4° CONVEGNO CONGIUNTO dei gruppi “ SCIENZA E FEDE” Frascati, 7-9 giugno 2013 Elaborazione dello schema dell’intervento di Carlo SANTINI ECONOMIA REALE E ECONOMIA FINANZIARIA Premessa Il tema è complesso; trattarlo esaurientemente in una conversazione è velleitario. Mi riprometto, volando nei secoli a velocità supersonica, di mostrare come la moneta entra nelle economie reali, con quali effetti, positivi e negativi, come evolvono nel tempo le relazioni fra moneta (qui da intendere come sinonimo di economia finanziaria) e attività economica (economia reale). Fino ai problemi dei nostri tempi che segnano il passaggio della finanza da ancella dell’economia reale a uno sviluppo della finanza slegato dall’economia reale e che entra a volte in conflitto con essa. Dal baratto alla moneta Con l’invenzione della moneta, nella Lidia del VII secolo a.C., stando a Erodoto, l’umanità compie un enorme progresso lungo la via dello sviluppo economico e del benessere. La moneta soppianta il baratto. Non più “n” coppie di prezzi relativi ( il prezzo di una pecora in termini di grano, del tessuto in termini di attrezzi per lavorare i campi ecc. ),non più l’incontro di due scambisti impegnati in un sistema di scambio macchinoso, ma prezzi di tutti i beni e servizi, incluso il lavoro, espressi in un unico “metro”. Non più risparmi solo in natura (la semente per la semina) ma in un bene, la moneta, che non si deteriora ed è polivalente. Si può far credito, denominato in moneta; chi lo riceve ha di fronte a sé usi molteplici (consumi,investimenti). Si affermano le tre funzioni della moneta: mezzo di scambio (ogni bene e servizio è scambiato contro moneta), unità di valore (il valore di ogni bene e servizio è espresso in moneta),fondo di valore (la moneta non spesa oggi è risparmio che si può spendere domani). Per oltre 25 secoli, la moneta sarà un metallo prezioso (oro, argento), per le sue caratteristiche fisico-chimiche, per la sua relativa scarsità. Come nasce la moneta? La disputa se nasca dal mercato,dall’ iniziativa privata, o dalla legge, dallo Stato. “La moneta non è generata dalla legge, ma è stata perfezionata dalla legge” (Menger, citato in BENIGNO). Sono cioè i protagonisti dell’economia,produttori,commercianti,consumatori,che intuiscono l’importanza della moneta,che però avrà ben presto bisogno del “principe”,della legge,perché la sua circolazione sia garantita. La moneta del tributo nei Vangeli: di chi è, chiede Gesù, l’immagine sulla moneta? Di Cesare, è la risposta. Cesare, cioè il principe, la legge, garantiscono la bontà della moneta (il suo contenuto di metallo prezioso). Il “principe” garantisce,col conio,il peso e il titolo del metallo prezioso contenuto nella moneta. La sua autorità conferisce fiducia nella moneta,indispensabile per la sua accettazione e circolazione. In cambio,terrà per sé una frazione del metallo che i privati portano alle zecche del “signore”: è il “signoraggio”. Ancora oggi,il reddito delle banche centrali nasce dal signoraggio,che è rappresentato dalla differenza fra il tasso di interesse percepito sui crediti concessi allo Stato e al sistema bancario e il costo di produzione della moneta ( per i curiosi del signoraggio della Banca centrale europea, PAPADIA-SANTINI ). Nella moneta cartacea l’Autorità monetaria garantisce la circolazione e la stabilità del potere d’acquisto. Nelle nostre economie, la moneta si governa. Si possono sviluppare gli scambi, la specializzazione produttiva, la produttività. La moneta cartacea entra in circolazione per praticità di uso; ma per lungo tempo è convertibile in oro. La prima grave cesura si ha con la 1° guerra mondiale e il corso forzoso: la moneta cartacea non è più convertibile in oro,non ha più alcun valore intrinseco. Nel 1944 Bretton Woods reintroduce un legame, sia pure indiretto, con l’oro, attraverso il dollaro USA ( Bretton Woods è una cittadina negli Stati Uniti dove si tenne la conferenza che disegnò il sistema monetario internazionale che rimase in vigore fino al 1971. La storia della