Filosofare con i bambini e i ragazzi
NEWSLETTER n° 19
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GIUGNO 2007
Questo numero…
Apprendisti filosofi. Echi di un’esperienza “altra” nelle lettere dei suoi protagonisti
Filosofia, bullismo e disagio sociale. Tecniche e illusioni pericolose
La filosofia nella Scuola Media come approccio trasversale
Da Venafro: Il seme della meraviglia
La prima volta di Pixie
“Imparare a pensare tra ragione e passione”. Un corso di giornalismo nel I Circolo Didattico “Arcobaleno” di Mondragone CE
Antigone e Mamma Lucia: la poesia di un gesto
I Giornata della Filosofia al 22° C.D. di Napoli
“Piccoli somari crescono”: cronaca di un titolo impertinente.
Questo numero…
La Newsletter di AMICA SOFIA torna con un po’ di ritardo fra le mani dei molti insegnanti che continuano a richiederla. Ma nel frattempo c’è stato il sostanzioso
numero unico di AMICA SOFIA a stampa, che è uscito ad aprile in occasione del FANTASIO FESTIVAL di Perugia ed è stato diffuso in circa 1.400 copie. Ci
stiamo chiedendo se prenderci un tantino più sul serio e passare dal numero unico a una pubblicazione periodica. Voi… cosa ne pensate?
Intanto siamo già a giugno avviato ed è tempo sia di un arrivederci a settembre, sia di bilanci.
Questo numero racconta una decina fra le tante esperienze significative nate a scuola in luoghi diversi del Bel Paese. Quel che riusciamo a proporre è qualcosa, solo
qualcosa, parte di un tutto molto più vasto e molto più variegato. Da notare che i primi tre servizi trattano di esperienze alle Medie e, in un caso, alle Superiori.
Le/gli insegnanti che NON trovano traccia della loro operosità e creatività in queste pagine hanno un modo per porvi rimedio: raccontare le loro esperienze ad AMICA
SOFIA. Semplice, no? In ogni caso contiamo di riprendere quanto prima il discorso e di toccare anche altri registri.
Con i nostri saluti
La Redazione della NL
1. Apprendisti filosofi. Echi di un’esperienza “altra” nelle
lettere dei suoi protagonisti
umano. I percorsi possono essere moltissimi, come la storia della filosofia
insegna. Magari, qualche volta, pericolosi. La pretesa, poi, di ‘svelare’
qualche verità assoluta, o di pensare che esista una verità assoluta, lascia
spazio alla possibilità di derive inquietanti. ‘Disvelare’, però, non significa
trovare, significa togliere quanto copre: potrebbe essere un continuo
disvelare che avvicina sempre di più a qualcosa magari non alla portata
dell’essere umano, per grandezza o per sua natura. L’assoluto è un’idea su
cui ognuno si può confrontare, libero di crederci o meno, o di credere ad
una qualsiasi delle sue forme. Purché non costringa gli altri, o non li creda
in errore se pensano altro.
Nel concreto; oggi la parola ‘bullismo’ va molto di moda. Si pensa di aver
individuato un problema, ci si accorge che nelle scuole si va diffondendo
questo tipo di atteggiamento, e si cerca di risolvere il problema con progetti
mirati, tecniche e quant’altro. Tutto giusto, ma dimentichiamo, come
sempre, che il problema che andiamo ad affrontare direttamente non è che
la superficie di un problema più vasto, legato alla pressione che l’ambiente
esercita su tutti noi. Provo a ricordare qualche elemento del contesto:
 se gli adulti proposti come ‘normali’ sono quelli dei reality-show,
 se i modelli di confronto politico restano gli insulti o le banalità
reciproche scambiatesi in televisione dai politici e non solo,
 se i modelli di approfondimento o di diffusione di informazione
sono i ‘porta a porta’, nei quali si vivisezionano, con gli strumenti
della banalizzazione e del luogo comune, situazioni e problemi
anche molto seri, entrando nei particlari senza pudore e
contribuendo a generare confusione e pettegolezzo,
 se, nelle partite di calcio dei tornei giovanili, sugli spalti i genitori si
comportano come nemmeno il più feroce degli ultrà, incalzando i
figli e insultando avversario e arbitri,
 se ovunque e senza ritegno si spacciano, come simboli di successo, i
valori effimeri della bellezza estetica e dei soldi (facili)…
poi cosa ci possiamo aspettare dai bambini, ai quali tutto questo non è
risparmiato, che da tutto ciò non sono schermati? Nessuna tecnica, da sola,
può risolvere il problema del bullismo, perché il bullismo è solo una
manifestazione naturale di un problema ben più vasto, che riguarda la
Nel 2005-06 il Prof. Marinangeli aveva animato un laboratorio di filosofia
nella scuola media “Dante alighieri” di Spoleto. Nel 2006-07 l’esperienza ha
coinvolto la medesima scuola mediate l’IISS (ex ITIS) della stessa città. Le due
scuole, operando in modo sinergico, a fine anno scolastico hanno prodotto un
bell’opuscolo e organizzato una geniale esibizione degli allievi a teatro, con
intervento dei due dirigenti scolastici, del Prof. Gianfranco Bottaccioli (Uff.
Scolastico Regionale per l’Umbria), del Prof. Roberto Segatori (Univ. PG) e di
esponenti di Amica Sofia tra i quali la dott.ssa Carmen Finamore e la dott.ssa
Lorella Bianchi, nonché dell’assessore comunale che ha patrocinato l’iniziativa.
