Prot. n° 1116 del 17/2/2003

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REGIONE SICILIANA
ASSESSORATO ENTI LOCALI
Servizio 2
”Vigilanza e Controllo EE.LL.”
Prot. n° 1116 del 17/2/2003
OGGETTO: Accesso agli atti da parte dei Consiglieri Comunali e Provinciali.Allegati. N.5
Ai Sigg. Presidenti delle Province Regionali
dell’I S O L A
Ai Sigg. Sindaci dei Comuni
dell’I S O L A
Una delle cause di maggiore conflittualità fra Amministratori e Consiglieri negli Enti Locali è
data dall’esercizio del diritto di accesso da parte di questi ultimi agli atti e documenti, nonché al rilascio
di copia degli stessi.
L’importanza della materia suggerisce di diramare alcune direttive.
L’esercizio del diritto di accesso agli atti per i consiglieri comunali e provinciali è disciplinato
dai commi 2 – 3 e 4 dell’art. 199 dell’O.R.EE.LL. così come modificato e integrato dall’art.56 della l.r.
n.9 del 6.3.1986, i quali prevedono per i predetti consiglieri la possibilità di prendere visione dei
provvedimenti adottati dall’Ente e degli atti preparatori in essi richiamati, senza distinzione di organo,
nonché di avere tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato e di ottenere, senza spese,
copia degli atti deliberativi e dei documenti. I diritti di segreteria vanno pagati da tutti, consiglieri
compresi, se vengono richieste copie di documenti autenticate. (Cons. Stato, sez. I, parere 25 giugno
1997, n.1316; Cons. Stato, 8 settembre 1994, n.976; T.A.R. Toscana, sez. I, 2 luglio 1996, n.602). A
tale riguardo si ricorda che con la l.r. n.48 dell’11.12.91 non è stato recepito il 5° comma dell’art.31
della legge 8.6.90 n.142 (circolare n.2 dell’11.4.92 parte III).
In ordine alle superiori disposizioni questo Assessorato si è già pronunciato con la circolare n.6
del 7.8.1986 – parte VI - pubblicata nella G.U.R.S. n.45 del 30.8.86.
Causa e titolo legittimante l’accesso agli atti è l’effettivo esercizio della funzione e quindi del
mandato di Consigliere e pertanto l’esercizio del diritto deve avere una connessione oggettiva con
l’espletamento della funzione.
Quello dell’accesso del consigliere è stato definito in giurisprudenza come “diritto soggettivo
pubblico” (T.A.R. Puglia, Lecce, sez II 10 agosto 1999, n.676; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 3 novembre
1995, n.696).
Il diritto di accesso è esteso anche alla visione e consultazione di tutti i provvedimenti ed atti
adottati dall’Ente, dei documenti in essi richiamati, nonché genericamente a tutte le informazioni
necessarie per l’espletamento del mandato.
Esso si estende anche alle aziende speciali ed agli enti dipendenti dal comune o dalla provincia
oltre che alle istituzioni per la gestione dei servizi sociali.
Il diritto in questione, infatti, inerisce alla funzione pubblica di cui il consigliere è portatore e
non ad un interesse individuale e privato, tant’è che non sussiste l’obbligo di motivare la richiesta di
accesso agli atti, né l’interesse alla stessa come un privato cittadino, “né gli Organi burocratici
dell’Ente hanno titolo per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire
l’esclusione del controllo sul loro operato” (Consiglio di Stato , sezione I parere 27 maggio 1992
n.1265/92; Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 528/1996, Cons. di Stato, Sez. V, 26.11.2000,
n.5109).
Il riconoscimento della speciale protezione della posizione del consigliere comunale è
riconosciuta anche dal giudice penale e dalla magistratura contabile. Il diritto del consigliere comunale
di ottenere dal comune tutte le notizie e le informazioni, in possesso dell’ente ed utili all’espletamento
del proprio mandato, trova come corrispondente il dovere dell’ente territoriale di porre in essere le
condizioni perché venga concretamente esercitato, senza incontrare ostacoli o atteggiamenti
ostruzionistici, sicchè un eventuale rifiuto motivato in modo apparentemente legittimo, ma, in sostanza,
specioso o pretestuoso, non può che risolversi in illegittima manifestazione dell’attività amministrativa.
(Fattispecie nella quale è stato impedito ad un consigliere comunale di prendere visione degli atti di
giunta, Cass. Pen., sez.VI, 7 marzo 1997, n.4952).
L’illegittimo diniego di accesso opposto al consigliere integra, dato il chiaro ed inequivocabile
disposto normativo in materia, un comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto,
responsabilità amministrativa qualora dal predetto diniego sia derivata la condanna dell’Ente al
pagamento delle relative spese di giudizio (C.Conti, regione Umbria, sez. Giurisdizionale, 5 giugno
1997, n.284).