conferenza è affascinante: il protagonista intellettuale fu Keynes,che partecipava per il Tesoro inglese,ma il vincitore fu White,che trattava per gli Stati Uniti,cioè per il più forte! Chi è tentato di saperne di più,veda CESARANO ). Il legame con l’oro poneva un vincolo, una regola non derogabile dalle Autorità, una disciplina per tutti i Paesi, alla creazione di moneta.. Nel 1971 gli Stati Uniti tagliano l’ultimo legame fra la moneta e l’oro. Le regole del sistema di Bretton Woods erano state scritte per essere simmetriche, per imporre cioè la stessa disciplina a tutti i paesi,grandi e piccoli, creditori e debitori. Gli Stati Uniti, la grande potenza imperiale, non accettano di subordinare la loro politica, non solo economica, alle regole del gioco. Dichiarano l’inconvertibilità del dollaro in oro e fanno saltare il sistema di Bretton Woods che si reggeva su questo impegno del Tesoro USA. La moneta, ormai priva di ogni valore intrinseco, diventa esclusivamente FIDUCIARIA: circola ed è accettata sulla fiducia che chi la emette (una banca centrale) e la gestisce (la politica monetaria) ne garantisce nel tempo la stabilità del potere d’acquisto (il controllo dell’inflazione). Quando parlo di moneta non mi riferisco solo a banconote e monete metalliche, ma a tutti gli strumenti utilizzabili per saldare una transazione, un debito (conti correnti bancari, carte di credito, titoli a breve e liquidi..). La moneta fiduciaria segna,per certi aspetti, un progresso sulla moneta-merce: è infatti eliminato il vincolo fisico della disponibilità del metallo (casuale…dove la natura ha messo le miniere d’oro) alla possibilità di fornire alle economie del mondo tutta la moneta necessaria alla crescita del reddito, degli scambi, del benessere. Ma diventa necessaria l’individuazione di un’ÀNCORA alla quale legare l’offerta di moneta per il controllo dell’inflazione : è il compito della politica monetaria. Le Autorità e gli economisti ne hanno individuate molte nel corso del tempo, rivelatesi tutte insoddisfacenti. La fiducia è il fondamento della moneta e del rapporto debito-credito. La moneta non è neutrale. Troppa moneta genera inflazione che svilisce la moneta stessa. Troppo poca genera depressione, perché il sistema economico non ha i mezzi monetari necessari alla crescita. L’economista americano Irving Fisher (inizi del 1900) “was the first to realize how powerfully money affected the real economy and to make the case that government could increase economic stability by managing money better….he identified a potential instrument, control of money supply, that government could use to moderate or even avoid inflationary booms or deflationary depressions” (NASAR, pag. 170). Un altro punto (sul quale si tornerà): la moneta e gli strumenti finanziari che la incorporano sono intermediati dalle banche, sono trattati sui mercati finanziari, che vanno regolati per tutelare il risparmio, i risparmiatori, la fluidità delle transazioni e delle interrelazioni fra economia reale e finanziaria. Quando parliamo di economia finanziaria, occorre sempre ricordare che alla sua base c’è la moneta, oggi fiduciaria. Anche lo strumento finanziario più complesso (un’obbligazione strutturata, un derivato esotico..), alla fine deve potersi tradurre in moneta, utilizzabile per saldare una transazione (l’acquisto di un bene di consumo, di investimento, l’estinzione di un debito). L’economia reale Per definire sinteticamente l’economia reale facciamo ricorso ad una sigla: il PIL,Prodotto Interno Lordo. Il valore monetario (sommatoria dei beni e servizi prodotti - più esattamente del loro valore aggiunto - moltiplicati per il prezzo di ognuno di essi) dei beni e dei servizi prodotti da un’economia in un dato arco temporale. Il prodotto andrà in consumi o in risparmio, che finanzia gli investimenti che, a loro volta, garantiscono la continuità e il miglioramento quali-quantitativo del prodotto. Il valore delle transazioni monetarie è ovviamente un multiplo del loro valore aggiunto. Il valore