Di raro interesse è l’opuscolo, intitolato appunto Apprendisti Filosofi, dove lo
stesso Marinangeli dà conto di alcune delle provocazioni alle quali ha affidato la
sua irruzione anche in classi che non potevano non avere altro che aspettative
generiche intorno a ciò che egli avrebbe potuto proporre. Ma a campeggiare
nell’opuscolo sono le lettere che gli allievi hanno irizzato al “caro filosofo”,
“caro Giovanni”, “cara filosofia” o, più convenzionalmente, “caro dott.
Marinangeli”.
"E' stato bello areare la mente...." scrive uno di questi alunni. Areare significa
dare aria-luce ma anche rivoltare ciò che sta sotto perché venga su. Areare la
terra prima della semina. E anche dopo...avendo cura di non strappare via le
piantine. C'è una poesia in tutto questo e in quello che scrive l’alunno. Sul
piano pedagogico questa nota poetica assume una valenza di grande valore
formativo, lo sappiamo bene. Ed è interessante notare che il docente-animatore
si è presentato come “custode del metodo e del mandato filosofico” impegnato
in “un uso produttivo del dubbio convertendolo in operazione di ricerca
definita” (Dewey).
P. M. – L. R.
2. Filosofia, bullismo e disagio sociale. Tecniche e illusioni
pericolose
Da sempre andiamo sostenendo che la filosofia, praticata nella scuola o
altrove, deve avere come obiettivo il miglioramento della vita dell’essere
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società in cui viviamo e che ci ostiniamo a considerare normale. Tuttavia,
qualcosa possiamo e dobbiamo farla, e su questo invito a leggere la
documentazione relativa al progetto di prevenzione svoltosi ad Ardea o le altre
attività che la nostra associazione (Avios) propone all’interno delle realtà
scolastiche.
Nessuna illusione; sarebbe un grave errore, per noi educatori, dare qualcosa
per scontato, ma sarebbe anche un errore, che mi azzarderei a definire più
grande, non aver fiducia nel ‘materiale umano’ col quale lavoriamo. In genere,
la ricetta sembrerebbe semplice: ascoltare e riflettere insieme, per scoprire/far
scoprire talenti che possano generare comportamenti alternativi a quello
aggressivo. Tutto questo richiede, è vero, un insieme di situazioni e di capacità
da parte di chi opera nel settore; molto dipende dalla precocità dell’intervento,
dall’ambiente di riferimento, dalle cause interne od esterne, dal tempo di
intervento. Ma è indispensabile avere fiducia nel fatto che un comportamento
non è che un abito, una maschera, spesso diventata così abituale, se non
proprio comoda, che il soggetto stesso tende a scambiarla per la sua vera
natura. Ecco che allora sono gli adulti a dover fare attenzione al loro
comportamento, a non rinforzare negativamente questa convinzione. Devono
avere la capacità di osservare, innanzitutto, per comprendere quale particolare
capacità/interesse abbia il soggetto, poi la capacità di rendere questo talento
un’opportunità e come tale ri/presentarla al soggetto come alternativa.
Soprattutto, fargli comprendere che è più funzionale (per dirla freddamente) o
più ‘giusta’ per il vivere. Serve, inoltre, la capacità, che io definirei artistica, di
saper prendere al volo la battuta… intesa come provocazione, per sublimarla e
riproporla in maniera più appetibile.
Tutto ciò, se si parla di interventi mirati, come nei progetti che la nostra
associazione presenta, non può che avere una durata limitata. Occorre riflettere
se, e quanto, questi atteggiamenti possano/debbano diventare connaturati in
qualunque attività educativa.
Ma, ripeto, si tratta sempre di interventi su situazioni, che non rimuovono le
cause. Rimuovere le cause, in primo luogo, significa rimuovere i modelli,
modelli generati da una struttura che è la nostra ‘normale’ società. Si tratterebbe
di ripensare società e scuola e, come si può comprendere, questo è molto più
difficile e pericoloso. Ancora una volta, è la filosofia che fa la domanda più
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chiara e inquietante, che dovrebbe essere il punto di partenza di tutte le
nostre riflessioni. A chi fa comodo educare? (Socrate).
Dobbiamo evitare illusioni ma anche impegnarci. Ascoltare e riflettere
insieme, è sempre la condizione sine qua non. La fiaba del brutto anatroccolo
è stata recentemente proposta in modo provocatorio, come pericoloso
incentivo al bullismo: in un libro recensito da Jacopo Fo nel suo sito
(www.jacopofo.com) si legge:
non e’ più un brutto anatroccolo, ma un cigno bellissimo e aggraziato, il più bello di
tutti, tanto che i cigni più vecchi si inchinano davanti a lui. Nella gioiosa esultanza, ci
dice che non avrebbe mai potuto essere così felice se fosse rimasto un brutto anatroccolo. Se
i genitori che raccontano questa storia alla propria progenie, soprattutto alle figlie giovani,
credono razionalmente di star semplicemente presentando la realtà del mondo, si stanno
sbagliando di grosso. Dovrebbero riflettere sui valori distorti che stanno incoraggiando e
smettere di tramandare queste sciocchezze. Attenzione, stiamo parlando di qualcosa di
molto negativo: la storia insulta e avvilisce in maniera categorica la maggior parte di
coloro che sono rimasti dei “brutti anatroccoli” per tutta la vita. Il racconto ignora il
nostro valore intrinseco, la nostra intelligenza, il frutto del sapere acquisito, del duro
lavoro e delle capacità creative. Fornisce tacito consenso al bullismo adolescenziale e alla
marginalizzazione di coloro che sono “diversi”, ignorando il concetto umanistico del
calore di ciascun individuo. Dovremmo incoraggiare i nostri figli a sviluppare forze
mentali, emotive e fisiche. Dovremmo insegnare loro a non fare affidamento sulla bellezza
fisica. Smettiamola di dire ai nostri figli e alle loro figlie che la bellezza e’ il perno del
loro valore, e che l’avvenenza di una donna e’ il suo “patrimonio”. Il racconto di
Andersen avvalora gli innumerevoli messaggi pubblicitari che dicono che una ragazza e’
inferiore se non e’ bellissima (libro pubblicato in Italia da Nuovi Mondi Media, dal
titolo “I 101 più importanti personaggi… che non sono mai vissuti”).
