04.28.11 - Sunto Incontro Ambasci[...]

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PARTITO REPUBBLICANO ITALIANO
UFFICIO AFFARI ESTERI
Sede Nazionale : Corso Vittorio Emanuele II 326 – Roma 00186
Ambasciata Siriana
11.00 AM – 12.10 PM
Roma, Giovedì 28 Aprile 2011
Discreta giornata di sole. Prima dell’incontro con il nuovo Ambasciatore della
Repubblica Araba di Siria, faccio un salto alla Finnat per depositare alcune carte e
vedere l’estratto conto. Uscito da Palazzo Altieri inforco il motorino e mi dirigo verso
il Campidoglio. Solito infernale problema di parcheggio che risolvo infilandomi in
una stradina e scovando un avarissimo spazio tra altri due scooter.
Entrato nell’androne mi presento al portiere: mi indica il cortiletto dal quale, a
sinistra, prendo la scaletta che conduce all’Ambasciata. Era da tempo che non vi
venivo. L’interno conserva sempre quell’aria un pò dimessa e triste. Consegno il
telefonino e vengo fatto accomodare nel salottino in attesa di Micheline, segretaria
dell’Ambasciatore. Dopo qualche minuto si presenta e mi scorta sino alla porta
dell’ufficio. Entro e vedo che nulla è cambiato dalla mia ultima visita.
Mi presento al nuovo Ambasciatore, uomo di mezza età, dall’aspetto piuttosto
anonimo: altezza media, leggera pinguedine, baffetti e incipiente calvizie. Accanto a
lui un funzionario più giovane, dal colorito chiaro, occhi appena sporgenti, anche egli
senza fattezze di particolare rilievo. In mano tiene penna e quaderno. Compiute le
cerimonie del caso, ci sediamo tutti e tre e decidiamo di condurre l’incontro in
Inglese.
Chiedo all’Ambasciatore se posso prendere appunti. Risponde affermativamente e
comunque vedo che il diplomatico più giovane è lui stesso già pronto a scrivere. Mi
viene chiesto se volessi del the o un caffè Arabo. Opto per una tazza di the;
l’Ambasciatore va per il caffè. Prima che giunga l’inserviente, mi chiede se fossi mai
stato nel suo Paese. Purtroppo no, gli rispondo, e a mio gran dispiacere, perché se c’è
un Paese al mondo che vorrei visitare con cura è proprio quello suo: pieno di storia,
dal paesaggio variegato e da siti e città di gran nome, abbraccianti tutte le epoche:
Ebla, Ugarit, Antiochia, Apamea, Palmyra, Aleppo, ed infine Damasco, la Capitale,
con la sua splendida moschea degli Omayyadi, di originale costruzione Bizantina,
contenente il sepolcro di San Giovanni Battista . Gli confesso pure il mio debole per
quegli straordinari dolcetti dalle forme più varie, specialità del suo Paese, a base di
miele, mandorle e pistacchi. In quel mentre arriva la fantesca: è una ragazza giovane,
alta, dalla pelle chiara, pantaloni neri e camicia bianca. Riceve le istruzioni
dell’Ambasciatore e, a mia immensa gioia, sarà di ritorno portando anche un piatto
colmo dei miei amatissimi dolcetti.
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L’Ambasciatore apre l’incontro chiedendomi informazioni sul mio partito. Gli faccio
un breve riassunto sulla storia del pensiero Repubblicano in Italia. Continuo
parlandogli delle origini del partito e delle sue vicende fino all’inchiesta “Mani
Pulite”, che condurrà alla scomparsa di tutti i partiti che hanno fatto l’Italia del
dopoguerra. Gli racconto dello sfascio del vecchio PRI e di come il Paese sia poco
dopo finito in mano a Berlusconi e Forza Italia. Concludo con la nostra “diaspora” e,
infine, con gli eventi del XXXXVI.mo Congresso dove si è decisa la riunificazione di
due dei tre tronconi: il nostro M.R.E. ed il PRI di Nucara, con La Malfa che ha fatto
le bizze e Musi che è rimasto nel PD. Si tratta – gli ho detto – della ricongiunzione di
due insignificanze anche se poi, a ben vedere le cose, vincente è stato proprio il
pensiero nostro: figlio dell’Illuminismo e delle due grandi Rivoluzioni del XVIII.mo
secolo, quella Americana e quella Francese, che hanno generato democrazia, ossia
competizione politica, e il libero mercato con la sua competizione economica.
