Angelo Fortunato Formiggini
Il suicidio di un editore ebreo
Angelo Fortunato Formíggini,
editore modenese, è nome
conosciuto probabilmente solo
dai bibliofili che apprezzano
ancora oggi le sue curate e
deliziose edizioni, o da qualcuno
che lo ricorda come l'ebreo che
si era suicidato gettandosi dalla
Ghirlandina, la torre campanaria
del Duomo di Modena, al primo
comparire delle leggi razziali. In
realtà l'editore modenese è un
personaggio di straordinaria caratura e rilevanza, che
getta una luce vivida e forte sui primi quarant'anni del
nostro secolo. Formíggini infatti, modenese di sette
cotte, è uno degli spiriti più brillanti che la terra
geminiana abbia allevato. Amante del libro e della
cultura, ha dedicato tutta la sua vita, come per
missione, alla diffusione della cultura, ha dato tutto se
stesso alla parola scritta, fino alla morte. La morte di
un ebreo che rifiuta come incomprensibile l'odio
razziale, perché animato dal suo spirito umanistico e
pacifista, eclettico e conciliante, perché non capace di
comprendere il truce volto dell'odio, lui che ha colto
nel riso uno dei fondamenti della vita umana. Lui,
quell'Angelo Fortunato Formíggini, zikhronò livrakhà,
di benedetta memoria, che ha incarnato nella propria
vita e nella propria morte le parole di Qohelet:
Un buon nome vale più dell'olio buono,
ed il giorno della morte
più del giorno della nascita (Qoh. 7,1).
A.F. Formíggini nacque a Collegara, frazione
di Modena, il 21 giugno 1878, ultimo dei cinque figli
di Pellegrino e di Marianna Nacmani. Apparteneva ad
una famiglia ebrea (1), modenese da vecchia data ( la
notizia più antica risale al 1629), che deriva il nome - a
detta dell'editore stesso - dal paese di Formigine (Mo).
Dopo avere svolto gli studi liceali a Bologna e
Modena, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza
presso l'Ateneo di Modena, alternando lo studio ad una
intensa attività goliardica e culturale. Scrisse poesie
satirico-dialettali, con lo pseudonimo Furmajin da
Modna ( Formaggino da Modena), fondò l'Accademia
del Fiasco e, al termine del regolare corso di studi, si
laureò magna cum laude il 27 novembre 1901, con una
tesi dal titolo significativo: La donna nella Thorà in
raffronto con il Manâva-Dharma-Sâstra. Contributo
storico giuridico ad un riavvicinamento tra la razza
ariana e la semita. Tale tesi di laurea, che, come avrà
modo di scrivere Formíggini ventidue anni dopo, " mi
fruttò la lode, senza che nessuno avesse osato di
aprirla", pone in primo piano un problema che stava a
cuore al futuro editore: l'avvicinamento delle due razze,
l'ariana e la semita. Avvicinamento che anche la sua
storia personale mostrerà non ancora possibile.
Ottenuta la laurea, Angelo Fortunato, che non
voleva, tuttavia, porre fine alla gaia e gaudente vita
studentesca, frequentò , a partire dal 1902, i corsi della
Facoltà di lettere e filosofia a Roma. Ai corsi romani
ebbe modo di conoscere la pedagogista Emilia
Santamaria, che egli sposerà il 19 settembre 1906. Il 28
febbraio 1907 si laureò a Bologna, città in cui aveva
allora stabilito la sua residenza, con una tesi in
Filosofia morale, dal titolo che riassume un programma
di vita e di lavoro, dell'uomo e dell'editore: La
Filosofia del ridere. " Il ridere - scrive Ernesto Milano
- sua esigenza insopprimibile e irrefrenabile perché
interamente radicato nel proprio temperamento che lo
porta necessariamente al comico..., è assurto in
Formiggini in dottrina, e di qui a pratica di vita" (2). E
per usare le parole dello stesso Formiggini: " il ridere
non si trova in tutti gli animali; nel vero e completo
senso della parola si trova solo nell'uomo e
costituisce... il più caratteristico sigillo dell'umanità".