Ma anche in questo caso, sarebbe forse più opportuno riflettere insieme
ai bambini (la riflessione sulle fiabe è al centro delle attività delle classi di
prima elementare del Filo di Sofia), sul messaggio della fiaba in questione.
L’ermeneutica, ci aiuta anche in questo caso. E quanto la filosofia possa
intervenire sul fenomeno del bullismo, è avvertibile dal fatto che alunne e
alunni di scuole medie ed elementari, coinvolti in un progetto di continuità
su base filosofica, hanno scelto di discutere sull’argomento. Anche in
questo caso, sul bollettino del Filo di Sofia (pubblicato in www.avios.it –
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Amica Sofia, NL n° 19 – giugno 2007
rivista Scienze del pensiero e del comportamento) sono riportati i primi interventi
(paragrafo relativo agli incontri di continuità con l’Istituto Vivaldi).
Stefano Bacchetta
ma significa stabilire nuove regole di gioco. È provato che il dialogo, il
dialogo filosofico contribuisce a formare gradualmente difese concettuali
che possono prevenire la ricomparsa di ciò che è accaduto.
I ragazzi ci si interrogano su quanto sono disposti a fare di ciò che
resta della loro vita, come venir fuori dalla propria situazione per
ricominciare. La filosofia potrà arrogarsi la pretesa di assumere il
compito di “rimuovere gli ostacoli” che impediscono la piena
realizzazione del diritto sociale all’istruzione agendo non solo con i
contenuti e le didattiche ma con i processi, con le relazioni, con i
significati, con le motivazioni da cui dipendono il successo o l’insuccesso
scolastico, la gioia, la tristezza, la voglia di vivere e di lavorare o la
rinuncia, la disistima di sé, il rifiuto più o meno esplicito della vita, nelle
diverse forme di dipendenza o di devianza.
Ma davvero in questo momento storico ci sono realtà più difficili di
altre? Vent’anni fa la devianza minorile riguardava le periferie, i ragazzi
con famiglie disagiate. Oggi è diverso: non si parla più di devianza ma di
devianze. Sono state individuate diverse forme di devianze minorili.
Accanto a quella “tradizionale”, dei giovani di periferia, si pone quella dei
ragazzi stranieri, così come una devianza minorile che non è sociopatica
(non nasce cioè da contesti disagiati): si sviluppa dal “malessere del
benessere”, appunto, da una società opulenta che si scopre povera di
valori, da una media borghesia che ha smarrito il senso dei legami e a
questa categoria appartiene il bullismo: devianza intermedia tra le prime e
il “malessere del benessere”. Accanto allo stato di insicurezza, di
inquietudine, che ha caratterizzato da sempre il mondo degli adolescenti,
accanto alla delicatezza del momento dei teenagers constatiamo tra
adolescenti e preadolescenti disorientamento, incertezza, perdita di
identità e di ideali, indebolimento del sentimento di solidarietà. E
certamente il riferimento non è solo ai giovani di periferia, ai ragazzi della
mia scuola.
Nei miei alunni di Torre Annunziata vedevo tanti Pinocchi, che hanno
difficoltà ad assumere talvolta responsabilità e legalità, non tanto perché
legati al mondo dei balocchi, ma al mondo delle mostruosità degli adulti.
La metafora di Pinocchio è divenuta quindi il fulcro di una piccola
comunità di ricerca. Il percorso fatto con gli alunni è stato un percorso
3. La filosofia nella Scuola Media come approccio
trasversale
La Scuola Media è la scuola dove per la prima volta l’alunno si trova di
fronte a una molteplicità di docenti, ognuno con la sua disciplina. Vi invito a
pensare per un attimo quante volte l’alunno affronta con professori diversi
una stessa problematica quale l’inquinamento. L’inquinamento, problema
sociale, aspetto scientifico, tecnologico. Di fronte a tale scellerata
frammentazione dei saperi, cosa può la filosofia, intesa come approccio
critico?
La negazione dell’interdipendenza fra le parti e il tutto, fra il tutto e le
parti, conduce a una “codificazione” dell’oggetto studiato, e ciò fa
dimenticare che ogni cosa fa parte di un sistema. La complessità, invece, è
“una sfida” da raccogliere, direbbe Morin; la complessità irrompe senza
preavviso, di tanto in tanto si affaccia un “insight”. La filosofia come
strategia trasversale, come approccio traversante, come esercizio al pensiero
critico, e’ un’esigenza sociale diffusa, una ricerca di senso. Per Durkheim
l’oggetto dell’educazione non è dare all’allievo una quantità sempre maggiore
di conoscenze, ma costituire uno stato interiore profondo per tutta la vita.