Quanto all’eventuale impugnazione, in sede giurisdizionale e non, di atti di diniego dell’accesso
al consigliere comunale o provinciale si applica la disciplina valida per il diniego nei confronti dei
cittadini (Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 1994, n.730; Cons. Stato sez. V 21 febbraio 1994 n.119).
Di contro il consigliere non può fare uso per fini personali delle notizie e dei documenti
acquisiti. Diversamente il tipo di accesso configura un abuso sanzionabile anche penalmente,
dovendosi fare ricorso all’applicazione degli artt. 25 e 28 della l.r. 30.4.1991 n.10.
Secondo la normativa, dunque, al consigliere spetta una ampia e qualificata posizione di pretesa
all’informazione ratione officii (C. di S. Sez V, 8 settembre 1994, n.976), rispetto alla quale non gli
sono opponibili profili di riservatezza a condizione che i documenti e le informazioni richiesti siano
pertinenti all’esercizio del mandato e che egli se ne avvalga a tale fine.
Il diritto di accesso del consigliere, essendo riferito all’espletamento del suo mandato, non
investe solamente le competenze amministrative dell’ente, ma anche l’esercizio stesso del munus di cui
il consigliere è investito in tutte le sue potenziali implicazioni. (Sez. V 21 febbraio 1994 n.119
Consiglio di Stato). Si tratta, per com’è evidente, del riconoscimento di un diritto di accesso
caratterizzato da un raggio di azione significativamente più ampio.
La riconosciuta titolarità, in capo al consigliere comunale e provinciale, del diritto ad acquisire
ogni informazione utile, all’espletamento del proprio mandato, schiude all’esplicazione del diritto di
accesso una gamma vastissima di atti, documenti e notizie. La stessa giurisprudenza del Consiglio di
Stato ha rilevato che alcuna limitazione può derivare a questa portata acquisitoria dalla natura riservata
degli atti, se effettivamente utili all’esplicazione del mandato, nella considerazione altresì che incombe
sul consigliere l’obbligo del segreto d’ufficio (T.A.R. Abruzzo 3 novembre 1995 n.696 – Cons. Stato sez. V n.940/00).
Per documenti e informazioni pertinenti all’esercizio del mandato si devono intendere quelli
idonei a chiarire la correttezza ed efficacia dell’attività dell’Amministrazione, anche riguardo alla sua
coerenza con l’indirizzo politico amministrativo approvato e perciò i documenti recanti notizie e dati
sull’andamento dell’attività amministrativa che l’Ente abbia formato o comunque debba detenere.
Rientrano fra questi, in primo luogo e di conseguenza, quelli relativi a posizioni e fatti riguardanti
rapporti attivati dall’Amministrazione con altri soggetti per lo svolgimento della sua attività.
Considerato, comunque, che sia il diritto di visione che il rilascio di copia non è assoluto ed
illimitato in favore dei Consiglieri, in quanto deve essere sempre rapportato all’espletamento delle
funzioni e delle prerogative proprie del mandato conferito in sede elettiva, è da respingere l’ipotesi di
una richiesta indeterminata, senza cioè una esplicita indicazione degli atti che si intendono esaminare
(Consiglio di Stato – Sez V Dec. 28 luglio/8 settembre 1994, n.976), così come è legittimo il diniego di
accesso qualora la richiesta avanzata dai consiglieri comunali sia generalmente formulata perché
indirizzata a controlli generali di tutta l’attività dell’amministrazione per un determinato arco di tempo
(cfr., in termini, Con. di Stato, Sez. IV, sent. N.980 del 5.12.95).
Infatti, anche se nella giurisprudenza si è affermato come prevalente il principio per cui non sia
legittimo richiedere al Consigliere la motivazione specifica della richiesta di accesso, su questo
fondamentale aspetto, recentemente si è espresso il Consiglio di Stato (sez. V, sentenza n.6293 del
13.11.2002) sostenendo la tesi per cui richieste generiche ed indiscriminate non possono essere
accettate, non potendo queste essere supportate riconducendole genericamente allo svolgimento del
mandato; ciò anche perché questo tipo di richieste, oltre a potere apparire meramente emulative e
comprendere atti chiaramente e palesemente inutili ai fini dell’espletamento del mandato, possono
comportare intralcio e/o disservizio agli uffici, nonché costi elevati ed ingiustificati per l’ente.
I consiglieri, pertanto, al fine dell’esercizio del diritto di visione devono presentare richieste di
accesso ai documenti dell’amministrazione determinate e non generiche, consentendo una sia pur
minima identificazione dei supporti documentali che essi intendono consultare ed inoltre, stante
l’attività istituzionale del consigliere, questi devono necessariamente esternare, quale fondamento della
legittimazione all’accesso, la loro qualifica (Cons. Stato Sez. V, 6 dicembre 1999 n.2046).
