Programma di ricerca
REFERENZIALITÀ E VERITÀ
NELLA
MECCANICA QUANTISTICA
UNA TEORIA LOGICA
DELL’INTENSIONE E DELL’ESTENSIONE
Rossella Pruneti
Firenze, 17 settembre 1997
INDICE
Introduzione................................................................................3
I Impostazione preliminare
Breve sintesi della tesi di laurea...............................................4
II Alcuni grossi interrogativi...........................................................6
II.1 Il problema metafisico: l’identità..............................................7
II.2 Il problema storico: questioni semantiche nella logica stoica......11
III Conclusione
Accenni ai requisiti di una teoria dell’intensione e dell’estensione
per la meccanica quantistica..................................................16
Note..........................................................................................20
Introduzione
La questione del riferimento e della verità è uno dei problemi filosofici
principali. Al momento non solo manca una convincente teoria della
referenzialità nel linguaggio naturale ma anche il formalismo di prima
quantizzazione ha rivelato i limiti della semantica nei linguaggi formali.
Di seguito riporteremo brevemente alcuni interrogativi connessi al
significato e al riferimento sorti in questo “caso patologico” di
linguaggio scientifico.
Una possibile soluzione sembra essere un ritorno al binomio fregeano
intensione-estensione. Ciò richiede di trovare quale tipo di relazione
può sussistere tra queste due componenti del significato e quale tipo di
teoria semantica può risultare dalla loro combinazione.
Il risultato del programma di ricerca dovrebbe essere quello di
elaborare gli strumenti logico-matematici adatti per dare una veste
tecnica a tale semantica. Ma, come ci è apparso evidente fin dalla tesi
di laurea, anche se il problema logico ha una certa priorità non è
possibile procedere senza dare altrettanza importanza al problema
ontologico (“Cosa è una particella?”) e al problema epistemologico
(“Come sono conosciuti gli oggetti della meccanica quantistica?”).
Infatti se la semantica si occupa della relazione tra concetti e oggetti,
non può non confrontarsi con la modificazione che la teoria dei quanti
ha apportato alla teoria epistemologica sulla relazione tra lo
sperimentatore e l’oggetto della sua conoscenza scientifica nonché alla
concezione classica di oggetto fisico.
I Impostazione preliminare.
Breve sintesi della tesi di laurea.
Per esporre il programma di ricerca è necessario procedere ad una
breve sintesi della tesi di laurea.
Come è evidenziato nel titolo della tesi, “Oggetti intensionali nella
meccanica
quantistica”,
la
microfisica
ha
portato
nuovamente
all’attenzione il concetto logico di intensione.
Dopo avere premesso un’introduzione per tratteggiare l’evoluzione nel
pensiero logico-filosofico del binomio intensione-estensione, i microoggetti sono stati presentati dapprima intuitivamente per mezzo del
modello atomico a quark, poi formalmente con l’assiomatizzazione di
von Neumann.
Pur consapevoli della preminenza del formalismo matematico nella
meccanica quantistica (in quanto esso stesso rappresenta il modello e
ad esso, infine, si riferiscono i fisici) non abbiamo trascurato di tenere
presente il trattamento teorico dei microoggetti (in particolare l’impiego
della nomologicità e della divisione in specie naturali) e di segnalare il
mancato accordo all’interno della comunità scientifica su un linguaggio
con cui descrivere intuitivamente i microoggetti (con la conseguente
presenza di due approcci: ortodosso e intuitivo).
Un esperimento, l’interferometro a due fenditure, che a detta di
Richard Feynman è stato formulato per racchiudere tutti i misteri
attorno al comportamento delle particelle, ha permesso di introdurre
quei
principi
della
meccanica
quantistica
che
determinano
la
costituzione dei microoggetti.
Data l’importanza del problema dell’identità in connessione con il
concetto di intensione abbiamo esposto le statistiche quantistiche di
Bose-Einstein e Fermi-Dirac confrontandole con la statistica classica di
Maxwell-Boltzmann.