L’Ambasciatore pare soddisfatto; il suo assistente prende appunti. Mi vien chiesto
adesso come vedessi la nostra attuale situazione. Con un misto di sgomento e di
incredulità, rispondo. Il livello del dibattito non fa che abbassarsi, i recenti
avvenimenti consentono di esprimere ogni dubbio possibile sulla selezione di buona
parte della nostra classe politica e tutto tende a gravitare intorno ai problemi del
Premier. È da anni che si parla di riforme, ma di queste ben poco si è visto e, di quel
poco, una parte consistente è andata ad esclusivo vantaggio di Berlusconi stesso.
Particolarmente grave il dilettantismo con il quale viene affrontata la Politica Estera e
tutte le recenti prese di posizione sulla questione Libica non fanno che esserne
conferma. Interesse dell’Italia sarebbe stato quello di incrementare la propria
presenza nel Mediterraneo: ci sarebbe voluta un iniziativa diplomatica forte, il Paese
invece si è diviso. Prima non si è voluto disturbare Gheddafi, poi si lascia spazio ad
un intervento di Parigi e Londra, che spingono le Nazioni Unite a deliberare le
risoluzioni 1970 e 1973 a protezione degli insorti. Un riluttante Obama schiera gli
Stati Uniti in prima linea, spinto in ciò anche dalla partecipazione del Qatar e della
Lega Araba. Il nostro Primo Ministro, benché sia l’Italia ad essere più direttamente
coinvolta dagli eventi in corso, dichiara che mai ordinerà all’aviazione di effettuare
missioni di bombardamento e non mostra la minima curiosità nell’informarsi su chi
siano i ribelli.
Da parte mia, appena avuto sentore di ciò che andava sviluppandosi a Benghazi e
ancora prima che il Presidente Francese Sarkozy spingesse alla convocazione del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, avevo suggerito di inviare alcuni emissari per
valutare la situazione sul posto e prender contatto con i rivoltosi. Reputavo
indispensabile rendersi conto di chi fossero, quanti fossero, che intenzioni avevano,
quale il loro programma e, infine, sondare i loro obiettivi e le possibilità di successo.
Prima di decidere alcunché sarebbe stato utile sapere con chi si aveva a che fare e
fino a dove era possibile arrivare. Se si fosse giudicato opportuno, dissi nel corso di
conversazioni al nostro Congresso, si sarebbero potute prendere in esame anche una
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serie di azioni mirate: non era concepibile restare fuori da un eventuale crisi che
rischiava di svilupparsi a mezz’ora di volo dalla Sicilia, per di più in un Paese dal
quale provengono il 15% del gas ed il 26% del petrolio che consumiamo e dal quale
si potrebbe subire un incontrollato flusso migratorio. Vista la nostra non-entità e
l’impopolarità delle questioni internazionali, di tutto ciò nulla si è fatto e niente è
trapelato. A Letta non ho più scritto, tanto non risponde mai.
Con i suoi atteggiamenti ambigui e furbeschi e le conseguenti non-scelte, il Premier
Berlusconi ha messo il Paese nella peggiore delle situazioni, quella nella quale si ha
molto da perdere e nulla da guadagnare, dovendo comunque subire tutti i risvolti
negativi della crisi. Era difficile mettersi in una posizione di maggiore debolezza ed
incoerenza. Il 19 Marzo, dopo la Conferenza di Parigi nella quale si erano riuniti una
ventina di leader Europei, Arabi ed Africani, inizia l’attacco aereo Francese contro la
Libia. Circa un ora prima della Conferenza, mentre il nostro Premier era ancora in
volo sulla capitale Francese, il Segretario di Stato Americano si incontrava in privato
con il Presidente Sarkozy e con il Premier Britannico Cameron. La sera stessa
Berlusconi, in televisione, appare livido. Trascorsa pressappoco una settimana, il
Presidente Obama tiene una videoconferenza con il Premier Cameron, il Presidente
Sarkozy ed il Cancelliere Tedesco Angela Merkel, che si era astenuta sul voto in
favore dell’intervento, allineandosi di fatto con Russia, Cina, India e Brasile. Anche
in questo caso l’Italia non viene consultata.