L’esercizio del diritto, infatti, trova un limite nella necessaria compatibilità con il regolare
funzionamento dell’ente (Consiglio di Stato, parere n.1316/97).
Sussiste comunque in capo alla P.A. un dovere di leale cooperazione nei confronti del
Consigliere, che deve concretizzarsi nel porre in essere le condizioni affinché il diritto sia
concretamente esercitato, evitando ostacoli od atteggiamenti ostruzionistici (Cass. Pen., sez. VI, 7
marzo 1997 n.4952 – Cass. Civ. - sez. III, 3 agosto 1995, n.8480).
La finalizzazione dell’accesso all’espletamento del mandato costituisce, quindi, al tempo stesso,
il presupposto che legittima l’accesso e che ne delimita, però, la portata.
Quanto alla concreta individuazione delle notizie e delle informazioni utili che possono essere
apprese va ulteriormente osservato che le norme in vigore collegano l’accesso non tanto alle fonti utili
per espletare meglio i compiti del consiglio, quanto a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale
allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere e alla sua partecipazione alla vita politicoamministrativa dell’ente.
Ciò anche al fine di permettere al consigliere di valutare, con piena cognizione di causa, la
correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole
sulle questioni di competenza del Consiglio e per promuovere, anche nell’ambito del Consiglio stesso,
le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti (Cons. di Stato - Sez V - 21.2.94 n.119).
Questo orientamento è confermato dalla giurisprudenza, che ha avuto occasione di precisare che
la norma permette di accedere non solo ai documenti formati dalla pubblica amministrazione di
appartenenza ma, in genere, a qualsiasi notizia ed informazione utili ai fini dell’esercizio delle funzioni
consiliari (Cass. Civ. - Sez. III - sent. 8480 del 3 agosto 1995).
La giurisprudenza ha, di contro, escluso l’accesso del consigliere ai sottoelencati atti:
pareri dell’avvocatura comunale, in presenza di processo pendente (Consiglio di Stato,
sez V, 2 aprile 2001, n.1893; Cons. di Stato – Sez. V – 21 novembre 2000 – 8 febbraio
2001. n.513);
registro generale del protocollo dell’ente, comparendo in esso anche materie coperte
da segreto o notizie riservate, dovendosi preliminarmente determinare l’oggetto della
richiesta di accesso (Ministero Interno, risposta a quesito, in Guida agli enti locali, 29
gennaio 2000, n.83, p. 83, T.A.R. Veneto, Sez. I, 30 marzo 1995, n.498);
cartellini delle presenze dei dipendenti, giustificazioni eventualmente addotte dagli
stessi in relazione ad assenze e ritardi, essendo invece ammesso l’accesso a dati
generali, non quindi riguardanti il singolo dipendente, relativamente al rispetto
dell’orario di lavoro (Ministero Interno, risposta a quesito, in Guida agli enti locali, 11
marzo 2000, n.9, p.99);
documentazione facente parte di carteggi in fase istruttoria in ordine a cui non siano
ancora intervenute le determinazioni definitive (T.A.R. Marche , 11 dicembre 2000,
n.1545);
appunti del segretario comunale afferenti la verbalizzazione delle sedute del consiglio
comunale o provinciale (T.A.R. Veneto, II 9 gennaio 2002, n.60);
proposte di deliberazione ove l’atto deliberativo conclusivo non sia stato ancora
assunto (Consiglio di Stato, parere, n.1316/97);
scritti defensionali degli avvocati, si tratti di liberi professionisti o di dipendenti degli
enti, dal momento che tali scritti sono sottratti all’accesso per essere soggetti al segreto
professionale. Rientrano tra tali atti anche quelli redatti dai legali in relazione a
specifici rapporti di consulenza con l’amministrazione (Cons. Stato - Sez. V - 27
luglio 2000 n.1893).
La disciplina sull’accesso va coordinata con quella sulla riservatezza, nel senso che le norme
della legge 675/1996 contribuiscono a definire più chiaramente i limiti dell’esercizio del diritto di
accesso, rafforzando la tutela dei dati sensibili, ferma restando la sopravvivenza piena delle norme
previdenti sulla trasparenza, espressamente richiamate dall’art.43 della legge n.675.
Nel quadro dei rapporti tra le disposizioni in materia di privacy e di trasparenza, il diritto di
accesso dei consiglieri rappresenta uno dei casi di comunicazione dei dati personali previsti dalla
legge, in conformità all’articolo 27 della legge n.675. La ratio sottesa a tale previsione è quella di
dotare i rappresentanti della comunità di idonei strumenti per l’espletamento dei compiti connessi al
mandato.