Qui, in nuce, troviamo il germe di quella di poco
successiva attività editoriale che troverà il suo vertice
di originalità e di qualità nella pubblicazione dei
Classici del Ridere, collana che dal 1912 al 1938
vedrà l'uscita di ben 105 titoli.
Come nasce l'attività editoriale di A. F.
Formiggini? Quasi per caso, o per gioco e scherzo - per
essere più fedeli alla figura dell'editore. In occasione
della Festa mutino-bononiense, da lui organizzata il 31
maggio 1908 alla Fossalta, per celebrare Tassoni e la
rinata amicizia fra Modenesi e Bolognesi, fece
stampare a sue spese due pregevoli volumi: La
Secchia, volumotto dall'aspetto incunabolesco che
raccoglie i sonetti burleschi del Tassoni, e la
Miscellanea tassoniana di studi storici e letterari, che
porta la prefazione di Giovanni Pascoli, al quale
dobbiamo forse la più perspicua presentazione di
Formiggini: " Egli è il filosofo del riso, e del riso,
proprio dell'uomo come il pianto, egli suol ragionare
eloquente, con la sua lunga e bruna faccia
malinconica". Così nasce l'avventura di Angelo
Fortunato Formiggini editore dilettante, cioè un signore
benestante e colto che scelse di essere editore soltanto
per suo gusto, per soddisfare i propri interessi di natura
intellettuale e sentimentale, un editore atipico nel
panorama italiano, un editore che stampava non per
guadagno ma per proprio diletto personale, e, fatto
straordinario, con successo trentennale. Così
Formiggini ricorda, in tono burlesco e parodistico,
l'inizio di questa attività: "un bel mattino di maggio,
nel 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani
come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur
essendo completamente diverso: non ero più uno
1
studioso, ero diventato un editore" . La sigla "A. F.
Formiggini - Editore" inizia il suo cammino con sede
in Bologna-Modena, ma già l'anno dopo, alla fine del
1909, Angelo sposta la sede a Modena dove rimarrà
fino al 1911. I primi anni di lavoro sono fervidi ed
intensi: 6 volumi pubblicati nel 1908, 16 nel 1909, 19
nel 1910, 31 nel 1911 fino a giungere ai 52 volumi del
1913, che segnano la punta più alta di tutta la
produzione del trentennio. Nel gennaio del 1909 vede
la luce il primo volume della collezione dei Profili,
Sandro Botticelli di Igino Benvenuto Supino. Della
serie, che verrà pubblicata e ripubblicata fino al 1938,
usciranno 129 titoli: " L'editore ha avuto l'idea, e la
mette subito in pratica, di pubblicare via via una
sintetica ed estetica rievocazione di figure significative,
non rivolta agli studiosi, ma alle persone di gusto. I
profili sono destinati a figure che già appartengono alla
storia e sono destinati a tratteggiare una figura attraente
e significativa, per l'editore e per il lettore di gusto,
della filosofia, delle arti, della religione, della politica"
(3). Per dirla con le parole dell'editore, che palesa le
sue intenzioni e si rivela autentico apostolo della
cultura: “è un pane spirituale veramente indispensabile
per tutte le persone amiche della coltura” . Nel primo
anno di edizione (1909) uscirono ben sei titoli,
riguardanti, oltre Botticelli: Darwin, Gaspara Stampa,
Esiodo, Federico Amiel, Malthus. E' interessante
notare che l'anno successivo ( 1910) viene pubblicato
un profilo di Gesù di Nazareth, curato da Baldassarre
Labanca, professore di Storia del Cristianesimo
all'Università di Roma, alle cui lezioni aveva assistito
anche Angelo Fortunato (4). Questa opera è
testimonianza di un altro filone del poliedrico spirito
del Formiggini: la tematica religiosa, che egli affronta
non tanto come ortodosso seguace dell'ebraismo,
quanto approdando ad una sorta di religiosità laica, o
piuttosto agnostica, e a un vissuto impegno di
fratellanza universale, condita di una retorica dei buoni
sentimenti tardo ottocentesca, che, non a torto, è stata
definita pascoliana. A questo filone si ricollega, oltre
diversi volumi pubblicati nella collana Profili, anche
una audace e provocatoria collana, le Apologie, su cui
ritorneremo dopo.