Rousseau nell’Emilio diceva: “Voglio insegnargli a vivere”. Imparare a vivere
richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione nel proprio essere
mentale, della conoscenza acquisita in sapienza e l’incorporazione di questa
sapienza per la propria vita. E Morin nel suo testo divenuto famoso,
riprendendo un’espressione di Montagne asserisce che è meglio una testa ben
fatta che una testa ben piena, una testa dove cioè non ci sia solo accumulo di
conoscenze, ma attitudine a porre problemi, a organizzare le conoscenze.
Filosofia, dunque, come approccio traversante, come modalità di
apprendimento creativo, come conoscenza e cura di sé per orientarsi, sono
opportunità su cui scommettere in una comunità scolastica fatta di
adolescenti con biografie in costruzione. Ricostruire non è costruire,
recuperare non può essere giocare tempi supplementari con le stesse regole,
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libero, alla ricerca della propria identità, nell’inquietudine che caratterizza
l’età adolescenziale.
In tempi orfani di certezze ma prodighi di messaggi contraddittori, è
necessario ripensare la relazione educativa. La scuola non deve dare solo la
competenza sui significati, ma l’educazione alla ricerca del senso. La filosofia
quindi come nuovo episteme culturale capace di soddisfare i bisogni più
profondi, gli interrogativi esistenziali insiti nell’uomo. La filosofia come una
nuova grammatica del fare scuola, un nuovo linguaggio, una nuova mimica,
una nuova prossemica, addirittura una nuova corporeità. Viviamo in un
tempo, adulti e giovani, docenti e alunni, confuso da tanti rumori, da molte
cose da fare, dove è difficile essere docenti capaci di ascolto attivo, assaliti
ogni giorno da invasioni di contrastanti esigenze. La filosofia come metodo
deve darci il coraggio di staccare la corrente dal nostro affannarci, pensando
a una scuola non più fondata sulla quantità di nozioni e sulla molteplicità di
progetti.
La filosofia può aiutare i ragazzi a liberarsi da tutte le cuffie assordanti, per
divenire capaci di ascoltare il linguaggio del silenzio riflessivo che parla
dentro di loro per aiutarli a comprendere qual è il senso della vita e qual è il
colore del loro domani.
Betty Sabatino
S. M. S. “Parini VI” Torre Annunziata
prima linea nel promuovere, nella "sua" Scuola un tempo per la filosofia. Il
seme della curiosità e della meraviglia è sparso a piene mani nella scuola,
quando la progettazione didattica e disciplinare si arricchisce di riferimenti
alla vita e alle cose del mondo, dando alle conoscenze senso e valore spendibili
nel contesto sociale, affettivo, economico, culturale di appartenenza.
Tanto premesso, i docenti dell’Ist. Comprensivo “Don G. Testa” all’inizio di questo anno scolastico si sono interrogati sulle modalità di
realizzazione della proposta didattica innovativa, trovando nella
introduzione di una nuova attività strutturata la risposta alle attese
formative. Di certo le discipline di studio “tradizionali” possono essere
“curvate”, ma non sempre presentano i contenuti adatti al nuovo punto di
vista, anche in considerazione dell’età degli alunni di scuola primaria e della
impostazione dei libri di testo. Per questo si è fatto posto anche alla
filosofia intesa come il percorso di chi va ad essere iniziato all’amore per la
sapienza (filosofo, colui che ama la sapienza), utilizzando il procedimento
ermeneutico di ricerca della verità.
Il collegamento tra l’intento di questa proposta educativa e l’insegnamento del filosofo ateniese Socrate, fondatore della maieutica come ricercaazione, è risultato spontaneo. In particolare il dialogo platonico “Critone”
ci è sembrato un testo splendidamente adatto ai fanciulli, perché è
comprensibile non solo per via razionale (questo è affare di un intelletto
maturo e potrebbe indurre a ritenerlo inadatto ai giovani allievi), ma anche
per le vie della narrazione dialogica vivace, consequenziale e per questo
chiara e accattivante per alunni delle quarte classi di scuola primaria. Infatti
gli alunni riescono a cogliere lo scenario, l’antefatto, il fatto problematico, i
dubbi di Critone e la ricerca della verità-soluzione da parte di Socrate.
Un docente esterno, il professore Egidio Cappello, esperto di
problematiche filosofiche e di metodologia dell’insegnamento della
filosofia, collabora alla realizzazione del progetto, partecipando alle riunioni
di programmazione ed alle attività laboratoriali.
Il progetto, di durata biennale, ha finalità proprie integrate con le finalità
del curricolo e delle unità di apprendimento programmate per le classi di
scuola primaria.
 creazione e promozione di “radure” di riflessione e di esercizio
critico del pensiero.
4. Da Venafro: Il seme della meraviglia
È questo un tentativo di monitorare le esperienze di filosofia con i bambini
sul territorio, un andare porta a porta e chiedere ai docenti se ci si sia mai
soffermati sulla necessità di pensare un tempo per il dialogo. Un viaggio tra le
scuole, dentro le scuole. Il portale di Gold Indire è una possibile strada per
calarsi dentro le “buone pratiche” e rilevarne le soluzioni organizzative in
ordine ai modi e ai tempi, al numero degli alunni e dei docenti, alle
problematiche oggetto di riflessione.