aggiunto è il maggior valore del bene finito rispetto al valore delle materie prime, dei semilavorati che lo compongono (il valore di una Ferrari è ben maggiore del valore dei metalli, della gomma, delle pelli ecc. che essa incorpora). Il produttore acquista materie prime, semilavorati, componenti, paga salari; incasserà il prezzo dell’auto solo a chiusura di una serie di transazioni monetarie. Questa catena di transazioni,che si svolgono nel tempo,ha bisogno di moneta,di credito per svolgersi fluidamente. Da un anno all’altro, la variazione del PIL ha una componente reale (quante auto in più, quanto grano, quante cure mediche,quanti turisti in più…) e una monetaria (l’aumento dei prezzi). Per il benessere ciò che conta è la variazione quantitativa, pur sussistendo, almeno temporaneamente, fenomeni di illusione monetaria (studiata per primo dal ricordato Irving Fisher), per cui ci si ritiene più ricchi se si possiede più moneta, senza tener conto dell’aumento dei prezzi. Un cenno a sviluppi relativamente recenti che muovono dalla insoddisfazione del PIL come aggregato che definisce il benessere. Questo non è dato solo dai beni e dai servizi che possiamo acquistare. Vi sono altri parametri ai quali si tende ad attribuire crescente importanza: la qualità dell’acqua e dell’aria, la salute, l’istruzione, il godimento del tempo libero per viaggiare, leggere, essere solidali. Misurare questi beni immateriali e inglobarli in un unico indicatore è un problema complesso al quale da tempo si dedicano gli statistici. Si vedano le elaborazioni ISTAT e CNEL in tema di benessere equo e sostenibile (sul sito ISTAT ). Il valore di questi beni immateriali non sfuggì all’acuta intelligenza di Keynes. Nel 1931 pubblicò un breve testo,forse utopistico,nel quale,spingendo lo sguardo a cento anni ( ne mancano ancora una ventina per una verifica dell’esattezza della profezia! ), prevedeva un mondo libero dall’assillo dei problemi economici,nel quale si potrà lavorare quindici ore alla settimana,nel quale l’amore per il denaro sarà un’attitudine morbosa e repellente,nel quale potremo recuperare alcuni principi religiosi e valori più solidi. “ Dobbiamo-scriveva Keynes-tornare a porre i fini avanti ai mezzi e ad anteporre il buono all’utile. Dobbiamo onorare…persone capaci di apprezzare i gigli del campo che non lavorano e non filano” (KEYNES). Come si vede,anche i tanto maltrattati economisti possono avere un’anima! L’affermazione del capitalismo industriale e i riflessi sulla finanza Arriviamo d’un balzo al XVIII secolo, quando si sviluppa il capitalismo industriale: il lavoro stesso si fa merce venduta e comprata (i salariati), si diffondono le fabbriche, i mercati e gli scambi, si fa più acuto il tema della distribuzione dei redditi fra profitti, salari, rendita. L’economia, quasi stazionaria per secoli, si impenna grazie alla crescita della produttività, favorita dalle “macchine”. Marshall (fine 800, NASAR) analizza il mercato del lavoro inglese, con i suoi bassi salari. Conclude che la chiave per migliorare il benessere è la produttività,il cui aumento determina,a parità di ore lavorate, maggior prodotto da distribuire fra capitale e lavoro . La produttività è legata all’istruzione,all’addestramento ( cosa che a volte dimentichiamo 150 anni dopo Marshall). Accelera la crescita dell’economia reale e di quella finanziaria. Nei paesi più avanzati, fra cui l’Italia, il rapporto fra attività finanziarie, AF, e ricchezza reale (FIR, Financial interrelations ratio, elaborato da Raymond Goldsmith) inferiore a 0,5 nella prima metà del XIX secolo (la ricchezza è la terra…), è oggi in genere prossimo o superiore a 2 (CIOCCA,1,pag.23 e CIOCCA ,2,pag.11). Dalla seconda metà del XIX secolo e lungo tutto il XX, la distribuzione del reddito fra lavoro e capitale subisce drastici mutamenti, che si riflettono sullo sviluppo dell’economia finanziaria (della sua importanza quantitativa, dei suoi strumenti, degli intermediari e dei mercati, delle crisi e, quindi, dello sviluppo di regole e