Convegno «Furti d’arte» Tolmezzo, 6 dicembre 2000 LA TUTELA ED IL RECUPERO DEL PATRIMONIO ARTISTICO ECCLESIASTICO: DALLA PARTE DELLE PARROCCHIE Mons. Angelo Zanello – don Alessio Geretti Introduzione Dal punto di vista delle comunità cristiane, la tutela del patrimonio artistico locale ed in particolare di quello ecclesiastico è una questione di cultura, di responsabilità civile e sociale, di fede ed anche di carità. Anzitutto, è una questione di cultura. La Chiesa fin dalle epoche più antiche è stata committente delle arti, e non soltanto nell'ambito dell'arte sofisticata, apprezzata solo dagli addetti ai lavori, ma anche di quella che si offre nel suo splendore e rallegra la vita delle città, dei paesi, dei luoghi e dei tempi della vita quotidiana. Questo è accaduto perché la Chiesa ha intuito che la promozione dell’arte è parte integrante della sua missione di custodire e valorizzare le più alte espressioni dello spirito umano: con l’arte – non solo religiosa -, la Chiesa intende riconoscere dignità all'uomo, oltre che esprimere la ricerca di Dio e generare nuovi spazi per l’inculturazione della fede e per l’evangelizzazione della cultura. Detto altrimenti: proprio perché al centro del cristianesimo autentico vi è l’evento dell’Incarnazione di Dio, tutto ciò che è umanesimo autentico, espressione di elevatezza spirituale, di stile, di inclinazione all’incanto si addice alla vita di fede. In secondo luogo, la Chiesa deve ricordare a se stessa ed insieme alla società che la responsabilità della comunità cristiana nei confronti del patrimonio artistico ecclesiastico è una responsabilità civile e sociale, e non soltanto canonica: custodire e valorizzare le opere delle chiese di Carnia significa infatti consegnare ai contemporanei ed alle generazioni un tesoro di simboli, testimonianze, linguaggi e forme che sono patrimonio dell’umanità intera e cifra e alimento dell’anima culturale delle nostre genti, al di là della posizione di fede dei singoli e della loro sintonia con il contesto spirituale in cui quelle opere sono state concepite. La cura per il patrimonio artistico locale va però ripensata in termini di fede, riacquistando la capacità di educare alla scoperta che le opere d’arte parlano, che non rappresentano solamente, ma comunicano l’intelligenza della fede e lo splendore della verità creduta, così che se il loro linguaggio spesso è antico, il loro discorso non si può mai dire passato. Come potremmo, da cristiani, ignorare il senso di rispetto e di attenzione per ciò che altri uomini di altri tempi hanno fatto nel centro dei loro paesi o sulla sommità dei monti eletti di Carnia, per trasmettere nei secoli ciò in cui credevano, il punto di riferimento della loro vita e il patrimonio immenso di fede su cui tentarono di edificare le loro esistenze? Ricevuto quel patrimonio nel linguaggio universale ed affascinante delle sculture, degli affreschi e delle melodie, trasmesso in modo tanto convincente, a noi resta il compito di raccogliere la sfida e di saper leggerne e ascoltarne e rieccheggiarne il messaggio: e mai 1 come in questa società dell’immagine la Chiesa dovrà avere l’intelligenza di saper costruire percorsi di formazione, momenti di predicazione e di vera catechesi che sappiano sfruttare le forme, i sensi, i simboli, e non solo i concetti. La tutela del patrimonio artistico ecclesiastico è questione di fede anche in un altro senso: la cura nel custodire e nel valorizzare il patrimonio artistico delle parrocchie è un criterio di misura, molto concreto, del nostro amore per la Chiesa, per la nostra gente, per questa Carnia troppe volte spogliata e mortificata. Una fede che dimentica o addirittura rifiuta di prestare attenzione al corredo di segni che accompagna e identifica una comunità è alienazione, e nulla ha a che spartire con la fede cattolica. Ulteriore aspetto della questione – in verità ancora poco tematizzato – è il legame della tutela del patrimonio artistico ecclesiale con la carità. Perché in effetti commissionare, conservare, far parlare le opere d’arte delle chiese significa operare per l’elevazione culturale di ciascuno, specie di chi non ha altre occasioni per allargare gli orizzonti della propria anima, ed è insieme un salvaguardare l’attitudine interiore alla contemplazione e la sensibilità per tutto ciò che ha un tratto incantevole. La carità