Cosa sta succedendo da noi? Come se la posta in gioco fosse insignificante (quando
si tratta invece di decidere chi sarà ad avere maggior peso nel Mediterraneo) ci si
sbudella sugli sbarchi di Lampedusa, si spettegola su Ruby, si discute sui casi della
Minetti, di Lele Mora ed Emilio Fede, si litiga in modo inverecondo sul processo
breve e si affonda nella cronaca. Poco da stupirsi se il Paese non riesce ad avere un
ruolo di qualche rilievo nelle sedi in cui si cerca di elaborare una strategia di
intervento. Ai nostri politici sembra interessare molto di più l’esito delle
amministrative di Maggio. Titubante e spiazzato, il Governo chiede che sia la NATO
ad assumere il controllo della missione.
Subentrata l’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti, che in Libia non hanno interessi
strategici, decidono di ritirarsi come parte attiva dal conflitto. L’Italia ha voluto la
NATO? Ora c’è. È al centro del Mediterraneo? Si. Cosa pensa fare?: la Clinton,
Cameron ed il Segretario dell’Alleanza Atlantica, Rasmussen, premono sul nostro
Governo per una decisone. Il Ministro La Russa, dopo aver sostenuto che coi suoi
silenzi forse Berlusconi aveva ragione, risponde che adesso sta riflettendo; Frattini
annuncia che presenterà un piano con la Germania, piano che di fatto non c’è e che
comunque sarebbe stato senza significato quando Stati Uniti, Francia e Gran
Bretagna dichiarano che è inutile parlare di pace fino a che a Tripoli regna Gheddafi.
Poco giorni dopo il nostro Ministro degli Esteri annuncia di voler riconoscere gli
insorti, scordandosi di avere dichiarato in precedenza che mai lo avrebbe fatto.
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Il 22 di Aprile, a seguito dell’arrivo a Roma del Senatore Kerry, Presidente della
Commissione Affari Esteri del Senato Americano, e di una successiva telefonata con
Obama, il nostro traballante ed emarginato Premier cede. Quattro giorni dopo,
durante un incontro con il Presidente Francese Sarkozy, Berlusconi annuncia che
l’Italia prenderà parte attiva alle missioni di bombardamento. Mai l’avesse fatto!
Furibondo per non essere stato messo al corrente di questo subitaneo cambiamento di
rotta, insorge Bossi con tutta la sua Lega minacciando la tenuta del Governo.
Umberto Bossi era rimasto scontento dai risultati del vertice e andava accusando il
Premier di avere svenduto il Paese riducendolo al rango di colonia della Francia. La
realtà è ben più complessa perché anche Oltralpe la politica ha i suoi problemi.
Sarkozy, in caduta libera di fronte all’opinione pubblica, è uscito piuttosto malconcio
dalle recenti elezioni cantonali. In attesa delle Presidenziali ha non poche gatte da
pelare: chi sarà il prossimo candidato Socialista? Come rispondere ai progressi del
Front National, ora retto da Marine Le Pen? L’incontro, tutto sommato, è stato un
evento minore: le decisioni importanti vengono prese in ben altra sede. È comunque
servito a ristabilire un dialogo tra i due Paesi ed appianare le divergenze sulla Libia,
sul problema degli immigrati, sul caso Lactalis – Parmalat e a trovare un accordo
sulla candidatura di Draghi alla Banca Centrale Europea.
