il mondo in questione

annuncio pubblicitario
SOCIOLOGIA
IL MONDO IN QUESTIONE
LE ORIGINI DEL PENSIERO SOCIOLOGICO
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E LA RIVOLUZIONE FRANCESE
L’inizio della modernità ebbe luogo attraverso due avvenimenti importantissimi nella
storia, tali erano: la “Prima Rivoluzione Industriale” con cui ebbe inizio il processo
di industrializzazione, svoltasi in Inghilterra nella seconda metà dl settecento.
L’avvio di tale processo non poteva prescindere da alcuni presupposti, tali erano
(ossia): la disponibilità di materie prime a buon prezzo, il controllo delle principali
vie commerciali dei mercati coloniali da parte dell’Inghilterra, la disponibilità per il
lavoro in fabbrica da parte dei contadini espulsi dalle campagne e la disponibilità di
nuove tecnologie. Dall’Inghilterra il nuovo modo di produrre – “il modo industriale”
o come dice Max “il modo capitalistico di produzione” si diffuse in tutto il
continente e dall’Europa nel resto del mondo. L’industria è un sistema di produzione
che utilizza, oltre al lavoro degli uomini anche fonti di energia inanimata le così dette
“nuove tecnologie”. Il nuovo modo di produrre avviato dalla rivoluzione industriale
presentava una peculiarità che lo distingueva da quelli che lo avevano preceduto,
ossia la capacità di far crescere con una certa regolarità la produzione.
Anche le rivoluzioni politiche hanno avuto un ruolo importante, tale da trasformare a
partire dal XVIII secolo, sia l’Europa che l’America del Nord. Tale ruolo in Europa
fu rivestito dalla “Rivoluzione Francese” che è il momento culminante di una serie
di processi che portano alla delegittimazione del “Potere Feudale” e allo stabilirsi di
un nuovo tipo di legittimità di potere fondato sul consenso della società civile a leggi
razionalmente stabilite e all’obbedienza a governanti liberamente eletti. Dietro la
“Rivoluzione Francese” c’era la pressione della classe costituita da Commercianti,
Banchieri, dall’élite delle Professioni Tecniche e dai Proprietari delle Manifatture che
aveva come obiettivo, rimuovere il potere delle Aristocrazie e sostituirlo con il
proprio. Nella lotta contro le Aristocrazie e i loro privilegi, questa classe sviluppò
un’ideologia che tendeva presentare le proprie aspirazioni come le aspirazione di
tutta la società.
L’ILLUMINISNO
Tutto ciò ha a che fare con la sociologia nella misura in cui costituisce lo sfondo
storico del suo sorgere, anche se questo sfondo possiamo considerarlo palesemente
problematico. La società moderna è una società che emerge sopprimendo un ordine
precedente, quello feudale e ne instaura un altro, che ha come carattere fondamentale
il mutamento continuo. Possiamo dire, dunque che la sociologia ha le sue radici nel
confronto con un mondo umano che non appare più vincolato e garantito dalla
tradizione. Se i processi di sviluppo dell’Industria da una parte e i mutamenti politici
avviati dalla Rivoluzione Francese dall’altra, hanno fornito elementi del contesto in
cui la Sociologia è chiamata a svolgere le proprie funzioni, dal punto di vista
culturale le origini della Sociologia non sono comprensibili, senza riferirsi
1
SOCIOLOGIA
all’Illuminismo, un movimento culturale che a segnato in maniera profonda il XVIII
secolo e i Montesquieu, Voltaire, Diderot, D’Alambert e Rosseau sono i suoi
esponenti principali. L’illuminismo ebbe un ruolo fondamentale nella critica
dell’ordine feudale, fondando tale critica sulla ragione. Agli occhi degli illuministi,
nulla è legittimo se non ciò che è motivato razionalmente. Il mondo umano appare
come un mondo essenzialmente storico e questa storia ha una direzione che è quella
del progresso. La filosofia degli Illuministi fu la filosofia di quelli stessi strati che
furono dietro alle grandi rivoluzioni liberali che consideravano il governo della
nazione, non una cosa propria del sovrano o dei sui nobili, ma una cosa pubblica,
cioè di tutti e di nessuno in particolare. Uno dei primi personaggi a dare un’impronta
sostanziale alla sociologia fu indubbiamente Montesquieu il quale scrisse due libri
degni di nota: Lo Spirito delle Leggi (1748) e Le Lettere Persiane (1721). Nel
primo Montesquieu intraprende un discorso comparativo, basato sull’osservazione,
delle leggi che governano gli uomini in diverse società e si tende a mettere in
relazione tali leggi con elementi diversi, come il clima in cui i popoli vivono, i loro
costumi, i fatti storici ecc. Egli non stabilisce i principi in base a quali gli uomini
dovrebbero vivere ma si limita ad osservare come essi vivono di fatto e constata la
relatività delle leggi e delle abitudini. Ovviamente, questo non gli impedisce di
prediligere certi sistemi ad altri anche se il punto non è questo, ma quello di osservare
la varietà delle Istituzioni umane e provare ad spiegarle.
Questo atteggiamento è alla base del pensiero sociologico. Le Lettere Persiane sono
un romanzo epistolare dove l’autore finge di pubblicare alcune lettere che il Principe
Persiano “Uzbek” invia agli eunuchi e alle mogli del suo serraglio ed altre che riceve.
Il lettore è messo a confronto con un mondo che gli appare esotico, trovandosi
spaesato, in quanto, vede la propria nazione con gli occhi di uno straniero e non può
più dare per scontato la propria realtà abituale. Dapprima incredulo, si trova a vedere
come esotico il proprio mondo e al termine del libro può cominciare a domandarsi
per quale ragione il suo mondo sia così e quello da cui proviene Uzbek diverso. In
questo libro vi è la constatazione della differenza e della relatività dei mondi sociali,
unita al desiderio di scoprirne le cause, quindi ciò che è essenziale al pensiero
sociologico.
L’EMPIRISMO
ESOTICO
E
IL
PROBLEMA
DELLA
AUTOREGOLAMENTAZIONE DELLA SOCIETA’
Un altro movimento culturale considerato determinante nelle origini della sociologia
è “L’empirismo”, che si è sviluppato nella seconda metà del 1700 in Inghilterra e in
Scozia. Come gli illuministi in Francia, anche per gli empiristi l’osservazione era il
loro credo, anche se l’empirismo non condivideva con l’illuminismo la stessa
convinzione, nella capacità della ragione a venire a capo della realtà era da questo
punto di vista più scettico. Ma condivideva lo stesso atteggiamento critico nei
confronti di ogni dogma. Tale atteggiamento è riscontrabile nell’opera di autori come
Adam Fergusson e Adam Smith.
2
SOCIOLOGIA
SOCIOLOGIA E POSITIVISMO
INTRODUZIONE
Sul piano della cultura il XIX era positivista, nonostante ci fossero numerosi altri
movimenti culturali e che non tutti i pensatori dell’ottocento erano positivisti, ma tale
corrente dà un impostazione dominante. Esso è costituito da un atteggiamento
prevalentemente laico e orientato al progresso. Quindi possiamo definirlo come un
movimento culturale orientato alla sistematicità e alla classificazione: ricerca e
riordina dei “fatti “ che ritiene di poter cogliere con una oggettività sulle cui regole
non si pone domande. La parola sociologia è utilizzata in questo contesto per la prima
volta da Auguste Comte (1798-1857) pensatore molto complesso, a volte difficile da
comprendere, la cui opera è caratterizzata da due questioni dominanti: da un lato
l’esigenza di affrontare il mutamento, dall’altro quella di contribuire a restaurare
l’ordine compromesso dalla ventata napoleonico e poi rimesso in discussione da
ripetuti movimenti rivoluzionari.
COMTE E SAINT-SIMON
Comte iniziò la sua carriera come segretario particolare di Henri Saint-Simon che fu
una figura molto importante, in quanto segnò il passaggio dall’istanze emancipative
dell’Illuminismo a quelle tecnocratiche del positivismo, contribuendo a fondare una
corrente di pensiero utopico che confluirà nei movimenti di ispirazione socialista.
Henri Saint-Simon ebbe una vita molto movimentata, studiò ingegneria durante la
rivoluzione, rinunciò al titolo nobiliare ma fu coinvolto in numerose speculazioni e
conobbe il carcere; durante il periodo napoleonico maturò numerosi progetti
scientifici (immaginò tra l’altro il futuro canale di Suez, realizzato poi da uomini che
furono suoi allievi) ed elaborò un programma sociale che mirava ad un nuovo
cristianesimo ed a una società nel cui governo fosse attribuito ai tecnici un ruolo di
primo piano. Comte, invece, non era uno scrittore brillante ed è difficile per un lettore
contemporaneo trovarlo interessante, anche se ebbe un’importanza notevole nella
storia della Sociologia, tale da esercitare influenza su Durkheim e su diversi altri
sociologi. Per Comte lo spirito e la conoscenza umana così come la storia universale
passa attraversi tre stadi (La Legge dei Tre Stadi): da quello teologico, cioè quello
fittizio, dove l’uomo cerca le conoscenze assolute dello spirito e dove la natura
orienta i fenomeni, a quello metafisico, cioè astratto, che è un’alterazione del primo,
dove gli eventi provengono da forze astratte, a quello positivo, dove la conoscenza
viene a delinearsi come sapere scientifico, basato sulla ricerca dei fatti. La
successione di tali stadi è intesa da Comte come una legge naturale. Nel corso della
Filosofia positiva, Comte delinea i contorni di quella che a suo parere deve essere la
sociologia: una fisica sociale cioè una scienza modellata sui tratti delle scienze
naturali. Comte inoltre distingue una statica sociale, quale branca della sociologia che
studia il modo in cui le società si autoregolano e una dinamica sociale, quale branca
della sociologia che studia il mutamento. Infine interessante vedere che, nella fase
finale del suo pensiero, ritorni sulla questione della religione, non trattandola più
3
SOCIOLOGIA
come un elemento dello stadio primitivo ma come un elemento essenziale ai fini
dell’integrazione sociale.
ALEXIS DE TOCQUEVILLE
Alexis de Tocqueville fu un pensatore dell’epoca che, andava dalla fine del settecento
all’inizi dell’ottocento.
Il suo interessamento fu concentrato sulla novità rappresentata dalla democrazia.
Nella Democrazia gli uomini sono inseriti in un sistema legale in cui i diritti sono
definiti in modo tale da permettere una vasta mobilità sociale: tutti in linea di
principio possono accedere a qualsiasi rango o qualsiasi posto di lavoro. In tale
possibilità c’è la sua fondamentale differenza con il regime feudale. Tra le sue opere
ricordiamo: La Democrazia in America, riconosce negli Stati Uniti, il luogo dove
tale processo si è finora più sviluppato; L’Antico Regime e la Rivoluzione, uno
studio sulla Francia prima e dopo la rivoluzione accompagnato da frequenti confronti
tra questa e i paesi vicini.
HERBERT SPENCER
Se Comte fu il primo a usare il termine sociologia Spencer fu colui che contribuì a
diffonderlo presso il pubblico. Come Comte, Spencer vede la società come una sorta
di organismo ma a differenza del primo realizzò le sue speculazioni sul concetto
dell’evoluzione in parte preso da Darwin. Il trattato di Darwin l’origine della specie,
pubblicato in Inghilterra nel 1859, ebbe una notevole influenza sul pensiero
ottocentesco. L’idea fondamentale di Darwin era quella di un processo di
trasformazione e differenziazione delle specie animali, Spencer prova ad applicare
tale idea allo studio delle formazioni sociali, ossia ciò che poi si chiamerà
Darwinismo sociale. Tra il 1850 e l’anno della sua morte Spencer pubblicò numerosi
scritti riguardanti diversi argomenti, fra cui i Principi di Sociologia, a tal proposito la
sua sociologia si basa su una vasta raccolta di informazioni su diversi tipi di società.
Tali informazioni sono ordinate in base a due tipologie: la prima e fondamentale è
quella che distingue le società in base al grado di complessità della loro
differenziazione interna, la seconda è quella tra società militari e società.
4
SOCIOLOGIA
KARL MARX
INTRODUZIONE
Karl Marx nacque a Treviri, in Germania nel 1818. Studiò filosofia a Berlino e
esordì come giornalista nella “Rheinische Zeitung” di Colonia con una serie di
articoli sulle condizioni dei lavoratori in Renania.
Dopo che la rivista fu soppressa per il suo atteggiamento radicale, si trasferì a Parigi
dove conobbe Friedrich Engels, la cui amicizia era destinata a durare per tutta la vita.
Espulso da Parigi per la sua attività intellettuale e politica si spostò a Bruxelles, dove
si mise in contatto con diverse associazioni operaie e dove scrisse il Manifesto di
Fondazione del Partito Comunista. Dopo la fine dei moti rivoluzionari del 1848, si
trasferì a Londra con la sua famiglia, dove visse in miseria, sostenuto da Engels,
collaborando saltuariamente con alcune riveste. Morì a Londra nel 1883. Per le sue
attività intellettuali e politiche Marx fu espulso da molti paesi, controllato dalle
polizie di diversi stati nonché ridotto alla fame, ciò nonostante il suo lavoro fu fra
quelli che hanno più segnato la storia moderna. L’opera principale di Marx è Il
Capitale: il primo volume, l’unico pubblicato durante la vita dell’autore, uscì nel
1867, il secondo uscì nel 1885 e il terzo nel 1894 entrambi pubblicati da Engels.
Prima del Capitale Marx scrisse molte altre opere: fra le più importanti ricordiamo il
Manifesto di Fondazione del Partito Comunista; le Lotti di Classe in Francia;
l’Ideologia Tedesca e i sette quaderni dal titolo Lineamenti Fondamentali della
Critica dell’Economia Politica; la maggior parte delle sue opere principali furono
realizzate in collaborazione con Engels.
LE ORIGINI FILOSOFICHE DEL PENSIERO DI MARX E LA
CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA
All’inizio della sua carriera intellettuale, Marx era un filosofo, cosiddetto hegeliano
in quanto l’influenza di Hegel è estremamente avvertibile nella sua opera, tanto che il
termine dialettica che nelle sue frasi, è un termine hegeliano; che significa
originariamente dialogo o percorso di un’argomentazione), tanto per Hegel quanto
per Marx è un movimento; quel movimento del pensiero o della realtà che, attraverso
una negazione di una precedente affermazione, porta ad una sintesi che è il
superamento di entrambi. È importante capire cosa si intende per Superamento: è un
processo che comporta l’insieme di tre momenti: “ Conservare; Far scomparire;
Portare ad un livello superiore. Quando Marx parlerà di superamento della società
capitalistica, intenderà che dispiegandosi produce al suo interno delle contraddizioni
che portano necessariamente ad un livello superiore, cioè a qualcosa che conserva gli
sviluppi della società capitalistica come suoi presupposti ma li fa scomparire e li
supera sintetizzandoli entro una nuova formazione. Il “Comunismo rappresenta in
questo senso per Marx, il superamento del capitalismo. Da Hegel viene anche un altro
concetto importante che ha segnato il pensiero di Marx Alienazione. Per Hegel
l’alienazione è un aspetto dell’oggettivazione e quindi un elemento importante della
storia umana. Quando gli uomini esercitano un’attività pratica, producono degli
oggetti che, non sono altro i risultati del soggetto. L’alienazione è l’aspetto di questo
5
SOCIOLOGIA
processo per cui l’oggetto è la negazione del soggetto, è il suo contrario, ma tale
negazione può essere superata. Il momento di tale superamento è l’autocoscienza
dell’uomo che riconosce il prodotto come proprio prodotto e in questo modo ne
provoca una riappropriazione. Anche per Marx l’oggettivazione è una categoria
essenziale per meglio capire la storia umana ma la distingue radicalmente
dall’alienazione. Il lavoro umano è alienato secondo Marx in certe condizioni: ossia
quando vi è sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In altre parole secondo Marx se non
ci fosse sfruttamento non vi sarebbe ragione di parlare di alienazione: di fatto il
lavoro si considera alienato quando il soggetto che produce non ha il possesso del
frutto del proprio lavoro. Questa è la condizione dell’operaio nelle fabbriche nella
moderna società industriale. In un libro dal titolo La Situazione della Classe
Operaia in Inghilterra, Engels aveva denunciato le durissime condizioni di vita cui
erano sottoposti i lavoratori delle prime fabbriche; e lo stesso Marx in Il Capitale, ne
documenterà la miseria. Per cui la riappropriazione dell’oggetto di cui parlava Hengel
non può risolversi in un atto della coscienza, ma è necessaria un’azione pratica, una
rivoluzione che restituisca a chi lavora il controllo del proprio lavoro. Si tratta,
dunque, di determinare le condizioni concrete in cui gli uomini vivono ed operare per
poi trasformarle. In tale contesto è importante rilevare il termine “Struttura” ossia
l’insieme di rapporti di produzione e di forze produttive: i primi comprendono i
rapporti generati dalla divisione del lavoro e dalla divisione della proprietà, le
seconde comprendono i mezzi di produzione (materie prime, fonti energetiche,
strumenti e lavoro) e le tecniche utilizzate per la produzione. Il concetto di struttura è
decisivo nel pensiero di Marx, in quanto la struttura di una società determina le forme
di tutto il resto che egli chiama sovrastruttura. Gli ambiti delle istituzioni giuridiche ,
delle rappresentazioni religiose, della morale e della stessa filosofia , sono per Marx
“sovrastrutturali”ciò significa che non hanno una propria storia, ma che dipendono
nel loro svolgersi dalle modificazioni della struttura a cui corrispondono.
LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA E IL CONCETTO DI MODO
DI PRODUZIONE CAPITALISTICO
L’espressione “critica dell’economia”, oltre ad essere il titolo del volume che Marx
pubblicò nel 1859 e anche il sottotitolo dell’opera più importante di Marx “Il
Capitale”. Lo scopo del “Capitale” è quello di indagare il modo capitalistico di
produzione e i rapporti di produzione e di scambi che gli corrispondevano.
La critica dell’economia politica corrisponde a tale indagine. Un modo di produzione
per Marx era un insieme storicamente determinato di mezzi per la produzione e
rapporti di produzione. Il modo di produzione capitalistico è il modo di produzione
emerso nella rivoluzione industriale, dunque un modo di produzione moderno. Se è
vero che l’industria in quanto tale è essenziale a questo modo di produzione è
altrettanto vero che non sono da considerarsi equivalenti, in quanto nella seconda
espressione sono contenute delle determinazioni che alla prima mancano, vale a dire i
caratteri specifici dei rapporti sociali. La nozione di modo di produzione è molto
importante per Marx, poiché la struttura di base per ogni società è determinata dai
rapporti che gli uomini intrattengono tra di loro e la natura, al fine di produrre tutto
6
SOCIOLOGIA
ciò che è necessario a soddisfare i loro bisogni. In altre parole il modo produzione
dominante di una determinata società corrisponde alla struttura di questa società. Il
Capitalismo è il nome dato da Marx alla società la cui struttura è fornita dal modo
capitalistico di produzione. L’aggettivo capitalistico ha un determinato significato,
ossia, che la caratteristica di questo modo di produzione è di essere fondata sul
Capitale. Nella prima frase Marx cita la definizione di Capitale che viene fornita
dagli economisti, ossia che il capitale corrisponde al lavoro accumulato. il problema
di spiegare che cos’è che rende il lavoro accumulato – delle materie prime, degli
strumenti di lavoro, dei mezzi di sussistenza – precisamente Capitale. La risposta a
ciò che rende lavoro accumulato “capitale!” è una specifica condizione dei rapporti
sociali che presentano le seguenti caratteristiche.
I. Si tratta di rapporti dove entrano in relazione da una parte i proprietari dei
mezzi di produzione i cosiddetti “capitalisti”, dall’altra uomini che non
possiedono mezzi di produzione ma hanno solo una cosa di cui disporre: la
propria forza lavoro, questi sono i proletari.
II. Il rapporto tra questi due insiemi di individui è mediati dal denaro, nel senso
che la forza lavoro dei proletari viene presentata come merce venduta ai
capitalisti ad un certo prezzo che è chiamato “Salario” attraverso il quale i
lavoratori possono acquistare i beni necessari per la propria sussistenza. I
lavoratori salariati non sono pagati con una quota del loro prodotto, ma con un
salario che corrisponde ad una certa quota del loro tempo che vendono. Per
quanto riguarda il loro tempo che vendono essi si assoggettano alla disciplina
stabilita dal loro datore di lavoro, ma fuori dal lavoro essi sono uomini liberi.
Ciò distingue tali rapporti da quelli caratteristici del modo di produzione
fondato sulla schiavitù o sui rapporti di tipo feudale.
III. I beni economici prodotti all’interno di questo modo di produzione sono le
merci: la produzione è finalizzata alla vendita dei prodotti sul mercato e la
merce è un bene che viene scambiato sul mercato ed ha un carattere duplice:
per un verso ogni merce possiede un suo valore d’uso e dall’altro verso essa
possiede anche un valore di scambio che si esprime nel prezzo della stessa
merce. Il denaro nella cui quantità le merci si esprimono è l’equivalente
universale del valore di scambio delle merci.
IV. Il lavoro accumulato si presenta come capitale quando viene utilizzato nella
produzione, assieme al lavoro vivo degli operai salariati, per ottenere un
profitto da parte del capitalista.
L’ultimo punto necessita di maggiori chiarimenti, esso sottintende che il capitalismo
non è semplicemente una società basata su scambi di mercato, ma qualcosa di più.
Esso presenta, uno scambio di tipo particolare, ossia produrre, con delle merci, altre
merci che abbiano un valore maggiore di quello che era presente all’inizio. In altre
parole per Marx, ciò che rende capitalista un individuo è che, all’inizio egli possiede
un certo ammontare di denaro (D) che investe acquistando delle merci (M), ossia
materie prime, strumenti di produzione (lavoro accumulato), e forza lavoro (il lavoro
vivo degli operai). Facendo lavorare i suoi operai con le sue materie prime e i suoi
mezzi di produzione, egli ottiene nuove merci, che, una volta vendute, si tramutano in
7
SOCIOLOGIA
un ammontare di denaro (D’) superiore a quello disponibile all’inizio. In sintesi lo
scambio che caratterizza il capitalismo è: D – M – D’, dove D’ è maggiore di D e
tale differenza costituisce il profitto del capitalista. Tale profitto secondo gli
economisti è, il risarcimento dell’impegno del capitalista, ossia risarcire il rischio
connesso all’investire, la posizione di Marx è decisamente differente. Per Marx il
profitto del capitalista, nasce dallo sfruttamento dell’operaio, il quale è pagato con un
salario che corrisponde al costo dei beni necessari alla sua sopravvivenza, mentre il
lavoro che egli realizza per conto del capitalista genera in realtà un valore superiore a
quello corrispondente al salario e a tutti i mezzi di produzione impegnati.
Nell’appropriazione del plusvalore da parte del capitalista c’è l’equivalente
alienazione dell’operaio: ossia il frutto del lavoro non è suo, ma è di altri. A lui resta
il salario, che per definizione basta solo a comprare il necessario per farlo
sopravvivere. Ciò che rende il lavoro accumulato di cui parlano gli economisti più
precisamente capitale è dunque lo sfruttamento.
LA NOZIONE DI CLASSE
Per Marx la paraola “Classe”, è innanzitutto: un insieme di individui che si trovano
nella medesima posizione, all’interno dei rapporti di produzione tipici di un modo di
produzione determinato.
Per Marx, ogni società è caratterizzata dalla presenza di classi, cioè di individui
collocati diversamente entro i rapporti di produzione.
In base alla loro diversa collocazione, le classi sviluppano interessi diversi, ed
entrano in conflitto tra di loro per stabilire il potere all’interno della società.
All’interno della società dominata dal modo di produzione capitalistico, per Marx
individua principalmente due classi i cui interessi sono antagonistici: quella della
“borghesia composta dai capitalisti, cioè i proprietari dei mezzi di produzione e
quella del proletariato composta dai lavoratori salariati, che non posseggono i mezzi
di produzione e vendono la loro forza-lavoro sul mercato del lavoro. Nell’analizzare
gli interessi delle due classi, Marx elabora una premessa di carattere generale, ossia
gli interessi nella maggior parte dei casi non si presentano nella loro forma bruta. Gli
interessi della borghesia sono supportati da un’ideologia che giustifica i rapporti
esistenti e presenta il capitalismo come il rappresentante degli interressi universali
dell’umanità, come il modo di produzione capace di generare un progresso i cui
benefici valgono per tutti. Gli interessi della classe proletaria sono raramente chiari
alla stessa classe operaia. Il passaggio della classe operaia dallo stato di incapacità di
riconoscere i propri interessi ad uno in cui li riconosce, organizzandosi di
conseguenza è il passaggio dalla “classe in sé” alla “classe per sé”ed è il passaggio in
cui la classe operaia acquisisce una propria conoscenza di classe. Tale passaggio non
si genera automaticamente, ma con le lotte che gli stessi operai intraprendono contro i
capitalisti. Alla luce di questo ragionamento, possiamo, quindi, integrare la nozione
di classe precedentemente data, con più completa, ossia che la classe, è un soggetto
collettivo capace di intraprendere azioni congruenti con i propri interessi.
LA TEORIA MARXIANA DEL MUTAMENTO
8
SOCIOLOGIA
L’oggetto specifico della riflessione di Marx è il movimento generale della società
capitalistica. La teoria Marxiana trova fondamento nel capitalismo o nella teoria
sociologica delle classi, tutti questi motivi uniti insieme, formano un’altra teoria che
mira ad identificare ragioni e direzioni del mutamento all’interno della società sorta
con la rivoluzione industriale. Prima di osservare ciò che, secondo Marx porta al
superamento della forma sociale del capitalismo, è importante osservare che il modo
di produzione capitalistico stesso è un sistema in grado di generare mutamento, anzi
sotto alcuni aspetti è il più potente generatore di mutamento sociale e materiale mai
apparso nella storia. La società moderna è una società dove la produzione si accresce
e genera innumerevoli, veloci e continui cambiamenti nella vita materiale.
L’elemento portante di questo processo, per Marx, sta nella ricerca di profitto da
parte del capitalista. L’interesse del capitalista è quello di massimizzare il suo
profitto, per cui se il suo interesse è quello di avere il massimo profitto, e se il suo
profitto in ultima analisi è generato dal pluslavoro degli operai, ne deriva che
l‘interesse del capitalista è aumentare il più possibile la quota di pluslavoro. Il
capitalista, per Marx, può ottenere questo obbiettivo in due modi: allungando la
giornata lavorativa dei lavoratori salariati, oppure rendendo il loro lavoro più
produttivo. Il primo modalità è quella seguita nelle prime fasi della rivoluzione
industriale, ma essa ha avuto opposizione non solo dai limiti fisiologici della
resistenza umana, ma anche con l’opposizione degli operai stesso che hanno lottato
per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro. La seconda è quella che ha dato
maggiori frutti. Essa consisteva nel rendere più produttivo il lavoro degli operai,
attraverso un’organizzazione del lavoro di fabbrica più efficiente e attraverso una
crescente introduzione di macchine.
Sul lungo periodo, questa strada porta in realtà, secondo Marx, a dei problemi,
indicati nella tesi “Caduta tendenziale del saggio di profitto” elaborata nel “Il
Capitale”. Tale caduta è dovuta alla crescente spesa per l’acquisto e la manutenzione
delle macchine e a quella decrescente dedicata all’acquisto della forza lavoro, la
quale è l’unica che produce valore. Nel breve periodo, agli occhi del capitalista,
l’introduzione di macchine che aumentano la produttività del lavoro degli operai
appare una strada estremamente redditizia. Essa consente di battere la concorrenza
producendo un numero maggiore di merci, o addirittura producendo merci di nuovo
tipo o di qualità superiore. Per cui, producendo più merci il capitalista può abbassarne
il prezzo e invadere nuovi mercati. Per conseguire il profitto, è alla costante ricerca di
innovazioni tecnologiche. Possiamo, quindi, ribadire il concetto che, per Marx, il
capitalismo è una forza rivoluzionaria senza precedenti, e il motore dei mutamenti
che esso spinge è dato dalla ricerca del profitto da parte del capitalista. Vi sono
tuttavia anche mutamenti di un altro genere che non quelli provocati dalla relazione
tra ricerca di profitto e innovazione tecnologica. Continuando ad accrescere il proprio
capitale quindi il proprio potere, i capitalisti, provocano un’altrettanta crescita della
classe operaia. Essa diviene sempre più numerosa e relativamente alla crescente
ricchezza dei capitalisti sempre più povera, però diviene sempre più consapevole
della propria forza e del proprio ruolo nella produzione. Tale consapevolezza, fa si
che la classe operaia si organizzi per rivoluzionare i rapporti sociali esistenti.
9
SOCIOLOGIA
L’obiettivo principale di tale rivoluzione è quello di fondare una società senza più
classi e senza proprietà privata, una società fondata sull’uguaglianza e sulla giustizia.
Il capitalismo ha generato anche delle contraddizioni, la principale è quella
rappresentata dalla classe operaia stessa, che cresce entro il capitalismo ma si pone
come suo antagonista. La risoluzione di tale contraddizione è quella di passare ad
un’altra forma di rapporti sociali che elimini lo sfruttamento, per Marx tale forma è il
“Comunismo”.
IL MARXSISMO DOPO MARX
Nel 1914, a Londra Marx e Engels con altri intellettuali e attivisti fondarono la prima
associazione internazionale dei lavoratori, attraverso questa associazione il Marxismo
divenne una dottrina capace di egemonizzare la maggior parte dei gruppi, dei partiti e
dei movimenti della classe operaia in Europa tanto che, verso la fine del XIX secolo
era considerato una delle principali teorie sociali disponibili. Dopo la sua morte si
sono sviluppate diverse interpretazioni sulle sue teorie. In Germania, soprattutto sotto
l’influenza di Kark Kautsky (1854-1938), il Marxismo fu concepito come una teoria
scientifica dell’evoluzione sociale, con significativi riferimento al Darwinismo. In
Russia, dove il Capitalismo era appena incominciato a svilupparsi e dove non c’era
un movimento operaio di massa, il Marxismo fu trasformato da Lenin (1870-1924) in
una dottrina più volontaristica: l’idea di una “avanguardia” della classe operaia che
avrebbe dovuto assumersi il compito di sviluppare la sua coscienza di classe divenne
l’elemento centrale della dottrina di quello che sarebbe diventato il Partito
Bolscevico. Il Revisionismo di Eduard Bernestein (1850-1932), criticò la tesi
secondo cui, la fine del Capitalismo sarebbe stata conseguente ad una sua crisi
economica generalizzata e mise in discussione l’idea marxiana della crescente
polarizzazione della società industriale fra borghesia e proletariato. Le critiche
revisionistiche diedero un forte impulso agli aspetti più propriamente sociologici del
Marxismo. Fu nel tentativo di contrastare queste critiche, che il cosiddetto AustroMarxismo, formulò una serie di interessanti ricerche empiriche sul nazionalismo, il
diritto, e soprattutto sulla fase imperialistica o monopolistica del Capitalismo. Lenin e
i Bolscevichi, con l’eccezione di Bucharin, prestarono poca attenzione alla ricerca
sociologica e risposero alle critiche, identificando il revisionismo come un
riformismo che tradiva gli interessi rivoluzionari della classe operaia. La loro
versione del Marxismo, era concentrata sulla creazione di un partito rivoluzionario
che doveva essere capace di guidare la classe operaia e i suoi alleati alla conquista del
potere. Nel 1917 la rivoluzione Russa portò al potere i Bolscevichi. Il Leninismo
divenne un’ideologia ufficiale che legittimava la dittatura del proletariato e che
acquistò grande influenza soprattutto con la costituzione della Terza Internazionale
nel 1919 con la fondazione dei partiti comunisti sul modello sovietico in altri paesi
europei. Il Partito socialdemocratico tedesco, che in Germania si ispirava ad una
versione del marxismo meno radicale di quella russa , veniva nel frattempo indebolito
dalla guerra e dalla sconfitta delle insurrezioni rivoluzionarie che si erano manifestate
in Germania e in Ungheria nel 1918-1919. Negli anni tra le due guerre , il marxismo
venne ad identificarsi nella cultura Europea come il marxismo sovietico. Le difficoltà
10
SOCIOLOGIA
di sviluppare una società ispirata ai principi del comunismo si combinarono in Russia
sin dall’inizio con la necessità di promuovere l’industrializzazione. Tutto ciò provocò
intensi dibattiti su la politica da attuare nel cosiddetto “periodo transitorio” verso il
comunismo; ma tali dibatti terminarono bruscamente negli anni trenta con la dittatura
di Stalin e la repressione di ogni critica interna, e l’imposizione
dell’industrializzazione e la coltivazione dell’agricoltura forzata. Infine, il marxismo
non era solo l’ideologia ufficiale dell’Unione Sovietica, esso divenne a partire dagli
anni venti la dottrina del Partito comunista cinese; dopo una lunga lotta la Cina
divenne nel 1945 una Repubblica Popolare.
11
SOCIOLOGIA
EMILE DURKHEIM
INTRODUZIONE
Gli anni fra il 1890 e il 1910 sono gli anni della prima istituzionalizzazione della
sociologia in quanto disciplina accademica e ancora in questi anni che si assiste ad un
tentativo parallelo, da parte di studiosi, di dare un fondamento teorico e metodologico
alla sociologia in quanto tale. Il principale di questi studiosi è certamente Emile
Durkheim. Il suo programma è quello di fondare la sociologia e in tale programma,
egli si ricollega ai progetti di Comte e di Spencer. Emile Durkheim nacque a Epinal,
in lorena, nel 1858. Nel 1887 cominciò ad insegnare sociologia all’università di
Bordeaux, fu uno dei primi a fondare, 1896, una rivista esclusivamente dedicata alla
raccolta degli studi sociologici: L’Année sociologique. Emile Durkheim, ha
esercitato un’influenza profondissima sulla sociologia del novecento e su diverse
altre scienze dell’uomo. La prima opera importante di Emile Durkheim è La
divisione del lavoro sociale, pubblicata nel 1893, nel 1895 pubblicò Le regole del
metodo sociologico e nel 1897 Il suicidio. Nel 1912 uscì l’ultimo dei suoi lavori più
importanti, Le forme elementari della vita religiosa. Morì nel 1917. Il problema di
fondo del pensiero di Emile Durkheim, è il problema dell’ordine, ovvero quello della
coesione di una società e della sua riproduzione nel tempo. Il problema scientifico
principale consiste nel rispondere alla domanda: che cosa tiene insieme un società? la
risposta è: La Morale. Per Emile Durkheim, il sentimento morale è ciò che unisce
ciascuno dei membri di un insieme sociale alla società stessa. Realizzandosi in una
solidarietà dei membri della società fra di loro, esso consente la vita in comune. La
società è propriamente un ordine morale. L’impostazione generale del pensiero di
Emile Durkheim risente dell’influenza di Spencer, per quanto concerne
l’evoluzionismo e l’organicismo di quest’ultimo. Rispetto a Spencer, Emile
Durkheim ribalta la prospettiva per ciò che riguarda i rapporti dei singoli con la
società: mentre per Spencer la società si basa in ultima analisi su di una sorta di
contratto che gli uomini istituiscono fra loro, per il perseguimento dei propri utili
(una visione detta Utilitarismo), per Emile Durkheim, la società non deriva da un
contratto fra uomini separati, essa è piuttosto ciò che precede e rende possibile ogni
contratto, quindi il comportamento di ciascun uomo non è mai del tutto comprensibile
se non come espressione del suo relazionarsi in un insieme sociale.