Tutto ciò ha contribuito ad appoggiare la nostra assunzione che i
microoggetti presentano un irriducibile carattere intensionale (non sono
individui nel senso classico, non si possono distinguere dagli altri
elementi della stessa famiglia e, di conseguenza, non si possono
denominare) e che non possono essere adeguatamente trattati con la
Teoria degli Insiemi standard.
Abbiamo così concluso presentando due teorie semi-estensionali per gli
insiemi di microoggetti: la Teoria dei Quasisets e la Teoria dei Quasets.
Esse trattano formalmente alcune caratteristiche degli insiemi di
microoggetti:
la
caduta
dell’ordinamento
(pur
sussistendo
la
cardinalità) e dell’identità estensionale (anche se per essi si può
sempre dare primitivamente una relazione di equivalenza detta
indistinguibilità).
II Alcuni grossi interrogativi.
“Oggetti intensionali nella meccanica quantistica” affermava che nel
linguaggio utilizzato nella microfisica si trovano oggetti con uno status
logico particolare (intensionale). Facendo un’analisi semantica del
linguaggio dei fisici questo peculiare tipo di oggetto non è riducibile
all’estensione né è semplicemente descrivibile come intensionale.
Parallelamente nell’analisi epistemologica della meccanica quantistica
troviamo
l’impiego
assiomaticamente
di definizione teoretiche costitutive, costruite
e
non
concetti
teorici
dedotti,
secondo
la
metodologia newtoniana, dai dati sperimentali. La frattura tra il
formalismo matematico e l’evento storicamente concreto costituisce
una vera rottura nella struttura galileiana della scienza. Dopo lo shock
iniziale i fisici hanno avallato la preminenza del formalismo matematico
e hanno imparato ad “aggirare la questione”1:
Invece di chiedersi: come si può esprimere con i mezzi matematici
conosciuti una data situazione sperimentale? ci si pose l’altra
domanda: è vero forse che possono sorgere in natura soltanto
situazioni sperimentali tali da poter essere espresse nei termini del
formalismo matematico?
Nella meccanica quantistica il classico concetto di ente materiale è
sostituito da una mescolanza di due aspetti: ente matematicamente
descritto (il quale rappresenta il comportamento statistico medio di
un’intera classe di enti) e ente sperimentalmente osservato (il quale
rappresenta il riferimento indeterminato e l’estensione probabilistica e
vaga dell’oggetto fisico concreto). I fisici sono consapevoli che si tratta
di
uno
strumento
euristico,
un’ipotesi
comoda
per
visualizzare
intuitivamente il microcosmo e pensano di riuscire comunque a
distinguere i livelli semantici del loro discorso:
Era di importanza fondamentale, egli sosteneva, operare una
distinzione tra linguaggio chiaro e linguaggio preciso. I manuali
ponevano l’enfasi sul linguaggio preciso, per esempio distinguevano
“numero” da “numerale” , e separavano il simbolo dall’oggetto
reale secondo la moderna metodologia critica: arzigogoli assurdi
per dei bambini, pensava Feynman. Puntò l’indice contro un libro
che tentava di introdurre la distinzione tra una biglia e l’immagine
di una biglia, insistendo su un linguaggio del tipo: “colorate di rosso
l’immagine della biglia”.
“Dubito che un qualsiasi bambino possa fare un errore in tal
senso”, commentò seccamente Feynman.2
Di fatto i fisici quantistici usano questi oggetti intensionali per
formulare delle proposizioni dotate di significato (e di un valore di
verità). Ciò ci spinge a tentare di formalizzare questo tipo di
“strumento semantico” che si è venuto a creare nella comunità
quantistica.
II.1 Il problema metafisico: l’identità.