L’accesso agli atti deve essere tuttavia coordinato con altre norme vigenti che tutelano, ad
esempio, il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle conversazioni,
segretezza che si estende, anche in base alla giurisprudenza costituzionale, ai dati contenuti in tabulati
che permettono di stabilire se è intercorsa una comunicazione e tra quali soggetti; non possono infatti
essere richiesti all’Amministrazione i tabulati telefonici poiché, prescindendo in questa sede da ogni
altro profilo, si tratta in ogni caso di documenti non formati né detenuti dall’Amministrazione. Il diritto
di accesso deve essere inoltre coordinato con la speciale disciplina che attiene agli atti anagrafici, allo
stato civile e alle liste elettorali, che resta soggetta a specifiche disposizioni.
Va ribadito che il consigliere deve utilizzare i dati acquisiti per le sole finalità inerenti al
mandato. In base a tale limite i consiglieri sono tenuti al segreto nei casi determinati dalla legge.
Alla luce della legge n.675, il dovere di segreto riguarda in primo luogo la sfera dei dati
sensibili e la violazione di tale obbligo è severamente sanzionata.
Va peraltro ricordato che il dipendente degli Enti Locali è tenuto al segreto d’ufficio anche nei
confronti del consigliere, in quanto il diritto di quest’ultimo si esplicherà nelle forme e nei limiti del
diritto di accesso, oltre che attraverso interrogazioni ed interpellanze (T.A.R. Piemonte, sez. II, 11
settembre 2001, n.1693. Sul punto vedi anche Consiglio di Stato, sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940;
Consiglio di Stato, sez. V, 26 settembre 2000, n.5; T.A.R. Marche, 11 dicembre 2000, n.1545).
Stante, pertanto, l’indubbia complessità di tutta quanta la materia, questa, anche per l’effetto del
disposto di cui all’art.7 – commi 3 e 4 della L. n.142/90, in quanto recepito dal legislatore siciliano, con
la l.r. n.48/91, deve formare oggetto di apposito Regolamento in sede amministrativa locale, senza che
peraltro l’assenza di regolamentazione sia preclusiva dell’esercizio del diritto (Cons. di Stato, Sez. V,
21 febbraio 1994, n.119 – T.A.R. Abruzzo/L’Aquila, 3 novembre 1995, n.696).
Si ritiene, comunque, che detta disciplina potrebbe anche trovare giusta collocazione sia nel
regolamento riguardante il funzionamento del consiglio comunale o provinciale, sia nel regolamento
“ad hoc” in tema di accesso agli atti ed alle informazioni da parte dei consiglieri.
La norma regolamentare deve prevedere in particolare il tempo, il luogo e le modalità per
l’esercizio del diritto, l’individuazione del responsabile per l’accesso, il registro per l’accesso e le
modalità di tutela della riservatezza.
Legittimamente l’ente potrà limitare l’esercizio del diritto di accesso del consigliere all’orario
d’ufficio ed individuare taluni uffici a ciò competenti, anche al fine di garantire il buon andamento
dell’attività amministrativa, non potendo avere il diritto del consigliere carattere di assolutezza, ma
trovando un contemperamento in altri principi di pari dignità (T.A.R. Liguria, sez. II 4 luglio 1998,
n.514; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 27 maggio 1994, n.330).
Il regolamento potrà altresì prevedere, in presenza di richiesta di accesso a documentazione
molto copiosa, termini più ampi per il rilascio, ferma restando la necessaria compatibilità con
l’esercizio del mandato da parte del consigliere, oppure la preventiva visione degli atti, al fine di
meglio individuare, restringendone l’ampiezza, quelli oggetto di estrazione di copia (Ministero Interno,
risoluz. 26 settembre 2000, n.15900/1064/1bis/5.3/Legge 142).
L’esito del procedimento deve in ogni caso risultare da apposito registro istituito a tale specifico
fine, fermo restando che l’eventuale impossibilità all’accesso deve essere formalmente e motivatamente
comunicata al richiedente.
Gli Uffici di segreteria sono pregati di portare a conoscenza dei Componenti i Consigli la
presente direttiva.F.TO
L’ASSESSORE
(On.le dott. Antonio D’Aquino)
ALLEGATO N.1
Per semplificazione si riportano le massime di alcune sentenze pronunciate dal Tribunale
Amministrativo Regionale, dal Consiglio di Stato e dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la
Regione Siciliana.
T.A.R. Lazio sez.I, 24 marzo 1992, n.399 – Posto il diritto del candidato di accedere agli elaborati
delle prove di esame degli altri candidati con i limiti previsti dalle norme vigenti, tale diritto può essere
differito una volta espletata la procedura concorsuale, poiché lo svolgimento dell’azione amministrativa
può essere gravemente ostacolata dalla conoscenza dei documenti per i quali è stato attivato l’accesso.
T.A.R. Toscana, sez I, 3 giugno 1992, n.251 – L’accesso agli atti del procedimento è consentito ai
soggetti portatori di interessi diffusi di una limitata categoria, diversa dalla generalità dei cittadini, che
trovano origine in una pluralità di situazioni giuridiche identiche, scorporabili, idonee a costituire
interesse proprio dell’ente o istituzione esponenziale in cui i singoli appartenenti si riconoscono, in
quanto costituiti in associazione o comitato ed in relazione al pregiudizio che possa derivare agli
interessi di cui sono portatori.