Una ricerca casuale mi porta a leggere quanto scrive Vincenzina Scarabeo Di
Lullo, Dirigente Scolastico dell’I.C.ST. “Don G. Testa” di Venafro (IS),
coordinatrice delle sessioni di filosofia denominate: “Il seme della meraviglia”.
Un successivo contatto telefonico mi fa scoprire nella Dirigente una persona in
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 sviluppo motivato della conversazione dialogata, del ragionamento,
della ricerca personale e di gruppo come fondamento della soluzione dei
problemi.
 promozione ed accrescimento del senso dello stupore di fronte agli
eventi naturali, umani e storici, presenti e passati.
 promozione del senso della relazione, dello scambio, della
partecipazione e della corresponsabilità.
 abitudine all’esercizio dell’appartenenza, alla esistenza di radici
unitarie, di regole e di unitarietà logiche etiche ed umane.
 alimentazione del bisogno di valori culturali, sociali ed umani.
Il progetto assume come propri gli obiettivi trasversali e disciplinari
delle Unità di apprendimento redatte dalle équipes pedagogiche di
ciascuna classe coinvolta, in quanto a modalità di apprendimento e di
approccio agli itinerari formativi proposti. Costituisce valido sostegno per
lo sviluppo delle seguenti funzioni cognitive e comportamentali:
l’osservazione, l’attenzione, la narrazione, l’ascolto, l’interrogazione, la
riflessione, la classificazione, la definizione, l’associazione, la
generalizzazione. Dette funzioni sono propedeutiche all’organizzazione
del pensiero logico e nello stesso tempo esercizio di pensiero.
Dalle tematiche suddette scaturisce che l’elemento essenziale che
qualifica e definisce la “materia” filosofica e quindi legittima
l’interrogativo filosofico è la relazione tendente al bene, tendente
all’universalità. L’uomo è un essere politico, scrive Aristotele; l’uomo è un
essere solidale, aggiungiamo noi.
Sono quindi argomenti di interesse filosofico, peraltro facilmente
reperibili negli itinerari disciplinari del secondo biennio della scuola
primaria, tutte le voci del vocabolario “di relazione”:
 la famiglia, i ruoli, le regole quelle scritte e quelle non scritte,
l’appartenenza e la storia, la patria, l’ampliamento delle famiglie e
l’incontro con le famiglie di gruppi etnici diversi;
 la città, le leggi che la regolano, il sociale, l’economia, le risorse del
territorio, il bene, la storia della propria città, i segni del passato,
l’appartenenza e la cittadinanza;
 la natura, l’inquinamento, l’acqua, l’aria, le piante, l’ecosistema, le
biotecnologie, la bioetica e la responsabilità della scienza;
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 la persona, l’interiorità, la bellezza, l’amicizia, l’interesse, la
volontà, il desiderio, il coraggio, i bisogni.
Il progetto promuove la motivazione al dialogo e alla ricerca come
premessa fondamentale per la riflessione filosofica. L’ambiente educativo,
sereno e attraente, è condizione per porsi e porre interrogativi: anche i
docenti sono ricercatori e “non conoscono” le risposte ricercate. La classe,
intesa come comunità di ricerca, rigetta il preconfezionamento sia dei
bisogni sia delle soluzioni: pone i propri interrogativi e li affronta attraverso
il dialogo e la conversazione di tutti gli operatori. Sono le attività
laboratoriali a guadagnare valenza prioritaria; attività pianificabili anche
all’interno o dopo la lezione frontale.
Come supporto strategico sono stati individuati alcuni “prerequisiti”
mentali e comportamentali che sono fondanti, ma nello stesso tempo sono
suscettibili di crescita e di sviluppo nella concreta esperienza metodologica.
Abbiamo posto l’accento, in particolare, sui seguenti:
 il rispetto delle regole essenziali come chiedere la parola, aspettare
il proprio turno, ascoltare gli altri e prestare attenzione alla lettura dei
brani;
 il riconoscimento delle somiglianze e delle differenze esistenti tra
le proprie idee e quelle dei dialoganti;
 il riconoscimento del dentro-fuori logico (le cose che sono o non
sono attinenti);
 il riconoscimento del proprio corpo e la capacità di utilizzarlo in
situazioni espressive e comunicative.
Il nucleo di partenza è sempre la lettura del testo scritto seguito da
riflessione individuale e di gruppo. Queste le sequenze previste:
 lettura e comprensione del testo/stimolo (il “Critone”);
 formulazione di domande relative a temi e suggestioni emergenti
dalla lettura;
 redazione di un piano di discussione;
 scelta di un nucleo di interesse filosofico su cui verterà il dialogo;
 presentazione delle idee dei singoli;
 dialogo fra gruppi o all’interno del gruppo classe;
 raccolta di idee, opinioni, concetti emersi;
 raccolta delle discussioni, delle interviste, delle inchieste;
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5. La prima volta di “Pixie”
 conclusione del dialogo con soluzione logica o con il raggiungimento
di concetti più o meno unanimi;
 produzione di poesie, testi, racconti, disegni ed ipertesti coerenti con
l’approdo individuale e di gruppo al significato del “Critone”.