Nell'ottobre del 1911 Formiggini trasferisce
l'attività editrice a Genova, con la seguente
motivazione, come scriverà in Trent'anni dopo:
"sembrandomi che la grande città potesse meglio di
una città di provincia, pure a me così cara, mettermi in
più stretto contatto con autori e pubblico, mi trasferii
nel 1911 da Modena a Genova". E a Genova viene
portato a compimento il progetto, a lungo covato, dei
Classici del ridere, quelle "cosucce di carte" che
costituiscono il vanto editoriale di Formiggini. Il primo
volume, quello che dà inizio alla collezione, è la Prima
giornata del Decameron. La copertina della collezione
è illustrata da Adolfo de Karolis e porta un motto
RISUS QUOQUE VITAST, che fa da contrappunto al
motto stampato nella prima di copertina di tutte le
opere dell'editore: AMOR ET LABOR VITAST. Due
motti che includono tutta la personalità del Formiggini,
ai quali qualche anno dopo, nel periodo romano,
quando egli sarà in aperta polemica con Gentile, se ne
aggiungerà un terzo: ATQUE MIHI CONFRICOR, che
fa il verso al Me ne frego della roboante retorica
fascista.
L'alacre attività di quegli anni genovesi viene
interrotta dalla Prima guerra mondiale: dal maggio del
1915 al marzo del 1916 Formiggini è al fronte.
Ottenuto il congedo per infermità, vorrebbe continuare
l'attività editoriale a Genova, ma a Genova non ha più
la sede e, pertanto, cedendo alle insistenze della
moglie, trasferisce le sue tende a Roma, sul
Campidoglio. Inizia così la fervida e stupenda stagione
editoriale romana, che consente a Formiggini di
spaziare in nuovi orizzonti e di cullare nuovi progetti,
di cui il più importante e significativo è L'Italia che
scrive, indicata con la sigla ICS , progetto che si
concretizza il 1 aprile 1918 con l'uscita del primo
numero. Lo scopo del giornaletto è " di mettere sotto
gli occhi di coloro che leggono una bibliografia fresca,
sistematica e vivace della produzione editoriale
italiana". E' la sua creatura più cara, a cui lavorò per
venti anni con impegno impareggiabile, assieme ai
collaboratori e alla moglie: la rivista ha recensito
13.124 libri, ne ha annunciato 52.434, ha pubblicato
1152 articoli. Un lavoro immane. L'ICS non è un fatto
isolato, si inserisce in un contesto di iniziative che il
Formiggini progetta ed attua: in primo luogo l'Istituto
per la propaganda della cultura italiana (IPCI),
finalizzato " ad armonizzare le varie correnti della
cultura nazionale". Il lavoro per la creazione
dell'istituto, iniziato nel 1918, assorbe tutte le energie
dell'editore; l'istituto, infatti, vede la propria nascita il
14 marzo 1921, ma subito dopo, su proposta di
Giovanni Gentile, muterà il nome in Fondazione
Leonardo per la cultura italiana. Con un colpo di mano,
gestito da Gentile, Formiggini nel 1923 verrà
estromesso dalla Fondazione, che nel 1925 verrà
assorbita dall'Istituto Nazionale Fascista di cultura. Fu
questo un fallimento che pesò notevolmente su
Formiggini, il quale però già si era gettato a capofitto
in un altro progetto La Biblioteca Circolante dell'ICS,
inaugurata a Palazzo Doria (sede della casa editrice) il
primo aprile 1922. L'idea di istituire una biblioteca
circolante nasce dal desiderio di non tenere chiusa e
inutilizzata tutta quella congerie di materiale librario
che l'I.C.S riceveva per la recensione, materiale,
proveniente dalla produzione letteraria italiana e
straniera contemporanea, che egli intende mettere a
disposizione di una classe medio-colta,. Si tratta non di
una operazione propagandistica o di facciata, ma della
realizzazione di ideali che egli sentiva fortemente, in
primo luogo l'amore per il libro e l'azione pedagogica
verso il lettore. La Biblioteca raggiunge, in seguito ad
acquisizioni e donazioni, i 40.000 volumi e Formiggini
a più riprese ne pubblica il catalogo. La gestione è,
però, impegnativa e dispendiosa, tanto che l'editore,
dopo avere invano cercato di cederla gratuitamente al
Comune di Roma, la cede nel 1934, in un momento in
cui gli affari non vanno più tanto bene, ad un amico
anonimo.