regolatori: la Vigilanza). Ai suoi albori, il capitalismo industriale è iniquo; il capitale si appropria di un’elevata quota del prodotto;la concentrazione dei redditi e del capitale è molto alta. Ciò è possibile perché i salari sono di mera sussistenza;i salariati consumano tutta la loro paga semplicemente per mangiare,coprirsi dal freddo (quando ci riescono ); non sono in grado di risparmiare,né ci si aspetta che risparmino. Scriveva Adam Smith: “Un essere umano non può vivere che del suo lavoro, e la sua paga deve essere quanto meno sufficiente a sostenerlo. Nella più gran parte dei casi deve essere alquanto più elevata: sarebbe altrimenti impossibile costruirsi una famiglia, e la specie di questi lavoratori non andrebbe oltre la prima generazione” ( in CIOCCA,1, pag. 44). Il capitalista si appropria di una quota molto elevata del valore aggiunto; è lui che risparmia e reinveste. Accanto cresce una borghesia commerciale e finanziaria, agiata. Ma la distribuzione del reddito, la formazione del risparmio, il possesso della ricchezza restano concentrati. Le lotte politiche e sociali, il sindacato, rendono più equa la distribuzione del reddito; cala la quota del profitto e della rendita, aumenta quella del salario. Anche le famiglie dei lavoratori dipendenti risparmiano, in proprio o attraverso i sistemi di sicurezza sociale che si vanno introducendo. Nell’Italia di oggi, le famiglie detengono circa un terzo delle AF lorde del paese; ai lavoratori dipendenti e ai pensionati fa capo circa un terzo del flusso annuo di risparmio, S, e circa il 40% di questo S va in AF (CIOCCA,1, pag. 43-44 ). L’aumento del numero dei risparmiatori, lo sviluppo della grande impresa ad azionariato diffuso public company vs. azienda familiare - determinano, soprattutto nella seconda metà del 900, il fenomeno che venne definito della “dissociazione dei centri di formazione del risparmio e dei centri di investimento”. La quota di investimenti autofinanziata dallo stesso capitalista si riduce e aumenta quella intermediata da banche e mercati dei capitali: si sviluppa l’economia finanziaria. Mettere in comunicazione questi due centri diventa in misura crescente la funzione degli intermediari e dei mercati finanziari. La crescente complessità dei metodi di produzione (dall’acquisto delle materie prime, dei semilavorati a quello di componenti, di origine nazionale e di importazione) e i divari temporali fra produzione, commercializzazione e incasso della vendita (credito al consumo, all’esportazione…) aumentano ulteriormente la componente finanziaria dell’economia (credito d’esercizio, credito all’export e all’import, finanziamento del capitale circolante) e, quindi, peso e ruolo degli intermediari bancari e dei mercati finanziari. In questo ambiente,il credito erogato dalla banca (al consumo, alle imprese,al settore privato e a quello pubblico) è una leva poderosa per accrescere gli investimenti, la produttività, il reddito, l’occupazione. “The Theory of Economic Development,” pubblicato nel 1911 da Schumpeter all’età di 27 anni è uno dei libri più importanti del secolo. Lo sviluppo economico è un processo che si incentra su tre fattori: l’innovazione, l’imprenditore, il credito. L’innovazione non è tanto e solo la mera INVENZIONE quanto la proficua applicazione di nuove idee, che può manifestarsi in un nuovo prodotto, in un nuovo processo produttivo, in una fonte di offerta, un nuovo mercato, in innovazioni organizzative (NASAR, pag. 190). È il fenomeno della “creative distruction”: i vecchi prodotti,le vecchie fabbriche,i superati metodi produttivi vengono eliminati,distrutti,e sostituiti da nuovi prodotti,nuove macchine,nuovi assetti organizzativi. In questo processo domina la figura dell’IMPRENDITORE, motore della distruzione creativa, e quella del BANCHIERE-INTERMEDIARIO FINANZIARIO capace di mobilitare il risparmio, valutare i progetti, gestire il rischio, monitorare i managers. Un efficiente mercato del credito e un forte sistema bancario sono necessari per lo sviluppo . La