MORALE, NORME E FATTI SOCIALI
Una morale è un insieme di norme alle quali ciascun membro della società è
vincolato. Tali norme agiscono sia dall’esterno che dall’interno; dall’esterno, nel
senso che infrangere una norma provoca una sanzione, dall’interno, nel senso che
l’individuo avverte, come da entro di se, una spinta a rispettarla. L’appartenenza ad
una morale comune è ciò che lega fra di loro i membri di una società e il modo
principale con cui le norme morale si impongono in una società è il loro
istituzionalizzarsi nelle forme di un insieme di credenze religiose, rese sacre dalla
loro iscrizione entro un insieme di riti, a tal proposito si possono prendere come
esempio i contenuti dei Dieci Comandamenti biblici, infatti in essi si esprime in
12
SOCIOLOGIA
forma di rilevazione divina un insieme di norme morali che sono state tra l’altro
incorporate nella religione cristiana, e sono tuttora parte della morale della nostra
cultura. A tal proposito ci si chiede cosa sono le norme dal punto di vista della
sociologia e conseguentemente come affrontarne lo studio? Per Durkheim le norme
rappresentano dei fatti sociali, ossia fenomeni che non si possono spiegare ricorrendo
alla sola analisi delle azioni dei singoli o all’analisi psicologica delle loro
motivazioni, ma sono qualcosa che si presenta in media o normalmente all’interno di
una società: tuttavia non è il carattere di media che li definisce ma ciò che li definisce
e che essi si impongono ai singoli come qualcosa che proviene al di fuori e
contemporaneamente li attraversano nel nei loro modi di sentire, di pensare e di
comportarsi. I fatti sociali esistono nella misura in cui esistono gli uomini e sono
frutto della loro interazione e sono propriamente l’espressione della vita della società.
Per fare un esempio, si pensi al linguaggio che certamente non è creato da nessun
individuo preso isolatamente: è linguaggio proprio in quanto è qualcosa di
intersoggettivo, un modo di fare consolidato cioè il risultato dell’interazione di
innumerevoli uomini in un tempo lunghissimo frutto della loro volontà di
comunicare.
UN APPROCIO FUNZIONALISTA
La società per Durkheim è una realtà sui generis, superiore alla vita dei suoi membri.
Così come un corpo di un uomo non è la semplice somma dei suoi organi, ma
qualcosa di più, cioè l’insieme funzionante di questi organi come unità, allo stesso
modo per Durkheim la società è più della somma degli individui che la compongono,
è un’unità di livello superiore dotata di una vita propria. A tal proposito viene
utilizzata una metafora organicista, nel senso che viene descritta come un organismo,
dotato di una serie di organi che si integrano e cooperano tra loro. Da qui deriva una
caratteristica rilevante del pensiero di Durkheim che, appunto, consiste nel spiegare
ogni elemento di una società tentando di riconoscere quali funzioni tale elemento
svolga all’interno della società stessa. Per esempio la funzione della religione in una
società è quella di sacralizzare e codificare le norme morali, la funzione
dell’economia è quella di provvedere al sostentamento della vita materiale e cosi via.
Una spiegazione funzionalista è una spiegazione di un fenomeno sociale sulla base
della funzione che esso svolge all’interno di una società. In realtà Durkheim non
ritiene che la spiegazione funzionalista sia l’unica, al contrario, ritiene che sia
possibile solo dopo che siano stati esaminati che legano il fenomeno considerato ad
altri fenomeni precedenti nel tempo. Tuttavia non bisogna confondere l’idea che
Durkheim ha di funzione con l’idea che ogni fenomeno sociale debba
necessariamente coincidere con qualche fine prestabilito. Un esempio tipico è dato
dalla sua trattazione sulla devianza, un termine sociologico che intende l’esistenza dei
comportamenti che discostano dalla norma per esempio il crimine.
SOLIDARIETA’ MECCANICA E SOLIDARIETA’ ORGANICA
Per Durkheim non esiste tanto la società in generale, quanto la diversi tipi di società.
In “La divisione del lavoro sociale” Durkheim parla di un’evoluzione delle società
13
SOCIOLOGIA
umane come un movimento da un tipo di società ad un altro. Il primo tipo di società e
la società semplice, cioè quella basata su di una bassa divisione del lavoro, nel senso
che gli individui che vi appartengono svolgono attività poco differenziate tra loro. Il
secondo tipo di società è detta complessa, quella che corrisponde alle nazioni
moderne. Qui la società è fondata su un’ampia e articolata divisione del lavoro. Ciò
che interessa e che in questi due tipi di società la morale si presenta in forme diverse,
cioè è diverso il modo in cui si stabilisce la solidarietà che tiene insieme i membri
della società. Quindi nella terminologia Durkheimiana, le società semplici sono
caratterizzate da una solidarietà meccanica, ossia quella solidarietà che si presenta tra
individui strettamente uniti da vincoli quotidiani le cui attività si diversificano poco.
Nelle società complesse invece la solidarietà si dice organica. Essa stabilisce legami
tra individui che hanno tra loro grandi differenze, ma che pur tuttavia devono
cooperare tra loro per la vita dell’insieme sociale da cui dipendono. Da qui deriva che
nelle società semplici dotate di solidarietà meccanica, le coscienze degli individui
proprio per la scarsa diversità delle loro mansioni, e per la forza dei vincoli materiali
che li uniscono, tendono a differenziarsi scarsamente.
Nelle società complesse le mansioni dei singoli si differenziano ponendo le basi per
una diversificazione dei contenuti delle coscienze
L’ANOMIA
Bisogna dire però, che proprio nelle società complesse si accentua il rischio
dell’anomia ossia l’assenza di norme morali condivise in altre parole la carenza nella
capacità della società di vincolare a sé i suoi membri di garantire la loro adesione ad
un medesimo e condiviso ordine di valori. Per esempio i conflitti fra la classe operaia
e borghesia appaiono manifestazioni di anomia. La cura dell’anomia che Durkheim
intravede per le società complesse è quella del corporativismo che consiste nello
sviluppo di associazioni intermedie tra i singoli e la società basate sull’associazione
professionale o meglio ancora in potenziamento dei processi educativi.
LA RICERCA SUL SUICIDIO
Il suicidio è qualcosa che riguarda esclusivamente e drammaticamente un singolo
individuo. Tuttavia, proprio da questo fatto così personale, nasce la prima
dimostrazione empirica della validità della impostazione della sociologia di
Durkheim. L’opera di Durkheim è tesa a dimostrare che l’individuo isolato non esiste
e che gran parte di ciò che pensiamo come caratteristico dell’essere individuale è
riconducibile all’influenza della società. Il suicidio appare in questo contesto in netto
contrasto con la coesione sociale che Durkheim postula a fondamento del vivere
umano. Ciò che Durkheim intende dimostrare e che almeno in parte il gesto estremo
del suicidio dipende non da un fattore soggettivo ma da cause di ordine sociologico.
L’oggetto della ricerca di Durkheim non è il suicidio dei singoli individui, ma il tasso
di suicidi che si riscontra in una data società. Secondo Durkheim la regolarità di
questi tassi ha la sua ragion d’essere in un insieme di spiegazioni di ordine sociale e
più precisamente in relazione con il grado di integrazione sociale che una data società
consente. Nel dimostrare tutto ciò, Durkheim ha fornito alla sociologia il primo
14
SOCIOLOGIA
esempio di ricerca basato sul metodo empirico che si basa sull’uso metodico di dati
statistici, discussi e interpretati alla luce di una teoria di integrazione sociale. Prima di
proporre le spiegazioni relative agli andamenti dei tassi di suicidio, affronta la tesi
secondo la quale i numero di suicidi sarebbe da imputare a fattori climatici. Tale tesi
non entra nel merito della psicologia individuale ma mette a confronto i numeri di
suicidi presenti in diversi paesi in diverse stagioni dell’anno, e mostra che la
variazione del clima non corrisponde ad un aumento o ad una diminuzione del
numero dei suicidi. Per cui se non vi è relazione tra le variazioni del clima e il variare
del numero dei suicidi, non è possibile spiegare il numero dei suicidi con l’influenza
del clima. Osservando le statistiche dei diversi paesi europei, Durkheim giunge ad
una rilevazione di una correlazione positiva. Egli osserva che i membri delle
confessioni protestanti presentano al loro interno un tasso di suicidio maggiore di
quello presente fra i membri di altre confessioni. Poiché tale proporzione rimane
sempre costante, si considera che l’appartenenza religiosa abbia qualche connessione
con la tendenza al suicidio. Una possibile spiegazione e data secondo Durkheim dal
minor grado di integrazione sociale che la religione protestante fornisce ai suoi
membri rispetto a quella fornita da altre confessioni. Il tipo di suicidio che appare
correlato all’influenza delle condizioni religiose del protestantesimo è denominato
suicidio egoistico, il termine egoistico ha a che fare con un forte sviluppo dell’ego
ossia con l’enfasi della cultura protestante sulla liberta e la solitudine del singolo
soggetto di fronte alle proprie scelte di fondo. Un altro elemento che secondo
Durkheim correlato con la tendenza al suicidio è l’andamento dell’economia. Infatti il
numero dei suicidi nei diversi paesi europei è particolarmente alto negli anni i cui
l’economia appare in crisi. Ma Durkheim dimostra che il numero dei suicidi non
cresce solo quando una crisi economica comporta miseria, ma anche quando la crisi è
di tipo positivo, comporta cioè, bruschi balzi di benessere. Tale crisi, quindi crea
un’incertezza rispetto all’aspettativa di vita. Incertezza che Durkheim chi anomia per
cui il tipo di suicidio connesse a queste cause è detto anomico. Sia il suicidio
egoistico che quello anomico sono uniti da un’unica spiegazione che è quella
dell’integrazione sociale. Vi è un terzo tipo di suicidio che è detto altruistico. A
differenza degli altri due il suicidio altruistico è espressione di una fortissima
coesione sociale, un esempio è dato dal sacrificio di una milite per la sua patria.
I DURKHEIMIANI
Attorno alla rivista “L’Année Sociologique” Durkheim raccolse numerosi
collaboratori che continuarono la sua opera anche dopo la sua morte. Fra i
collaboratori più noti ricordiamo Henri Hubert, Francois Simiand, Maurice
Halbwachs e Marcel Mauss. In molte opere Halbwachs articolò il pensiero di
Durkheim sviluppando un’attenzione alle forme concrete delle società
contemporanee, in particolare assumono importanza rilevante i suoi lavori sulle classi
e sulla loro “psicologia collettiva” e quelli sulla morfologia sociale. Tuttavia la fama
di Halbwachs è legata alle sue ricerche sulla memoria collettiva. Halbwachs osserva
che la memoria è un elemento costitutivo dell’identità di ogni gruppo, e dunque un
fattore della sua coesione. E osserva inoltre che le immagini del passato che la
15
SOCIOLOGIA
memoria conserva non sono fotogrammi statici ma ricostruzioni e interpretazioni del
passato.
GEORG SIMMEL
INTRODUZIONE
Georg Simmel nacque a Berlino nel 1858, e morì Strasburgo nel 1918. Non scrisse
solo opere di sociologia ma anche e soprattutto di filosofia e di estetica, le opere
dedicate a temi sociologici sono: “La Differenziazione Sociale, Filosofia del Denaro,
Sociologia e Problemi Fondamentali della Sociologia”. Simmel ebbe una carriera
molto controversa nell’università tedesca, tuttavia fu per tutta la vita un insegnante
molto noto ed enormemente ascoltato. Generazioni di studiosi si sono angustiati sul
problema se Simmel sia stato un sociologo o un filosofo. In realtà egli si ritenne un
filosofo, ma per un lungo periodo della sua vita si dedicò al progetto fondare la
sociologia come branca autonoma del sapere. Oggi Simmel è considerato forse il più
contemporaneo degli autori classici. La sua sociologia ha come oggetto l’interazione
sociale ed è antipositivista, asistematica e molto autoconsapevole rispetto alle
premesse epistemologiche che la sorreggono.
SOCIETA’ E SOCIOLOGIA NEL PENSIERO DI SIMMEL
Per fondare la sociologia come branca autonoma del sapere, il primo passo affrontato
da Simmel è stato quello di definire l’oggetto e l’oggetto della sociologia è la società.
Per certi versi, Simmel scrive che la società non esiste, egli osserva che il pensiero
umano opera sempre per astrazioni, ciascuna delle quali è corrispettiva ad un certo
punto di vista, o ad una certa distanza dall’oggetto su cui riflette: lo stesso individuo è
a guardare da molto vicino, è composto di arti e di organi o, se lo si osserva dal
microscopio, è composto di cellule. Cos’è che fa si che lo percepiamo come un’unità?
La risposta è: una certa prospettiva, una certa distanza dallo sguardo. Noi assumiamo
che l’individuo rappresenti un’unità: il che è corretto da un punto di vista, ma lo
sarebbe se lo osservassimo da una distanza diversa da quella usuale. Quindi la società
è un oggetto del pensiero che emerge considerando insiemi di individui da una certa
distanza. Ciò non significa che la società non esista, al contrario proprio la
prospettiva che ce la rende visibile permette di osservare una realtà fondamentale, e
cioè che gli uomini stanno fra loro in relazioni di reciprocità, cioè agiscono gli uni
sugli altri. Il concetto di effetto di reciprocità è il concetto fondamentale del pensiero
di Simmel. Oggetto della sociologia sono dunque le forme di relazioni di influenza
reciproca che sussistono tra gli uomini, quindi la società come oggetto emerge solo e
nella misura in cui più individui entrano in azione reciproca. Alla nozione di
reciprocità va affiancato il secondo concetto fondamentale della sociologia di
Simmel: quello di sociazione. La sociazione è il processo attraverso cui una forma di
azioni reciproche si consolida nel tempo. La sociologia per Simmel è una scienza
formale che si occupa di descrivere le forme che le relazioni di reciprocità assumono
in situazioni e in tempi differenti.
16
SOCIOLOGIA
LE FORME E LA VITA
Nei saggi che compongono “La Sociologia” Simmel dichiara di volersi concentrare
sulla forma delle relaziono e dei processi sociali in un modo che prescinda dai loro
contenuti. L’analisi di determinazioni effettivamente formali è evidente nelle pagine
in si occupa degli effetti del numero dei membri di un gruppo. Oltre a questo nucleo
di analisi Simmel si è occupato delle forme che le interazioni assumono all’interno
delle costellazioni storiche e culturali determinate. La nozione di forma ha un ruolo
molto complesso nel pensiero di Simmel è decisivo il riconoscimento del fatto che la
vita è sia un fluire incessante, sia una produzione di forme in cui questo fluire si fissa.
Si tratta di forme di relazioni, istituzioni, simboli, prodotti della vita artistica: la
cultura insomma sia nel suo aspetto materiale che in quello linguistico ed espressivo.
In ciascuna di queste manifestazioni la vita si esprime ma, per così dire si rapprende:
la loro oggettività, prodotto della vita, si contrappone al carattere fluido della vita
stessa. Il mutamento culturale, è il prodotto di questa tensione.
METROTROPOLI, DENARO E INTELLETTUALIZZAZIONE DELLA VITA
Simmel nel momento in cui descrive la modernità, ne intende la crisi; la nozione
stessa della modernità è, nel pensiero filosofico e sociale tedesco, espressione
dell’autocoscienza della crisi della cultura europea. La modernità è infatti
essenzialmente crisi permanente non solo e non tanto perché si radica in processi che
sconvolgono progressivamente tutti gli ordini sociali tradizionali, ma perché il
mutamento in se stesso è il suo principio. La modernità è flusso e instabilità di ogni
forma, e la cultura che, alla fine dell’ottocento, ne elabora il concetto è la cultura che
tenta infine di venire a patti con il mutamento perpetuo ma che, si rende anche conto
del fatto che il mutamento stesso nega la stabilità dei concetti con cui essa tenta di
venire a capo o di comprenderlo. L’epoca del fortuito, del volatile e del transitorio
come fu descritta da charles Baudelaire, è tuttavia una formazione storica. E come
ogni formazione storica ha i suoi tratti distintivi, la specifica “costellazione di
fenomeni, tendenze e atteggiamenti degli individui in cui si realizza si offre alla
percezione. L’analisi di questa costellazione è l’oggetto di “La filosofia del denaro”.