In questo stesso periodo Formiggini dà vita ad
una iniziativa editoriale, le Apologie, che incontrò
l'interesse più del pubblico che della critica, e che
2
racchiude, al di là dei fatti contingenti, un germe di
modernità che ancora oggi è percepibile: alcune delle
tredici Apologie pubblicate, negli anni dal 1923 al
1928, costituirebbero ancor oggi motivo di attenta
lettura e riflessione. Ne cito due a titolo di esempio: la
stimolante Apologia dell'ebraismo (1923), del rabbino
Dante Lattes e la stupenda e pionieristica Apologia
dell'Islamismo (1925) di Laura Veccia Vaglieri.
Formiggini, che si dichiara alieno da ogni specifica
confessione religiosa, si propone di: " aprire gli occhi
all'umanità che sta tuffandosi a capofitto in un nuovo
fervore mistico, affinché questo fervore valga ad
affratellarla di più, non a separarla in più profonde
correnti di odio, perché tutte le religioni, se hanno un
vario contenuto morale ed un variato apparato esterno,
rappresentano ciascuna uno sforzo egualmente intenso
ed equipollente per scrutare e per interpretare il
supremo e imperscrutabile mistero dell'essere; poiché,
se il mio temperamento pagano e realistico mi fa poco
propenso verso le religioni costituite, non m'induce
affatto a combattere il sentimento religioso in astratto,
come quello che può fare l'umanità migliore e più
fraterna" (5). E' un sentimento religioso in grado di
fare l'umanità migliore e più fraterna, un sentimento
religioso non chiuso, ma aperto, volto a cogliere la
necessità della presenza dell'altro, anzi degli altri, come
inesauribile necessità di risposte alle domande degli
uomini. Tale atteggiamento di fondo deve farci da
guida per comprendere le parole che scrisse agli Ebrei
d'Italia pochi giorni prima di darsi la morte, parole da
qualche studioso interpretate come segno della
"tragedia... dell'uomo e dell'ebreo italiano", e " dell'iter
fallimentare" dell'editore (6). In primo luogo,
Formiggini, che si sente per quel che ha vissuto e per
come ha vissuto più ariano che ebreo, non comprende
e non riesce a giustificare l'odio razziale in quanto tale,
proprio perché categoria che non appartiene al suo
pensiero e al suo approccio alla vita. In secondo luogo,
egli che è di famiglia ebrea, che molto ha meritato nei
rapporti con lo stato dal 1700 in poi, famiglia ebrea che
presenta molti rami passati da tempo al cristianesimo,
vuole dare, in articulo mortis, un suo personale
contributo per conservare lo spirito dell'ebraismo in
una realtà politica e sociale, che non fa più differenze e
riduce tutto alla razza, alla carne e al sangue. In altro
momento, forse, Formiggini sarebbe stato zitto e non
avrebbe sentito il bisogno di scrivere le sue ultime
parole, non come il testamento del figliuol prodigo ma
come il riconoscimento di chi sa non potere essere altro
che ebreo quindi non ariano, anche alla comunità
ebraica con cui non aveva più rapporti, esclusi
evidentemente i rapporti culturali con i singoli e
numerosi ebrei che collaboravano alle sue collane
editoriali. In altro momento, forse, Formiggini sarebbe
stato zitto, ma il suo anelito di armonizzazione e di
convivenza possibile lo spinge a parlare, a dire parole
non comprensibili o non accettabili, nella loro
crudezza, da chi non è animato dal medesimo anelito e
dalla medesima storia personale, che affonda le sue
radici in un humus padano, e modenese in particolare,
da cui emerge lo strato ebreo, come retaggio famigliare
e come giogo personale. Egli, che non può concepire
un atto religioso che in sé si chiuda e non si apra ad
una dimensione pedagogica, propone, tra le altre cose,