È sempre molto difficile provare a “verificare” in itinere la condizione di un
cammino educativo che ha come obiettivi fondamentali non specifici possessi
nozionistici bensì le strutture essenziali della crescita culturale quali la lettura, la
registrazione dei codici linguistici, l’acquisizione dei significati, l’utilizzo della
terminologia, l’osservazione, il pensiero, il domandare, il cercare: strutture
“visibili” solo in quadri complessi coinvolgenti l’intero mondo interiore della
personalità educanda che fortemente dinamica e difficilmente schematizzabile,
considerato che i soggetti coinvolti nel cammino formativo appartengono
all’età più straordinaria della vita umana per la dinamicità e la corsa alla verità. I
rilievi fatti riguardano i possessi acquisiti attraverso la partecipazione al dialogo
educativo, possessi misurati sia nella produzione di domande pertinenti e
coerenti coi nuclei problematici in discussione, sia nella motivazione a
conservare il proprio entusiasmo per il lavoro in atto.
Ai docenti operatori il compito di rilevare l’apporto dato dal progetto alla
crescita integrale degli alunni misurandone la portata negli itinerari dei singoli
percorsi disciplinari, in particolare nelle dotazioni metacognitive.
Le attività “filosofiche” hanno permesso agli alunni di discutere, di osservare,
di pensare e di scoprire che i saperi filosofici non sono problematiche teoriche
e lontane, ma cose di cui si fanno esperienze “quotidiane”, saperi della vita di
tutti gli uomini di tutti i tempi, saperi necessari per crescere bene dal punto di
vista intellettivo ed umano. Le stesse attività hanno permesso di fare esperienza
del dialogo e di scoprirne la forza nel lavoro di ricerca collegiale, nel lavoro di
superamento dei punti di vista individuali e soggettivi, nel lavoro di analisi, di
sintesi e di osservazione. Hanno altresì permesso di cogliere nella storia di tutti
i tempi la presenza continua di medesimi problemi, di idee e di sentimenti, che
unificano e non disuniscono gli uomini.”
Conduttori dell’esperienza: Anna Maria Petterossi, Claudio Cardines,
Vincenzina Scarabeo, Patrizia Iaccarino, Rosa Perretta, Michelina
Fantini, Silvana Galardi, Egidio Cappello e Maria Rosaria Moscatiello
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Sembra ieri, eppure è già trascorso un ventennio da quel dì, quando,
leggendo il consueto settimanale, che entrava in casa da molti anni, la mia
attenzione fu catturata da un articolo intitolato: All’Asilo con filosofia.
Nell’articolo R. Madera intervistava la prof. Luciana Vigone, la quale
illustrava la peculiarità di un programma educativo, che partendo dalla
Scuola dell’Infanzia raggiungeva la Scuola Secondaria Superiore,
attraversando la Scuola Elementare e la Scuola Media. Il curricolo, in verità,
si mostrava ambizioso perché suo obiettivo era l’educazione del pensiero
attraverso l’apprendimento e la pratica del filosofare. Per il filosofo M.
Lipman, ideatore del curricolo, la filosofia aveva valore formativo, era lo
strumento per pensare in modo criticamente consapevole. Gli alunni erano
sollecitati alla lettura di alcuni testi, scritti per loro. I protagonisti e i
personaggi delle storie narrate dai testi avevano la stessa età dei loro lettori.
Gli alunni, in gruppo, avrebbero imparato ad interrogarsi problematizzando
la realtà, i loro vissuti; avrebbero imparato a discutere su questioni di natura
etica, logica, epistemologica, estetica, metafisica, ed, argomentando,
avrebbero condiviso con gli altri spazi e tempi , all’insegna della
cooperazione e del rispetto reciproci. Ciò avrebbe reso i bambini e i ragazzi
in grado di cogliere i significati di ciò che avrebbero esperito nella loro vita,
di dare significato a ciò che avrebbero detto, scritto, fatto. Quel progetto
educativo aveva il nome di <Philosophy for Children>.
Strappai quelle pagine e le conservai. Desideravo saperne di più, ma, al
tempo stesso, un turbinio di interrogativi affollavano la mia mente.
Coniugare filosofia e bambini/ragazzi? Ma, come sarebbe stato possibile?
L’articolo accennava a esperienze oltreoceano convalidate, ma avrebbe,
realmente, aperto sentieri percorribili? Le mie preoccupazioni non erano
rivolte alle difficoltà organizzative o a quelle relative all’accettazione del
nuovo, del diverso, che, pur, spesso, sono costanti nelle proposte
formative. Ero attratta dalla proposta, mi interessava un tale percorso
formativo perché sembrava volesse coinvolgere molte valenze educative, al
tempo stesso, però, ne ero un po’ perplessa. Come sarebbe stato possibile
quel connubio? Quali difficoltà nascondeva? Su quali presupposti si basava?
E, poi, un docente, un educatore che avrebbe voluto affrontare l’itinerario,
quali competenze avrebbe dovuto possedere? Passarono alcuni anni nel
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Amica Sofia, NL n° 19 – giugno 2007
corso dei quali non dimenticai quel curricolo e cercai di raccogliere
informazioni per saperne di più. L’anno 1994 segnò una svolta, perché
partecipai alla conferenza tenuta dal Prof. Lipman a Roma. Ricordo che
l’incontro fu estremamente interessante così come fu piacevole scoprire che
Lipman era una persona semplice ed affabile. A fine conferenza mi presentai al
prof. Lipman ed ebbi l’opportunità di conoscere il prof. Antonio Cosentino
che, in quel contesto, aveva presentato il primo libro del curricolo da lui
tradotto e commentato.
