"L’altro, Un Altro, Gli Altri, Retoriche Interculturali” Giuseppe Mininni - Università di Bari Il saggio vuole essere un invito ad un esercizio di riflessività sulle pratiche della ricerca situata, partendo dalla valorizzazione, dall’attivazione di un percorso di analisi critica rispetto alle questione emerse in seguito agli interventi di Nasser Hidouri (Imam della comunità di San Marcellino) e di Jean Bilongo, mediatore interculturale. Giuseppe Mininni esordisce dichiarando che in una prima versione del programma del seminario “l italia vista dal Sud” non c’era nessuna traccia né di Nasser Idouri, è di Jean Bilongo. E’ stato solo in un secondo momento, grazie all’intervento della professoressa Caterina Arcidiacono, che ha riconosciuto l’importanza e il valore della testimonianza di Nasser e Jean, eliminando così ogni ostacolo alla loro presenza. Ma quale significato ha avuto il loro intervento? Essi ci hanno dimostrato che possono conoscere noi piu’di quanto noi crediamo di conoscere loro. Questa affermazione ha scompaginato tutti gli schemi interpretativi che erano stati presentati ed offerti al seminario. Far parlare due “Extra comunitari” in un contesto di un seminario di studio, promosso da una comunità scientifica, poteva, essere inteso come un’ estensione del diritto di parola. Ma era inutile attendersi che avrebbero discusso in termini tecnici, esponendo metodologie, risultati o riferimenti teorici. Ascoltare Nasser e Jean ha significato considerare l’implicazione reciproca inerente al nesso Soggetto-oggetto”, in cui c’è un fare ricerca coll’altro e questo elemento sottolinea l’importanza di una co-costruzione discorsiva del senso di ciò che stava avvenendo, di una negoziazione dei significati, di uno scambio continuo e reciproco nel processo di ricerca. La psicologia sociale in tal senso si occupa di “cose che hanno voce” e per tale motivo, cosi’ come afferma Michail Bachtin, la ricerca deve inevitabilmente considerare la dimensione di dia logicità della condizione umana, e occuparsi della pluralità delle voci in campo. A questo punto Mininni riprende un’espressione utilizzata da Najlaa Mahboubi, dottoranda marocchina, durante il suo intervento al seminario. Najila dice “ lo sguardo segue la parola”. Questa affermazione ribadisce l’importanza, il valore della parola e sottolinea quanto sia guardata in maniera diversa a seconda che venga presentata all’interlocutore come “marocchina” o come “dottoranda”. Quindi c’è da riflettere anche sull’importanza del ruolo, del posizionamento all’interno della società, che veicola percezioni e rappresentazioni differenti. Nasser, l'imam della moschea di San Marcellino e Jean Bilongo sono stati invitati al seminario "l'Italia vista dal sud" per esprimere il loro punto di vista, la loro percezione sull'Italia. Hanno espresso il loro pensiero con retoriche differenti: Nasser ha utilizzato una retorica più differenzialista, mentre la retorica di Jean è più comunista. Anche il loro utilizzo della lingua italiana è differente, mentre Nasser parla la nostra lingua quanto basta per validare le proprie ragioni, Jean ci mostra come sia riuscito ad impadronirsi della lingua italiana, esprimendosi molto meglio di quanto un italiano a volte possa fare. Partendo dal discorso di Nasser, si può osservare come egli esalti l'alterità, la diversità tra gli individui, a partire dalla sua diversità dall'altro: "Io tunisino, tu italiano. io dell'islam, tu cristiano" L'alterità per Nasser viene espressa non solo come differenza verticale, cioè tra il sè e l'altro, cioè l'italiano e l'immigrato, ma anche come differenza orizzontale, cioè tra sè e altri, dove per altri si intendono gli altri immigrati meno fortunati di lui: "Io sono stato fortunato perché ero insegnante allora avevo il visto d'ingresso per metà, gli altri potevano raggiungere l'Italia solo tramite un viaggio disperato in mare" Nasser evidenzia molto l'alterità, ma al contempo dice che non si può descrivere in due parole, ma è necessario entrare in contatto per l'altro per conoscerlo veramente, è per questo che invita gruppo a far visita alla moschea, perché solo così potrà entrare in contatto col contesto dell'altro, con il proprio stile di vita, ma per farlo