Rispondendo alla sua curiosità, spiego all’Ambasciatore che Bossi ama distinguersi
ma che poi finirà con l’allinearsi: furbissimo, egli cerca sempre di puntare a risultati
concreti ed avere l’ultima parola avendo bene in mente gli interessi della Lega, in
questo caso il Federalismo e i risultati delle amministrative di Maggio. In ciò ricorda
il vecchio PCI, partito di lotta e di governo. Bossi tirerà dunque la corda al massimo
cercando di ottenere dal Premier ulteriori vantaggi, ma poi finirà col dargli il suo
appoggio.
Egli ha ben presente che l’opposizione è inetta e divisa, incapace di un programma
politico accettabile e che la sua Lega Nord, in seno ad una eventuale alleanza con il
Partito Democratico, non avrebbe gran futuro: finirebbe con l’essere un partito fra gli
altri, senza il potere di condizionare, come può farlo adesso, un eventuale linea del
governo. Certo è che sia a Bossi che a Berlusconi toccherà ingoiare bocconi amari per
tenere in piedi questa debole maggioranza puntellata da un impresentabile gruppo di
cosiddetti “Responsabili”. Mi avvicino a concludere dicendo all’Ambasciatore che,
malgrado tutti i suoi guai, non vedo ancora alternative a questo Governo e continuo a
pensare che durerà sino a fine legislatura. Di grande importanza saranno i risultati
della lotta per la poltrona di Sindaco a Milano e a Napoli.
In tutto ciò, il Presidente Napolitano appoggia la decisione del Governo a favore di
una partecipazione armata della nostra aviazione sui cieli della Libia. Si tratta per lui
della logica estensione del voto, già passato in Senato e alla Camera, sulle risoluzioni
delle Nazioni Unite autorizzanti la coalizione ad intervenire in aiuto dei rivoltosi
Libici minacciati di strage da Gheddafi.
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Strumentalmente, il Partito Democratico spinge per un ulteriore voto al fine di fare
emergere le crepe all’interno della coalizione di governo. Si tratta di un grave errore
perché sono sicuro che Bossi e Berlusconi troveranno un accordo e l’opposizione, più
che mai divisa, rischia di farsi avanti con tre diverse mozioni: una per il Terzo Polo,
una per il PD ed infine un’ultima per l’Italia dei Valori, che di guerra non vuol sentir
parlare.
Termino la mia esposizione tirando le somme sulle conseguenze della faccenda
Libica: ulteriore declassamento del Paese in campo Internazionale. Esempio perfetto
di come Politica Estera e cultura militare non siano di rilevante interesse per i nostri
politici, soprattutto per la Lega, partito eminentemente territoriale e populista, in
questo momento non particolarmente in sintonia con il Premier. Ignoranza,
dilettantismo e le giravolte di chi ci governa sono fonte di imbarazzo e di vergogna:
come troppo spesso accade, le questioni internazionali diventano ostaggio dei più
biechi giochi di politica interna. Sullo sfondo, in questo caso, i risultati delle prossime
amministrative, in particolare a Milano, culla del Berlusconismo. Mi è doloroso
parlare anche dell’Europa e della NATO: 14 nazioni su 28 hanno approvato
l’intervento e solo sei hanno deciso di parteciparvi. Dei 112 missili Cruise lanciati
durante il primo giorno di ostilità, 109 erano Americani e 3 Inglesi, uno dei quali è
rimasto bloccato nel tubo di lancio. L’Ambasciatore ascolta ed il suo assistente
continua a prendere appunti.
Finisco il mio the ed assaggiati con delizia alcuni dolcetti, chiedo al mio ospite di
farmi luce su ciò che sta avvenendo all’interno del suo Paese. Per via della presenza
di una terza persona durante tutto l’incontro, non tendo a farmi troppe illusioni:
ammesso che l’Ambasciatore abbia voluto metterci qualcosa di suo, in queste
circostanze egli non sarà assolutamente in grado di deviare dalla versione ufficiale
dei fatti. Faccio buon viso e cattiva sorte, ma sono comunque interessato a ciò che
reputerà opportuno dirmi.
Apre con questa domanda: “Sei al corrente di perché sia iniziato tutto ciò?”.