T.A.R. Toscana, sez.I, 8 aprile 1993, n.257 – Ai sensi degli artt. 24, sesto comma, e 13 della legge
241/90, il diritto di accesso non è consentito nei confronti degli atti preparatori nel corso della
formazione di provvedimenti di pianificazione e programmazione per i quali continuano ad operare le
particolari norme che essi presiedono.
Consiglio di Stato, sez IV, 26 novembre 1993, n.1036 – Il soggetto contro-interessato, che potrebbe
ricevere un pregiudizio dall’autorizzazione alla visione dei documenti, è tenuto ad essere informato
dell’avvio del procedimento da parte della P.A.
Consiglio di Stato, sez. V, 8 febbraio 1994, n.78 – Le disposizioni sulla pubblicazione di determinati
atti all’albo pretorio sono finalizzate a fornire ai cittadini una conoscenza preliminare dei medesimi per
consentire di verificare per tempo l’operato del comune o della provincia e non pregiudicano una
eventuale richiesta di accesso proposta successivamente alla pubblicazione. Nei regolamenti delle
singole amministrazioni è possibile delegare con formale atto un’altra persona a visionare il
documento. La situazione è, infatti, riconducibile all’ipotesi del mandato di cui all’art. 703 c.c., avendo
ad oggetto il compimento di un atto giuridico. La pubblicazione degli atti o dei provvedimenti
comunali all’albo pretorio, disciplinata dall’art. 47, L. 8 giugno 1990, n.142, ha la funzione di
consentire la tempestiva verifica dell’operato del comune da parte di tutti i consociati, nonché quella di
costituire una fase integrativa dell’efficacia del provvedimento. Tale adempimento, quindi, non esclude
il diritto di accesso contemplato dalla L. 7 agosto 1990, n.241, in relazione agli atti affissi all’albo
pretorio, stante la finalità di detta normativa di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di
favorirne lo svolgimento imparziale.
T.A.R. Liguria, sez.I, 28 giugno 1994, n.289 – Il termine di trenta giorni fissato dall’art.25, L. 7
agosto 1990, n.241 per ricorrere avverso il silenzio rifiuto serbato su istanza di accesso è perentorio,
pertanto, la sua violazione comporta l’inammissibilità del ricorso, anche nell’ipotesi in cui il diritto di
accesso risulti ancora esercitabile da parte dell’interessato, come nel caso del consigliere comunale
rispetto agli atti del comune.
ALLEGATO N.2
Consiglio di Stato, sez V, 8 settembre 1994, n.976 – Tenuto conto che l’esercizio del diritto di
accesso, da parte del Consigliere Comunale, attiene alla funzione pubblica di cui lo stesso è portatore e
che in nessun caso quest’ultimo può far uso delle notizie e documenti acquisiti per fini diversi da quelli
propri della funzione pubblica esercitata, la richiesta di accesso ai documenti di un comune avanzata da
un consigliere comunale, ai sensi dell’art.31, comma 5, L.8 giugno 1990 n.142, deve essere evasa senza
costi di riproduzione, di diritti di misura e ricerca a carico dell’istante. La procedura di accesso ai
documenti della P.A., prevista dall’art. 25, L.7 agosto 1990, n.241, è pienamente applicabile nei
confronti dei consiglieri comunali che, in forza del diritto loro riconosciuto dall’art. 31, comma 5, L.8
giugno 1990, n.142, esigano dal comune tutte le notizie e le informazioni in possesso degli uffici
comunali, utili all’espletamento del loro mandato, indipendentemente dalla natura di tali atti e quindi
anche nei confronti dei provvedimenti di concessione edilizia.
Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 1994, n.1467 – Il diniego di accesso ad un atto la cui
conoscenza è utile o necessaria al fine dell’esercizio del diritto di difesa in un procedimento
sanzionatorio è illegittimo. In tal caso il ricorrente ha un diritto pieno all’accesso di tutta la
documentazione in possesso della P.A. per la propria difesa.
T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 2 novembre 1994, n.748 – Il rifiuto di una domanda di accesso
impropriamente formulata ed incompleta in qualche sua parte è illegittimo. In questo caso la P.A. deve
attivarsi indicando all’interessato le eventuali carenze da colmare al fine di pervenire al
soddisfacimento completo dell’interesse all’accesso.
T.A.R. Lombardia, Milano, 19 gennaio 1995, n. 64 – Nel caso che una norma regolamentare violi la
possibilità di accesso garantita da norme superiori, il giudice amministrativo adito ha il potere di
procedere alla “disapplicazione” della norma secondaria in contrasto con la legge, senza che occorra
una formale impugnazione del regolamento stesso.