bisogna uscire dai propri schemi, dalle idee pregresse e stereotipate e "mettersi in ascolto di un altra persona". Nel suo discorso Nasser critica anche il nostro modo di fare ricerca e soprattutto di condurre le interviste. Bisogna prima instaurare un contatto con l'immigrato, in modo che egli ci conosca e possa avere fiducia di noi, solo allora l'intervista potrà rispecchiare la realtà dei fatti. perché quando il ricercatore intervista l'immigrato, si presenta con un carico di aspettative, di domande che cercano una risposta, e allora l'immigrato risponderà ciò che pensa che gli altri vogliano sentirsi dire: "Io penso quello che tu vuoi sentirti dire, vi canto quello che voi volete accettare, e noi quando ci intervistate vi guardiamo perché vogliamo dire altro" Jean, invece, come detto precedentemente, utilizza una retorica comunista, evidenzia uno scenario interculturale configurato da ciò che a tutti è comune, infatti evidenzia tutto ciò che ci accomuna, lo status di persona e il fatto di appartenere allo stesso mondo. Ma soprattutto ad accomunarci è l'orizzonte futuro, col tempo non vivremo più in una distinzione tra sè e altro, ma saremo un noi, in cui vivranno insieme persone di tutte le etnie. Nel suo discorso Jean evidenzia anche l'ignoranza dell'italiano sulla sua cultura, ma che paradossalmente cerca di difenderla dall'immigrato, Jean descrive un dialogo fantasmatico con un italiano medio, in cui gli viene chiesto se conosce Dante, Petrarca o Giotto, ma questi non conosceva nessuno! Secondo l’autore, Giuseppe Mininni, le nostre procedure di ricerca procedono per semplificazioni e riduzionismi. E’ necessario invece riuscire a mettere in campo forme di comprensione dell’interculturalità adeguate alla sua complessità, ai fini del raggiungimento del rispetto dell’umano rivendicato dell’essere persona. Il riconoscimento della persona umana è infatti il nucleo di massima pertinenza della psicologia sociale. Oggi gli italiani si interrogano sulla possibilità del riconoscimento della cittadinanza agli stranieri, cosa che già in epoca romana, Cicerone aveva messo alla base della convivenza umana. Nel “De officis”, infatti, Cicerone afferma che: “Coloro che dicono di aver riguardo solo dei cittadini e non degli stranieri dissolvono la convivenza umana e, distrutta questa, anche l’inclinazione a fare del bene”. La riflessione di Jean ad un certo punto si estende intorno al tema ricorrente dell’immigrato quale massimo pericolo sociale. Perché dunque si crede che immigrato, o clandestino, significhi pericoloso? Sono soprattutto i media che alimentano il circuito dell’intolleranza italiana, legittimandolo attraverso notizie che, rimarcando la nazionalità del responsabile di un crimine, creano nel pubblico una fuorviante percezione della notizia stessa e del fenomeno immigratorio connesso. Certo, il razzismo italiano contemporaneo non incorpora più le teorie del razzismo biologico secondo cui esisterebbero popoli superiori e popoli inferiori. Però, ci si appella al fatto che apparteniamo tutti alla medesima razza umana, ma che è meglio che “gli altri”, anche per il loro bene, se ne stiano/tornino a casa loro. Nella sua retorica “comunista”, Jean parla di uno scenario interculturale configurato da “ciò che a tutti è comune” ossia lo status di persona e l’appartenenza al mondo. Ma è soprattutto l’orizzonte futuro ad essere terreno comune: l’era dei singoli destini è superata. Jean accomuna in un unico destino il parlante e gli “altri”, quali che essi siano. Il destino cui il pianeta è esposto sta infatti creando un unico noi. Oggi non possiamo più guardarci come provenienti dal sud del mondo e guardare agli “altri” come provenienti dal nord, perché oggi viviamo nell’epoca della globalizzazione, nello scenario dell’ intercultura. Pertanto le pratiche discorsive devono andare oltre Babele [cit Maninni] di modo che il reciproco riconoscimento dello status di persona possa condurre ad una riconfigurazione dei rapporti di potere Nord/Sud. Sarebbe auspicabile, conclude l’autore, far leva piuttosto sulla nozione ciceroniana del diritto di cittadinanza quale base etico-giuridica della convivenza globale. A cura di: Monda Angela Mango Giovanna Colaninno Anna Emmanuela