robustezza di questo schema (di simbiosi bi-univoca fra banche e intermediari, da un lato, e economia reale, dall’altro,alimentata dal canale del credito e da quello dei mercati finanziari) trova conferma, a contrariis, dalla fase di credit crunch e di depressione economica che stiamo vivendo in questi anni. Possiamo applicare al credito e alla finanza quanto Amartya Sen ha riferito all’etica, affermando che è come l’ossigeno: ne capiamo l’importanza solo quando ci manca. L’intermediazione bancaria consente di superare i problemi posti dalle asimmetrie informative (non tutti i protagonisti dell’economia hanno le stesse informazioni) che caratterizzano i rapporti fra i tre protagonisti del fenomeno creditizio: il risparmiatore, l’imprenditore, il banchiere-intermediario. Quest’ultimo ha gli strumenti tecnici, professionali, analitici per valutare il merito di credito dell’imprenditore, facendogli affluire il risparmio “inconsapevole”. Il risparmiatore è inconsapevole perché ignora come i suoi depositi saranno utilizzati. Del resto non sarebbe in grado, di regola, di valutare il merito di credito di un’impresa né avrebbe fondi abbastanza ampi da interessare l’impresa. Il risparmiatore si affida al banchiere, del quale ha fiducia. L’accesso al mercato dei titoli (azioni,obbligazioni) da parte del risparmiatore è risparmio “consapevole”, che si dirige direttamente al prenditore finale,un’impresa manifatturiera o di servizi,lo stesso Tesoro. Il contatto diretto fra risparmiatore “retail” e creditore finale ha stimolato nell’economia finanziaria la crescita della funzione di consulenza e l’emanazione di norme di Vigilanza dirette a prevenire gli abusi e a tutelare il contraente debole,tipicamente il piccolo risparmiatore. L’innovazione finanziaria, non meno importante di quella industriale, ha allargato la gamma delle opzioni per favorire il flusso del risparmio alle attività produttive dell’economia reale (ad es. i fondi comuni di investimento, che diversificano il rischio…non mettere tutte le uova nello stesso cestino!). La banca e il sistema bancario Quando si parla di banche assumono rilievo quattro fattori, in parte già richiamati ( DE BONIS, ONADO). Il primo: la fiducia (dei risparmiatori di riavere, a domanda, i propri soldi ). Come ottenerla? Sono basilari la capacità professionale,la reputazione del management (gestire bene il mix fra attività e passività e, più in generale, tutti i rischi), l’adeguatezza del capitale (per sostenere eventuali perdite), l’obbligo, o la prudenza, di una riserva liquida,che consenta di far fronte ad ogni richiesta di ritiro di depositi da parte della clientela della banca. Il secondo: la liquidità, data la trasformazione delle scadenze operata dalla banca (che ha un passivo a domanda e un attivo con vari gradi di immobilizzazione). Come garantirla? Oculatezza della gestione, riserve di liquidità, libere o obbligatorie,la possibilità di ricorrere ad un prestatore di ultima istanza cioè alla banca centrale (un aspetto sul quale si torna più avanti). Il terzo: il ruolo delle regole. Quella bancaria è, oggi, un’attività di impresa, ma soggetta a una varietà di norme, di vincoli, di obblighi. Vigilare sul rispetto delle norme è il compito delle autorità di vigilanza bancaria per la sana e prudente gestione e la stabilità del sistema bancario (vedremo dopo il significato che assume per le banche il termine “sistema” ). Il quarto: la struttura proprietaria, che può essere pubblica (la banca come strumento di politica economica, gestita dalle Autorità di governo) o privata (la banca come impresa, sia pure in una cornice normativa particolarmente stringente ). Questi fattori sono interconnessi e la loro gestione costituisce il cuore dell’attività bancaria, della sua regolamentazione, dell’attività di Vigilanza. Oggi prevale un MODELLO di banca come libera impresa, che deve remunerare adeguatamente il capitale investito, che agisce in autonomia, soprattutto con riferimento alla selezione del merito di credito, ma in una cornice