Rispondo che la causa principale sta nella natura dei regimi in vigore nella quasi
totalità dei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Se a ciò aggiungiamo
demografia, urbanizzazione, progressi economici e nel campo dell’istruzione e,
infine, globalizzazione, le cose diventano certamente più chiare e comprensibili.
Internet, cellulari, social networks tipo Facebook e You tube, televisioni satellitari –
Al Jazeerea in particolare – e l’immenso sviluppo delle comunicazioni, hanno reso
possibile mettersi in contatto immediato con qualsiasi angolo del globo. Il nostro
pianeta è diventato più piccolo e maggiormente integrato: chiunque lo voglia può
oggi sapere in tempo reale tutto ciò che accade a casa propria e altrove. Questa
interconnessione rende ormai impossibile ai governi isolare il popolo nascondendo
oppure alterando la realtà dei fatti. Se a ciò aggiungiamo l’esplosione improvvisa ed
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inaspettata di una serie di rivolte partite dalla Tunisia, arrivate in Egitto e poi
diffusesi per contagio in buona parte del mondo Arabo, ecco che si ha la risposta.
L’Ambasciatore passa a chiedermi se fossi al corrente di un accordo tra il Governo di
Mubarak e Gerusalemme per vendere ad Israele petrolio e gas Egiziani ad un terzo
del prezzo di mercato. Gli rispondo che ne ero al corrente. Continua raccontandomi di
come in Tunisia non vi fosse all’inizio un progetto per cacciare il Presidente Ben Alì.
La situazione purtroppo è sfuggita di controllo e ora regna il caos. Stessa cosa in
Egitto, dove Mubarak e il suo partito sono stati spodestati dalle pressioni della piazza
senza che venisse ordinato l’intervento delle forze armate.
In Siria però no, lì le cose sono diverse: si tratta di un Paese complicato, dotato di un
regime secolare nel quale operano una decina di partiti politici e dove vi è una lunga
abitudine alla convivenza civile e alla tolleranza. Il popolo è abituato a vivere e stare
insieme in armonia e sia Cristiani che Mussulmani godono tutti degli stessi diritti.
All’interno della nazione, ove vivono Arabi, Curdi, Armeni, Circassi, Turcomanni, e
Siriaci vi è dunque un abitudine consolidata all’equilibrio e alla convivenza che non è
certo prerogativa di tutti i paesi della regione. Per sua stessa natura il popolo,
contrario a terrorismo ed estremismo, predilige pace e stabilità. La donna ha un ruolo
importante nella società. Bisognerebbe anche sapere che pressappoco il 14% della
popolazione è composta da rifugiati provenienti da Paesi limitrofi. Sono un problema
per lo sviluppo, ma vengono ospitati con umanità e senza troppe lamentele.
In quanto ai fatti di Deraa, piccola cittadina lungo il confine con la Giordania nella
quale sono iniziate le proteste ed avvenuti i fatti più cruenti e sanguinosi, il mio
ospite mi spiega come sia tutto iniziato da una semplice richiesta di avere un altro
Sindaco e di sostituire il Capo della Sicurezza. Il governo di Damasco ha
prontamente soddisfatto queste richieste e i due personaggi sono stati condotti in
Tribunale. Era ovvio aspettarsi che tutto sarebbe finito lì. Ciò non è successo e le
dimostrazioni sono riprese con maggior vigore, con più gente che continuava a
scendere in strada e manifestare. Sono spuntate le prime armi e, in un crescendo di
tensioni e di violenza, ne sono apparse altre. Il Governo questo non lo poteva
tollerare. Mi chiede l’Ambasciatore: “Cosa si sarebbe fatto qui da voi se si fossero
verificati fatti simili?”.