Il punto di vista da cui si muove l’analisi, è fornito dal compito di indagare i
movimenti con cui la personalità si adegua alle forze ad essa esterne, cioè si tratta di
indagare le forme delle esperienza moderna, che per Simmel coincide essenzialmente
con l’esperienza metropolitana. La prima caratteristica di questa esperienza consiste
nell’intensificazione della vita nervosa e nel corrispondente intellettualismo della
coscienza. Per comprendere il linguaggio di Simmel bisogna ricordare che nel suo
lessico “intelletto” è un termine più specifico di quanto non sia in italiano.
L’intelletto è distinto dalla ragione: mentre la seconda è un principio che dà ordine
alle conoscenze empiriche in base a domande che riguardano il loro senso, l’intelletto
è una facoltà essenzialmente logico-combinatoria, orientata alla calcolabilità. In
questa accezione è la più superficiale e la più adattabile delle nostre facoltà. La sua
ipertrofia – che per Simmel è tipica della modernità – corrisponde oltre
all’intensificazione della vita nervosa anche allo sviluppo di un atteggiamento
17
SOCIOLOGIA
strumentale e calcolistico tanto nei confronti delle relazioni fra le persone tanto nei
confronti della vita in generale. Essendo orientato al calcolo, l’intelletto tende a
prescindere dalle differenze qualitative tra i fenomeni, e a rifuggire ogni giudizio di
valore. Ma allo stesso atteggiamento conduce lo sviluppo dell’economia monetaria,
di cui la metropoli è la sede privilegiata. Il secondo punto dell’argomentazione di
Simmel riguarda così la corrispondenza tra le tendenze intellettualistiche della vita e
dell’esperienza metropolitana e i caratteri tipici dell’economia monetaria. Come
l’intelletto, anche il denaro è essenzialmente indifferente alla qualità dei beni di cui
permette lo scambio. Il denaro è l’equivalente universale: quanto più esso si
generalizza come medium di tutti gli scambi, tanto più la sensibilità verso il valore
qualitativamente dissimile delle cose si attenua. La personalità dell’uomo blasè – il
cittadino disincantato – è considerata da Simmel uno dei prodotti emblematici di
questa costellazione di forze che spingono verso l’indifferenza nei confronti di tutta
la varietà qualitativa delle cose. Lo sviluppo della metropoli, l’intellettualizzazione
della vita e la diffusione del denaro si combinano dunque nel generare una forma di
esperienza peculiare alla modernità. Complessivamente, tendono a produrre un
sistema di relazioni sociali contraddistinte da un notevole grado anonimità. Un altro
motivo importante del saggio sulle metropoli riguarda il rapporto tra la
differenziazione sociale e l’aumento della libertà dell’individuo. Tanto più stretta,
poco numerosa e indifferenziata al suo interno è un cerchia sociale, tanto meno
individualizzati sono i contenuti della coscienza di ciascuno dei sui membri. Quanto
più, al contrario, la cerchia si allarga, tanto più il singolo ha la possibilità di
sviluppare il senso della propria autonomia e della propria unicità. Poiché la
metropoli è il luogo della massima concentrazione e della massima differenziazione
sociale, è dunque la sede dell’individualità per eccellenza, il luogo dove è massima la
libertà di movimento e di espressione del singolo. In generale, il contraltare della
libertà dell’uomo moderno è la crescente dipendenza di ciascuno da un mondo di
istituzioni, tecniche ed apparati che lo sovrasta. Nelle pagine finali del saggio questo
motivo è espresso nei termini di una crescente divaricazione tra i contenuti dello
spirito oggettivo e quelli dello spirito soggettivo. Lo spirito oggettivo è la cultura
oggettivata nei prodotti dell’uomo. Lo spirito soggettivo si manifesta viceversa nella
cultura di un soggetto.
ANCORA A PROPOSITO DELL’INDIVIDUO
Diversamente da Durkheim, Simmel non tende a porre la sociologia al di sopra delle
altre scienze dell’uomo, ma si limita a definirne la specificità. Egli non ritiene che
l’oggetto della sociologia cioè la società sia intrinsecamente superiore all’individuo.
Quindi per lui, società e individuo esistono parimenti: è la diversità dello sguardo di
chi osserva che mostra ora gli uni, ora l’altra. Ciò non toglie che tra società e
individuo esistono delle tensioni. Da un lato la società tende ad imporsi al singolo
pretendendo che svolga compiti in coordinamento con gli altri per la sopravvivenza
della società stessa nel suo insieme. In questo senso vincola la libertà individuale.
Dall’altro lato, l’individuo può ritenere che il suo compito non sia quello di cooperare
alla sopravvivenza della società, ma quello di realizzare obbiettivi strettamente
18
SOCIOLOGIA
individuali. Tale contrasto astratto si realizza in forme diverse nel corso della storia,
anzi si realizza in modo esplicito e generalizzato solo nell’epoca moderna: è proprio
in questa epoca che nasce un orientamento etico che tende a sovradimensionare più
che mai la libertà essenziale di ogni individuo. Per lo sviluppo di questa tematica
Simmel si rifà all’opera dello storico tedesco Burckhardt, il quale aveva sottolineato i
rapporti che esistono tra l’affermarsi nella cultura europea del concetto di individuo
ed il rinascimento italiano, inteso come uno dei momenti fondanti dello sviluppo
della cultura moderna. Simmel osserva che il concetto di individuo ha dei significati
differenti, ad esempio nella cultura europea del settecento e in quella del secolo
successivo. Ossia, nella cultura settecentesca parlare di individui significò soprattutto
affermare il principio dell’uguaglianza naturale di tutti gli uomini. Si trattava di
un’istanza critica nei confronti della cultura feudale e aristocratica che al contrario
tendeva a rimarcare le differenze tra gli uomini. La cultura dell’illuminismo si
opponeva a questa impostazione e affermava che gli uomini essendo per natura
uguali hanno medesimi diritti e doveri. Nell’corso dell’ottocento, si fa strada un altro
contenuto, cioè l’idea che gli uomini siano sì, dal punto di vista del diritto tutti uguali,
ma per quanto concerne la loro interiorità siano dissimili. A tale idea si affianca
quella secondo cui il compito etico di ciascuno consiste esattamente nel portare a
compimento, cioè nel realizzare la propria unicità.
LA MODA
Secondo Simmel, nella moda si esprime in modo perfetto la compenetrazione in un
fenomeno unico di due spinte contraddittorie: la distinzione da un lato e l’imitazione
dall’altro. La prima tendenza esprime l’esigenza di differenziarsi, di affermare la
nostra singolarità rispetto agli altri, la seconda esprime il bisogno di affermare la
nostra partecipazione ad una cerchia sociale che riconosciamo autorevole in fatto di
stile. La moda consiste in un processo di mobilità sociale apparente: imitando la
moda chi è più in basso nella scala della società può far mostra di appartenervi.
19
SOCIOLOGIA
MAX WEBER
INTRODUZIONE
Max Weber nacque a Erfurt nel 1964 e morì a Monaco nel 1920. Figlio di un giurista
e deputato, fu membro di una famiglia dell’alta borghesia tedesca, e per tutta la vita
intrattenne rapporti con molti dei principali uomini politici ed intellettuali del suo
tempo. Nel 1891 iniziò la sua carriera accademica, dapprima come docente di
economia politica, infatti la sua formazione è centrale nel suo pensiero. Negli anni a
cavallo del 1900 partecipò alla formazione della rivista “Archivio delle Scienze
Sociali e la Scienza Politica” e alla fondazione dell’Associazione tedesca di
sociologia. Tra il 1906 e il 1917 pubblicò gli studi della sua Sociologia delle
Religioni, la sua opera più nota “Economia e Società fu invece pubblicata due anni
dopo la sua morte da sua moglie e dal collega J. Winckelmann.
Max Weber è una personalità complessa, la sua partecipazione agli eventi politici fu
sempre estremamente intensa, al punto che più volte considerò l’idea di dedicarsi
all’attività politica in prima persona, per poi rinunciarvi. Durante la prima guerra
mondiale, svolse dapprima il ruolo di ufficiale in un gruppo di ospedali, più tardi
partecipò a numerose missioni diplomatiche, come quella che a Versailles in qualità
di esperto in questioni economiche della delegazione tedesca, furono patteggiate le
condizioni della pace del 1918.
La vastità della cultura di Weber nella storia del pensiero sociologico fu enorme. I
suoi studi teorici riguardano essenzialmente tre campi d’indagine: metodologico,
storico-comparativo e sistematico. In altre parole Weber si occupò di tre questioni:
1. Il problema del metodo delle scienze sociali (in particolare della sociologia) e
dei rapporti tra sapere scientifico e giudizi di valore;
2. Il problema della genesi, della specificità e del destino della civiltà occidentale
moderna.
3. Il problema di una definizione sistematica e coerente dei concetti della
sociologia.
LA SOCIOLOGIA COME SCIENZA COMPRENDENTE
Weber definisce la sociologia nella prima pagina di “Economia e Società”come: una
scienza che si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l’agire
sociale, e quindi spiegarlo casualmente nel suo corso e nei suoi effetti. Quindi per
Weber la sociologia è una scienza comprendente, una scienza il cui primo obbiettivo
è comprendere l’agire sociale. Comprendere un’azione per Weber significa
intenderne il senso, cioè interpretare il significato che quella azione ha agli occhi di
chi la compie. La possibilità che si dia comprensione le scienze umane da quelle
naturali. Questo punto è fondamentale perché segna una netta separazione
dell’impostazione del pensiero che ha caratterizzato i primi illuministi fino a
Durkheim che vedevano come modello scientifico per eccellenza quello delle scienze
naturali. Per Weber questa impostazione è errata per un motivo molto semplice, cioè
nelle scienze naturali i fenomeni non vengono posti in essere da soggetti che danno
20
SOCIOLOGIA
loro un significato, mentre nelle scienze dell’uomo, lo scienziato ha a che fare con
fenomeni posti in essere da soggetti i quali attribuiscono loro un significato.
Le origini della differenziazione tra scienze naturali e scienze dell’uomo affondano
nel dibattito sui metodi delle diverse discipline scientifiche che ebbe luogo in
Germania negli ultimi decenni dell’ottocento. Riallacciandosi a questa tradizione,
Weber intende tutte le scienze sociali comprendenti, scienze che hanno per oggetto
l’agire in quanto comportamento dotato di significato. Vi sono tuttavia delle
differenze tra le diverse discipline scientifiche. Per esempio, la storia si occupa della
singolarità degli eventi: essa intende comprendere fatti che si sono verificati una volta
sola, e non si interessa alla regolarità con cui si manifestano i fenomeni. La
sociologia al contrario è un a scienza orientata alla generalità: essa intende studiare le
azione sociali degli uomini in quello che esse hanno di tipico, cioè di ricorrente in più
casi. La costruzione di tipi ideali, è lo strumento principale della sociologia in questa
direzione. La sociologia si propone in primo luogo di comprendere l’agire, in
secondo luogo si preoccupa di spiegare casualmente l’agire, ossia rintracciare un
fenomeno che sia precedente nel tempo a quello che si intende spiegare, e rispetto a
cui ciò che vogliamo spiegare sia logicamente un effetto che ne dipende. In poche
parole significa individuare una causa. L’idea di Weber è che una spiegazione causale
perfettamente esaustiva per i fenomeni umani non sia mai rintracciabile. La
molteplicità dei fattori che si combinano nel produrre ogni fenomeno del mondo
umano e sociale è tale che una definitiva spiegazione causale è impossibile. Quindi
spiegare casualmente un fenomeno umani per Weber significa: cercare pazientemente
di rintracciare, per i fenomeni che si intende spiegare, le condizioni che sono sempre
presenti quando essi si manifestano. Per questo motivo, piuttosto che parlare di cause,
in tutti i suoi lavori in cui si occupa dei concreti problemi sociali, Weber preferisce
parlare di condizioni, o di influenze o di insiemi di fattori.
IL CONCETTO DI IDEALTIPO E I FONDAMENTI DELL’AGIRE SOCIALE
La sociologia è una scienza che si occupa dell’agire degli uomini ed in particolare
dell’agire sociale. Non tutte le forme di agire per Weber sono sociali; è sociale
quell’agire che è orientato all’atteggiamento degli altri. L’agire sociale può essere di
diversi tipi. Weber parla di idealtipi o tipi ideali, ossia la costruzione del pensiero,
cioè lo strumento conoscitivo di cui lo scienziato sociale si dota per comprendere il
senso delle azioni. Il senso che ciascun soggetto attribuisce alle proprie azioni è
differente caso per caso è la sociologia tende generalizzare. Il tipo ideale è lo
strumento di questo processo di generalizzazione. Il concetto di tipo ideale ricorre in
tutta l’opera di Weber. Alcuni autori hanno rilevato che vi sono diverse specie di tipi
ideali in Weber. Ad un primo livello sono tipi ideali determinate formazioni storiche
colte nella loro individualità. Ad un secondo livello sono tipi ideali concetti come
burocrazia, tipi di poteri carismatici, tradizionale e legal-razionale. Ad un livello
ancora più astratto, vi sono tipi ideali come i tipi di azione sociale. Weber distingue
quattro tipi di azione sociale:
1. Agire razionale rispetto allo scopo;
2. Agire razionale rispetto al valore;
21
SOCIOLOGIA
3. Agire affettivo;
4. Agire tradizionale.
Ognuno di questi tipi di agire corrisponde ad un diverso tipo di senso che l’azione ha
per il soggetto che la compie. L’agire razionale rispetto allo scopo, è il tipo di agire
nel quale il soggetto agisce per raggiungere un fine (es. l’agire di un imprenditore che
vuole ottenere un profitto). L’agire razionale rispetto al valore, è un tipo di agire che
è orientato dalla convinzione nell’incondizionato valore in se di un comportamento in
quanto tale, a prescindere dalle conseguenze di tale comportamento. Tale valore può
essere attribuito ad un comportamento etico, religioso ecc. (es. l’agire di un martire
che decide di sacrificarsi per la sua fese). L’agire affettivo è l’agire il cui senso è
legato ad un particolare affetto o stato d’animo del soggetto. L’agire tradizionale è
l’agire dettato da una abitudine acquisita.
IL CONCETTO DI CAPITALISMO
Dal punto di vista della sua organizzazione economica, la società occidentale
moderna ha il suo perno nel capitalismo. Per capire cos’è per Weber il capitalismo,
partiamo dalla definizione dell’agire economico di tipo capitalistico. Un atto
economico capitalistico è per Weber, un atto che si basa sull’aspettativa di guadagno
derivante dallo sfruttare abilmente le congiunture dello scambio. Quindi l’agire
economico o capitalistico è un agire orientato all’aumento costante del capitale, ne
deriva che il capitalismo è un sistema economico al cui interno i soggetti agiscono al
fine di conseguire un guadagno in modo formalmente pacifico utilizzando le
congiunture dello scambio. Il tipico soggetto di questo sistema è il proprietario
dell’impresa capitalistica che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo mediante il
conseguimento rinnovato di profitti che di norma vengono reinvestiti per procurare
nuovo profitto. Inoltre per definire il capitalismo occidentale modero è necessario
un’altra caratteristica, ossia l’organizzazione razionale del lavoro formalmente libero,
cioè l’utilizzo di lavoratori salariati, per lo svolgimento delle attività dell’impresa.
In tale definizione rispetto a quella richiamata da Marx è assente il tema dello
sfruttamento, perché la definizione di Weber non si basa sulle caratteristiche dei
rapporti di produzione, ma su in insieme di caratteristiche che riguardano il senso
dell’agire capitalistico e le condizioni storiche in cui tale agire si dispiega. Inoltre
nella definizione di Weber compare un altro concetto che in quella di Marx non era
presente ossia il riferimento al carattere razionale dell’agire capitalistico, cioè alla
razionalità formale del calcolo economico che vi è alla base e alla organizzazione
razionale del lavoro. Poiché il capitalismo potesse svilupparsi, sono stati necessari
numerosi fattori storici, Weber nella sua opera richiama soprattutto:
 la disponibilità di lavoro formalmente libero;
 lo sviluppo di mercati aperti;
 la separazione tra famiglia ed impresa.
LO SPIRITO DEL CAPITALISMO E LE SUE ORIGINI NELL’ETICA
PROTESTANTE
22
SOCIOLOGIA
Definito il capitalismo, il problema è: quali sono le condizioni che hanno
determinato il suo sorgere. Per Weber non esiste solo una causa, ma bensì una
serie di fattori, il principale di questi è la peculiare attitudine razionalistica che
caratterizza la civiltà moderna. Il punto è individuare le origini della capacità e
della disposizione degli uomini dell’occidente moderno a sviluppare in modo
particolare delle forme di condotta pratico-razionale, nella vita. Queste sono alla
base dell’agire economico di tipo capitalistico, quell’agire che calcola in vista di
uno scopo, il guadagno, e tende a sottovalutare il concreto godimento di quanto
viene prodotto. Il saggio “L’etica protestante” e “Lo spirito del capitalismo” e
teso a definire le origini di tale disposizione culturale. Che per Weber andrà
cercata all’interno delle forme specifiche della cultura europea nei secoli che
stanno all’inizio dell’età moderna, cioè in forme religiose, ed in particolare
attraverso l’avvento del protestantesimo che si assestò a partire dal cinquecento in
tutta l’Europa settentrionale e che vide quella in quella calvinista la versione più
rilevante. Weber rileva che il protestantesimo si differenzia dal cattolicesimo per
un’enfasi particolare sulla vita mondana. Il frutto dell’opera di Lutero nel campo
etico fu la caduta della sopravalutazione dei doveri ascetici in confronto a quelli
profani. E proprio sulla base della rivalutazione dei compiti mondani che si
instaura il concetto di “Beruf” che significa simultaneamente professione e
vocazione. Ossia in tale concetto i protestanti hanno indicato il carattere sacro dei
compiti professionali di ciascuno. Inoltre, vi è un’altra caratteristica della dottrina
protestante che ha grande rilevanza. Si tratta della concezione dell’assoluta
imperscrutabilità del valore divino, e la sua totale indipendenza dalle azioni degli
uomini che nella versione calvinista, questa enfasi dell’assoluta libertà di Dio
sugli uomini si tramuta nel dogma della predestinazione delle anime. Solo Dio ha
il potere di salvare o di perdere per l’eternità. Questo dogma ha delle
conseguenze psicologiche rilevanti. Il singolo credente non ha alcun potere sulla
propria salvazione. Per cui il compimento con successo del proprio dovere
professionale viene a costituirsi in questo quadro come una risposta alla pressione
psicologica prodotta dalla dottrina della predestinazione. La condotta di vita che
emerge dall’insieme di tali atteggiamenti è fortemente metodica. È importante
rilevare a questo proposito un punto: a differenza dei cattolici i calvinisti non
possono sperare di recuperare le ore di debolezza e di leggerezza con maggiore
buona volontà in altri momenti, è estranea per quanto li riguarda la credenza della
possibilità del perdono dei peccati tramite il sacramento della confessione.