regolatoria decisa dalle autorità, che vigilano sulla sua applicazione (ma è una cornice con confini molto diversi nel tempo e nello spazio). Una breve parentesi. Nel dopoguerra, molti paesi,ad es. Francia e Italia, adottano procedure di politica economica nelle quali le Autorità hanno un ampio ruolo, mutuato dalla pianificazione accentrata di stampo socialista. La banca è pubblica e l’erogazione del credito fa parte del piano economico. Dagli anni ’80 del novecento si afferma in misura crescente un sistema libero e deregolamentato. La banca è un’impresa, fa le sue scelte in autonomia. Il credo liberista sposta il pendolo all’altro estremo. C’è un fattore TIPICO: la banca è parte di un SISTEMA, con caratteristiche che nessun altro sistema di imprese ha. La caduta, il fallimento di una banca di dimensioni non infime si ripercuotono a catena sulle altre, non solo per l’operare delle relazioni interbancarie,ma anche,e soprattutto, per la sfiducia che può scatenare. È questa la ragione analitica della Vigilanza bancaria, compensata dalla possibilità per le banche di ricorrere al “prestatore di ultima istanza”. Le banche accettano alcune regole (trasparenza, adeguatezza del capitale, limiti a certi rischi); in cambio hanno, in caso di bisogno, l’assistenza della banca centrale. Walter Bagehot (1873) nel libro LOMBARD STREET individua il ruolo del “lender of last resort”. Una banca illiquida, ma non insolvente, va aiutata con prestiti della banca centrale, sempre liquida perché crea moneta, a garanzia della stabilità sistemica. L’intervento della banca centrale previene il propagarsi della paura, della sfiducia, della corsa al ritiro dei depositi, che farebbero saltare l’intero sistema, con danni enormi a tutta l’economia. Rinvio chi sia curioso di capire come in questi anni di crisi ha operato la Banca centrale europea nella sua veste di prestatore di ultima istanza a PAPADIA-SANTINI. L’intreccio fra sistema bancario, regole e autorità di Vigilanza, prestatore di ultima istanza, salvataggio della singola banca a tutela del SISTEMA, è complesso e controverso. A un estremo, vi sono norme soffocanti, incompatibili con la natura di banca come impresa (che innova, seleziona), all’altro un assetto di ampie libertà che alimenta il “moral hazard” (too big to fail), cioè comportamenti azzardati, senza attenzione al rischio,nella certezza che in caso di bisogno interverrà un “deus ex machina”,cioè una banca centrale e,da ultimo,il contribuente. Sono temi di grande attualità. Liberalizzazioni e deregolamentazione Per arrivare ai giorni nostri,ad un diverso, più complesso rapporto fra finanza ed economia reale, occorre accennare, per grandi linee, alla rivoluzione ideologica che si afferma durante la seconda metà degli anni 80 del 900. Semplificando al massimo,si può sostenere che nei 25 anni successivi alla fine della guerra,prevalgono sul piano teorico,della cultura economica, ma anche su quello politico,delle politiche economiche, teorie che possiamo definire di derivazione keynesiana. È un sistema di pensiero che privilegia la discrezionalità dell’agire delle Autorità di governo sulle regole predeterminate, fino al c.d. “fine tuning”,cioè ai tentativi delle Autorità di governo di regolare con costanti interventi,anche di segno opposto, (le c.d. politiche di stop and go ) l’andamento dell’economia nel breve termine. L’obiettivo, all’inizio, è la ricostruzione post-bellica, lo sviluppo,la riapertura dei commerci. Col tempo si accumulano tensioni e squilibri,per un mal inteso “keynesianesimo”. Keynes proponeva la spesa pubblica in disavanzo in caso di depressione, non ne faceva una costante,con continuo aumento del debito pubblico. Nel 1971, come si è già ricordato, salta Bretton Woods e si perde l’ultimo ancoraggio all’oro per il controllo della moneta a livello mondiale. Nel 1972-73 inizia la crisi energetica. Segue un decennio di crisi diffuse, con elevata inflazione, ritenuta una accettabile alternativa alla maggior disoccupazione. Ma si ha “stagflation”, cioè una