T.A.R. Lazio, sez.I, 15 febbraio 1995, n.252 – Il diritto di accesso previsto dalla legge n.241/90
riguarda i documenti amministrativi, cioè i documenti formati dalle P.A. o, comunque, utilizzati ai fini
dell’attività amministrativa, per cui non vi rientrano gli atti che riguardano attività e organi
giurisdizionali.
Consiglio di Stato, sez. V, 7 maggio 1996, n.528 – La funzione in virtù della quale il consigliere
comunale ha diritto di prendere visione dei provvedimenti e dei relativi atti preparatori del comune
consiste nel controllo sull’amministrazione dell’ente da parte dei componenti del consiglio comunale,
organo politico-amministrativo dell’ente stesso. Per la predetta ragione il consigliere comunale, che
chiede di esercitare il diritto di accesso, non è tenuto a specificare i motivi della richiesta a differenza
dei soggetti privati, allo stesso modo gli organi burocratici dell’ente non hanno titolo a richiedere le
ragioni ed i motivi dell’accesso perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire
l’estensione del controllo sul loro operato.Consiglio di Stato, sez.V, 4 luglio 1996, n.820 – Il diritto di accesso va riconosciuto anche con
riguardo a documenti rappresentativi di semplice attività interna al procedimento amministrativo posto
in essere dalla P.A., a prescindere dal fatto che siano stati effettivamente utilizzati e che abbiano avuto
influenza nella determinazione del contenuto del provvedimento finale con rilevanza esterna.
Consiglio di Stato, 4 febbraio 1997, n.5 – Il diritto alla riservatezza recede quando l’accesso viene
esercitato per la difesa di un interesse giuridico; per i documenti contenenti dati sensibili i soggetti
interessati hanno solo diritto di visione ex art.24, legge 241/1990.
ALLEGATO N.3
Consiglio di Stato, sez. V 14.4.1997, n.362 – Il diritto di accesso ai documenti amministrativi da parte
delle associazioni sindacali non è garantito di per sé in assoluto, bensì in funzione strumentale rispetto
al concreto esercizio dell’azione propulsiva e di tutela propria degli organi sindacali. Sono esclusi ad
es. tutti quei documenti che riguardano l’organizzazione del personale in generale, che non incidono su
singole e/o determinate posizioni giuridiche del cittadino, salvo che costui ne provi il contrario. Il
diritto di accesso ai documenti amministrativi ex art.22, L.7 agosto 1990, n.241 non ha le caratteristiche
proprie di un’azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sulla P.A. Difatti
l’interesse che legittima la relativa richiesta deve essere personale, concreto, serio, e non con il
carattere di semplice emulazione, né tantomeno riconducibile a mera curiosità, oltrechè ricollegabile
alla persona dell’istante da uno specifico nesso, ai sensi dell’art.2 D.P.R. 27 giugno 1992, n.352, sia
ontenutistico, sia temporale, tant’è che non si dà luogo ad accesso rispetto a situazioni ormai definite o
inoppugnabili e sulle quali l’istante stesso non può svolgere alcuna funzione, neppure partecipativa.
Consiglio di Stato, sez.IV, 6 agosto 1997, n.772 – Gli atti di natura ispettiva interni, anche se non
assumono un’autonoma rilevanza funzionale, non possono essere sottratti all’accesso in quanto siano
suscettibili di utilità per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. Anche nei casi in cui
l’Amministrazione può sottrarre all’accesso alcune categorie di documenti per motivi di riservatezza di
terzi, va comunque garantita ai richiedenti la visione degli atti la cui conoscenza sia necessaria per
curare o difendere i loro interessi giuridici.
Consiglio di Stato, sez.V, 14 novembre 1997, n.1314 – L’esercizio del diritto di accesso non si può
considerare esteso al punto da imporre alla P.A. una particolare, nuova e autonoma attività
specificamente rivolta ad acquisire o selezionare i dati che occorrerebbero per soddisfare l’interesse
cognitivo che muove colui che richiede l’accesso. E’ legittimo, pertanto, il diniego opposto dalla P.A.
nei confronti di una pretesa, nei confronti di un soggetto richiedente informazioni dettagliate (nel caso
di specie si trattava di procedura tesa all’assegnazione di un alloggio comunale e le informazioni
avevano ad oggetto il patrimonio immobiliare del comune) in quanto ciò comporta da parte della P.A.
stessa l’elaborazione e l’esibizione di vere e proprie relazioni. La decisione trova la sua motivazione
principale nel fatto che, nel tutelare il diritto all’accesso degli atti amministrativi, gli artt. 22 e ss, L. 7
agosto 1990, n.241 non hanno imposto alle amministrazioni di attivare procedimenti amministrativi
volti all’acquisizione di dati e all’elaborazione di dati statistici o conoscitivi del loro patrimonio
immobiliare.