Adesione al mondo nel compimento del proprio Beruf, e insieme ascesi dal
mondo, rinuncia ad ogni godimento: questo atteggiamento è detto da Weber
“ascesi intramondana”, cioè la fusione di rinuncia al godimento del mondo e di
presenza attiva nel mondo. Proprio tale atteggiamento si rivela, all’analisi, a
quanto richiede lo spirito del capitalismo, almeno ai suoi inizi. L’etica protestante
favorisce lo sviluppo di questa mentalità offrendone le basi di senso. Si osserva
che l’impostazione Weberiana del problema dell’origini del capitalismo è radicata
in un ampio dibattito a lui contemporaneo. In questo dibattito è particolarmente
rilevante la figura di Werner Sombart. Anche Sombart attribuisce ai fattori
23
SOCIOLOGIA
culturali un ruolo principale nello spiegare le origini degli atteggiamenti
economici che stanno alla base del capitalismo. Egli individua diversi gruppi di
mentalità che avrebbero cooperato. In particolare osserva che caratteristica dei
primi imprenditori dovette essere una certa marginalità nell’ambito della cultura
tradizionale, aspetto importante per la nascita di uno spirito imprenditoriale dal
momento che corrisponde ad una non dipendenza dai vincoli della tradizione e
dunque ad una condizione favorevole a comportamenti innovativi. L’etica
protestante è uno dei fattori che hanno contribuito al sorgere e allo svilupparsi del
capitalismo occidentale moderno, ma non è l’unico ne possiamo dire che giochi
tutt’ora questo ruolo, anzi secondo Weber produce una situazione paradossale.
Infatti lo mostra chiaramente nell’ultimo capitolo dell’etica protestante: l’etica
puritana favorisce la produzione di ricchezza, ma la ricchezza una volta prodotta
gioca a sfavore degli impulsi religiosi originari, favorendo proprio ciò che questi
chiamavano tentazione. La perplessità di Weber di fronte a ciò è evidente, ma ciò
nonostante non lo porta a posizioni critiche nei confronti del capitalismo, questo
dipende dal fatto che Weber non vede nel momento storico in cui vive alternative
plausibili allo sviluppo del capitalismo, infatti nei confronti del capitalismo è
chiaramente scettico ma soprattutto la sociologia di Weber è dichiaratamente
avalutativa, cioè vieta esplicitamente di formulare giudizi di valore.
L’AVALUTATIVITA’ DELLE SCIENZE SOCIALI
I valori sono orientamenti culturali di fondo che motivano le nostre condotte
quindi esprimono degli atteggiamenti morali. Per comprendere Weber a riguardo,
si dovrà procedere ad una distinzione: fra riferimento ai valori e giudizio di
valore. Il riferimento ad un valore e il soggettivo riferirsi nella propria condotta, a
certi valori. Il giudizio di valore è un’affermazione che riguardo a certi fenomeni,
esprime posizioni positive o negative. Lo scienziato sociale non può fare a meno
di riferirsi ai valori. Per due motivi. Da un lato, perché i valori sono parte del
senso che gli attori attribuiscono al proprio agire. Dall’altro lato, lo scienziato
sociale si riferisce a dei valori in quanto uomo e come tale è situato in un contesto
storico sociale. Secondo Weber, proprio da questa appassionata presenza nel
mondo dipende la propria stessa volontà di fare ricerca e i suoi orientamenti
personali lo spingeranno a scegliere di analizzare certi nessi causali piuttosto che
altri. La realtà per Weber è infinita e nessuna spiegazione può essere esaustiva.
vista così la sociologia di Weber non garantisce nessuna oggettività. Ciò che la
garantisce è di essere consapevole dei propri orientamenti soggettivi e di mettere
da parte i propri riferimenti di valore. L’oggettività è in altri termini il frutto di
una disciplina. Tale disciplina si chiama avalutatività.
ALCUNE CATEGORIE DELLA SOCIOLOGIA WEBERIANA
Oltre alla ai concetti di sociologia comprendete, agire e agire sociale nella
sociologia di Weber esiste anche il concetto di relazione sociale che si definisce
subito dopo agire sociale; si ha relazione sociale, quando essendovi più attori
sociali compresenti, il senso dell’agire di ciascuno si riferisce all’atteggiamento
24
SOCIOLOGIA
dell’altro, in modo tale che le azioni sono reciprocamente orientate fra loro.
Individui i relazione costante fra loro possono costituire comunità e società o
associazione. Per Weber, un gruppo di individui costituiscono una comunità se, e
nella misura in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una comune
appartenenza sentita da parte degli individui che vi partecipano. Vi è una società
se e nella misura in cui la disposizione dell’agire poggia su una convergenza di
interessi o su un legame di interessi motivato razionalmente. Comunità e società
sono per Weber tipi ideale di relazioni sociali ossia concetti astratti, nei casi
concreti molto spesso le relazioni sociali hanno in parte il carattere di comunità e
in parte il carattere di società. Comunità e società sono forme dell’agire sociale in
cui l’accento è posto sull’integrazione dei membri del gruppo. Ma vi possono
essere anche relazioni sociali di tipo opposto; la lotta in particolare è un tipo di
relazione sociale in cui ciascun attore non mira ad una integrazione con l’altro ma
alla sua sopraffazione. Il concetto di lotta è molto importante nella sociologia di
Weber, tanto che il suo approccio è definito conflittualistico. A differenza di
Durkheim, Weber non tende ad enfatizzare la presenza dell’ordine e della
coesione entro il mondo umano, ma ad osservare la ricorrente presenza di forme
di lotta. Infine le relazioni sociali possono essere aperte o chiuse; si dicono aperte
se la partecipazione all’agire sociale che le costituisce è possibile per chiunque; si
dicono chiuse se vi sono degli ordinamenti che ne limitano l’accesso solo a
determinati soggetti in possesso di certi requisiti. Se un gruppo sociale si
definisce attraverso la sua occupazione di un dato territorio e se nella sua
organizzazione è presente la possibilità di minacciare il ricorso alla forza fisica
per imporre il rispetto delle regole, questo gruppo è detto da Weber
raggruppamento politico. In particolare lo stato è quel tipo di raggruppamento
politico che dispone del monopoli della violenza legittima su di un determinato
territorio.
LE FORME DI LEGGITTIMAZIONE DEL POTERE
Ma che cosa rende legittima la violenza? la validità dell’autorità che la impone.
Per cui l’autorità è l’espressione di un potere legittimo. Per meglio comprendere
tali affermazioni bisognerebbe affrontare la trattazione Weberiana del potere e
della legittimità. In Economia e Società distingue il concetto di potenza da
quello di potere. La potenza indica qualsiasi possibilità di far valere entro una
relazione sociale, anche di fronte a un’opposizione, la propria volontà. Per potere
si intende la possibilità che un comando, che abbia determinati contenuti, trovi
obbedienza presso certe persone. Quindi nel caso della potenza, chi la subisce si
trova costretto a seguire la volontà dell’altro; nel caso del potere, la situazione,è
quella di qualcuno che obbedisce ad un comando perché ritiene legittimo il
potere da cui il comando proviene. Il problema è quello di comprendere secondo
quale senso l’obbedienza sia accordata, cioè comprendere come un comando
possa essere considerato legittimo. Weber distingue tre tipi di legittimazione del
potere.
25
SOCIOLOGIA
1. legittimità del potere può essere di carattere tradizionale, quando poggia
sulla credenza del carattere sacro di tradizioni ritenute valide da sempre,
per cui il potere di chi comanda riceve la sua legittimità dal passato (es. il
Re, il padre nelle famiglie patriarcali).
2. la legittimazione del potere può essere carismatico. Per carisma si intende
una qualità personale in dote ad un individuo particolare.(es. i Profeti, i
grandi condottieri). Il potere che si fonda sulla legittimazione carismatica è
un potere capace di produrre mutamento.
3. la legittimità del potere può essere infine di carattere razional-legale,
l’obbedienza non è prestata ad una persona in particolare ma a delle leggi.
Questa è la forma di legittimazione del potere più tipica delle società
moderne.
LA STRATIFICAZIONE SOCIALE
Per stratificazione sociale si intende in sociologia il modo in cui in una società gli
individui e i raggruppamenti di individui sono differenziati e ordinati
gerarchicamente. Per Weber in ogni società umana coesistono diversi
ordinamenti, vi è un ordinamento economico, un ordinamento culturale e un
ordinamento politico. All’interno di ognuno di questi ordinamenti la
stratificazione si presenta secondo criteri differenti. La nozione di classe è la
nozione centrale dal punto di vista economico. Per Weber una classe è un insieme
di individui che condivide possibilità analoghe di procurarsi beni economici,
quindi tali individui hanno interessi economici simili. All’interni
dell’ordinamento culturale la nozione la stratificazione si esprime attraverso i
ceti. La nozione di ceto è uno dei contributi più originali e importanti di Weber
alla teoria sociologica della stratificazione. Weber definisce situazione di ceto un
effettivo privilegio positivo o negativo nella considerazione sociale. Tale
privilegio positivo o negativo può essere fondato sulla specie di educazione
ricevuta, sul prestigio o sul disprezzo derivante dalla nascita, o su quello
derivante dalla professione ecc.. Un ceto si definisce come un insieme di
individui che condividono un certo status riconosciuto socialmente. Infine la
stratificazione politica si realizza nelle forme degli apparati politici e
amministrativi di un gruppo sociale ossia nelle cariche che vi si possono ricoprire.
26
SOCIOLOGIA
LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA AMERICANA
INTRODUZIONE
A partire dall’ultimo decennio dell’800 la sociologia è insegnata nelle università
americane. La sociologia di autori come Albion Small, William Sumner e
Thorstein Veblen, è influenzata da quella britannica e soprattutto dalla figura di
Spencer e dal suo evoluzionismo, anche se non manca di teorizzazioni originali.
Per esempio in Costumi di gruppo (1906) Sumner fornisce per la prima volta il
concetto di etnocentrismo, ossia il privilegiare da parte di un gruppo i propri
costumi e valori con la relativa svalutazione di quelli degli altri. Nella teoria della
classe agiata Veblen propone il concetto di costumo vistoso, ossia il consumo non
finalizzato al soddisfacimento dei bisogni materiali, ma all’ostentazione della
ricchezza. La società nordamericana a cavallo tra il l’800 e il 900 è
contrassegnata da mutamenti molto intensi. L’immigrazione ha ritmi intensissimi.
L’immigrati inizialmente provenivano dall’Europa centro-settentrionale attorni al
1900 la situazione si modifica, nel senso che la maggior parte dei nuovi arrivi
proveniva dalle regioni europee orientali e meridionali. Le differenze di lingue,
tradizioni e costumi sono rilevanti, dando luogo a forti problemi di integrazione.
Inoltre l’industrializzazione si sviluppa a ritmi elevati contribuendo ad una
espansine straordinaria delle aree urbane. Ai problemi dell’immigrazione, dei
conflitti interetnici, della disgregazione sociale e della devianza si dedicarono
particolarmente gli autori della prima grande scuola di sociologia americana, la
cosiddetta scuola di Chicago.
LA SCUOLA DI CHICAGO
Le prime cattedre di sociologia vennero istituite in America nelle università
dell’est. Ma il primo dipartimento dedicato agli studi sociologici venne istituito
all’università di Chicago fondata nel 1892. il primo direttore del dipartimento fu
Albion Small, che nel 1895 fondò L’American Journal of Sociology. Gli autori
che più contribuirono al suo sviluppo furono William Thomas e Robert Park.
L’opera fondamentale di Thomas è il contadino polacco in Europa in America.
Un lavoro che rappresentava le condizioni degli immigrati polacchi a Chicago. La
principale caratteristica di tale lavoro è la tesi che il comportamento degli
immigrati non è comprensibile senza far riferimento alla loro storia, al paese dal
quale provengono alle ragione che stanno dietro l’emigrazione. Con il contadino
polacco Thomas diede inizio a quelli che saranno poi chiamati i metodi qualitativi
della ricerca sociologica. Le ragioni di questa scelta metodologica sono tecniche.
Thomas ritiene che la sociologia non possa far a meno di tener conto del
significato che gli attori attribuiscono al proprio comportamento e alle situazioni
in cui si trovano. Dopo Thomas la direzione del dipartimento venne affidata a
Robert Park, e proprio sotto la sua guida che si formò una vera e propria scuola.
La scuola di chicago è caratterizzata in primo luogo da una fortissima
propensione alla ricerca empirica, ricordiamo gli studi sui vagabondi, sul ghetto o
sulle bande di giovani delinquenti, tale studi impiegavano diversi metodi di
27
SOCIOLOGIA
ricerca, il più originale fu quello noto come “osservazione partecipante, cioè la
parziale compenetrazione del ricercatore per un lungo periodo di tempo nella vita
del gruppo che studia. Attraverso gli autori della scuola di Chicago la sociologia
esce dalle aule universitarie e l’oggetto principale delle ricerche è la città. A
riguardo il loro approccio è spesso detto ecologico: sia nel senso che concepisce il
comportamento dei gruppo nello spazio urbano sulla base di un modello
naturalistico, sia nel senso che presta particolare attenzione ai contesti fisici entro
cui si esplica il comportamento.
LA CITTA’
La nozione chiave per comprendere la natura della città moderna è quella di
mobilità. A partire dal secondo dopoguerra, tale concetto verrà definito in termini
sempre più precisi e darà luogo a molteplici ricerche empiriche. Quest’ultime si
concentreranno da un lato sulla mobilità geografica dall’altro sulla mobilità
sociale ossia la maggiore o minore possibilità che hanno individui appartenenti a
gruppi diversi di ascendere o discendere socialmente. Nella terminologia di Park
e degli altri autori della scuola di Chicago la parola mobilità a significati più
ampi. In questo contesto, è mobilità sia lo spostamento geografico o sociale, sia
anche la vivacità spirituale che deriva dall’esposizione a stimoli vari e numerosi.
Infatti, A. Pizzorno nell’introduzione all’edizione italiana del volume “La Città”
definisce la città come il frutto della mobilità ed la massima fonte di mobilità
perché la densità di popolazione moltiplica gli stimoli, gli incontri, la possibilità
di appartenere a nuovi gruppi. L’esito di tali processi è ambivalente, nel senso che
la maggiore mobilità da una parte può comportare un maggior sviluppo delle
facoltà individuali, dall’altra parte crea una maggiore disorganizzazione sociale
ossia l’incapacità dell’ambiente sociale di fornire agli individui risorse per
soddisfare i propri bisogni. In tale contesto si inserisce uno dei concetti più tipici
di Park e della sua scuola, quello di distanza sociale: il sentimento di un gruppo di
essere distinti ed estranei rispetto ai membri di un altro. La distanza sociale tende
ad esprimersi in distanza territoriale: sul territorio di una città, i gruppi diversi
tendono a collocarsi in aree distinte. È questa la base della teoria delle aree
naturali.
