Paleoantropologia La paleoantropologia è forse la disciplina scientifica che da più tempo collabora con l’archeologia, a partire dalle scoperte preistoriche dell’800 (il ritrovamento dell’uomo di Neandertal è del 1856) e dai primi passi dell’evoluzionismo all’inizio del secolo (l’opera Philosophie zoologique di J.-B. de Lamarck è del 1809, mentre L’origine delle specie di Charles Darwin fu pubblicata nel 1859). Oggetto della paleoantropologia (definita anche paleontologia umana) non è però solo lo studio dell’evoluzione fisica del genere Homo, ma di tutti quei caratteri biologici che concorrono a spiegare il profilo culturale di un gruppo umano, la sua origine e le differenze biosociali e individuali. La collaborazione fra archeologi e paleoantropologi è perciò particolarmente preziosa, perché permette di integrare i dati che emergono dalla ricostruzione storica e culturale con quelli della biologia e, ad esempio, il rapporto fra nutrizione, stato di salute e capacità di lavorare e di produrre, individuale e di gruppo; il rapporto con l’ambiente naturale, le strategie di sussistenza, l’economia e l’andamento demografico, e infine la relazione fra alcune malattie e i fattori ambientali, comportamentali e lavorativi. Lo scheletro umano non è infatti il sostegno passivo del corpo, ma un tessuto vivente, che ha un suo metabolismo e proprie capacità di reagire alle sollecitazioni esterne. La forma e la struttura dello scheletro può perciò cambiare durante la vita, in risposta alle varie sollecitazioni, ma le ossa possono anche modificarsi biochimicamente: le ossa immagazzinano e scambiano elementi chimici presenti nell’ambiente, producono le cellule del sangue, si conformano alle abitudini posturali e motorie, possono rigenerarsi se danneggiate, conservando chiare tracce del danno subito, registrano inoltre i segni di molte malattie, dello stress e delle carenze nutrizionali. Lo scheletro può perciò essere definito uno straordinario archivio di dati sull’ambiente, sulle abitudini di vita, oltre che degli aspetti più propriamente ereditari ed evolutivi. L’archeologia della seconda metà del ‘900 è stata caratterizzata dall’ingresso stabile nel bagaglio delle discipline archeologiche di procedimenti e tecniche nuove, spesso importate da altre scienze, e da una maggiore attenzione per i fattori ambientali. Questa duplice tendenza, che in ambito mediterraneo si è affermata piuttosto in ritardo, ha coinvolto anche la paleoantropologia che ha potuto svilupparsi in virtù dell’aumento di scavi metodologicamente corretti e della disponibilità di metodiche fisiche e chimiche di analisi e di sistemi di elaborazione che permettono di trattare e confrontare grandi quantità di dati. Resta tuttavia moltissimo lavoro da fare per le difficoltà connesse con la natura e la disponibilità di reperti e per alcuni limiti teorici ancora non risolti. Il campionamento dei reperti. I resti scheletrici umani disponibili dalla preistoria a oggi sono molto scarsi se comparati con la popolazione reale delle varie epoche, per cui non possono essere considerati statisticamente rappresentativi. le ragioni di questa situazione sono di varia natura: da una parte la deteriorabilità delle ossa, e la inadeguatezza delle metodologie di scavo e di conservazione del passato, dall’altra la selezione dei resti operata in antico dovuta a particolari usi funebri. In un cimitero organizzato per aree destinate selettivamente a particolari classi sociali o a gruppi omogenei per sesso o per età, ad esempio, solo uno scavo integrale potrà recuperare resti che siano rappresentativi dell’intera comunità. Per limitare l’incidenza di questi fattori di selezione sarebbe in primo luogo necessario scavare sistematicamente le aree cimiteriali, o almeno condurre uno scavo per campioni che permetta di recuperare deposizioni di ogni tipo distribuite su tutta l’area e riferibili all’intero arco cronologico di uso del cimitero. La variabilità biologica. Esaminando un campione di resti umani emerge un insieme di somiglianze e di differenze. L’interpretazione delle differenze è l’aspetto più delicato dello studio del paleoantropologo, perché un errore può compromettere i risultati. Per fare un esempio, se all’interno di una stessa area di sepolture si rinvengono un individuo alto e robusto e uno invece molto piccolo bisognerà stabilire se questa differenza vada attribuita al sesso, a uno stato nutrizionale diverso, alla variabilità individuale all’interno di una stessa popolazione oppure all’apparteneza dei due individui a popolazioni diverse caratterizzate da differente altezza media. La variabilità biologica si esplica infatti in molti campi: all’interno di una stessa popolazione i due sessi si mostrano in genere diversi, ma c’è anche una variabilità fra soggetti sani, che aumenta se si considerano anche i soggetti patologici; infine c'è una variabilità fra popolazioni diverse. E’, come si può immaginare, piuttosto difficile disporre di tutti i dati necessari alla corretta interpretazione della variabilità biologica; in alcuni casi può essere decisiva l’integrazione con i dati culturali: in un cimitero altomedievale in cui la maggior parte degli individui presenta le caratteristiche di una popolazione mediterranea, le deposizioni di dignitari longobardi si distingueranno non solo per la statura più alta, caratteristica delle popolazioni germaniche, ma anche dai corredi e dagli ornamenti personali. La paleodemografia. Una disciplina strettamente connessa