Se Frege in Über Sinn und Bedeutung avesse usato esempi presi dalla
meccanica quantistica (“la particella incidente” e “la particella diffusa”)
invece che dall’astronomia (“la stella della sera è la stella della
mattina”) o dalla matematica(“il punto d’incontro di a e di b” e “il punto
d’incontro di b e di c”) sarebbe giunto alla medesima teoria del
significato?
Dal momento che il problema del significato è connesso con quello
dell’identità, il problema dell’identità degli oggetti della meccanica
quantistica è uguale a quello per gli oggetti di altre scienze?
In effetti tutti coloro che sono arrivati alla distinzione tra intensione ed
estensione, non ultimi Leibniz e Frege, si sono trovati a riflettere sul
problema dell’identità. E il problema dell’identità occupa un punto
centrale, anche qui forse all’origine, dell’impiego dell’intensione nelle
teorie degli insiemi di microoggetti. Il problema dell’identificazione
sussiste già nelle altre scienze3:
La scoperta che non sorge ogni mattina un nuovo sole, ma sempre
il medesimo, è stata indubbiamente una delle più feconde dell’astronomia. Ancor oggi, non è affatto facile riconoscere in un
piccolo pianeta o in una cometa lo stesso corpo già osservato.
In meccanica quantistica si presenta in tutta la sua gravità4:
Si è dovuto riconoscere che una particella elementare non è un
“individuo”, cioè non ha un’entità individuale, non può essere
identificata. In linguaggio tecnico si usa dire che le particelle
ubbidiscono a nuove strane leggi statistiche.
Allora come avviene l’identificazione, il riconoscimento degli oggetti?
Basta usare lo stesso nome per essere sicuri che sia lo stesso oggetto?
E, à la Frege, se scoprire che due diversi nomi si applicano al
medesimo oggetto è un’autentica conoscenza, come è possibile che ci
sia un legame stretto tra quello che noi diciamo e la struttura del
mondo?
Le teorie dei nomi come designatori rigidi di Kripke e di Putnam non
riescono a dar conto del valore conoscitivo degli enunciati di identità e
dei processi di identificazione attraverso il tempo. Tenendo presente la
microfisica, non si può non condividere la pittoresca critica di Bart
Kosko5 alle teorie causali del riferimento:
Su tutte queste cose possiamo anche apporre etichette precise,
bianche o nere. Ma le etichette si tramutano da accurate in
imprecise a mano a mano che le cose cambiano. Il linguaggio fissa
un legame fra una parola e una cosa significata. Quando la cosa si
tramuta in qualcosa che è non-cosa rispetto a prima, il legame si
tende, si spezza o si ingarbuglia con altri legami. “Casa” designa
una casa anche dopo che la casa sia caduta in pezzi o sia bruciata.
Il mondo delle parole ben presto appare come un peschereccio che
va alla deriva con migliaia di lenze ingarbugliate o spezzate.
Come può un linguaggio formale trattare l’identità attraverso il
cambiamento? Come è possibile che un oggetto si modifichi in alcune
sue parti rimanendo lo stesso e ciò nonostante il linguaggio formale
riesca a fare proposizioni significanti su di esso?
La meccanica quantistica ha confermato l’ipotesi dell’inesistenza di
referenti assoluti sanzionando, alla fine del XX secolo, il fallimento della
teoria realista del riferimento e con essa del principio dell’adaequatio
rei et intellectus.
L’estensione perde terreno perché si incrina il riferimento.
Un brano letterario6 ci può suggerire come talvolta l’intensione può
avere più successo del nome per identificare un individuo offrendoci, se
ne facciamo una lettura logica tra le righe, un caso di identificazione
tramite intensione (caratteristiche fisiche) con una intensione, due
nomi diversi, un identico individuo:
- è questa qui la tavola del mio amico Bill? - chiese con una
strizzatina d’occhi.