28
SOCIOLOGIA
LA SOCIOLOGIA IN ITALIA AGLI INIZI DEL SECOLO
INTRODUZIONE
In Italia la sociologia inizia a svilupparsi dall’ultimo decennio dell’ottocento dalla
duplice matrice delle inchieste sociali, tra cui ricordiamo l’inchiesta sulla Sicilia
compiuta da Sonnino e Franchetti e del pensiero positivista che vede come suo
esponente più noto Cesare Lombroso. Per quanto riguarda la sociologia ispirata
ad un orientamento evoluzionistico ed organicista vanno ricordati Roberto Ardigò
(autore di una sociologia scritta), Scipio Sighele (autore della folla delinquente) e
Enrico Morselli (noto per lo studio sul suicidio). Nel 1896 venne fondata la prima
rivista italiana di sociologia. Negli anni 20 la sociologia italiana per motivi
diversi ebbe una battuta d’arresto. Sul piano politico-civile il fascismo
rappresento una sorta di congelamento della ricerca sociale scientifica. Sul piano
culturale, ebbe un certa influenza la posizione assunta da Benedetto Croce, che
era in quel momento l’intellettuale italiano più importante. Infatti Croce se da un
lato era ostile al fascismo dall’altro era ostile anche alla sociologia che definiva
una pseudoscienza. acume
VILFREDO PARETO
Vilfredo Pareto nacque a Parigi nel 1848 da un famiglia nobile italiana e morì a
Losanna nel 1923. La sua prima formazione fu nel campo dell’ingegneria anche
se successivamente si dedicò allo studi dell’economia tant’è che le sue prime
opere sono di questa materia. Tuttavia dal 1912 iniziò ad occuparsi di sociologia,
pubblicando fra il 1916 e il 1919 il trattato di sociologia generale. La prima
chiave per comprendere il pensiero di Pareto sta nel suo passaggio dall’interesse
per l’economia a quello per la sociologia. L’economia sia occupa di azioni
logiche, tuttavia la vita dell’uomo è ricca di azioni che non sono affatto logiche,
quindi per comprenderla l’economia non è sufficiente. Per cui la sociologia è la
scienza che dovrà spiegare ciò che l’economia non riesce a comprendere. La
sociologia è la scienza logico-sperimentale dei comportamenti degli uomini è la
spiegazione logica di ciò che logico non è. Nel trattato di sociologia generale
Pareto esprime parecchi concetti i più importanti sono quelli dei residui e della
derivazione. I residui son ciò che di fondamentale c’è nell’uomo, ossia ciò che
rimane una volta che si sia scomposto il comportamento degli uomini nelle sue
componenti elementari. Pareto riconosce sei tipi di residui:
- l’istinto alla combinazione;
- la persistenza degli aggregati;
- il bisogno di manifestare i sentimenti;
- la socialità;
- l’integrità della persona;
- e il residuo della sessualità.
I residui rappresentano il fondamento non logico del comportamento. Al disotto di
tutti i comportamenti dell’uomo vi è la spinta dell’uno o dell’altro di questi residui.
29
SOCIOLOGIA
Tuttavia l’uomo tende ad ingannarsi, tende a produrre giustificazioni pseudo razionali
dei comportamenti. Tale giustificazioni sono ciò che Pareto chiama le derivazioni.
Una derivazione è un sistema di rappresentazioni mentali che occulta gli impulsi
fondamentali e propone una legittimazione del comportamento in termini che
appaiono logici.
LE TERORIE DELLE ÈLITE
Èlite è un termine francese che designa una cerchia sociale ristretta e influente. In
sociologia tale termine è utilizzato per indicare un gruppo o più gruppi in grado di
esercitare un controllo, un influenza sulla tutta la società. La riflessione sui caratteri e
sul ruolo sociale delle èlite è tipa del pensiero sociologico italiano. Sintetizzando le
teorie degli autori italiani, potremmo affermare che la teoria delle èlite è una critica
del funzionamento reale delle democrazie. Le teorie di questi autori non si
oppongono alla democrazia in nome dei principi tradizionali dell’aristocrazia, ma
intendono svelare l’inganno che si cela dietro, mostrando come nei fatti a governare
siano sempre delle piccole minoranze.
IL FASCISMO
Il fascismo nasce come un movimento di stampo nazionalista dopo la prima guerra
mondiale esattamente nel 1922. Nel 1925 diede luogo ad un regime che abrogò la
democrazia, mettendo fuori legge tutti i partiti di opposizione, vietando la libertà di
stampa ed associazione e soprattutto concentrando il potere nelle mani dell’apparato
esecutivo che corrispondeva alla gerarchia del partito fascista. In altre parole tra il
1925 e il 1943 si costituì in Italia come una dittatura. Una dittatura moderna non
basata solamente sulla violenza ma anche sulla ricerca di un consenso popolare,
utilizzando da una parte rituali, mezzi di propaganda efficaci e dall’altra la
disponibilità di gettare sul leader una forte carica affettiva.
ANTONIO GRAMSCI
Gramsci fu membro di spicco del partito comunista italiano e l’ispiratore e teorico
della più grande insurrezione operai italiana, ossia quella dei consigli operai di Torino
nel 1920. A lui si può far risalire numerosi concetti usati in sociologia i più noti sono:
il termine fordismo che fa riferimento alle trasformazioni e agli sviluppi del modo
capitalistico di produzione avviati da Henry Ford nelle sua fabbriche di automobili
negli Stati Uniti tra il 1910 e il 1920. Questi sviluppi riguardano due aspetti
dell’organizzazione del lavoro, il primo è direttamente legato alla produzione, in
quanto Ford aveva modificato il lavoro dei sui operai scomponendone l’attività in
piccoli compiti specifici. Si è dato avvio ad una razionalizzazione della produzione,
con il conseguente aumento della produttività complessiva del lavoro. Il secondo
aspetto consisteva nel alzare il livello dei salari. Tale politica aveva una doppia
ragione da un lato si ricompensava i lavoratori per la disciplina cui si sottoponevano,
dall’altro si trattava di aprire il mercato a piccoli consumatori. Infatti accedendo al
mercato in virtù dell’aumento dei propri salari, la classe operai viene a partecipare
all’aumento di benessere che lo sviluppo delle forze produttive consente. L’altro
30
SOCIOLOGIA
concetto risalente a Gramsci è egemonia, ossia la capacità di diffondere all’interno di
tutta la società una cultura congruente con i propri valori ed i propri interessi .
VIENNA E DINTORNI
LUDWIG WITTGENSTEIN
Wittgeinstein nacque a Vienna nel 1889 appartenente ad una famiglia dell’alta
borghesia. La sua prima opera fu il Tractatus logico-philosophicus diciamo un trattato
di logica, che mirava a fornire un impianto logico al linguaggio ordinario tale per cui
sia possibile individuarvi e successivamente escludere tutte le proposizioni che non
sono suscettibili di verifiche in altre parole prive di un significato accettabile. Tale
progetto presupponeva la possibilità di una corrispondenza univoca tra ogni
espressione linguistica. Nel linguaggio ordinario, le parole hanno significati diversi,
che dipendono dal contesto in cui queste di volta in volta sono usate. Possiamo dire
che il linguaggio è una pratica, un’attività che svolgiamo in quanto esseri umani,
intrecciata con tutte le attività in cui siamo immersi. La conseguenza di quest’ordine
di pensieri sono notevoli. Come per esempio il ruolo del linguaggio nella società
viene in primo piano. La lingua è lo strumento con cui gli uomini si servono per
intendersi fra loro in relazione alle attività in cui sono coinvolti. Dopo la metà del
novecento, la rivalutazione del linguaggio del ruolo operata Wittgeinstein e la sua
concezione del significato come “uso” delle parole si combineranno con l’influenza
di altre correnti del pensiero sociale, dando luogo a quella che alcuni chiameranno
una vera propria svolta linguistica nelle scienze sociali.
MANNHEIM E IL PROBLEMA DEL RELATIVISMO
Karl Mannheim nacque a Budapest nel 1893. Nel 1919 prese parte all’insurrezione
che portò alla costituzione della repubblica dei consigli ungherese. Fallita quella
esperienza andò in Germania dove insegnò a Heidelber e a Francoforte. Nel 1933 si
trasferì a Londra dove vi morì nel 1947. Nella sua formazione è determinante il
pensiero di Marx. Più decisiva ancora, è tuttavia l’appartenenza alla generazione che
visse la prima guerra mondiale. I suoi studi si concentrarono sulla formulazione di
una sociologia della conoscenza. La sua opera più nota è Ideologia e Utopia. Il
problema cruciale dei Mannheim è quella del relativismo. Il primo oggetto della
riflessione di Mannheim è la compresenza in una medesima società di visioni
politiche differenti. Al concetto Marxiano di Ideologia, Mannheim affianca quello di
utopia, intendendo la visione del mondo tipica di coloro che impegnati nella lotta per
rovesciare i rapporti esistenti , non riescono a scorgere nella realtà se no gli elementi
che vogliono negare. Come l’Ideologia, l’Utopia è una parziale deformazione della
realtà. Proseguendo nel suo pensiero, vi è l‘allargamento della nozione di ideologia e
nel concetto di situazione esistenziale. Mannheim propone di usare il termine
Ideologia per intendere che ogni individuo, in quanto appartenente ad un gruppo
sociale determinato, tende a concepire la realtà, secondo un punto di vista che
esprime gli interessi, la cultura di quello stesso gruppo. Non si tratta solo della
31
SOCIOLOGIA
collocazione di classe: l’appartenenza ad una nazione, ad un gruppo etnico o ad un
generazione può essere altrettanto determinante. In altre parole il modo con cui
ciascuno di noi vede la realtà. Dal problema del relativismo Mannheim arriva così
alla proposta teorica di un relazioniamo. Concetto che indica la relazione originaria
che lega ogni prodotto della cultura all’esistenza concreta e determinata in cui sono
posti i soggetti. Affermare il relazioniamo non significa affermare che non esista più
alcuna verità. Quest’ultima diventa un limite a cui si può solo tendere.
L’approssimazione a questo limite è tanto maggiore quanto più si è capaci di
prendere atto delle diverse prospettive esistenti e di controllare grazie al confronto e
al dialogo, le tendenze ideologizzanti presente in ciascuno di noi. Con la sociologia
della conoscenza di Mannheim la sociologia si avvia a diventare una scienza
autoriflessiva.
32
SOCIOLOGIA
LA SCUOLA DI FRANCOFORTE
INTRODUZIONE
L scuola di Francoforte costituisce una delle imprese collettive più rilevanti del
pensiero sociale del XX secolo. Essa prende il nome dall’istituto per la ricerca sociale
che venne fondato a Francoforte nel 1923, grazie ad un finanziamento privato. Il suo
primo direttore fu Carl Grϋnberg, ma chi più contribuì al suo sviluppo fu Max
Horkheimer. Oltre ad Horkheimer, i membri più noti della scuola furono Theodor
Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm. La formazione di questo gruppo di studiosi
non è omogenea. Il riferimento al marxismo era almeno all’inizio il tratto comune,
ma non si tratta di Marxisti ortodossi. Ciò che gli unì fu dapprincipio l’intento di
promuovere un rinnovamento della ricerca sociale marxista. Il Marxismo a cui la
scuola faceva riferimento era fortemente antidogmatico e non determinista. Sotto la
direzione di Horkheimer l’istituto una forte revisione rivalutandone le origini nel
pensiero Hegeliano e integrandovi diversi elementi della psicanalisi freudiana,
l’approccio che ne derivò fu una teoria critica della società dai tratti fortemente
originali. Con l’avvento del fascismo l’istituto venne chiuso, perché considerato
ostile al regime, e molti dei suoi membri lasciarono la Germania, emigrando
soprattutto negli stati uniti dove continuarono la loro attività e allargando i loro
interessi allo studio della società di massa e dell’industria culturale ed in particolare
Horkheimer e Adorno elaborarono una critica radicale della modernità occidentale.
Infatti sono di quel periodo le opere più note, La dialettica dell’illuminismo di
Horkheimer e Adorno, Eclisse della ragione di Horkheimer. Nel 1950 l’istituto venne
riaperto. Horkheimer e Adorno lasciarono gli Stati Uniti, la loro fama era circoscritta
nella Germania nazista, anche perché negli Stati Uniti tutti i loro testi erano scritti in
tedesco. La teoria critica diventa una dei principali riferimenti intellettuali per tutti
coloro che non intendono riconoscere al marxismo sovietico unica alternativa al
sistema capitalistico. Inoltre l’insegnamento dei membri dell’istituto fu una delle
fonti di ispirazione dei movimenti studenteschi del 1968. Infine possiamo dire che la
teoria critica è caratterizzata da un forte intreccio di ricerca sociale, psicanalisi e
filosofia.
L’INTEGRAZOINE DELLA PSICANALISI E LE RICERCHE SULLA
FAMIGLIA E SULLA PERSONALITÀ.
Attraverso un suo intervento sulla rivista che l’istituto pubblicò fra il 1933 e il 1941,
Horkheimer aveva espresso la necessità di integrare il marxismo con una teoria
capace di spiegare meccanismi della psiche. Si trattava di comprendere l’integrazione
della classe operaia nel capitalismo e, quanto alla Germania, la stessa adesione di
massa su cui il nazionalsocialismo poteva contare. Si trattava di indagare come la
coscienza si formi. A questo si prestava la psicologia ed in particolare la psicanalisi.
L’integrazione della psicanalisi all’interno della teoria critica è molto complessa e le
posizioni dei membri della scuola sono diverse. La prima integrazione della
psicanalisi di Freud e del pensiero di Marx è opera di Fromm negli studi sull’autorità
e la famiglia per spiegare i processi di socializzazione dell’individuo: la famiglia è il
33
SOCIOLOGIA
collegamento tra la struttura sociale e la coscienza del singolo, il luogo dove questi
impara ad adattarsi. Tuttavia la famiglia non è sempre uguale a se stessa, nel corso
del passaggio dall’epoca della borghesia classica all’epoca del tarso capitalismo,
tende a indebolire la capacità di formare individui auto responsabili e far crescere
persone dotate di un carattere autoritario, ossia il carattere tipico di chi, reprimendo in
se stesso la tensione a soddisfare i propri impulsi libidici, scarica aggressivamente
sugli altri la frustrazione che accumula, affidandosi irrazionalmente all’autorità di un
leader che promette di soddisfarne i bisogni. Gli studi sulla costituzione psicologica
proseguirono in america, dove verrà cognato il concetto di capo espiatorio. Chi è
incline ad una personalità autoritaria tende a sfuggire all’analisi razionale della realtà,
ossia sfugge alla ricerca dei fattori sociali che, in un dato momento, possono
provocare disagio, temendo di criticare il proprio governo e di mettere in discussione
il sistema in cui vive, tendendo a scaricare la colpa del disagio che avverte su gruppi
minoritari e impotenti, come le minoranze etniche. Costituendo questi, come capri
espiatori. L’uso della psicanalisi che ne fa Marcuse in Eros e Civiltà tende ad una
critica del capitalismo generale. Freud aveva osservato che il processo della
civilizzazione aveva comportato un forte controllo degli impulsi libidici. Con il
capitalismo lo sviluppo delle forze produttive aveva permesso di ridurre questo
controllo e lasciare spazio allo sviluppo di un’umanità capace di entrare con la natura
in un rapporto non più solo antagonistico, ma conciliato: l’endonismo, la capacità
degli uomini di godere della propria vita e di essere felici entro i limiti che la vita
stessa pone, all’interno di un quadro sociale sgombrato dall’ingiustizia.
LA CRITICA DELLA RAZIONALIZZAZIONE
Il processo di razionalizzazione descritto da Weber viene inteso dai membri della
scuola di Francoforte come un processo di alterazione della ragione, ossia come una
riduzione della ragione ad intelletto. Gli uomini moderni sono sempre più capaci di
eseguire calcoli tecnici, ma sempre meno capaci di esercitare quelle facoltà critiche
in cui si posiziona la ragione. In Eclisse della ragione, Horkheimer vede la causa di
tale processo nel passaggio dall’illuminismo al positivismo, ossia all’abbandono delle
valenze critiche manifestato nel positivismo. Mentre l’illuminismo aveva usato il
richiamo della ragione come strumento per far valere il principio della libertà, della
tolleranza, al sistema dei privilegi e delle superstizioni del feudalesimo, il pensiero
positivista livella l’idea di ragione sul modello della ricerca scientifica e tecnologica.
Nella dialettica dell’illuminismo, è proprio questo ultimo ad essere messo in qualche
modo in discussione, nella misura in cui corrisponde ad un progetto di rischiaramento
del mondo che da un lato nega la cittadinanza a tutto ciò che non ha la possibilità di
una spiegazione razionale e, dall’altro si esprime in una logica di dominio sulla
natura. Il primo punto di questa critica corrisponde ad una rivalutazione della validità
del pensiero magico e religioso, che conservano il riconoscimento di qualcosa che il
pensiero razionalistico tende a non riconoscere più, cioè che non tutto è dominabile
con la ragione. Per quanto riguarda al secondo punto ossia il nesso tra la ragione e
con la logica del domino. Possiamo dire la parola “illuminismo” non è più usata per
identificare un movimento storico determinato, ma è utilizzata per denominare la
34
SOCIOLOGIA
civiltà occidentale, ricompressa come un unico progetto di razionalizzazione e di
padroneggiamento del mondo. Ma nel compimento di questo progetto l’uomo si
estranea dalla natura, il pensiero razionale si estranea dalla natura e vi si contrappone,
favorendo lo sviluppo del sapere tecnico ma contemporaneamente esprimendosi in
una logica che annulla ogni senso della vita che non corrisponda al mero dominio
tecnico sopra di essa.
L’INDUSTRIA CULTURALE
Per quanto il processo di razionalizzazione si sia dispiegato fin dentro le nostre
coscienze, permane dentro ciascuno di noi il ricordo di qualcosa che resiste alla
razionalizzazione – è il ricordo al desiderio alla felicità. L’aspirazione alla felicità è
anche ciò a cui si riferisce l’industria culturale a cui dedicano una delle tre sezioni in
cui è suddivisa la dialettica dell’illuminismo. Secondo Horkheimer e Adorno si tratta
di una parodia. Nel capitalismo maturo l’industria culturale corrisponde
all’amministrazione dello svago, che mira a fornire ai lavoratori una compensazione
temporanea per i sacrifici cui si sottopongono. L’interesse per la stampa e in generale
per i mezzi di comunicazione diventa centrale per i membri della scuola di
Francoforte. L’industria culturale porta la cultura alle masse, tuttavia sotto questa
apparenza si nasconde uno svuotamento della nozione stessa di cultura, in quanto non
rappresenta più il luogo privilegiato dell’elaborazione del senso e veicolo di
aspirazioni ideali che trascendono l’ordine dato, bensì luogo di intrattenimento e,
soprattutto, meccanismo di promozione dell’adattamento di ciascuno all’ordine
sociale esistente e un progetto di manipolazione che è innato nella logica della
comunicazione di massa. La democraticità apparentemente connessa al fatto che le
informazioni sono disponibili a ognuno è negata dal fatto che non è previsto che gli
utenti siano anche emittenti. Il collante di questo sistema è dato dalla sua funzione
che da un lato promuove un adattamento generalizzato al sistema sociale, e dall’altro
quella di sostenere il mercato invitando ciascuno al consumo. La pubblicità è il cuore
della comunicazione.