Il libro era Il Prisma dei Perché ed il suo programma era rivolto agli alunni della
Scuola Media. Mi iscrissi, così, al C.R.I.F.1 , gestito e diretto da Antonio
Cosentino. Da quel momento iniziò il mio reale coinvolgimento nella P4C.
Correva l’a.s. 95/96, quando Antonio Cosentino mi inviò la prima traduzione
di Pixie, un libro del curricolo rivolto ai bambini delle ultime classi della Scuola
Elementare. Per me, docente di due quinte classi della Scuola Primaria Statale “
Duca di Genova” di Ostia Lido Roma, era giunto il momento di sperimentare.
Ciò che mi spinse a provare non fu solo la considerazione dei benefici che ne
sarebbero scaturiti, considerando le stimolazioni educativo-didattiche del
percorso, o, magari, il mio interesse speculativo al riguardo. Dall’analisi delle
situazioni problematiche presenti nelle due classi emergevano diverse esigenze,
quali il bisogno di migliorare l’ascolto, di porre maggiore attenzione e
riflessione all’analisi dei messaggi, la necessità d’imparare a dialogare insieme,
accettando i punti di vista altrui, nel rispetto di un clima democratico, nel quale
ognuno fosse messo nelle condizioni di poter esprimere le proprie idee e le
proprie opinioni e di poterle comunicare agli altri e, infine, il bisogno di
arginare quei comportamenti limite, estremamente esuberanti, creando uno
spazio e un tempo interessanti e coinvolgenti. La motivazione che mi spinse a
provare il programma Pixie fu essenzialmente il desiderio di tentare un percorso
diverso, per cercare di colmare quei bisogni e quelle esigenze. Gli alunni
avevano già, in qualche modo, un back-ground scolastico che li avrebbe aiutati
nel percorso. Le mie scelte didattico-metodologiche avevano sempre stimolato
la crescita del pensiero critico, dando spazio ad un tenace lavoro di
esemplificazione concettuale, guidando, altresì, gli alunni alla consapevolezza
delle abilità di pensiero esercitate.
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Oggetto di riflessione non erano soltanto i contenuti delle discipline, ma
anche le quotidianità che si presentavano nei contesti e nelle situazioni che
vivevamo, anche quelle più semplici, ed, apparentemente, scontate. Gli
alunni appartenevano a due classi quinte diverse, ma la sperimentazione del
programma Pixie si svolse a classi aperte, in grandi e piccoli gruppi. A
ricordo di tale esperienza riporto quanto segue. Allorché Pixie, la
protagonista del racconto letto dai bambini delle due classi, si domanda
come ha inizio il pensiero, o da dove esso provenga, un gruppo di bambini,
sollecitati da questo interrogativo, seppe reagire così:
Giorgia – Il pensiero ha inizio quando uno inizia a pensare a una cosa, o per una
causa. Il pensiero proviene dal cervello, dal ragionamento.
Simone – Il pensiero, secondo me, ha avuto inizio fin da quando siamo nati e non
finirà fino a quando noi cederemo, perché la mente è sempre in funzione. Il
pensiero proviene dal cuore e non solo dalla mente, perché è il cuore che fa
funzionare la mente.
Paolo – Secondo me il pensiero parte ogni volta quando uno ha qualcosa da dire o da
pensare; l’uomo, ogni volta che deve parlare, deve scrivere o deve fare qualsiasi cosa
pensa sempre e non finisce mai. Anche se noi ci vogliamo provare non ci riusciamo,
perché per non fare niente bisogna pensare di non far niente.
Matgoscia – Tutti pensano, anche in modo sbagliato, ma pensano. L’uomo pensa in
ogni minuto, i suoi pensieri provengono dal cervello e dal cuore. Secondo me il
pensiero nasce con noi, da quando siamo piccoli già pensiamo, anche se pensiamo
delle cose piccole, ma pensiamo.
Tomas – Noi non finiamo mai di pensare perché ogni giorno facciamo molte cose e
quindi il pensiero non finisce mai, è sempre attivo e comincia da quando siamo
nati. Il pensiero per me proviene dal cuore.
Silvia – Quelli che pensano sanno fare delle scelte giuste, quelli che non pensano no. Il
pensiero proviene dalla mente. Il pensiero inizia quando una persona si trova
davanti a un problema di vita quotidiana per la prima volta e deve risolverlo.
Flavia – Il pensiero si sviluppa quando, per esempio, io vedo il comportamento di
Paolo, che disturba, e il mio istinto è quello di aprire la finestra, prenderlo e
buttarlo fuori, ma, pensando , non lo posso fare. Infatti gli uomini che agiscono,
come quando si picchiano due persone, sono animali che non pensano, perché
sennò, se avessero pensato, avrebbero potuto risolvere il loro problema con
C.R.I.F. – Centro di Ricerca per l’Insegnamento Filosofico.
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Amica Sofia, NL n° 19 – giugno 2007
discussioni o con calma. Adesso io, se scrivo, sto pensando a cosa scrivere, quindi sto
agendo col pensiero e non con l’istinto. Il pensiero ha origine dalla mente ed ha fine con
l’azione.
Oggi come allora, facendo un bilancio, posso, con soddisfazione, affermare
che, nonostante non fosse stato sviluppato tutto il programma, il risultati
andarono al di là di ogni aspettativa, in quanto gli alunni migliorarono non solo
l’ascolto, ma anche la padronanza del linguaggio verbale, rinforzarono
l’acquisizione dei significati e la consapevolezza delle relazioni tra parole.