Risposi che io il suo compagno Bill non lo conoscevo, e
quella tavola era per una persona che dimorava presso di noi,
e che noi chiamavamo il capitano.
- Perfettamente - fece lui - Il mio compagno Bill può anche
farsi chiamar capitano se così gli aggrada. Ha un taglio su una
guancia, e maniere molto gentili, specie quando ha trincato, il
mio compagno Bill. Mettiamo, per modo di dire, che il tuo
capitano abbia una cicatrice su una guancia; mettiamo, per
modo di dire, che questa guancia sia la destra. Eh? Che ti
dicevo io? E adesso, sentiamo ancora: il mio amico Bill è in
casa?
La semantica per la meccanica quantistica sembra richiedere un
recupero parziale dell’originaria impostazione fregeana. Frege teorizzò
due fondamentali condizioni del significato:
 l‘intensione (un concetto per orientare il riferimento);
 l’estensione (un oggetto al quale il concetto è riferito).
Il riferimento nella teoria di Frege è mediato da un elemento cognitivo
(il Sinn). D’altra parte anche l’impiego essenziale che i fisici fanno della
nomologicità e la natura stessa dell’indagine sperimentale in microfisica
inserisce un ineliminabile componente cognitiva nel trattamento delle
particelle.
I mezzi con cui ci riferiamo agli oggetti per mezzo del linguaggio (nomi
propri, descrizioni definite, indicali) valgono per la semantica della
meccanica quantistica?
Nella meccanica quantistica cade la condizione di denotabilità e il nome
proprio non serve per riferirsi ad una data particella perché per arrivare
ad assegnare un nome ad una particella bisognerebbe superare le
indeterminazioni semantiche e riconoscerne le proprietà caratteristiche.
Piuttosto dei nomi propri la meccanica quantistica utilizza descrizioni
indefinite, o, nella terminologia di Donnellan, fa un uso attributivo delle
descrizioni definite (individua qualsiasi entità che si adatti esattamente
alla descrizione data). Si nominano classi di oggetti quasi come avviene
per le specie naturali. Per esempio, ci troviamo davanti a frasi ambigue
come “Sto cercando una matita”. Questa frase, che non presenta
ambiguità sulla quantità delle cose che cerco bensì sulla loro
identificazione e individualità, può significare o che sto cercando una
particolare matita o che qualsiasi matita andrà bene, ossia o sto
cercando un oggetto particolare che per caso è una matita o cerco
qualsiasi cosa che corrisponda alla descrizione.
Non sono utilizzabili neppure gli indicali perché identificare un individuo
richiederebbe
una
quantità
di
informazione
massima
e
una
determinazione assoluta, contro il Principio di Heiseinberg su cui si
basa l’esistenza intera della meccanica quantistica. “Non è evidente,
ma ciò in realtà significa che non è possibile denotare per esempio un
elettrone con il semplicissimo epiteto «questo», se non con grande
cautela, in senso ristretto, e talora ciò è impossibile.”7
Tutto questo ci rimanda ad alcune questioni semantiche della logica
stoica in opposizione alla logica aristotelica.
II.2 Il problema storico: questioni semantiche nella logica
stoica.
La parte introduttiva della dissertazione di laurea cercava di creare un
retroterra alle teorie intensionali più recenti vedendo se già in altri
pensatori si fossero presentate problematiche logiche analoghe alle
moderne.
L’esigenza di valutare storicamente il concetto logico di intensione è
dovuta alla consapevolezza che la conoscenza delle trattazioni già fatte
può favorire il nascere di alcune idee e insieme proibire il nascere di
altre.
Si possono trovare diverse somiglianze confrontando la teoria stoica
del lektón la semantica della meccanica quantistica.