alla paleoantropologia è la paleo demografia che ha il fine di ricostruire la struttura e la dinamica demografica delle popolazioni antiche (dimensioni, distribuzione spaziale, processi di costituzione, crescita e declino). I dati su cui si basa la paleodemografia sono la longevità media, la mortalità infantile, la mortalità differenziale per sesso e per età, la fecondità integrati da aspetti biologici, socio-economici e culturali, quali lo stato di salute, la capacità lavorativa, i rapporti fra etnie diverse e il rapporto con l'ambiente. A differenza della demografia storica che si basa su fonti scritte e archivi che conservano dati esaurienti, la paleodemografia si basa solo sui resti materiali: resti scheletrici e reperti archeologici. Non tutti i campioni sono adatti ad un’analisi paleodemografica. I resti devono infatti essere rappresentativi di una popolazione naturale, il che esclude ad esempio il sepolcreto di una battaglia o il cimitero di un convento, oppure una situazione in cui per particolari consuetudini funerarie manchino tombe di bambini. La determinazione del sesso e dell’età di morte. Il sesso e l’età sono caratteristiche biologiche di primaria importanza, sia per l’interpretazione di altre caratteristiche dell’individuo, sia per la sua collocazione nella struttura sociale. Il rilevamento di questo tipo di dati è perciò alla base di ogni studio di paleoantropologia e paleodemografia. I procedimenti di determinazione si basano sull’analisi morfologica e metrica delle ossa. La determinazione del sesso risulta difficile negli individui di età infantile, perché il dimorfismo delle ossa è ancora scarso. Negli individui subadulti è più facile determinare l’età di morte dall’esame dello stadio di maturazione scheletrica e dentaria; negli adulti invece l’età di morte può essere ricavata da vari processi degenerativi, che però sono piuttosto variabili e lasciano perciò un margine di oscillazione. Ciascun individuo viene poi collocato all’interno di una classe di età che sarà tanto più ampia quanto minore sarà stata la precisione nella determinazione dell’età individuale; una divisione in fasce di cinque in cinque anni è considerata ottimale, ma non sempre può essere raggiunta. La precisione e l’attendibilità possono diminuire per effetto di vari fattori quali l’incompletezza degli scheletri, la scarsezza dei resti e la loro frammentarietà. In presenza di un campione sufficientemente completo e rappresentativo la probabilità di identificare il sesso e l’età può essere ridotta se mancano le possibilità di confronto con la popolazione di appartenenza: i vari gruppi umani presentano ritmi di sviluppo e di invecchiamento variabili, e anche il dimorfismo sessuale può essere considerevolmente diverso. Queste differenze sono dovute a fatti ambientali (clima e dieta) e genetici. Ad esempio l’arcata sopracciliare è piuttosto sporgente nei maschi europei, ma è presente in un’alta percentuale tra gli aborigeni australiani di sesso femminile. Per il momento mancano serie scheletriche sufficientemente complete, di sesso ed età noti, delle varie popolazioni antiche, per cui è spesso necessaria una notevole dose di cautela, in quanto le collezioni anatomiche recenti non sono rappresentative dell’antichità. La determinazione del sesso si basa sui caratteri metrici delle ossa, a cui vengono poi applicate funzioni matematiche. Queste permettono di confrontare i resti in esame con un risultato sperimentale che rappresenta il punto di demarcazione fra i sessi: tutti i risultati più alti indicheranno perciò individui di sesso maschile, quelli più bassi individui di sesso femminile. Questo tipo di analisi può essere integrato e confermato dall’osservazione delle caratteristiche morfologiche di alcune ossa, nelle quali il dimorfismo sessuale è particolarmente evidente. Il più indicativo è l’osso coxale all’interno del bacino, che risente negli individui di sesso femminile delle gravidanze e dei parti. Molti tratti distintivi del sesso sono riconoscibili nel cranio, che nei maschi è in genere più grande e pesante e meno arrotondato; anche i denti hanno dimensioni maggiori. Le ossa lunghe hanno un valore discriminante inferiore, ma possono essere usate quando le parti più significative sono assenti o danneggiate. Le ossa lunghe maschili, e il femore in particolare, sono in genere più lunghe, robuste e pesanti e presentano segni più marcati degli attacchi muscolari. Anche la colonna vertebrale del maschio è più voluminosa, mentre un dimorfismo piuttosto accentuato si trova nell'osso sacro, nello sterno, nelle scapole, nelle clavicole e in alcune ossa del piede. La determinazione dell’età di morte di individui ancora in crescita si basa sul grado di eruzione della dentatura e di sviluppo delle ossa. Dopo i venti anni circa si ricorre a criteri diversi e meno affidabili di valutazione dell’età. Si tratta di cambiamenti morfologici a livello di varie ossa, come la sinfisi pubica; della saldatura delle suture craniche, delle epifisi di alcune ossa e dell’estremità sternale della clavicola; e dell’usura dentale. Vengono considerati inoltre vari processi di alterazione che interessano le vertebre e le articolazioni (artrosi) e cambiamenti nella struttura istologica e biochimica delle ossa. In ogni caso, sia nella determinazione del sesso, sia in quella dell’età non si fa mai riferimento a un solo criterio diagnostico, ma occorre basare l’analisi su una combinazione quanto più ampia possibile di dati e caratteri.