JURGEN HABERMAS
Habermas arriva a Francoforte nel 1956. I suoi primi lavori si rientrano nelle
tematiche affrontate dall’istituto. Per esempio Storia e critica dell’opinione pubblica,
riguarda la nascita dell’opinione pubblica col sorgere della società borghese e il suo
successivo impoverimento nella società di massa. Nei suoi studi, Habermas tiene
conto dei risultati delle ricerche di molte correnti scientifiche, in particolare della
linguistica e della filosofia del linguaggio. Egli riconosce che gli uomini sono sempre
legati gli uni a gli altri dalla ricerca di una comprensione reciproca, che si realizza
mediante la lingua. Questa posizione lo conduce ad una critica del riduzionismo in
cui cade il marxismo nel senso che la società non può essere analizzata basandosi
esclusivamente sulla dimensione del lavoro, fianco delle attività produttive vanno
considerate le pratiche dell’interazione attraverso i linguaggio. Nella teoria dell’agire
comunicativo, Habermas associa al lavoro e all’interazione linguistica due diverse
forme di razionalità. Vi è una razionalità strumentale, che attraverso lo sviluppo della
35
SOCIOLOGIA
teoria dell’azione di Weber egli associa al lavoro e, la razionalità comunicativa che
associa all’interazione linguistica. La contraddizione tipica della società moderna
consiste nel fatto che essa ha prodotto le condizioni per lo sviluppo delle forme
dell’agire, orientato alla comprensione reciproca, ma nel contempo ha bloccato
queste potenzialità tramite un’estensione straordinaria delle forme dell’agire
strumentale.
36
SOCIOLOGIA
LA SOCIOLOGIA AMERICANA FRA GLI ANNI TRENTA E
CINQUNATA
LA SOCIOLOGIA AMERICANA DOPO CHICAGO
Sul piano della ricerca empirica, la sociologia americana ha prodotto alcuni studi di
comunità di grande rilievo. Il più popolare e Middletown, scritto dai coniugi Lynd. Si
tratta di uno studio concentrato in una città americana di medie dimensioni, che
analizza la stratificazione sociale, gli stili di vita e comportamenti sociali con una
pluralità di metodi di indagini. Lo studio del lavoro e delle organizzazioni furono due
dei campi in cui la ricerca empirica si sviluppò particolarmente.
Contemporaneamente alla ricerca empirica si svilupparono anche le tecniche di
ricerca quantitative. Per esempio il cosiddetto positivismo strumentale di William
Ogburn concepiva la sociologia scientifica come la messa a punto di strumenti di
misurazione sempre più sofisticati, capace di affrontare le variabili sociali con
procedure di tipo statistico. Dopo la guerra queste tecniche si arricchirono di diverse
innovazioni e furono sistematizzate in un corpus di metodi e strumenti abbastanza
imponente che trovò ampie applicazioni nella ricerca di mercato. Uno degli artefici
principali di questo sviluppo fu Paul Lazarsfeld. Lazarsfeld è in realtà uno studioso
tedesco in Germania aveva sviluppato una ricerca dal titolo I disoccupati di
Marienthal e aveva collaborato ad alcune fasi della ricerca sull’autorità e la famiglia
dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. Inoltre successivamente diventò uno
dei rappresentanti della ricerca scientifica sulle comunicazioni di massa sull’opinione
pubblica. Negli Stati Uniti si è realizzato in effetti un intreccio tra le scienze sociali e
le istituzioni politiche, economiche e anche militari.
TALCOTT PARSONS
Talcott Parsons nacque nel 1902 a Cororado Springs, morì nel 1979. Dopo
l’università ed un periodo di perfezionamento in Europa, nel 1927 fu chiamato a
insegnare a Havrard. La sociologia americana e gran parte di quella europea dopo la
seconda guerra mondiale ebbe un influenza enorme sul suo pensiero. Fra le sue opera
principali ricordiamo: la struttura dell’azione sociale (1927), Il sistema sociale
(1951), Famigli e socializzazione (scritto con Bales nel 1955). L’approccio di
Parsone viene chiamato struttural-funzionalista, nel senso che si propone di
individuare la struttura di fondo della società e propone di comprenderla mostrando le
funzioni che le sue parti assolvono, o più appropriatamente suo approccio può essere
definito sistemico, il concetto di sistema è cruciale nel suo pensiero. Il problema da
cui Parsons parte è quello di integrare le prospettive di Weber e Durkheim; ossia da
un lato si tratta di comprender in cosa consiste l’azione degli individui, dall’altro di
vedere come l’azione si inserisca in un quadro di vincoli sovraindividuali. Nelle
ultime opere si evince l’interesse per una teoria generale dell’evoluzione e per la
comparazione fra sistemi sociali diversi. Interrelato
AZIONE SOCIALE E SISTEMA
37
SOCIOLOGIA
In La struttura dell’azione sociale considera l’azione come l’unità elementare di cui si
occupa la sociologia. Nella descrizione di un’azione si individuano un attore, colui
che compie l’atto, un fine, una situazione le cui linee di sviluppo differiscono, dalla
situazione verso la quale è orientata l’azione, cioè il fine e infine un orientamento
normativo. Queste definizioni sono solo apparentemente neutrali, in realtà nasconde
il fatto che nel contesto della società americana Parsons lottava da un lato contro il
comportamentismo che tende a ridurre l’azione umana a un meccanismo di risposta
agi stimoli, riducendo così il ruolo della volontà e dall’altro conto l’utilitarismo
implicito nell’economia neoclassica che riduce ogni azione a un interesse.
L’importanza di tali definizioni sta nel fatto che nella prima vi è un tentativo di
rendere conto della relativa libertà di scelta che ha l’attore nei confronti della
situazione in è immerso, in quanto alla seconda, nel risalto del peso che hanno le
norme nel vincolare e governare l’azione. Le norme sono il nesso che collega la
personalità di ogni individuo all’insieme sociale di cui fa parte. Ognuno di noi non
agisce come se fosse solo a decidere, ma in base ad un insieme di regole di origine
sociale, che a loro volta sono espressione di un insieme di valori, ossia di una cultura.
Secondo una suddivisione tipica della sociologia americana, Parsons distingue
personalità, sistema sociale e cultura, purché un sistema sociale funzioni in modo
coerente è necessario che i suoi membri siano dotati di una personalità e che facciano
propri i valori e le norme di una cultura comune. Tutto ciò viene elaborato nel
volume Il sistema sociale. Un sistema è un insieme di parti ciascuna delle quali
svolge un funzione necessaria alla riproduzione dell’intero sistema, che interagiscono
tra di loro e capace di autoregolazione. Parsons osserva che ogni sistema deve essere
in grado di svolgere almeno quattro funzioni e ognuna di queste funzioni è svolta da
un sottosistema specifico. Tali funzioni sono; quella di adattarsi all’ambiente il cui
compito è svolto dal sottosistema economico, la definizione degli obiettivi il cui
compito è svolto dal sottosistema politico, la trasmissione e la conservazione dei
modelli di organizzazione sono compiti svolti dalla famiglia e dal sistema scolastico e
infine l’integrazione delle varie parti di cui è costituito il sistema e il controllo dei
suoi membri sono compiti del sottosistema giuridico e della religione. Il sistema
mette in relazione fra loro individui che agiscono, per individui si intende no già
individui in quanto tali ma in quanto sono dotati di personalità che permettono loro di
coprire dei ruoli. I ruoli sono un insieme di modelli di comportamento orientati
all’espletamento di una funzione. Dunque il sistema sociale è un insieme di ruoli.
FAMIGLIA E SOCIALIZZAZIONE
Il concetto di interiorizzazione è molto importante. Parsone lo riprende da Freud. Il
processo di interiorizzazione delle norme e dei valori coincide con la socializzazione,
e questa si realizza principalmente nella prima infanzia, in seno alla famiglia. La
famiglia è dunque un sottoinsieme cruciale. Possiamo dire anche, che in tutte le
epoche e le società premoderne, l’istituzione famigliare non svolgeva solamente la
funzione di socializzare i figli, ma anche funzioni assistenziali, religiose e soprattutto
economiche. Secondo Parsons l’evoluzione delle società comporta di norma un
processo di differenziazione e di specializzazione delle istituzioni. La
38
SOCIOLOGIA
differenziazione corrisponde in generale a un processo di moltiplicazione dei ruoli
che un sistema sociale permette. Nella specializzazione i ruoli differenziati si
rapportano a compiti sempre più circoscritti, consentendo una loro maggiore
efficacia. Rispetto alla famiglia questi processi significano da un lato che essa perde
via via alcune funzioni tradizionali, dall’altro che essa si specializza in un compito
sempre più specifico, diventa in buona sostanza la fondamentale agenzia di
socializzazione dei bambini e di stabilizzazione della personalità degli adulti. Nel
corso dei medesimi processi, la famiglia tende a conformarsi secondo alcune
caratteristiche, che nel loro insieme permettono di distinguere la famiglia moderna da
ogni altra forma di famiglia nella storia. Innanzitutto tende a presentarsi come
famiglia nucleare, composta esclusivamente dalla coppia dei genitori dai figli. I
genitori al suo interno hanno funzioni differenti alla moglie/madre spetta il ruolo di
casalinga e di leader espressiva, al marito/padre spetta invece il ruolo di breadwinner (ossia colui che procura il denaro necessario al sostentamento della famiglia)
e di leader-strumentale (colui che dirige strategicamente i rapporti della famiglia con
l’ambiente esterno). In buona sostanza la posizione della famiglia nel sistema sociale
dipende principalmente dalla professione del padre. La famiglia è un’istituzione che
media fra il sistema sociale e la personalità. Non è l’unica ma probabilmente è la più
importante.
ALCUNE CATEGORIE ANALITICHE
Oltre ai concetti di norme, valori, ruoli, istituzioni e socializzazione, Persons tenta di
definire alcuni parametri in base ai quali sia possibile distinguere società e culture
diverse. Si tratta di ciò che lui ha definito variabili strutturali, ossia quelle scelte
binarie di fondo che sarebbero riscontrabili analiticamente al di sotto di ogni sistema
d’azione. Queste scelte riguardano: particolarismo e universalismo la cui differenza
sta nella distinzione fra il comportamento di un amico che è ispirato ad un criterio
secondo cui ciò che si fa per una persona particolare non si fa necessariamente per
un’altra e, quello, per esempio di un giudice ispirato al principio secondo cui la
medesima regola deve valere per tutti; diffusione e specificità dove in certe forme di
relazioni l’azione può essere orientata alla considerazione di una pluralità di aspetti
della propria e dell’altrui personalità e in altre è orientata ad un singolo aspetto;
ascrizione e acquisizione, ossia l’importanza relativa che nel nostro comportamento
attribuiamo ai tratti che caratterizzano una persona, ad es. per nascita o a ciò che è
stata o è capace di realizzare; affettività o neutralità affettiva ossia la differenza che
passa tra sistemi d’azione nei quali vi è una gratificazione affettiva dei partecipanti
(es. all’interno di famiglia) e sistemi in cui questa non è prevista e il significato
dell’azione e puramente strumentale (es. nel rapporto tra un avvocato e il suo cliente);
infine gli attori possono essere orientati verso interessi privati (ad. Esempio l’azione
di un imprenditore) o verso interessi collettivi (secondo Parsone, l’azione di un
medico è orientata verso interessi collettivi). Riconoscere i modi secondo cui gli si
dispongono rispetto a questi atteggiamenti di fondo permette secondo Parsons di
descrivere i caratteri fondamentali di un sistema sociale. E utilizzando le differenze
fra particolarismo e universalismo e ascrizione e acquisizione nei suoi studi sui
39
SOCIOLOGIA
sistemi di società, osserva che le società moderne si differenziano da quelle
tradizionali nella misura le azioni sono prevalentemente orientate in senso
universalistico e ispirati al principio dell’acquisizione.
L’ANALISI FUNZIONALE DI ROBERT K. MERTON
Dal 1941 fino al suo ritiro, Merton insegnò alla Columbia University, a New York.
Nella sociologia Americana ha avuto una posizione di rilievo inferiore rispetto a
Parsons. Relativamente poco interessato alla grande teoria e nello stesso tempo poco
propenso a privilegiare la ricerca empirica. Egli tende a distinguere gli scienziati
sociali che potrebbero sottoscrivere l’affermazione “non so se quello che dico è vero,
ma so che è importante”, e quelli che potrebbero sottoscrivere l’affermazione “non so
se quello che dico è vero, ma so che è importante”, in altre parole la differenza tra le
grandi teorie inverificabili e ricerche accurate ma irrilevanti. Merton propone una
strada intermedia, quella delle teorie a medio raggio: una serie di concetti
logicamente collegati fra loro ma che non pretendono di essere universali, ponendosi
lo scopo di costruire ponti fra ricerche diverse. Il concetto di funzione è centrale nel
pensiero di Merton, ma non è la chiave di volta di una teoria omnicomprensiva della
società, infatti rispetto al pensiero di Parsons ci sono delle differenze sostanziali. Il
suo approccio non è funzionalistico, ma sostiene un’analisi funzionale. Applicando
una teoria omnicomprensiva basata sulla critica del funzionalismo, innanzitutto non
va considerato il postulato dell’unità funzionale della società, cioè che ogni elemento
del sociale debba essere inteso come funzionale al sistema nel suo complesso, nel
senso che ciò che è funzionale dal punto di vista di certi attori non lo è per altri,
essendo il mondo sociale conflittuale è quanto meno improbabile identificare un
punto di vista al di sopra delle parti in grado di decidere per tutti che cosa è
funzionale e cosa non lo è. In secondo luogo Merton rifiuta sia l’idea che tutti gli
elementi di un sistema sociale debbano avere un funzione, sia quella che certe
istituzioni debbano svolgere funzioni indispensabili. In terzo luogo Merton opera una
distinzione tra funzioni manifeste e funzioni latenti di ogni fenomeno. Questa
distinzione la esplica in tanti modi diversi, in uno di questi fa riferimento alla nozione
di consumo vistoso di Veblen, il quale aveva mostrato nella Teoria della classe
agiata, che il consumo può assumere un significato diverso da quello apparente. Da
un punto di vista apparente il consumo serve a soddisfare certi bisogni, ma come
spiega nel suo volume, serve anche a innalzare lo status sociale attraverso
l’ostentazione della capacità di acquistare merci costose. Come si vede il fenomeno è
lo stesso ma i due esempi mostrano questo possa avere funzioni diversi. Quindi
rispetto alla distinzione possiamo dire che la seconda è manifesta la prima è latente,
non solo non appare immediatamente allo sguardo ma può non essere percepita come
tale neppure dagli attori coinvolti. Questo tipo di analisi può essere ripetuto per altri
fenomeni. Il punto è che gli uomini non sono sempre coscienti degli scopi che stanno
perseguendo, quindi delle funzioni che assolvono i loro comportamento e le
istituzioni del resto possono avere funzioni che non coincidono con quelle che
svolgono apparentemente.
40
SOCIOLOGIA
PER UNA SOCIOLOGIA DELLA SCIENZA
Merton, durante la sua vita si è occupato di molti temi, tra questi vi è un interesse
particolare per la sociologia della scienza, un ramo della sociologia di cui è
considerato l’iniziatore. Lui osserva che l’aspetto più evidente della relazione fra la
società e la scienza consiste nell’esistenza di una serie di domande che la stessa
società pone alla scienza: la scelta dei temi di cui gli scienziati si occupano è
determinata in gran parte dagli interessi del mondo circostante e in minima parte dalle
logiche interne della ricerca scientifica. Inoltre l’idea che la verità sia qualcosa di
accertabile razionalmente mediante l’osservazione sistematica e l’esperimento è
l’idea secondo cui la scienza stessa non esisterebbe: ma questa idea non nasce dalla
scienza, bensì all’interno della cultura più vasta in cui essa è inserita. Per cui la
scienza è un’istituzione sociale. Ciò non vuol dire che non abbia una sua autonomia.
Uno dei principali interessi di Merton riguarda le tensioni che possono manifestarsi in
certe situazioni fra la logica propria della comunità scientifica e il resto della società.
La logica della comunità presenta aspetti peculiari. Da un lato si basa su una serie di
procedure caratteristiche, dall’altro si fonda anche su un ethos specifico. Questo ethos
attribuisce un valore chiave al dubbio sistematico, comporta che ogni affermazione
sia verificabile intersoggettivamente e quindi impone il dialogo aperto tra gli
scienziati, implica la disponibilità universale dei risultati della ricerca e infine
richiede che ogni scienziato sia valutato in relazione ai meriti del proprio lavoro.