Crisippo utilizzava contro gli aristotelici il seguente paradosso: una
proposizione intermedia (cioè una proposizione a metà tra le ostensive
e le indefinite, asserita né indicando il soggetto in questione né
riferendosi ad un oggetto generico bensì definendo la specie del
soggetto) ha un valore di verità determinato se è riducibile ad una
proposizione ostensiva (per il criterio stoico della verità se una
proposizione è vera, allora il predicato si accorda realmente con quello
che cade sotto la precisa indicazione del soggetto). Ma la proposizione
intermedia “Dione è morto” non potrà essere vera perché ricondotta a
“Questo (uomo) è morto” dopo la morte di Dione: infatti lo stato di
cose a cui si fa riferimento non sussiste più. Nondimeno è analizzabile
postulando la distinzione tra lektón e oggetto esterno corrispondente.
Si tratta di una situazione logica “paradossale” per il paradigma
classico della teoria del significato, tuttavia potrebbe meritare una
traslitterazione moderna in un’eventuale semantica per la meccanica
quantistica. Questa degli stoici rappresenta una diversa soluzione
(avvalersi del binomio intensione-estensione) alla domanda: “Cosa
accade se nel nostro linguaggio compare un’espressione che non si
riferisce ad alcunché?”.
Per alcuni logici, la cosiddetta “linea Frege-Strawson”, gli enunciati in
cui compaiono noi privi di riferimento hanno un senso ma non un
valore di verità; per la “linea Russell-Kaplan” tali enunciati devono
essere considerati falsi, ricostruendoli in un modo che li renda
esplicitamente tali;
per gli stoici hanno un valore di verità se l’intensione è riconducibile
all’estensione. Nelle parole di J. Pinborg8 essi:
[...]
risolvono
il
problema
intendendo
la
denotazione
come
denominazione a partire dal connotato: così il connotato non ha più
esistenza in quanto forma, ma solo in quanto individuo ben
determinato.
Nella meccanica quantistica in effetti i nomi stanno prima per
descrizioni e proprietà (oggetti intensionali) e poi per oggetti. Se
diciamo “L’elettrone ha spin 1\2” non intendiamo un elettrone preciso
ma enuncio una proprietà dell’oggetto nomologico elettrone. Ma se
diciamo “L’elettrone x ha spin 1\2” non ci riferiamo ad un elettrone
preciso né ad un insieme standard di oggetti fisici: ci riferiamo ad un
insieme non classico.
La “morte di certi axiomata”, ossia il caso di “Dione è morto”, ci
suggerisce
di
considerare
attentamente
all’interno
dei
triangoli
semantici la natura delle relazioni tra segno, contenuto e cosa. Di che
tipo deve essere la relazione tra un segno e ciò cui il segno si riferisce
per rendere accettabile una tale situazione?
Nella
logica
aristotelica
la
lingua
ha
la
capacità
di
rimandare
direttamente alle cose (nella teoria del sillogismo le proposizioni sono
sempre intorno a qualcosa e hanno sempre uno stato di verità
determinato). Il carattere necessario del rapporto tra il segno
linguistico e il suo oggetto deriva dal principio: “Niente si può predicare
di una cosa salvo il suo stesso nome”, dal quale segue: “É impossibile
dire ciò che non è perché dire ciò che non è significa non dire”. Nella
logica stoica il rapporto tra il contenuto e la cosa è istituito dall’azione
causale dell’oggetto. I lekta dipendono dagli oggetti cui si riferiscono:
non basta esprimere un lektón affinché esista l’oggetto. Ciò richiede
l’inserimento del significato cioè la possibilità di riferimento del segno al
suo oggetto. Questo “slittamento” operato dagli stoici si ritroverà in
Frege. Quine lo riassumerà nella frase: “Il significato è ciò che
l’essenza diventa quando ha fatto divorzio dall’oggetto di riferimento e
si è sposata con la parola.”9
Schematicamente, se con il simbolo  indichiamo una relazione
arbitraria e con  una relazione necessaria:
Semantica aristotelica:
Parola  concetto  cosa
Semantica stoica:
Vox  contenuto  cosa
Il problema della relazione tra contenuto e cosa è centrale nella scienza
moderna ogniqualvolta il fisico cerca di “collegare i suoi concetti nel
modo più diretto e necessario possibile con il mondo dell’esperienza.