inattesa e inspiegabile (almeno all’inizio) miscela di inflazione e disoccupazione ( CIPOLLETTA ). La reazione analitica (l’affermazione del monetarismo e del credo liberale), politica ( l’affermazione di governi di destra ,conservatori ); vince lo slogan “markets know better”,sottinteso,dei governi,dei burocrati. Si acquisisce la consapevolezza dei danni strutturali dell’inflazione sul processo di crescita ( oltre che della sua iniquità ), della impossibilità di controllare il processo di trade-off fra inflazione e disoccupazione, per effetto dell’operare delle aspettative che, scontando effetti attesi e indesiderabili dell’intervento di politica economica, vanificano gli affetti desiderati dalle Autorità. Meno discrezionalità delle autorità, alcune regole precise e fisse (ad es. il controllo della quantità di moneta ,M, per il controllo dell’inflazione), libertà per gli operatori e concorrenza (imprese di beni e servizi, banche, mercati della finanza), apertura delle frontiere per merci, servizi, capitali, persone. Alcuni nomi emblematici: Milton Friedman, fra gli economisti; Thatcher, Reagan,fra gli statisti. Le parole chiave di questo processo sono: minor presenza dello Stato, più mercato, liberalizzazione, deregolamentazione, all’interno dei paesi e fra paesi. È la marcia verso la c.d. globalizzazione. Il ruolo della tecnologia informatica, che esegue transazioni “in tempo reale” anche sulla base di programmi automatici di brevissimo termine, contribuisce a gonfiare la dimensione della finanza, che però si allontana dall’economia reale. Ha detto di recente Papa Francesco: “ il denaro deve servire non governare “. Non è solo una norma etica,ma anche un valido criterio economico. I fenomeni di globalizzazione hanno reso sempre più fragili le tre basi su cui si fonda la sovranità degli Stati vestfaliani: il territorio, la popolazione, il sistema giuridico proprio (SAVONA). Oggi le imprese multinazionali, soprattutto quelle finanziarie, contano spesso più dei governi locali e delle istituzioni internazionali;i flussi migratori sono vastissimi e in larga misura non controllabili;una pluralità di trattati e intese internazionali ha prodotto un corpo normativo che si sovrappone e,spesso,domina,alla legislazione nazionale. Questa miscela fa esplodere l’operatività del sistema bancario e finanziario (soprattutto a partire dal mondo anglo-americano e dalle grandi banche). “From the mid-1990s the system entered explosive growth in both scale and complexity” (FSA ). Ed ancora “…a remarkable growth in the relative size of wholesale financial services within the overall economy, with activities internal to the banking system growing far more rapidly than end services to the real economy” . Avviene cioè “an explosion of claims within the financial system, between banks and investment banks and hedge funds” . Questi sviluppi avvengono in un contesto di mancata percezione o valutazione (consapevole o inconsapevole?) dei rischi. I modelli VAR (inferenze basate su osservazioni passate) falliscono; si scopre che i “cigni neri” esistono (le code di una distribuzione di probabilità.. eventi rari, ma non con probabilità zero ). Se una banca non è cautelata di fronte alla prospettiva di un evento catastrofico, perché statisticamente poco probabile, è travolta da quell’evento, se accade. Perché non sia travolto il sistema, occorrono costosi interventi pubblici. Si registrano anche “fallimenti della Vigilanza”, soprattutto in UK e USA, che sono frutto di ritardati adeguamenti di norme e prassi di vigilanza a fronte della rapidità delle innovazioni nei mercati,ma anche di natura ideologica. Si è parlato anche di fenomeni di “cattura del regolatore” da parte degli interessi dei sistemi bancari e dei mercati. Sentiamo GREENSPAN (per molti anni mitico Presidente della Federal Reserve,la banca centrale americana): “I mercati sono diventati troppo vasti, troppo complessi e troppo rapidi per poter essere sottoposti ai meccanismi di vigilanza e di regolamentazione del secolo