Il gruppo internazionale è arrivato a Piacenza per i vent’anni di “Progetto Uomo” LA FORZA DEL GEN ROSSO Il responsabile Valerio Gentile: “Il positivo c’è in ogni uomo, basta metterlo in luce” Gen Rosso, un gruppo internazionale di artisti che dalla fine degli anni ‘60 propone attraverso la musica il messaggio di un mondo più unito. Concerti in 41 nazioni, spettacoli in teatri, stadi e palasport, 300 canzoni pubblicate, più di 50 album realizzati. Parla da solo il curriculum di questo complesso, oggi costituito da 20 componenti provenienti da 9 Paesi diversi, che trova le sue radici nel Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich. Il Gen Rosso, con la sua capacità di comunicare una gioia profonda che nasce dall’amore all’altro, ha accompagnato l’avvio delle celebrazioni per il ventennale del programma “Progetto Uomo” con l’Associazione La Ricerca di Piacenza. Dopo aver incontrato lunedì i detenuti del carcere e gli ospiti delle comunità terapeutiche, il gruppo ha animato la messa celebrata per l’occasione nella basilica di S. Antonino. Nei giorni successivi, al Politeama, ha proposto “Streetlight”, il musical tratto da una storia vera accaduta a Chicago che dal 2000 viene rappresentato nel mondo. Protagonista Charles Moats, un ragazzo che perse la vita rispondendo alla violenza con l’amore. Sullo spettacolo e sulla realtà del Gen Rosso, abbiamo intervistato il responsabile del gruppo Valerio Gentile. Testimoni del Vangelo con la musica — Dal 2000 a oggi, cosa è cambiato in “Streetlight”? C’è stata un’evoluzione nel tempo e negli stili, anche se il disegno musicale e artistico e la sceneggiatura sono rimasti gli stessi. È giocoforza che all’ingresso di ogni nuovo musicista, ballerino o cantante si cerchi non tanto di inserire quella persona in uno schema, ma di valorizzare i talenti che ha in sé. L’ultimo cambiamento è stato l’arrivo dello spagnolo José Manuel García, che suona il basso, il sassofono e canta. In un pezzo dove era necessario il sassofono, lo abbiamo fatto suonare direttamente da lui piuttosto che riprodurlo con il suono della tastiera. Abbiamo poi aggiornato il disegno delle luci con degli effetti più moderni, cercando di mettere maggiormente in risalto alcune scene. Per esempio, nella scenografia c’erano delle grosse travi di ferro che simboleggiavano l’ambiente suburbano di Chicago. Durante il viaggio che abbiamo fatto nella città, siamo stati nel quartiere di Charles per vedere la sua casa. È stata distrutta, e ora esiste solo una recinzione metallica. Abbiamo trasferito così il simbolo delle reti metalliche nell’attuale scenografia al posto di quelle travi. Anche il trucco e i costumi si sono evoluti. — Come si traduce nel vostro modo di lavorare il fatto di vivere nella vita di ogni giorno l’amore evangelico e l’idea di un mondo più unito? Cerchiamo di metterlo in pratica 24 ore su 24. Non è facile, perché proveniamo da tante nazioni e, già solo quando parliamo di generi musicali, abbiamo tradizioni diverse. Si tratta quindi di fare spazio all’altro cercando di essere anche un mezzo tramite cui egli possa esprimere al massimo i suoi talenti. Quando abbiamo composto “Streetlight”, infatti, il lavoro è stato molto lungo ma soprattutto impegnativo, perché si trattava di creare ma anche di lasciare posto all’altro. Nella vita quotidiana, poi, vediamo che, quando si spengono i riflettori, è importante continuare con lo stesso stile con cui si farebbe lo spettacolo anche quando smontiamo le scene o sistemiamo le casse, fino a che alle tre di notte si chiude l’ultimo camion e si va a cena. Non è sempre facile, capitano momenti in cui ci sono incomprensioni. Abbiamo capito però che ciò che conviene non è discutere, ma che il primo a cui viene l’idea chieda scusa all’altro. Se l’amore manca tra due persone, infatti, è come un ponte che crolla da due parti che per essere ricostruito ha bisogno che una delle due faccia il primo passo. Per noi è molto importante una frase che dice “dove non c’è amore metti amore e troverai amore”, perché questo funziona sempre. Un linguaggio che parla ai giovani — Nelle vostre canzoni traspare l’attenzione alle problematiche sociali. È così. Per esempio in Libano siamo andati per promuovere la pace con un progetto che coinvolgeva migliaia di giovani dal titolo “La pace nelle nostre mani”. Quando lo scorso anno siamo stati in tournée in alcune parti d’Europa, abbiamo promosso soprattutto progetti legati alla pace. In Germania c’è n’è stato uno dal titolo “Forti senza violenza” e un altro chiamato “Rock contro la violenza”; in Austria e in Olanda il progetto era “Stile di vita per la pace”. Questi progetti sono stati lanciati vedendo la necessità del contesto sociale, soprattutto giovanile, di avere dei valori per cui vivere. Il Gen Rosso, infatti, vuole essere al servizio della società in cui si trova e amplificare il messaggio positivo che si intende lanciare a livello di massa, giovanile in particolare. — Che rapporto si instaura con i giovani che vengono ad assistere ai vostri spettacoli? Per noi uno spettacolo è riuscito quando si arriva ad abbattere la barriera tra palco e pubblico. E questo perché sentiamo che non abbiamo da dare niente di più che il mettere in luce quello che c’è di positivo in ogni uomo. Abbiamo incontrato tanti giovani, e non solo, che hanno sentito risuonare in loro le corde della pace e dell’amore in cui credere al di là di tutto. Riceviamo tantissime e-mail, e molte hanno espressioni per noi anche sorprendenti: “mi avete fatto capire il significato della vita”, “c’è stata una svolta questa sera in me”. Alcuni ragazzi dicevano: “abbiamo capito che dobbiamo andare dai nostri compagni di scuola e ricostruire la pace”. Questo è un segno che il positivo c’è in ciascuno, nel Dna di ogni uomo, basta solo metterlo in luce. Quando per esempio siamo andati negli Stati Uniti, W.D. Mohammed, il leader che ha raccolto l’eredità di Malcom X, ci ha invitato a una convention a Washington per suonare con degli artisti musulmani afroamericani. Siamo stati poi nella moschea di Harlem, e ciò che mi è rimasto è la profonda convinzione che nelle religioni c’è qualcosa che ci accomuna ed è quella che possiamo chiamare la “regola d’oro”: fa all’altro ciò che vorresti fosse fatto a te. Questo lo abbiamo visto anche da parte dei musulmani d’America nei nostri confronti. C’è già un mondo nuovo che nasce. Laura Dotti