T.A.R. Lombardia sez III, 2 dicembre 1997, n.2151 - I consiglieri comunali e provinciali, ai sensi
dell’art.31, comma quinto della legge 142/90, nonché a norma dell’art.24 della legge 27 dicembre 1985
n.816, hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in
essi richiamati nonché di avere tutte le informazioni necessarie all’esercizio del mandato. Il diritto di
accesso dei consiglieri, pertanto, è diverso da quello proprio di ciascun cittadino, poiché essi possono
avvalersi della norma speciale, a fondamento del loro diritto di accesso, dell’art.25 della legge
n.816/85. La perdurante vigenza di tale disposizione speciale non può essere messa in discussione pur
dopo l’entrata in vigore del nuovo ordinamento delle autonomie locali, non essendo la stessa abrogata
dall’art.64 della legge n.142/90 ed essendo pienamente compatibile con il disposto dell’art.31, quinto
comma, della legge n.142/90, con cui perfettamente si integra. In base a tali disposizioni si deve
affermare che ciascun consigliere comunale e provinciale per la funzione pubblica di cui è investito ha
diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati
e di ottenerne copia. Tale diritto è funzionale altresì a consentire una puntuale conoscenza e valutazione
della correttezza e dell’efficacia dell’azione svolta dall’amministrazione.
ALLEGATO N.4
Consiglio di Stato, sez. V, 17 dicembre 1997, n.1537 – Il ricorso al giudice amministrativo, a tutela
del diritto di accesso, va proposto, a pena decadenza, entro 30 giorni dalla formazione del silenzio
ovvero dalla comunicazione del diniego da parte della P.A.. Da ritenersi inammissibile, quindi, il
ricorso avanzato dal cittadino interessato oltre il termine perentorio di 30 giorni decorsi dalla
formazione del silenzio o dalla comunicazione del diniego.
Consiglio di Stato 29 gennaio 1998, n.115 – Premesso che l’art.25 della legge 241/90 stabilisce che il
diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi, nei
modi e con i limiti indicati in tale legge, si richiama che l’art.24, nel porre limitazioni al diritto di
accesso, stabilisce, al secondo comma, che lo stesso può essere escluso o limitato, tra l’altro, in
relazione all’esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese. In tale
ipotesi va peraltro garantita agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi,
la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici. Da una lettura
combinata degli artt. 24, secondo comma e 25, primo comma, si deve pervenire alla conclusione che
l’espressione “visione” si riferisca solo all’esame degli atti, e non anche all’estrazione di copia degli
stessi. E, invero, da un lato l’art.25, primo comma, dopo avere indicato le due modalità tipiche di
esercizio del diritto di accesso (esame e copia) aggiunge che l’esercizio del diritto avviene nei modi e
con i limiti stabiliti dalla legge n.241/90. I limiti possono ben essere intesi anche nel senso che sia
consentita una sola delle due modalità di esercizio dell’accesso, vale a dire quella prioritaria e al tempo
stesso meno “forte”, cioè l’esame o visione che dir si voglia. Dall’altro, in tema di atti che pongono
esigenze di tutela della riservatezza altrui, è lo stesso legislatore ad operare un bilanciamento degli
interessi in gioco, consentendo sì l’accesso ove la conoscenza degli atti sia necessaria per curare o
difendere interessi giuridici del richiedente, ma limitando al tempo stesso il diritto di una sola delle sue
modalità di esercizio, quella informativa. Né tale bilanciamento di interessi può dirsi che discrimini o
penalizzi il diritto di difesa giurisdizionale . Da un lato, infatti, il diniego di copia degli atti deve essere
opposto dall’Amministrazione nei limiti in cui sia necessario alla tutela della riservatezza dei terzi. Ciò
non solo nel senso della necessità di una individuazione analitica degli atti o parti di essi che pongono
l’esigenza di salvaguardare l’altrui riservatezza, ma anche nel senso che, ove determinati atti solo in
parte interessino l’altrui privacy, l’Amministrazione deve consentirne l’estrazione di copia con omissis
cancellando materialmente i riferimenti ai terzi e, più in generale, le parti degli atti che riguardano
l’altrui sfera privata.
Dall’altro lato, il diniego di copia non si traduce in una vanificazione del diritto di difesa giudiziaria
perché, ove gli atti o parti di atti di cui si è negata la copia siano effettivamente rilevanti ai fini
dell’instaurazione di un procedimento giurisdizionale, è sempre possibile per il ricorrente chiedere al
giudice adito di ordinare all’Amministrazione l’esibizione e il deposito degli atti nell’ambito del
processo.
Consiglio di Stato sez V, 1 giugno 1998 n.718 - La domanda di accesso ai documenti amministrativi
di un comune, formulata da un’organizzazione sindacale dei lavoratori con il solo evidente scopo di
esercitare una vigilanza sull’ente stesso, è da ritenersi inammissibile. Tale soluzione nasce dal fatto che
non appare possibile strumentalizzare tale diritto per scopi del tutto estranei a quelli posti dalla legge e
meno che mai per svolgere una surrettizia forma di controllo sul comune, da parte di un soggetto
“sindacale” cui nessuna legge della Repubblica attribuisce un tale compito.