cristiana, che guarda sempre a tutto l’uomo, non può dimenticarsi di agire anche in questa direzione. Il concetto di tutela Passiamo al concetto di tutela del patrimonio artistico ecclesiastico, chiarendone l’esatta portata ed esplicitando alcuni principi di fondo che possano ispirare la strategia operativa. Primo principio: la tutela integrale. La comunità cristiana – ma anche i vari soggetti operanti a diverso titolo nell’ambito del patrimonio artistico – non possono accontentarsi di una concezione minimalista di tutela, considerata soltanto come quel sistema di accorgimenti e strutture che protegge gli oggetti d’arte dai loro predatori. L’obiettivo per cui stiamo riflettendo deve essere piuttosto quello di una tutela integrale, che consideri le opere da tutti i punti di vista. Il logorio dovuto allo scorrere del tempo, ad esempio, è anch’esso una minaccia per il patrimonio artistico carnico, e non si può ragionare di prevenzione dei furti senza contestualmente studiare interventi sistematici contro quel furto di bellezza che è l’invecchiamento. Spingendo ancor più in là il discorso, va anche detto che tutelare integralmente un’opera d’arte significa tutelarne l’eloquenza, la vitalità interiore, il potenziale comunicativo. Tornando cioè a quanto si diceva sopra, qui si tratta di riappropriarci come Chiesa della capacità di far parlare le opere d’arte e i nostri simboli di fede. Se non ci organizziamo subito per qualificare laici e clero, promuovendo una squadra di operatori culturali cristiani in grado di valorizzare sistematicamente il patrimonio artistico delle nostre parrocchie e di farne strumento di catechesi, assomiglieremmo a chi, preoccupato di salvare la musica, raccoglie e custodisce una biblioteca di spartiti senza però che nessuno ne esegua mai il contenuto. Secondo principio: la tutela partecipata. 2 Come le opere d’arte delle nostre chiese sono il frutto ed il segno della fede, della cultura e della cura di una intera comunità, così la conservazione e la tutela delle stesse opere deve essere compito della comunità intera. La prima forma di tutela del patrimonio artistico di una parrocchia e la più efficace forma di prevenzione dei furti d’arte è proprio la presa di coscienza da parte della gente circa il valore ed il significato di quanto custodisce. Senza una diffusa coscienza dell'importanza di salvaguardare il nostro patrimonio, senza un vero e proprio attaccamento allo stesso, che maturi fino a trasformarsi in cultura, non servono a molto le strategie di tutela. Questo discorso deve valere anzitutto per chi opera con particolari responsabilità a contatto diretto e frequente con le opere d’arte parrocchiali: sacerdoti, sagrestani, volontari che riordinano e puliscono le chiese. Ma vanno individuate iniziative idonee a diffondere in tutti una sufficiente conoscenza del patrimonio locale, della sua importanza e anche dei rischi che corre continuamente. Se così sarà, l’attenzione media della gente di un paese non scenderà al di sotto di una certa soglia critica. Terzo principio: il rispetto dell’ordine dei fini e dei mezzi. Talvolta, nel ragionare su quali iniziative è possibile attuare per proteggere le opere d’arte delle chiese di Carnia, si dimentica che le strategia e gli strumenti per la tutela del patrimonio artistico sono al servizio del patrimonio stesso, e non viceversa. Non si può pensare di rimuovere statue o pale d’altare dalla loro sede – quando si trovassero in chiesette lontane, isolate, magari senza corrente elettrica - per trasportarle là dove è più semplice custodirle. Il problema è tutelare il patrimonio esistente, così com’è nella sua fisionomia e territorializzazione. Le opere d’arte vanno tutelate, per quanto possibile, nei luoghi naturali per i quali sono state pensate e realizzate, salvo per quanto riguarda gli oggetti non esponibili né utilizzabili a cui ha senso trovare una collocazione più idonea. Quarto principio: la tutela del contesto delle opere d’arte. In continuità con quanto si è appena detto, avvertiamo la necessità di ragionare non in termini di tutela delle singole opere d’arte, ma dell’intero sistema opera-contesto. È tutto l’ambiente in cui statue, dipinti e suppellettili sono inseriti a dover essere protetto nella sua integrità, perché le opere d’arte fanno corpo con la chiesa cui appartengono. Va dunque evitata categoricamente