Nella misura in cui la comunità scientifica si conforma a questi principi, può entrare
in collisione con la società che la circonda. Rispetto a questi elementi, la sociologia di
Merton si articola in un programma di ricerca empirica. Questi programmi di ricerca
sono stati al centro dell’attenzione di un gran numero di scienziati, tuttavia la
sociologia di Merton è stata oggetto di critiche. Egli era poco sensibile alle differenze
fra scienze naturali e scienze sociali, il suo atteggiamento di fondo era positivista,
comportando l’idea della cumulabilità dei risultati della ricerca scientifica che non
tutti condividono. Negli anni sessanta l’idea della cumulabilità dei risultati scientifici
è stata messa in discussione da Thomas Kuhn nel suo libro “La struttura delle
rivoluzioni scientifiche”, per il quale la scienza è un gioco linguistico fra gli altri e ha
la stessa natura di ogni altro linguaggio, Kuhn nega la cumulabilità del sapere
scientifico mostrando che la storia della scienza è fatta di ricorrenti passaggi da un
paradigma ad un altro, e che questi paradigmi sono incommensurabili. Questa
posizione tende all’affermazione di un relativismo piuttosto radicale e spingono a
vedere più le dinamiche di conflitti e poteri interne al sapere scientifico che non la
possibilità di un’evoluzione progressiva della conoscenza.
41
SOCIOLOGIA
LE TEORIE DELLA VITA QUOTIDIANA
ALFRED SCHUTZ E LA SOCIOLOGIA FENOMENOLOGICA
La sociologia fenomenologica è un indirizzo di pensiero che nasce dalla fusione della
sociologia di Weber con la filosofia fenomenologica di Edmund Husserl. Il primo ad
elaborare tale forma di pensiero fu Alfred Schutz che scrisse nel 1932 La
fenomenologia del mondo sociale, ponendone le basi teoriche. Da Weber, Schutz trae
l’interesse dei problemi fondamentali della teoria sociologica: azione, senso e
comprensione, da Husserl invece l’idea stessa di fenomenologia, ossia quella scienza
che studia ciò che appare. L’idea fondamentale della fenomenologia è che il soggetto
non è semplicemente nel mondo, ma lo costituisce. In La fenomenologia del mondo
sociale, Schutz utilizza la fenomenologia di Husserl per una disamina dei concetti
fondamentali di Weber, mostrando che la costruzione di tipi ideali che Weber
intendeva come il metodo proprio dello scienziato sociale è in realtà qualcosa che noi
tutti facciamo costantemente. Il concetto di tipizzazione è fondamentale, tipizzare
appunto significa ridurre la complessità del reale a un insieme di tipi di cose che
possono succedere, di tipi di persone che si possono incontrare, di tipi di situazioni in
cui ci si può imbattere. I tipi sono delle rappresentazioni della realtà, costituendone
una classificazione. Ciascuno di noi potrebbe definire delle tipologie di fenomeni
come gli pare e piace ma, concretamente ciascuno gli definisce in accordo al modo in
cui essi sono definiti nel mondo sociale al quale appartiene. L’utilità dei tipi consiste
nel fatto che essi siano condivisi con gli altri. La loro funzione è quella di favorire
l’interazione sociale. Ogni sfera implica la costruzione di tipologie dei fenomeni che
vi fanno parte. La sfera su cui Schutz si sofferma e presta particolare attenzione è
quella della vita quotidiana, anche se non è l’unica sfera in cui trascorriamo la nostra
esistenza. Per cui a seconda della nostra attenzione noi viviamo in diverse realtà.
Anche se la realtà per eccellenza è quella dei sensi e delle cose fisiche, ossia la vita
quotidiana. Ogni ordine di realtà ha delle caratteristiche, quella della vita quotidiana è
che noi agiamo dando per scontato tutto ciò in cui siamo immersi. La ragione di ciò è
pratica, nel senso che sarebbe impossibile porci della domande su tutto ciò che
facciamo, almeno fino al momento in cui subentra nella nostra vita un problema
inconsueto o una crisi che ci costringe a rivedere quello che fin lì davamo per
scontato.
IL SENSO COMUNE
Il pensiero in cui siamo immersi è il senso comune. Nella vita quotidiana noi
sospendiamo ogni dubbio, il senso comune è un meccanismo a tenere lontani i dubbi,
dando per scontato le tipizzazioni di cui facciamo uso. Significa le intendiamo come
naturali, anche se in realtà non sono propriamente naturali, ma modi di interpretare la
realtà che abbiamo appreso nella nostra esperienza e nella nostra socializzazione.
Tuttavia Schutz ha mostrato in un saggio dedicato allo straniero che avvolte risolvere
dei problemi non è sufficiente affidarsi al senso comune. Questo è il caso dello
straniero che si trova in un situazione in cui niente è scontato, ad incominciare dal
linguaggio che può essere un altro. Quindi subentra una crisi dello straniero che deve
42
SOCIOLOGIA
abbandonare un senso comune e imparare a condividerne un altro. Il senso comune
funziona come un sistema condiviso di credenza. Quindi il risultato di una specie di
accordo tacito, che si basa in parte sulla tradizione di un gruppo sociale e in parte è
riprodotto e confermato dall’attività di ciascuno. Questo accordo permette di dare per
scontata all’interno di una cerchia sociale determinata, una certa interpretazione della
realtà, altrimenti il nostro mondo quotidiano precipiterebbe nel caos.
COMMENTI
Data la sua attenzione sulla vita quotidiana, Schutz viene inteso come un esponente
della microsociologia, cioè della sociologia che si occupa della dimensione
quotidiana della vita sociale. Questa interpretazione appare molto riduttiva, tanto è
che Schutz intende il proprio lavoro come un contributo alla chiarificazione dei
concetti fondamentali delle scienze sociali attraverso lo studio delle forme di
costituzione intersoggettiva della realtà. Il suo problema è infatti come sia possibile
che le scienze sociali forniscano interpretazioni adeguate del senso delle azioni degli
individui e, la soluzione passa per il riconoscimento del fatto che interpretare il
significato delle azioni degli altri è un problema che gli individui risolvono di
continuo nelle proprie interazioni ordinarie. La differenza tra il pensiero delle scienze
sociali e quello quotidiano riguarda i criteri con cui viene costruito il sapere: nel
pensiero quotidiano è orientato in senso concreto non teme né ‘incoerenza né
l’approssimazione, in quello scientifico cerca la coerenza logica e si interroga
sistematicamente sull’adeguatezza delle sue affermazioni. Tra scienza sociale e
pensiero quotidiano non vi è una tanto una differenza di sostanza quanto di metodo e
soprattutto di grado.
PETER BERGER E THOMAS LUCKMANN
Berger nato a Vienna nel 1929 Luckmann a Jesenice (Slovenia) nel 1927, entrambi
emigrati negli Stati Uniti, hanno collaborato con Shutz nella New school di New
York. Pur essendo entrambi interessati alla sociologia delle religioni, per il resto la
loro produzione è diversificata. Luckmann si è interessato a questioni concernenti la
comunicazione e l’intersoggettività, Berger invece ha sviluppato un’importate serie di
ricerche sulla modernizzazione e sui rapporti tra cultura e economia. Ma ciò che gli
ha resi famosi è il libro scritto da entrambi “La realtà come costruzione sociale”. Il
libro è uno sviluppo sistematico della prospettiva di Schutz. L’argomentazione
d’apertura contenuta nel libro prende spunto da tre moti teorici. La prima è una
lettura del pensiero di Schutz come una sociologia della conoscenza quotidiana. La
seconda è l’affermazione che la sociologia della conoscenza quotidiana è il perno
principale della sociologia. La terza è la tesi secondo cui questo approccio consente
di fare interagire le due prospettive fondamentali della sociologia, cioè quella
proposta da Durkheim, riguardante l’apparente oggettività di fatti sociali, e quella di
Weber circa la priorità del senso che gli individui attribuiscono soggettivamente
all’agire. Proseguendo l’argomentazione il libro evidenzia due momenti distinti ossia:
da un lato si tratta di vedere come la realtà sia prodotta dagli individui in interazione
fra loro come una realtà oggettiva, dall’altro come questa realtà sia interiorizzata
43
SOCIOLOGIA
soggettivamente dagli individui. Si tratta da un lato dell’analisi dei processi di
oggettivazione, dall’altro di quella dei processi di socializzazione. Il concetto di
oggettivazione viene elaborato da Berger e luckmann in maniera particolare. Per
spiegare tal concetto costruiamo una situazione originaria fittizia: immaginiamo un
primo uomo solo all’interno di un certo ambiente, il quale dovrà risolvere dei
problemi fondamentali per la sua sopravvivenza: procurarsi il cibo, difendersi.
Attraverso diverse prove, giungerà a riconoscere ciò che gli serve e ad imparare come
farne un uso efficace. Le soluzioni che si saranno rese efficaci diventeranno modi
tipici di comportarsi, quindi abitudini. La trasformazione dell’azione in abitudine è il
primo passo verso il cammino dell’oggettivazione. Conseguenza si tale processo è
compattamento del comportamento soggettivo, con acquisizione di una propria
inerzia. Si prova ad immaginare un’altra situazione, ossia che il primo uomo incontri
un altro. Inizialmente il comportamento dell’altro apparirà problematico. Si tratta di
interpretarlo, essendo l’interpretazione una questione di comunicazione, il processo
comporterà come nel primo caso prove ed errori, ma infine la comunicazione potrà
considerarsi stabilita quando entrambi avranno imparato a tipizzarsi reciprocamente,
in altre parole i due saranno capaci di interagire reciprocamente in modo efficace. Per
interagire i due hanno tipizzato reciprocamente i loro comportamenti: l’insieme delle
tipizzazioni che i due ora condividono costituisce un insieme di routine. La routine è
un corso d’azione che si ripete è un’abitudine condivisa il cui significato viene dato
per scontato. Questo è il secondo passo verso il processo di oggettivazione. Infine ci
si immagina che compaia una terza persona con gli stessi problemi di comunicazione
e di interazione, ma a differenza dell’altro, potrà basarsi sul fatto che i due hanno già
consolidato una struttura di interazione fra loro. Tale struttura gli apparirà come
qualcosa di già dato, in altre parole le routine che trova già costituite non saranno più
l’esito di un processo, ma qualcosa si esistente di per se. Questo ultimo è il terzo
passaggio. Questo esempio dimostra che il processo che porta alla costruzione
comune della realtà corrisponde al processo di oggettivazione e la formazione
successiva di abitudini, routine e istituzioni ne sono i passaggi fondamentali. Per
quanto riguarda il processo di socializzazione possiamo dire che, nel momento in cui
veniamo al mondo la realtà è già stata istituzionalizzata si tratta in pratica di imparare
come ci si comporta. La socializzazione primaria è la prima tappa per sapere ciò che
è necessario per muoversi nella società in cui si è immersi. Quindi il senso comune di
coloro fra i quali cresciamo diventa per noi naturale. I vari processi di socializzazione
secondaria articolerà questo bagaglio iniziale senza mettere in discussione il carattere
di fondamento naturale del nostro senso della realtà. Continuando nella loro
esposizione berger e Luckmann ci offrono molti altri passaggi tra questi la trattazione
dei problemi concernenti il linguaggio e come si verifica il mutamento sociale. La
realtà e una costruzione sociale che noi usualmente diamo per scontata. In linea di
principio ciò che è stato istituzionalizzato può essere deistituzionalizzato. Ciò avviene
quando si generano movimenti sociali, in altre parole quando alcuni membri della
società avvertono il bisogno di interpretare il mondo in modo diverso da quello fin li
ritenuto scontato.
44
SOCIOLOGIA
L’ETNOMETOEDOLOGIA
Schutz è stato anche l’ispiratore dell’etnometodologia, la corrente di pensiero di cui è
principale esponente e Harold Garfinkel. Il termine etnometodologia intende lo studio
dei modi o metodi con i quali i soggetti situati i contesti culturali di volta in volta
diversi, danno senso alla loro esperienza e cooperano alla costruzione dell’universo
sociale in cui interagiscono. In altre parole e lo studio dei modi nei quali si organizza
la conoscenza che i soggetti adoperano nel corso delle loro attività, degli
innumerevoli incontri, scambi e conversazioni che riempiono la vita quotidiana.
L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO E LA TEORIA
DELL’ETTICHETTAMENTO
Il termine interazionismo simbolico è stato proposto dal sociologo di Chicago Blumer
negli anno trenata, ma ha avuto una diffusione negli anni sessanta, indicando un
approccio teorico che si focalizza sull’interazione e sul suo carattere simbolicamente
mediato (comprensibile solo attraverso il riferimento all’interpretazione che gli attori
stessi danno della situazione in cui sono coinvolti). Si può riscontrare una certa
analogia per quanto riguarda l’approccio teorico e gli interessi della ricerca
dell’interazionismo simbolico con la sociologia fenomenologia e l’etnometodologia,
anche se nel interazionismo simbolico tendono a concentrarsi soprattutto sui processi
di formazione dell’identità degli individui. L’identità è un prodotto di un processo
autoriflessivo nel quale il soggetto si confronta con le definizioni di se stesso che si
sostanziano nei discorsi con gli altri. Da questo punto l’interazionismo simbolico
giunge alla cosiddetta teoria dell’etichettamento, teoria utilizzata soprattutto negli
studi sulla devianza compiuti negli anni sessanta da alcuni ricercatori tra cui Becker.
L’idea centrale di questa teoria è che la devianza sia un processo d’interpretazione di
determinati comportamenti, piuttosto che un fenomeno dotato di un sua indiscutibile
oggettività. Becker pensa ai devianti in senso ristretto della parola, non coloro che
deviano in un modo o nell’altro dai comportamenti standard, ma coloro che sono
posti ai margini della società perché si ritiene che il loro comportamento offenda le
regole basilari della vita in comune. Quindi pensa ai drogati, ai vagabondi ai ladri,
ecc.. Analizzando queste figure possiamo dire che la devianza sia più
un’interpretazione del comportamento che il comportamento stesso. Questo
ragionamento ha due implicazioni. La prima è che il processo di costruzione sociale
della realtà va inteso come un processo di interpretazione, la seconda e che questo
processo ha degli aspetti conflittuali che mettono in gioco il potere che i diversi
soggetti hanno di imporre la propria interpretazione. Per es. è molto più difficoltoso
rendere efficace l’etichetta per uno studente che chiama criminale un poliziotto
piuttosto che il contrario. In ogni società esistono istituzioni specifiche dotate del
potere di attribuire etichette che trasformano la vita di una persona nel senso che
danno forma ad una serie di aspettative tali da trasformagli l’identità. Inoltre
l’etichetta viene interiorizzata nel senso che colui che è stato etichettato per un certo
comportamento, è probabile che sia spinto a comportarsi di conseguenza. La teoria
dell’etichettamento non è una teoria complessiva della devianza, nel senso che la
possibilità di produrre etichette efficaci rimanda in ultima analisi alla distribuzione
45
SOCIOLOGIA
del potere all’interno della società, senza, peraltro, dir nulla sulle origini e sulla
distribuzione del potere stesso.
ERVING GOFFMAN
L’opera di Goffman è uno dei contributi più interessanti della sociologia
nordamericana, il suo approccio è definito drammaturgico, nel senso che il teatro
diventa per lui la metafora che permette di capire come le persone agiscono nella vita
quotidiana. Nel teatro vi sono una scena e una retroscena, sulla scena recita una parte
sforzandosi di produrre nel pubblico certe impressioni, nel retroscena si prepara alla
scena discutendo con il regista o con i suoi collaboratori, abbandonando il
personaggio che recita sul palco. Allo stesso modo nelle interazioni con il pubblico
ciascuno di noi si sforza di produrre certe impressioni: di sostenere un ruolo, di
suscitare negli altri un atteggiamento non ostile nei sui confronti. Ma c’è anche il
retroscena ossia la sfera privata i momenti di autoriflessione dove insomma
prepariamo le nostre nuove prestazione. Nel teatro si finge. Ma fra l’attore e gli
spettatori si stabilisce un accordo che inquadra ciò che sta avvenendo almeno fino
alla fine dello spettacolo. Nella vita quotidiana avviene qualcosa di simile. In ogni
situazione si instaura un accordo implicito (inteso come la produzione di una cornice
cognitiva) tra le persone coinvolte che definisce appunto la circostanza in cui ci si
trova. Goffmann analizza come quotidianamente siamo impegnati ad incorniciare e
reincorniciare le situazioni in cui siamo coinvolti. I messaggi attraverso cui definiamo
le situazioni sono dei metamessaggi; quei messaggi impliciti che sono al margine
della comunicazione, quindi una sorta di comunicazione non verbale. La metafora
metaforica è prospettata da Goffmann in “La vita quotidiana come rappresentazione”.
Il libro più noto è “Asylums” basato su una ricerca empirica. Goffmann si fa
assumere per un anno come infermiere in un ospedale psichiatrico per studiarne il
funzionamento. Giungendo alla conclusione che invece di curare, il manicomio
produce la fissazione del paziente dell’identità patologica di cui è affetto, che si
pretenderebbe di modificare. Dopo Asylums Goffmann ha pubblicato altri volumi i
più noti sono “Relazioni in pubblico” e “Frame analysis”. Il suo interesse come
dimostrano i sui lavori è concentrato sull’interazione sociale, con particolare
riferimento all’interazione faccia a faccia, cioè quella dove due i più attori sono
fisicamente compresenti nella medesima scena.
46
Scarica