[...] Egli deve ammettere, quindi, che non esiste alcun collegamento
logico dal dato empirico al mondo concettuale.”10
Tra la logica stoica e una valutazione epistemologica della meccanica
quantistica sembrano esserci anche altre somiglianze di impostazione
più generale, per esempio la teoria della conoscenza connessa alla
distinzione tra segni commemorativi e indicativi. Per gli Stoici i segni
rivestono un’importanza epistemologica perché nel caso in cui la
conoscenza non sia evidente (cioè non sia presente la cosa) i segni
rendono possibile una conoscenza non evidente rinviando alla cosa
stessa. Il segno non ha una qualsiasi identità o somiglianza con la cosa
stessa, ecco di nuovo perché è importante inserire il significato per
collegare il contenuto e la cosa: una conoscenza non è un’immagine di
natura mentale e adeguata della cosa, ma è mediata da un elemento
cognitivo in quanto il  deve essere espresso nel discorso
(infatti la voce ha una relazione necessaria con il contenuto perché il
contenuto di per sé non esisterebbe).
Anche la meccanica quantistica abbandona l’idea della conoscenza
come concezione pittorica o rappresentativa della cosa. Con la
nomologicità e le definizioni operative ha sottolineato come la
conoscenza di un oggetto sia una procedura controllabile che consenta
di venire in presenza dell’oggetto attraverso un segno che lo renda
rintracciabile (o classificabile o calcolabile) entro certi limiti oppure che
consenta di prevedere la probabilità della presenza dell’oggetto.
I nomi non stanno direttamente e necessariamente per le cose. Come
nota Heisenberg11:
Ma non è un linguaggio preciso in cui potrebbero adoperarsi i
normali
modelli
logici;
è
un
linguaggio
che
produce
delle
raffigurazioni nella nostra mente ma insieme con esse la nozione
che quelle raffigurazioni hanno solo una vaga connessione con la
realtà, che esse rappresentano solo una tendenza verso la realtà.
Nella meccanica quantistica non è proponibile la proposta di Laputa12:
Considerando che le parole sono soltanto nomi che designano cose,
converrebbe agli uomini di portare addosso tutte quelle cose
necessarie ad esprimere i particolari negozi intorno a cui si
propongono di parlare.
Nella scienza moderna il valore dei concetti scientifici è invece
altamente
strumentale:
modelli
quantitativi,
costrutti
e
concetti
matematici hanno una funzione organizzativa e di previsione, sono
“finzioni matematiche” costruite sulla base dei dati osservativi per
trattare eventi più o meno osservabili che in tal modo si possono usare
nel linguaggio senza doverseli portare dietro e mostrare. L’oggetto
intensionale ha una funzione in generale simile al segno di Peirce,
come quando osservando da dietro la finestra le foglie che si muovono
pensiamo che c’è vento (le foglie agitate stanno al posto del vento per
natura inaccessibile alla visione) gli oggetti intensionali sono costrutti
matematici che stanno per i microoggetti.
Inoltre
non
si
può
negare
la
componente
cognitiva
mediata
dall’intensione nei concetti scientifici: quella componente per cui il
barbaro pur sapendo riconoscere il cane non capiva “kuon”. Al
contrario se il rapporto tra il e la cosa fosse diretto e necessario13:
Un altro grande vantaggio i proponenti di questa invenzione
segnalavano, che, cioè, essa sarebbe valsa come lingua universale
di tutte le nazioni civili, le quali generalmente adoperano tutte le
suppellettili ed utensili della stessa specie, o che molto si
somigliano. In tal modo, gli ambasciatori avrebbero potuto trattare
con principi e ministri stranieri, pure ignorando del tutto le lingue di
questi ultimi.