Se si intende dimostrare – prosegue – è indispensabile fare richiesta di un permesso e
se si decide di scendere in piazza non si dovrebbero portare armi. Sono poi al
corrente del fatto che all’inizio di tutto ciò sono giunti da Israele oltre un milione di
SMS? In quanto allo stato Ebraico, poi, perché oltre che ad interferire nelle faccende
del suo Paese non si prende anche la briga di restituire i territori occupati e,
soprattutto, le alture di Golan? L’Ambasciatore passa poi a raccontarmi di come ciò
che è seguito sia partito da una Moschea all’interno della quale le forze dell’ordine
hanno rinvenuto armi in quantità.
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Non è vero, come si va dicendo, che il Governo abbia rifiutato di muoversi: sono
state abolite le leggi di emergenza in vigore dal 1963, sono stati stanziati aiuti per gli
agricoltori, aboliti gli interessi ai prestiti contadini e dato un paniere alimentare. I
Curdi all’interno del Paese hanno finalmente potuto ricevere la cittadinanza; è stata
promulgata una legge per le elezioni municipali e ne è passata un'altra sui partiti
politici. Il Governo ha risposto celermente finendo con l’offrire più di ciò che i
dimostranti stessi andavano chiedendo, inclusa una commissione per combattere la
corruzione. Non solo, sono stati anche decisi aumenti salariali, più scuole Islamiche e
chiusi i Tribunali Speciali. Malgrado ciò le dimostrazioni non sono cessate, anzi,
hanno cominciato ad estendersi: Hama, Latakia, Homs, Aleppo, Damasco e Banias.
“Non ci è sfuggito che tra i manifestanti pacifici si sono infiltrate persone, il cui
scopo è la provocazione, che hanno poi incendiato edifici pubblici e privati e sparato
tutto intorno.”
Passa a raccontarmi di come i rivoltosi abbiano deciso di interrompere le
comunicazioni tra Damasco ed Aleppo, capitale del Nord e terza città Cristiana del
mondo Arabo, dopo Beirut ed il Cairo; di come tra loro siano state individuate ed
arrestate persone di provenienza Yemenita, Algerina, Irakena e Saudita; di come vi
siano già stati più di 150 morti tra inermi cittadini, poliziotti e soldati; di come AlJazeera, la BBC, France 24 ed Al-Arabiya abbiano tendenza a distorcere le notizie e
trasmettere immagini di avvenimenti riprese in Tunisia ed in Yemen come se
avvenuti in Siria. Il Presidente Assad si è sempre dichiarato contrario alla violenza
sui manifestanti. Abbiamo prove che alcuni vandali si siano infiltrati ed abbiano
cominciato a vendere armi e dare soldi alla popolazione per creare disordine. Per
propria protezione i cittadini chiedono al Governo di intervenire, trattandosi di un
complotto estero contro la nazione. Delle numerose persone arrestate, infatti, molte
non erano di nazionalità Siriana. Molte armi sono state sequestrate da depositi
clandestini e le nostre forze dell’ordine hanno arrestato non pochi cecchini che
sparavano sulla folla.
Si tratta dunque di un vero e proprio complotto ordito ai danni di Damasco. Sono
circolati molti soldi e la faccenda sta tragicamente diventando questione di vita o di
morte. “Qui finiscono con il volerti uccidere: cosa faresti tu?”. “Perché non dire ad
Israele di lasciare il Golan? Perché nessuno è intervenuto quando le truppe di
Gerusalemme massacravano i Palestinesi a Gaza?”. Nessuno poi dice più di tanto
sugli insediamenti Israeliani e non si parla dello Yemen nel quale gli Stati Uniti
hanno tutto l’interesse di mantenere Saleh al potere. Il discorso va avanti
proseguendo su questo tono.
Il mio ospite vuole precisarmi alcuni fatti su Hezbollah, di come non sia altro che un
partito politico il cui compito è la difesa del Libano meridionale e che non ha certo
l’abitudine ad attaccare gli altri. In quanto a Hamas, si è di fronte ad un altro partito
politico, regolarmente eletto, il cui scopo è la lotta per la libertà del popolo
Palestinese e del suo territorio. Cosa dire, inoltre, di ciò che è andato accadendo in
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Iraq? Insomma, ci sono in giro troppi slogan e frasi fatte: “Tutto ciò non è giusto ed è
per noi fonte di irritazione”. Le cose – tiene ad informarmi – andranno pian pianino
placandosi: “Cercate di capirci, per le riforme ci vuole tempo. Finiremo col trovare la
giusta soluzione per la pace e la stabilità della regione”.