la spogliazione degli edifici sacri della Carnia da quanto conservano di più prezioso, a causa della preoccupazione di mettere al sicuro certi pezzi: sarebbe comunque, in fondo, una spogliazione, appunto, benché non operata da ladri. Le opere d’arte non possono diventare ancelle al servizio di uno scopo positivo ma estraneo, richiuse in sicurezza in camere mortuarie dell’arte. Allo stesso modo non si può perseguire, in linea di massima, la strada della sostituzione degli originali preziosi con delle copie: a parte i costi notevoli, sarebbe ancora una volta una operazione del tutto anticulturale, da un lato, che oltretutto poco si addice alle esigenze di autenticità della vita di una comunità cristiana e del linguaggio liturgico, dall’altro. 3 Questioni di fondo Dopo questi principi di fondo - a nostro giudizio irrinunciabili premesse di qualunque intelligente strategia di tutela dell’arte locale – e prima di individuare i passaggi specifici della strategia stessa, dobbiamo fermarci ancora un momento su alcune questioni di fondo che richiedono esplicitazione. In primo luogo, le comunità cristiane della Carnia devono fare autocritica. Autocritica per tutte le opere d’arte alienate, date via o comunque vendute da alcuni parroci o da alcuni sagrestani, talvolta all’insaputa della gente, talvolta addirittura con il consenso di una cerchia di collaboratori. Autocritica per gli oggetti, i paramenti, i resti di altari o di altre opere eliminati come vecchie ed inutili cianfrusaglie o come pezzi irrecuperabili o anche soltanto giudicati ingombranti ed ormai non più utili. Autocritica per le operazioni di rinnovamento di altari, pavimenti, strutture con cui si è compromesso, in genere irrimediabilmente, l’assetto precedente delle chiese ed alcune opere in particolare, talvolta nemmeno per reale necessità e comunque con l’avvallo inspiegabile della Commissione Diocesana per l’Arte Sacra. Ora, è vero che le situazioni del momento, la miseria, la poca sensibilità di alcuni possono aver giocato un grande ruolo nel determinare i fenomeni appena citati, ma questo non ci esime dall’onestà intellettuale di riconoscere che, in questo modo, abbiamo perso non piccola parte del patrimonio artistico della Carnia senza bisogno dell’intervento dei ladri. E poiché vi è motivo di temere che ancora oggi ci siano sacerdoti e altre persone che vendono o cedono opere d’arte della comunità cristiana, la Diocesi deve curare che questo richiamo venga osservato soprattutto in prospettiva, perché all’alienazione del patrimonio artistico carnico si dica finalmente «basta». C’è però un secondo capitolo di storia che merita un accenno. A onor del vero, se preti e laici hanno venduto tante cose, è stato fondamentalmente perché c’erano tanti personaggi che facevano il possibile per mettere le mani sulle opere d’arte delle chiese carniche. Indagando sulla sparizione di una serie di opere ecclesiastiche della Carnia, si è potuto ricostruire un quadro in cui i protagonisti di tante spogliazioni sono stati alcuni cosiddetti uomini e donne di cultura, che - al di là delle intenzioni – oggettivamente hanno approfittato della loro posizione sociale e della considerazione di cui godevano, della povertà del clero e della gente, dell’ignoranza di tanti, per non parlare di quelli che, naturalmente per fini di studio e conservazione, si travestivano addirittura da preti per ottenere con l’inganno ciò che non speravano di avere altrimenti. Questi personaggi, che prima hanno arricchito di oggetti preziosi la loro casa e poi hanno beneficiato vari musei ed istituzioni ed eredi, non hanno formalmente rubato, in generale, ma è ora di dire con chiarezza che quello che hanno fatto non si può più avere la spudoratezza di chiamarlo un servizio alla cultura e alla Carnia. Quand’anche avessero agito per tutelare opere mal custodite, non apprezzate né valorizzate o addirittura dimenticate e sottostimate, - quando non l’hanno fatto perché vittime di una vera e propria malattia - bisogna avere il coraggio della verità e ricordare che i veri uomini di cultura sono quelli che, in analoghe situazioni, si preoccupano di dare coscienza alla gente, di elevare culturalmente i legittimi custodi delle opere d’arte, di insegnare il valore delle cose e della salvaguardia di testimonianze preziose. Anche a questi frequentatori della Carnia è venuta l’ora di dire «basta». 