III Conclusione
Accenni ai requisiti di una teoria dell’intensione e dell’esten
sione per la meccanica quantistica.
Il tentativo di edificare una teoria del significato per la meccanica
quantistica (che risponda in definitiva alla domanda “Qual è il
significato di un enunciato in cui compare un nome di microoggetto e
tale microoggetto è indistinguibile?”) richiede di non glissare su quei
punti problematici di cui abbiamo parlato.
 Per quanto riguarda la teoria degli insiemi di microoggetti dovremmo
tenere conto oltre dell’indistinguibilità anche della vaghezza. Già nel
1937 Max Black pubblicò un saggio sugli insiemi vaghi in relazione
alla meccanica quantistica. Da una parte la nomologicità impedisce
che ci siano sovrapposizioni e vaghezze (essa è la caratteristica di un
linguaggio scientifico che ha termini chiaramente definiti e classi
rigorosamente stabilite) dall’altra il principio di sovrapposizione
mette in crisi le descrizioni in termini di tutto o niente e descrive
oggetti “dai contorni sfrangiati” in quanto trapassano fluidamente in
cose che sono non cose rispetto a prima.
 La meccanica quantistica rimane in piedi, è interpretabile, solo se
vale il Principio di Indeterminazione, cioè se negli esperimenti con i
microoggetti le nostre possibilità di osservare sono limitate. Non si
può edificare una semantica à la Russell in cui ad ogni descrizione
definita
corrisponde
un
oggetto
osservabile.
Se
si
collegano
necessariamente nomi ed entità quando si osserva un sistema fisico i
legami necessari dei nomi con le cose si ingarbugliano e si spezzano.
Volendo evitare la riduzione delle intensioni alle estensioni e
ritornando al punto di partenza della teoria del significato (la
postulazione delle due componenti da parte di Frege), dobbiamo
trovare una relazione tra intensione ed estensione più elastica. La
relazione tra queste due componenti del significato è sempre stata
un campo di battaglia ma vorremo cercare di conciliarle come se
fossero una coppia di grandezze coniugate canoniche e come se per
esse valesse una specie di relazione di indeterminazione: se
l’estensione è massima allora l’intensione è minima e viceversa. In
questi casi speciali si ritorna alla teoria estensionale. Sulla falsa riga
della teoria fuzzy di Bart Kosko l’intensione nell’estensione è come
l’intero nella parte: cioè la misura in cui l’oggetto di riferimento
possiede le proprietà descritte dall’oggetto intensionale. Kosko si
serve di un’immediata estensione del teorema di Pitagora per
trattare la sottoinsiemità (ossia la misura in cui un insieme è
sottoinsieme di un altro insieme)14:
Ci volevano la nuova matematica di Russell e la nuova meccanica
quantistica di Heisenberg per farci dubitare, dubitare veramente,
della logica ereditata da Aristotele. Ironia della sorte volle che il
teorema di Pitagora sui triangoli rettangoli [...] rappresenti il cuore
dei paradossi di Russell e del principio di indeterminazione di
Heisenberg - nonché della logica fuzzy moderna.
Questo potrebbe suggerire come definire il tipo di inclusione
intensionale espresso dal principio di derivazione aristotelica15 (“Il
genere è detto parte della specie ma da un altro punto di vista la
specie è parte del genere”) ripreso da A. De Morgan16 (“Tutto
l’animale è nell’uomo, concetto nel concetto; tutti gli uomini sono
negli animali, classe nella classe.”)