agli ebrei italiani di abbandonare l'uso della lingua
ebraica negli atti di culto e di preghiera: " il culto
popolare dovrebbe svolgersi in lingua italiana
comprensibile ai fedeli e comprensibile agli spettatori
estranei" (7); propone inoltre l'abolizione del sabato,
per festeggiarlo "nel dì in cui lo festeggiano gli altri,
cioè la domenica" (8). Queste non sono le proposte di
chi vuole l'integrazione a tutti i costi, di chi vuole
annullare la diversità, sono le parole di chi ha vissuto
fino alla morte la propria carne e il proprio sangue
ebrei, di chi ha sacrificato la propria vita perché ebreo,
anche se non professante, anche se non attento alle
regole alimentari e liturgiche; anzi, proprio per questo
ancor più ebreo: morto non nella separazione, ma per il
giogo della nascita. Le sue parole, dunque, sono come
l'ultimo respiro di chi non vuole esimersi dal dare il
proprio contributo per un domani di libertà, che la sua
morte, come quella di altri dopo di lui, non ha evitato o
avvicinato, ma solo prefigurato.
L'attenzione rivolta dall'autore ad imprese non
solo editoriali, il calo delle vendite e la crisi
generalizzata dell'editoria italiana negli attorno al '30,
costrinsero Formíggini ad abbandonare l'approccio
dilettantistico e famigliare, e a costituire una società
editoriale vera e propria: la Società Anonima A.F.
Formíggini Editore in Roma, nata il 21 dicembre 1931
e di cui Formíggini è l'Amministratore delegato. La
produzione editoriale, ormai stabilizzata a livelli
basissim, non si risollevò nonostante la costituzione
dell'Anonima: 25 titoli nel 1933, 12 titoli nel 1934, 11
nel 1935, 13 nel 1936, 15 nel 1937; troppo pochi per
consentire un qualche ritorno economico, l'azienda
diventava sempre più " un ramo secco". Ma nel 1938
altri saranno i problemi che Angelo Fortunato
Formíggini dovrà affrontare: il problema della
campagna razziale antisemita, la presa di coscienza che
per lui tutto è finito. Il 27 giugno 1938 apprende che la
commissione per la razza appositamente insediata ha
concluso i suoi lavori formulando la teoria razziale: a
quella data Formiggini dirà - qualche mese dopo - di
avere pronunciato la sentenza contro se stesso. Chiaro
e dichiarato il proposito di darsi la morte in un’epigrafe
scritta il 21 agosto:
Ghirlandeina!
Ghirlandeina dâm un cocc
pr'ajutèrm a fèr al bocc!
I diran: cus'è 'so fagot?
To! L'é al pover Furmajot,
Un mudnes ed qui de 'd via
che, oramai, a-n va piò via!
Furmajin da Modna (9).
Il 31 agosto Formiggini visiterà la Ghirlandina, per fare
un sopralluogo e gli studi preliminari, come scrive sul
3
biglietto d'ingresso da lui conservato. Gli eventi
precipitano: il 15 settembre 1938 Il Ministero della
Cultura Popolare chiede informazioni dettagliate su
tutti i dipendenti non ariani dell'Anonima: l'unico non
ariano era l'Amministratore delegato, A. F. Formiggini.
Pertanto gli viene intimato di cambiare nome
all'azienda, che divenne la Società Anonima delle
Edizioni dell'ICS., del periodico cioè che più gli stava a
cuore e che voleva gli sopravvivesse.
Il 17 novembre il governo fascista emana i
Provvedimenti per la difesa della razza italiana; il 28
novembre, dopo avere sistemato tutti i suoi affari,
Angelo Fortunato parte per Modena, la città da lui
prediletta, con un biglietto di sola andata, e il giorno
successivo, il 29 novembre 1938, pone fine alla sua
vita gettandosi dalla Ghirlandina. Pochi giorni prima
della morte ha modo di scrivere una epigrafe che
contiene lo spirito del suo gesto:
Né ferro né piombo né fuoco
possono salvare
la libertà, ma la parola soltanto.