4 Quanto alle figure chiamate a responsabilità sul patrimonio artistico ecclesiastico della Carnia, va sottolineata la necessità di adeguati percorsi di formazione. Da parte loro, i sacerdoti devono essere sempre più uomini di cultura, sentendosi a ciò obbligati per il ministero loro affidato, e questo a prescindere dal fatto che, considerata la diminuzione numerica del clero locale, avranno sempre meno tempo da dedicare a questi capitoli. Quale che sia l’inclinazione personale e la disponibilità di energie e di tempo, ai preti è richiesta una competenza sufficiente e una sensibilità esigente per quanto riguarda la tutela del patrimonio artistico loro affidato; a questo scopo, è necessario rivedere l’itinerario di formazione del nostro clero, prevedendo un percorso specifico sul tema di questo convegno e, più in generale, sulla conoscenza del patrimonio artistico e culturale della Diocesi. Ma anche ai laici va data la possibilità di più formazione ed insieme va chiesta maggiore competenza, attenzione, collaborazione. I sagrestani in particolare e tutte le altre figure che a vario titolo possono entrare in contatto con le opere d’arte di una parrocchia devono essere aiutati, con un apposito momento di formazione, a sapere con esattezza cosa possono e cosa non possono fare, a che rischi devono fare attenzione e quale importanza ha ciò che è da loro salvaguardato. Un’altra considerazione generale su cui è tempo di riflettere riguarda quei concetti di tutela integrale e di tutela del sistema opera-contesto su cui si è riflettuto poc’anzi. Per la conservazione del patrimonio artistico ecclesiastico della Carnia occorre un progetto globale e organico. Non si fa molta strada con gli interventi a pioggia: il “sistema – Carnia” ha bisogno di essere preso in considerazione nella sua interezza, anche per quanto riguarda il capitolo dell’arte locale. Come dimenticare che uno dei punti di forza, una delle principali risorse della Carnia consiste proprio nelle innumerevoli attrattive artistiche che presenta ed offre a chi ama il turismo culturale? Eppure il patrimonio artistico del nostro territorio è in alcune località esposto al rischi di furti, in altre è deteriorato e non c’è chi si possa curare degli eventuali restauri, in altre è ammassato o raccolto senza possibilità di particolari forme di valorizzazione. Qui occorre che la Regione, la nuova Provincia, i Comuni, la Soprintendenza e la Diocesi si decidano una volta per tutte a coordinarsi e a mettere ordine sistematicamente in questa situazione, studiando e attuando un progetto complessivo di conservazione del patrimonio locale che non può più dipendere dall’attenzione dei singoli parroci o di altri interessati. Indicazioni pratiche Veniamo infine ad una serie di indicazioni pratiche e di proposte precise che ci sembrano gli elementi fondamentali di una efficace strategia per la tutela ed il recupero del patrimonio artistico del territorio. Disegnare una strategia per la tutela del mondo dell’arte significa assegnare un ruolo di primo piano alla prevenzione. La migliore prevenzione, poi, come si è già chiarito, si fonda sulla diffusione della cultura e della sensibilità al valore dell’arte. Da questo convegno è allora necessario che prenda l’avvio anzitutto un gruppo di operatori culturali del territorio, in cui coinvolgere anche l’Università del Friuli, al servizio della Chiesa locale in Carnia. Il Gruppo Patrimonio Artistico studierà le forme migliori di custodia, caso per caso, del 5 patrimonio artistico delle parrocchie; si preoccuperà di seguire la questione della conservazione del patrimonio stesso, dei restauri che richiede e delle relative pratiche; curerà la formazione dei vari soggetti interessati; metterà in atto le iniziative possibili per valorizzare fino in fondo il patrimonio stesso, specialmente secondo la sua vocazione naturale di strumento di catechesi e veicolo di cultura cristiana. La responsabilità dell’attuazione di questo gruppo spetta alla Diocesi insieme con le Foranie di Carnia. Per promuovere la diffusione della sensibilità al valore delle opere d’arte custodite da una comunità, è particolarmente utile seguire alcune esperienze – e ne citiamo due recenti a titolo di esempio: la mostra sul Parth a Sauris all’inizio dell’anno, la mostra sull’arte medioevale carnica a Illegio in maggio -. Piccole mostre dislocate sul territorio, molto curate nella qualità e legate anzitutto alle opere che il paese organizzatore conserva possono contribuire moltissimo alla crescita della coscienza diffusa sul valore dell’arte locale e diventano facilmente occasioni di sperimentazione per nuove forme di catechesi legate alle opere d’arte. A questo scopo è però importante che, eventualmente attraverso il Circolo Culturale, l’organizzazione delle esposizioni sia curata dal paese stesso, che non sarebbe altrettanto trasformato se avesse unicamente il ruolo di ospitante. È chiaro che i paesi vanno aiutati in questo tipo di operazione a partire da chi ha già realizzato iniziative analoghe sul territorio, insieme con i Musei locali, con la Soprintendenza e con il Gruppo Patrimonio Artistico: il Museo Carnico potrebbe benissimo farsi capofila e responsabile di questo progetto. Nelle scuole della Carnia è importante che ci sia uno spazio per la scoperta e lo studio della cultura locale e del mondo artistico locale, con eventuali brevi percorsi che eventualmente alcuni soggetti extrascolastici, sfruttando le possibilità date dall’autonomia, offrano alle scuole del territorio di tutti i livelli. A livello di zona pastorale e di Diocesi, occorre che venga individuato un responsabile anche laico per ogni parrocchia e per ogni forania, referente per quanto riguarda le questioni legate al patrimonio artistico ecclesiastico, anche per non sovraccaricare di mille incombenze il clero. Un elemento decisivo per una strategia di tutela è l’inventariazione completa del patrimonio stesso. Occorre un lavoro accurato di ricerca e confronto per arrivare al risultato. Per quanto riguarda la Carnia, va anzitutto tenuta presente la schedatura che il Centro di Catalogazione e Restauro di Villa Manin ha realizzato in alcune località: schedatura ottima, perché corredata di notizie e di fotografie per ogni oggetto registrato, ma non completa, sia perché qualche oggetto non è stato schedato sia perché ci sono interi paesi non ancora schedati. Per meglio controllare il patrimonio in custodia, occorre che una copia di queste schede venga consegnata al più presto alla parrocchia interessata, tanto in versione cartacea quanto in versione per computer, e una seconda copia in una banca dati da costituire a livello di Carnia. A tale richiesta domandiamo che sia il Centro di Catalogazione stesso a rispondere. 6 Le schede in questione, però, sono successive al terremoto. È interessante un confronto con gli inventari di tutte le chiese della Carnia elaborati tra il 1958 ed il 1970 da mons. Franco Quai, completi e precisi fin nei dettagli, utilissimi per individuare alcune opere sparite dalle chiese fin da quegli anni. Ci sono poi i vecchi inventari parrocchiali, elaborati in occasione delle Visite Pastorali, che ogni parroco dovrà mettere a disposizione (segnaliamo, fra l’altro, i resoconti dettagliatissimi della Visita Pastorale fatta dal Patriarca in Carnia nel 1602, custoditi in Archivio Capitolare); anche in Soprintendenza si può trovare del materiale. L’accostamento di questo materiale permetterà di definire con esattezza ciò che è già stato inventariato e ciò che non lo è ancora stato. Sarà dunque necessario procedere al più presto, nel corso del 2001, ad una operazione di inventariazione sistematica di tutte le chiese di Carnia, per integrare e aggiornare i dati già raccolti, curando specialmente di fotografare tutto. Di questo progetto si può curare la Commissione Arte Sacra della Diocesi, collegata al Gruppo Patrimonio Artistico. La Diocesi, inoltre, deve da subito impegnarsi a ripristinare l’uso della consegna e della riconsegna dei beni parrocchiali al Parroco. All’inizio del mandato, ogni parroco deve ricevere un elenco preciso, documentato, chiaro e dettagliato di tutto ciò che gli è affidato, elenco che dovrà aggiornare periodicamente segnalando anche alla Curia eventuali variazioni, e che al termine del mandato dovrà riconsegnare specificando con attenzione cosa ne è di ogni opera da lui custodita. Il responsabile a cui chiediamo di attivare questa prassi è l’Ordinario Diocesano. A livello parrocchiale, poi, occorre avere grandissima attenzione per tutti quelli che si presentano a chiedere di vedere, consultare, fotografare documenti d’archivio e opere d’arte. Nessuno deve mai essere lasciato solo a fare