 Paradossalmente la referenzialità in meccanica quantistica è salvata
dagli oggetti intensionali: i fisici sanno correttamente inferire, per
esempio, che se la particella x è un elettrone allora ha spin 1/2 e
sanno riconoscere un elettrone se lo osservano anche se è
impossibile individuarlo. Ma il modo con cui un fisico dice di
“osservare”
un
elettrone
come
può
essere
codificato
in una
semantica? È difficile riuscire a parlare della struttura degli atomi con
il linguaggio ordinario, ossia al di fuori del formalismo matematico. Al
di fuori del formalismo si parla solo di “esperienze”, di “fonti”, come
le goccioline d’acqua in una camera a nebbia o le macchie nere
sull’emulsione di una lastra fotografica:
[...] Ci si chiede di credere che lo storico, nel momento in cui afferma
qualcosa a proposito di Napoleone, intende semplicemente che nelle
biblioteche ci sono dei libri contenenti asserzioni simili alla sua. Non c’è
nessun passato; ci sono solo fonti.17
 La determinazione teoretica degli oggetti della meccanica quantistica
sembra
richiedere
una
semantica
polivalente.
prendiamo il Principio di Sovrapposizione18:
Per
esempio,
Dirac ruppe in due parti un pezzo di gesso. C’era uno stato in cui il
gesso era qui, disse, ponendo uno dei pezzetti sulla cattedra. C’era
un altro stato in cui il gesso era là, e pose il secondo pezzo sull’altro
lato della cattedra. Secondo la meccanica quantistica c’erano anche
stati formati dalla combinazione di queste due possibilità, dove il
gesso si sarebbe trovato qualche volta qui qualche volta là.
In altre parole la probabilità è implicata nella costruzione teorica
dell’oggetto di conoscenza e non è più, come nella meccanica
classica, limitata alla verifica che lo scienziato fa di ciò che conosce.
Ma allora qual è lo stato di verità della proposizione: “Il gesso è a
destra.”?
Già von Weizsäcker aveva introdotto il “grado di verità” per ogni
affermazione del tipo: “L’atomo è nella metà destra della scatola.”
NOTE
W. Heisenberg, Fisica e filosofia. La rivoluzione nella scienza
1
moderna., Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 55.
J. Gleick, Genio. La vita e la scienza di Richard Feynman., s.l.,
2
Garzanti, 1994, pp. 506-507.
3
Frege, “Über Sinn und Bedeutung”, tr. it. “Senso e denotazione” in La
struttura logica del linguaggio, Milano, Bompiani, 1973, pp. 9-32.
E. Schrödinger “Che cos’è una particella elementare?”, 1950, in
4
L’immagine del mondo, Torino, Boringhieri, 1963, p. 252.
Bart Kosko, Il fuzzy-pensiero. Teoria e applicazioni della logica
5
fuzzy, Milano, Baldini & Castoldi, 1995, p.21.
6
Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro, BIT p.21.
E. Schrödinger “Che cos’è una particella elementare?”, 1950, in
7
L’immagine del mondo, Torino, Boringhieri, 1963, p. 252.
J. Pinborg, Logica e semantica nel medioevo, Torino, Boringhieri,
8
1984, p.45.
9
W. V. O. Quine, From a Logical Point of View, II, 1.
10
A. Einstein, Replica al saggio di H. Margenau, in P. A. Schlipp (a cura
di ), Albert Einstein scienziato e filosofo, Evanston 1949, tr. it. di
A. Gamba, Torino 1958, p.625.
11
W. Heisenberg, op. cit., p. 212.
12
J. Swift, I viaggi di Gulliver, Milano, Mondadori, 1982, p. 397.
13
J. Swift,op. cit., p. 397-398.
14
Bart Kosko, op. cit., pp. 118-119.
15
Aristotele, Metafisica, 1023b 17-21.
16
citato da Weingartner, “A New Theory of Intension”, p. 287, in Sci-
entific Philosophy Today, J. Agassi & R. S. Cohen editors, Reidel
Publishing Company, 1981, pp.439-464.
17
J. C. Polkinghorne, Il mondo dei quanti, s.l., Garzanti, 1986,
pp.127-128.
18
J. C. Polkinghorne, op. cit., p. 40