scorso… Oggi la vigilanza su queste transazioni avviene sostanzialmente da parte degli operatori di mercato… “). Ma, in un testo del 2010 (GREENSPAN,2) si conclude che è “primary imperative” prevedere normativamente per le banche maggiori dotazioni di capitale e di liquidità, maggiori garanzie, collaterale, a fronte di transazioni su prodotti finanziari. Il sistema bancario e finanziario, l’economia finanziaria, si sono sviluppati (meno in Italia che in altri paesi ) ben oltre l’economia reale. La finanza ha cercato di essere non solo l’ancella dell’economia reale, ma un settore a se stante, fonte autonoma di profitto. Non due sistemi,quello reale e quello finanziario,che dialogano, ma un sistema, quello finanziario, che diventa un circuito chiuso. Ecco alcune recenti valutazioni del Governatore della Banca d’Italia Ignazio VISCO . Per effetto della crisi “è cresciuto lo scetticismo nei confronti del ruolo della finanza nel sistema economico, in particolare in relazione alla sua distanza dall’economia reale, quasi fosse in conflitto con essa.” E ancora: “Lo sviluppo della finanza, consentendo una maggiore diversificazione del rischio e rendendo i servizi finanziari accessibili a un maggior numero di paesi e di imprese, può essere un importante strumento di sviluppo economico. Ma c’è il rischio che la finanza diventi fine a se stessa,provocando danni maggiori quanto più stretta è l’interconnessione del sistema e quanto più rilevanti sono le potenziali esternalità negative”. Quando questa bolla è esplosa ha travolto non solo la “sovrastruttura finanziaria”, ma anche l’economia reale, avendo inceppato il fluido operare del sistema dei pagamenti e delle relazioni creditizie. La natura sistemica ha diffuso l’onda d’urto (blocco del mercato interbancario nazionale e internazionale), ha creato sfiducia, fino a generare sentimenti di rabbia verso tutte le banche e tutti i banchieri. Può avviarsi una spirale perversa. Il sistema bancario si inceppa e rallenta la sua funzione di erogatore del credito. L’economia reale soffre per la carenza di credito; aumentano difficoltà e sofferenze nei bilanci bancari. Le banche avvertono la maggiore rischiosità e razionano ulteriormente il credito. Il futuro? Occorre correggere i grandi squilibri macro-economici (debito pubblico e debito privato, disavanzo delle bilance dei pagamenti e debito estero). ( BINI SMAGHI ). Le economie che crescono basandosi troppo sul debito,pubblico e/o privato, incontrano un limite (certus an, incertus quando) nella insostenibilità del debito stesso (per Davide Ricardo il debito pubblico è equivalente a imposte future). A quel punto deve partire il processo di “deleveraging” (riduzione del peso del debito), lungo e costoso in termini di minore crescita e maggiore disoccupazione (è l’esperienza di questi anni in molti paesi). (ROGOFF-REINHART). Occorre regolamentare ex-novo il sistema, sotto la vigilanza di autorità responsabili, su base internazionale, per evitare il fenomeno della “concorrenza normativa”. La corretta conduzione dell’attività creditizia e finanziaria certamente richiede competenza e buona fede da parte degli intermediari, ma richiede altresì adeguati regimi di regolamentazione e di supervisione (VISCO,ROSSI). La Chiesa (per tutti Benedetto XVI nella “Caritas in veritate”), economisti, sociologi, uomini politici (non necessariamente credenti) sottolineano l’esigenza di un più forte e riconosciuto sistema di valori etici, come la centralità dell’uomo, la trasparenza, la morigeratezza, la lealtà.. L’Europa, e soprattutto l’area dell’euro, ha bisogno di una unione bancaria europea (norme comuni, vigilanza accentrata, sistema comune di gestione delle crisi), e, più in generale, di miglior governo dell’economia, cioè di più unione politica ( BINI SMAGHI ). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BENIGNO Pierpaolo, Poteri straordinari della banca centrale in un sistema di moneta fiduciaria, in Profili di gestione delle crisi. 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