cose simili, e in generale è più prudente diffidare dai visitatori sconosciuti. Una possibile ulteriore forma di tutela può essere quella di registrare ogni visitatore di archivi, pievi ecc. C’è infine un ultimo capitolo per cui studiare e attuare una precisa strategia: il recupero del patrimonio artistico disperso e trafugato negli anni. Anche di quello venduto e alienato, dal momento che dopo il 1913 per la legge dello Stato i beni ecclesiastici non sono più validamente alienabili. Su questo punto, la prima cosa da dire è che il recupero delle opere trafugate è possibile. Negli ultimi cinque mesi, a titolo di esempio, abbiamo recuperato un libro dei Fabriceri di San Floriano del 1492, due angeli lignei seicenteschi della chiesa di Illegio, una cimasa di altare ligneo di Domenico da Tolmezzo, proveniente da San Floriano, quindici quadretti di legno dipinti raffiguranti i Misteri del Rosario, anch’essi da San Floriano, e moltissime notizie su diverse opere d’arte di Illegio, di Tolmezzo e di tutta la Carnia scomparse da decenni. Con un lavoro accurato e paziente, il recupero di diverse opere è dunque possibile. Occorre però un passaggio preliminare: completare le denunce di tutto ciò che per diversi motivi risulta mancante. Una volta completati gli inventari aggiornati, dal confronto con quelli vecchi e con le vecchie foto 7 conservate alla Soprintendenza e ai Musei Civici di Udine è possibile ricostruire agevolmente quali opere sono scomparse dalle chiese carniche: queste vanno subito denunciate, e di ciò si devono ovviamente fare carico i singoli parroci. La serie completa delle denunce e soprattutto delle foto dei pezzi rubati andrebbe raccolta in una pubblicazione da diffondere in tutte le parrocchie, anche perché può accadere di rintracciare casualmente un’opera grazie ad una segnalazione. Alcune opere sono scomparse dopo il terremoto. Per rintracciare queste occorre visitare i depositi del Museo Diocesano a Udine, in cui ancora si conservano oggetti di diversa provenienza. Anche per questo capitolo, ad ogni modo, occorre una squadra ristretta, una sorta di tavolo permanente, a cui interagiscano le Forze dell’Ordine e in particolare il Nucleo di Tutela del Patrimonio Artistico, la Soprintendenza e qualche idoneo esponente del territorio, che si occupino di raccogliere sistematicamente tutte le notizie, i dati, le memorie, le segnalazioni, i sospetti che circolano tra la gente. Non ci si deve dimenticare che, in generale, i basisti di molti grandi furti avvenuti in Carnia, con ogni probabilità, sono persone del territorio: una indagine accurata potrebbe risolvere diversi casi. La realizzazione di questa squadra locale, collegata ad una rete di informatori adeguati, può essere affidata alla responsabilità della Soprintendenza. Va anche detto che ci sono alcune case di collezionisti privati, anche in Carnia, che cercano e acquistano opere d’arte di ogni genere, anche ecclesiastiche, e che spesso ne fanno clandestinamente commercio. Queste persone, se sono note, vanno segnalate alla prevista squadra locale per il recupero. In alcuni casi, però, l’unica cosa da fare è tentare un avvicinamento cordiale con chi detiene legittimamente – dopo una serie di passaggi – qualche opera alienata a suo tempo, ragionando insieme sulla possibilità di una restituzione. Va infine verificato se parte del patrimonio artistico parrocchiale sia stato affidato in custodia a qualche privato, e nel caso di futuri affidamenti è necessario che ci sia un documento scritto, preciso, dettagliato, inviato in copia anche alla Curia: tutto ciò per evitare episodi già accaduti di privati che si sono impossessati di beni ecclesiastici dopo la morte o la partenza del parroco affidatario o comunque dopo varie vicissitudini. Concludendo, dobbiamo ricordare che il problema dei furti d’arte affonda le sue radici in una degenerazione dell’esperienza della fruizione del patrimonio culturale, trasformata, in questa società postmoderna dell’individuo, in appropriazione strettamente personale, in consumo di emozioni da cultura, in commercializzazione universale. Ancora una volta dobbiamo concludere che il segreto di una strategia vincente resta l’impegno per la crescita culturale della nostra gente e per l’evangelizzazione della nostra cultura, a cui rischiamo di lasciare che venga rubato il patrimonio della fede. 8