Giunto alla fine della sua presentazione tiene a dirmi come egli personalmente ami
l’Italia, vista nel suo Paese con simpatia perché capace di assumere posizioni
moderate. Termina rammaricandosi per l’assenza del nostro Paese nella regione:
“L’Italia dovrebbe essere ben più presente dalle nostre parti, anche
indipendentemente dal resto dell’Europa. Potrebbe essere utile a svolgere opera di
mediazione. Dopo tutto non siete in Scandinavia. Il vostro Paese si proietta nel
Mediterraneo e tutto ciò che avviene lungo le coste di questo mare finisce con l’aver
ripercussioni soprattutto da voi e sarete i primi ad esserne coinvolti.”
Rispondo all’Ambasciatore di trovarmi d’accordo con lui su questo punto di vista. Il
nostro Paese purtroppo si sta emarginando da solo a livello Europeo, Mediterraneo e
anche Internazionale. Viviamo di una politica sempre più bassa, meschina e
provinciale. Interessano soprattutto le questioni di potere e di piccola cucina
domestica. In pochi, oggi, sono capaci di pensiero strategico. Assistiamo ad un
avvitamento del Paese su se stesso e una politica poco ambiziosa e mal concepita
tende sempre più all’autoreferenzialità. Noi Repubblicani – continuo – abbiamo
tentato in più di un modo di opporci a questo declassamento, ma invano: le faccende
internazionali hanno scarso rilievo e nessuno ci da retta. Parafrasando De Gaulle,
stiamo diventando non tanto un Paese povero quanto un povero Paese.
Finiti i deliziosi dolcetti chiedo all’Ambasciatore se, dopo le amministrative, potesse
concedermi un altro incontro: vorrei riprendere la conversazione di oggi, vedere in
che modo l’Italia può essere di qualche utilità e, soprattutto, chiedere ragguagli sul
rapporto di Damasco con l’Iran. Con diplomazia risponde di chiamarlo. Mi congedo
da lui e dal suo strano assistente dagli occhi sporgenti, raccolgo le mie cose e passo a
salutare e ringraziare Micheline. Sceso per strada, mi dirigo verso il viottolo per
recuperare il motorino e affrontare il traffico di Roma.
Vorrei adesso aggiungere alcune mie considerazioni, partendo dal fatto che non era
possibile trovarsi in completo accordo con la versione dei fatti fornita
dall’Ambasciatore. In sua difesa posso solo dire che data la sua posizione era difficile
aspettarsi che deviasse dalla line ufficiale del proprio governo. Dopo gli avvenimenti
in Tunisia e in Egitto e ciò che sta accadendo in Libia ed in altri Paesi Arabi, cosa
dire della Siria? È utile tener presente la posizione assolutamente strategica del Paese
nella regione: i suoi confini toccano quelli di Turchia, Libano, Iraq, Giordania e
Israele. Ha stretti rapporti con l’Iran e sostiene gli Hezbollah e Hamas. Altrettanto
importante è rendersi conto di quanto complessa e composita sia la Siria.
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Si tratta di una terra di grande varietà paesaggistica, popolata sin dal più antico
passato, da genti di stirpe e idiomi diversi sin dal più antico passato e finalmente
unificata dalla lingua Araba nel VII secolo. Gli abitanti della Siria si rendono conto di
vivere in uno Stato la cui struttura istituzionale e politica ha bisogno di notevoli
aggiornamenti: chiedono una maggiore partecipazione alla vita istituzionale e
vogliono più libertà in campo politico e socio-economico. Sono queste aspirazioni,
sinora insoddisfatte, a spingere la gente a scendere in piazza e manifestare il proprio
malcontento.