Consiglio di Stato, sez V, 15 giugno 1998, n.838 – Le disposizioni della L. 7 agosto 1990, n.241, che
attribuiscono il diritto di accesso ai documenti amministrativi, operano nei confronti di tutti gli enti
pubblici, anche economici, senza distinzioni, e dunque, anche nei confronti delle aziende speciali dei
comuni previste dall’art.22, L. 8 giugno 1990, n.142.
ALLEGATO N.5
Consiglio di Stato, sez V, 14 ottobre 1998, n.1479 – In base al combinato disposto degli art. 13 e 24,
L. 7 agosto 1990, n.241 non è ammesso l’accesso agli atti preparatori dei piani di lottizzazione
convenzionata che, al pari dei piani particolareggiati, rispetto ai quali sono alternativi, hanno natura di
strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale o del piano di fabbricazione e, quindi, ha
a sua volta una funzione pianificatoria, che l’esclude dagli atti amministrativi accessibili, a nulla
rilevando la norma ex art.31, comma 9, L. 17 agosto 1942 n.1150 (la quale concerne soltanto l’accesso
agli atti relativi alla concessione edilizia) o quella di cui al combinato disposto dei precedenti artt. 9 e
15 (che riguarda invece la formazione del piano regolatore).
Consiglio di Stato sez IV, 27 aprile 1999, n.743 – La relazione del direttore dei lavori nella quale
devono comparire anche le controversie e le domande presentate dall’appaltatore, con la proposta
ragionata della soluzione (ai sensi dell’art. 63, comma 4, del Regio Decreto n.350/1895), nonché la
relazione del collaudatore sulle riserve opposte allo stato finale dell’appaltatore, si inseriscono nella
fase amministrativa dell’esame della decisione sulle riserve, nella quale la P.A. ha il dovere giuridico di
prestare la propria attività di valutazione della fondatezza delle pretese avanzate dall’appaltatore. La
generale qualificazione di tali atti nell’ambito del procedimento amministrativo porta all’affermazione
che anche se riconducibili ad un rapporto di diritto privato gli atti relativi alla relazione del collaudatore
debbono essere sottoposti alla disciplina di cui al diritto di accesso.
T.A.R. Lazio, sez. II, 13 dicembre 2000, n.11918 – Il fine della tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti, che ai sensi dell’art.22, primo comma, della legge 7 agosto 1990, n.241, giustifica la domanda
di accesso, va valutato, nel caso di associazioni esponenziali delle categorie dei consumatori ed utenti,
con un maggior grado di astrazione rispetto alle posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo di
singoli individui, tenuto conto che dette associazioni perseguono l’esclusivo scopo statutario di
salvaguardia e garanzia delle categorie rappresentate.
Consiglio di Stato, sez VI, 19 gennaio 2001, n.191 – Non sono soggetti al diritto di accesso gli atti dei
privati che siano occasionalmente detenuti dall’Amministrazione o siano entrati in possesso di
quest’ultima per contiguità o non scorporabilità con documenti direttamente utilizzati per l’attività
amministrativa.
T.A.R. Emilia Romagna, sez. I 6 dicembre 2001, n.1207 – Anche se non vi è incompatibilità tra il
diritto di accesso agli atti della P.A. e la tutela della privacy, continua a spettare, ai sensi dell’art.43,
comma 2, della legge 675/1996, alle Amministrazioni destinatarie delle richieste di accesso, il compito
di valutare i presupposti di queste ultime alla stregua della legge n.241/1990 e dei regolamenti attuativi
della stessa. Il giudizio di comparazione tra esigenze di accesso e tutela della riservatezza personale in
materia sanitaria deve assumere quali parametri di riferimento la rilevanza giuridica dell’interesse
rispetto al quale si richiede il diritto di accesso e la sua imprescindibile necessità per la difesa di
quell’interesse, che rappresenta anche il limite entro il quale l’accesso può essere consentito, oltre che
la condizione per la sua prevalenza sulla tutela della privacy.
T.A.R. Veneto, sez II 9 gennaio 2002, n.60 – La registrazione su supporto magnetico dell’adunanza
del consiglio comunale viene effettuata a cura del Segretario comunale a proprio uso: si tratta
sostanzialmente di semplici appunti, che il Segretario utilizza per la formazione del verbale della
seduta. La registrazione non può qualificarsi come un documento amministrativo, ai sensi dell’art.22,
comma 2 della L.241/1990, dovendosi attribuire tale qualità solo al verbale della seduta. Pertanto, non
sussiste il diritto dei consiglieri comunali di accedere ai nastri.
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