficacia funzionale del
contratto, in Dir. proc. amm., 2011, 251; C. Cicero – C. Fosci, Riflessioni in tema di
invalidità derivata dei contratti pubblici, in Resp. civ. e prev., 2009, 928.
[97] S.S. Scoca, Provvedimenti di autotutela e loro qualificazione: nuovo conflitto sulla
giurisdizione?, in Giur. it., 2012, 2403; in termini, A. Giannelli, Esecuzione e rinegoziazione
degli appalti pubblici, Napoli, 2012, 51.
[98] G. La Rosa, Lo scioglimento del contratto della pubblica amministrazione alla ricerca di
un punto di equilibrio tra il recesso e la revoca incidente su rapporti negoziali, in Dir. proc.
amm., 2012, 1477; A. Scognamiglio, Autotutela pubblicistica e contratti in corso, ivi, 2013,
240-241; A. Corpaci, Ambito e connotati della funzione di autotutela delle stazioni appaltanti
nel sistema dell’amministrazione pubblica dei contratti, in D. Sorace (a cura di),
Amministrazione pubblica dei contratti, Napoli, 2013, 223, il quale, peraltro, esclude in
radice la revocabilità degli atti di gara in presenza di contratto già stipulato (ivi, 225). Sulla
differenza tra revoca e recesso si sono recentemente soffermati anche F. Fracchia – L. Gili,
Ordinamento dell’Unione europea, mercato, risorse pubbliche e contratti della pubblica
amministrazione, Napoli, 2013, 246-247, i quali pure escludono che la revoca e
l’annullamento d’ufficio incidano direttamente sul contratto.
[99] A. Scognamiglio, Autotutela e attività contrattuale della pubblica amministrazione, a
proposito di contratti di swap stipulati da enti locali, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 318.
[100] A. Corpaci, op. cit., 229 e 232; nello stesso senso, G. La Rosa, op. cit., 1489; G. Greco,
Illegittimo affidamento dell’appalto, sorte del contratto e sanzioni alternative nel d.lgs.
53/2010, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010, 753 ss.. La giurisprudenza prevalente – che, come
si è visto, è di contrario avviso – assume al riguardo che, quando l’annullamento
dell’aggiudicazione è disposto in autotutela, «può finanche dubitarsi della stessa esistenza in
capo al giudice (amministrativo) di un potere di valutazione sul se dichiarare o meno
inefficace il contratto, in quanto tale potere processuale – strumentale alla tutela specifica
delle parti – appare assorbito dal potere amministrativo dell’amministrazione» (Cons. St.,
Sez. V, n. 5032/2011, cit.).
[101] Cass., Sez. un., ord. 8 agosto 2012, n. 14260, in Urb. e app., 2013, 24, con commento di
S. Fantini, La giurisdizione esclusiva del g.a. sulla sorte del contratto in caso di annullamento
in autotutela dell’aggiudicazione.
[102] A. Carullo, La separazione (giudiziale) tra aggiudicazione e contratto: un divorzio
inevitabile, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, 171; G. La Rosa, op. cit., 1484 ss.; A. Corpaci,
op. cit., 235-236.
[103] Sul punto, amplius, F. Luciani, Informazione antimafia e poteri di autotutela
dell’amministrazione appaltante (Relazione al Convegno su: «L’informazione interdittiva
antimafia» - Catanzaro, 16 novembre 2013), in www.giustamm.it, n. 2/2014; in
giurisprudenza, Cons. St., Sez. V, 9 settembre 2013, n. 4467 (in Urb. e app., 2013, 1300, con
commento di G. D’Angelo, Il recesso dal contratto da parte della stazione appaltante a
seguito di un’informazione antimafia interdittiva), secondo cui l’ipotesi di non revocare
l’appalto nonostante sia stato accertato il collegamento dell’impresa con organizzazioni
malavitose deve ritenersi remota e residuale.
[104] Sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786, in Giurisd. amm., 2013, Anteprima, 317 e in
Lexitalia.it, n. 12/2013, pag. http://www.lexitalia.it/p/13/cds_2013-12-05-3.htm
[105] G. Fidone, Concorrenza e flessibilità nel diritto comunitario degli appalti pubblici, in
www.diritto24.ilsole24ore.com (maggio 2011).
[106] A. Corpaci, op. cit., 249.
[107] A. Scognamiglio, Autotutela pubblicistica, cit., 236.
[108] E, più in generale, nell’«amministrare», inteso come cura in concreto degli interessi
pubblici: M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2013, 114, il quale,
ricordando il noto detto «gouverner est choisir», nota che «le situazioni concrete nelle quali
l’amministrazione deve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e di
imprevedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di adattabilità della misura
da disporre».
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