È difficile dire cosa accadrà al regime, ma è possibile sostenere che malgrado tutte le
proteste e le manifestazioni non è stata ancora raggiunta la massa critica necessaria a
farlo cadere. È assai probabile che nel Paese sia diffusa l’ansia di come navigare la
transizione cercando di evitare il peggio. Anche tra chi comanda deve serpeggiare il
timore di sanguinosi regolamenti di conti. Stesse inquietudini devono attanagliare
anche le numerose minoranze del Paese che hanno recepito assai bene ciò che è
accaduto nel vicino Iraq.
Il regime di Assad regge e questo perché finora non ha esitato ad usare la forza
facendo intervenire esercito, polizia, corpi speciali, mezzi blindati e carri armati.
Osservando precedenti esperienze rivoluzionarie è possibile fare questa
considerazione: quando un governo decide di affidarsi alla forza per mantenere salda
la propria autorità, corre il pericolo di trovarsi irrimediabilmente compromesso.
Coloro che scelgono la violenza rischiano di farsi disarcionare dalla violenza stessa
che il popolo, riversatosi nelle strade, metterà prima o poi al servizio di ciò che pensa
essere la causa giusta. Se costretto con le spalle al muro e posto di fronte alla
decisione di dover scegliere tra la resa e la resistenza, l’insurrezione potrebbe
diventare inevitabile.
Lo studio delle rivoluzioni ci fa osservare come i regimi al potere abbiano sempre
tentato di attribuire i moti di protesta all’azione di forze esterne, agenti provocatori,
elementi stranieri, briganti e, addirittura, criminali, tutti ovviamente in accordo con la
piazza. Di fatto non vi è ragione di credere che ad orchestrare questi eventi sia
un'unica centrale e che si tratti dell’azione di agenti stranieri e complotti esterni: se la
protesta tende a crescere è per merito di iniziative locali. La Storia ci insegna che in
questi frangenti molti eventi avvengono anche per contagio. Non esiste vero e proprio
spirito rivoluzionario se non sostenuto da forti ideali che soli possono condurre al
sacrificio. Se ci si occupa esclusivamente dei fatti propri è difficile trovare la molla
per scendere in piazza e mettere a repentaglio la propria vita.
Nessuna forza in Siria sembra finora dominare le piazze. Stiamo assistendo a rivolte
spontanee, risultato di azioni collettive. I diversi punti di vista e gli obiettivi finali
probabilmente non hanno il consenso generale ma, politicamente, e nella loro grande
maggioranza, i manifestanti lottano per un sistema democratico. Il problema è che
sinora nessuno si è mai preso la briga di volerlo concedere. Certo è che eventi così
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strani ed inaspettati hanno sollevato nel popolo speranze di rigenerazione nazionale e
di una nuova era piena di promesse di partecipazione, di libertà, di opportunità,
dignità e felicità.
Dal punto di vista dello storico stiamo assistendo all’ulteriore marcia degli ideali del
1789, andati diffondendosi in Occidente nel corso del XIX secolo. Dopo uno iato
parziale, causato dagli eventi trascorsi dal 1914 al 1945, che si sono conclusi con la
scomparsa del Nazi-Fascismo, hanno ripreso ad avanzare a seguito del crollo degli
ultimi grandi imperi e dopo la vittoria nelle lotte coloniali per riprendere, più forti che
mai, nella parte orientale dell’Europa, dopo il 1989 ed il tramonto dell’ideologia
Comunista. Ecco che oggi hanno trovato respiro in Nord Africa e nel Vicino Oriente,
ove il richiamo all’estremismo religioso e all’autoritarismo politico va scemando
progressivamente, rendendoci tutti spettatori di eventi di portata epocale che
finiranno col mutare gli assetti del mondo.
La globalizzazione, con tutti i progressi e le trasformazioni che sta apportando, non
ha fatto che renderli più universali portandoci tutti a riconoscere l’unità delle genti,
indipendentemente da razza, lingua o nazionalità. Tutto ciò finirà col trasformare
inequivocabilmente il modo di procedere in Politica Estera. Si tratterà di individuare
e di pensare nuovi paradigmi per una scena internazionale in rapida e radicale
trasformazione.
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