Questa il tiranno spegne per prima.
Ma il silenzio dei morti
rimbomba nel cuore dei vivi.
Oggi il silenzio dei morti rimbomba nel cuore dei vivi.
Allora la sua morte passò tassativamente, per ordine
del Regime, sotto silenzio. Né fu concesso che le sue
ceneri venissero versate nel Panaro dal ponte di
Sant’Ambrogio, secondo la sua volontà, per
raggiungere le terre di Collegara. Vennero sepolte nel
cimitero di Modena, non nella parte israelitica perché
morto suicida.
L'antivigilia della morte, nell'appello ai
Modenesi, aveva scritto: " il piccolo spazio che c'è fra
la Ghirlandina e il monumento al Tassoni lo chiamerete
' al tvajiol ed Furmajin' (10) per indicare la limitatezza
dello spazio: non direte 'sudario' perché tvajiol è parola
più allegra e simposiale". Oggi il silenzio dei morti
rimbomba nel cuore dei vivi, ed Angelo Fortunato
Formiggini, che alla biblioteca della sua Modena, la
Biblioteca Estense, ha lasciato in eredità gli archivi
famigliari e della casa editrice, ha trovato a Sassuolo,
lontano dal suo Tassoni e dalla sua Ghirlandina, in una
scuola a lui intitolata e in un fazzoletto di terra che
porta un leccio piantato in suo ricordo, là ha trovato al
tvajiol, che può essere per tutti ancora segno di vita, di
amore e di fervida laboriosità, nel nome della cultura e
della pacifica convivenza.
4
Testo a cura del professor GIANPAOLO ANDERLINI
NOTE:
(1) Sulla famiglia Formiggini cfr. Lazzaro PADOA, La famiglia Formiggini a Modena, in L.BALSAMO - R. CREMANTE (edd.), A.F.
FORMIGGINI. Un editore del Novecento, Il Mulino, Bologna, 1981, pp. 45-54.
(2) Ernesto MILANO, Angelo Fortunato Formíggini, (Nuovi Profili, 1), Luisé Editore, Rimini, 1987, p.29.
(3) Ernesto MILANO, op.cit., p.39.
(4) A Gesù verrà dedicato un secondo Profilo: Ernesto BUONAIUTI, Gesù Cristo, A.F. Formiggini, Roma, 1926. Interessante segnalare anche
la pubblicazione in lingua italiana della seguente opera fondamentale: C.G. MONTEFIORE, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico
contemporaneo, introd. di F. Momigliano, A.F.Formiggini, Genova, 1913.
(5) Angelo Fortunato FORMIGGINI, Trent'anni dopo. Storia della mia casa editrice, R.F. Levi Editore, Vaciglio (Mo), 1977, p. 93. Cfr. per
una discussione generale: Maurizio TORRINI, Religione e religiosità nei primi anni del '900, in L.BALSAMO - R. CREMANTE (edd.), A.F.
FORMIGGINI. Un editore del Novecento, Il Mulino, Bologna, 1981, pp.363-390.
(6) Piero TREVES, Formiggini e il problema dell'ebreo in Italia, in L.BALSAMO - R. CREMANTE (edd.), A.F. FORMIGGINI. Un editore
del Novecento, Il Mulino, Bologna, 1981, pp. 71.
(7) Angelo Fortunato FORMIGGINI, Parole in libertà, Edizioni Roma, Roma, 1945, p. 44. Cfr. Piero TREVES, op.cit., pp. 69-71.
(8) Angelo Fortunato FORMIGGINI, op. cit., p.47.
(9) " Ghirlandina./ Ghirlandina, dammi una spinta/ per aiutarmi a fare il botto!/ La gente dirà: Cos'è questo fagotto?/ Toh! E' il povero
Formaggiotto,/ un modenese di quelli di fuori/ che, oramai, non va più via!/ Formaggino da Modena". La Ghirlandina è la torre campanaria del
Duomo di Modena.
(10) " Il tovagliolo di Formaggino".
5