Cambiarono, inoltre, nettamente, le relazioni interpersonali, perché i
comportamenti aggressivi si ridussero, furono maggiormente interiorizzate le
norme della convivenza democratica, recuperando in buona parte quegli
svantaggi relazionali evidenziati in partenza. La capacità di giudizio progredì
unitamente all’impegno serio e responsabile. Gli alunni svilupparono l’abilità ad
indagare la realtà, esercitandosi a riconoscere e formulare problematiche
emergenti dei loro vissuti, impegnandosi nell’autocorrezione così come nella
formulazione dei giudizi. E dal momento che la P4C è un percorso per tutti,
che conduce sempre ad un reale riconoscimento ed ad un’autentica accoglienza
dell’alterità nella diversità, ognuno ebbe la possibilità di esprimersi e
comunicare nel rispetto del gruppo. Registrai una crescita nella loro
competenza sia linguistica che logica e cognitiva ed il loro pensiero crebbe nella
dimensione critica, creativa ed affettivo-valoriale. Dal questionario finale
emerse la consapevolezza di aver svolto, divertendosi, un lavoro utile per la
crescita sia individuale che collettiva. Erano state poste le basi per una CdR, dal
momento che i bambini avevano assaporato il piacere di andare a fondo alle
cose, di conoscere i perché dei vari aspetti della realtà, incominciando a vivere
in maniera maggiormente consapevole e responsabile la propria esistenza.
Dal ‘96 ad oggi il mio percorso nella e con la P4C è continuato con Acuto,
Padova, le giornate di Città di Castello e …le dieci sperimentazioni effettuate
con i programmi del curricolo, sia nella scuola Primaria Statale che nella Scuola
Media, la formazione di altri docenti, la creazione, l’organizzazione e la gestione
di un Laboratorio di Filosofia presso la Scuola Garrone, nel 33° Circolo
Didattico di Roma – Ostia Lido, attivo dal 2003 ad oggi ed al quale partecipano
diverse classi. Il gruppo di docenti che coordino non è grande, però, come dice
il nostro Dirigente, Prof. Marco Olivieri, siamo “poche, ma tenaci e
perseveranti.”
―
È stato ed è un bene educativo aver intrapreso e percorrere ancora quelle
strade formative? Io ritengo di sì, perché la P4C ha sempre fatto registrare
entusiasmo, interesse, partecipazione di grandi e piccoli. Soprattutto ha
fatto registrare dei cambiamenti. E se questi cambiamenti sono buoni o
meno,secondo me, la o le risposte sono sempre nei bambini, in ciò che
dicono, in ciò che fanno o non fanno, in ciò che sono. E lo sono perché
sono diventati. Per merito loro. Ma anche di tutti quelli che hanno creato
per loro delle opportunità formative.
È importante sottolineare, infine, che, la P4C è un progetto che coinvolge
sia alunni che docenti,e, sollecitando trasformazioni ,diventa sempre
formativo per entrambi. Relativamente a me stessa, la P4C, con la sua
pratica filosofica,è stata ed è quel ponte , quella strada privilegiata che mi ha
condotto e mi conduce sempre più e sempre meglio ad incontrare i
bambini, ad andare dove essi stanno. Vivendo intensamente e
reciprocamente la relazionalità che con essi si crea, sto imparando a rivivere
le categorie dell’infanzia, sto riscoprendo quelle condizioni originarie di
possibilità, apertura, con le quali provo a leggere la realtà. Insieme ai
bambini riesco a cogliere l’autenticità e l’unicità del mio e dell’altrui essere
persona, allenandomi a destrutturare certezze, per cercare di trasformare
trasformandomi.
Anna Maria Carpentieri
Scuola Garrone, 33° Circolo Didattico di Roma – Ostia Lido
6. “Imparare a pensare tra ragione e passione”. Un corso di
giornalismo nel I Circolo Didattico “Arcobaleno” di
Mondragone CE.
Il corso di giornalismo inquadrato nell’ambito del progetto “Imparare a
pensare tra ragione e passione”, e giunto alla quarta annualità, parte da due
assunti complementari:
1. la necessità di offrire ai discenti un contesto di approfondimento su
quanto all’attualità, a vario titolo, attiene alla comunicazione mass mediatica.
2. l’opportunità di condurre un processo analitico sull’apprendimento,
da parte di alunni di età variabile dai sei ai dieci anni, di diversa
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Amica Sofia, NL n° 19 – giugno 2007
composizione sociale ed etnica, di cognizioni diverse da quelle
normalmente acquisite nel percorso curriculare.
La dinamica dell’approccio è stata fondata su lezioni frontali e verifiche
puntuali e periodiche, unite alla configurazione di colloqui tra discenti e
docente e tra i discenti stessi. Argomenti delle lezioni frontali sono stati:
 Come scrivere un articolo giornalistico
 I principi della comunicazione
 Il giornalismo della carta stampata
 Il giornalismo televisivo
 Il ruolo dell’inviato speciale
 Il giornalismo ai tempi di Internet: usi e abusi della rete
 Saper trovare “la notizia” nei fatti di tutti i giorni: il giornalismo di
strada
Nello specifico, argomenti di stretta attualità quali il tele-giornalismo,
l’utilizzo di Internet per produrre e fruire d’informazioni e il giornalismo di
strada, hanno riscosso grande interesse. Dato essenziale, vero leit-motiv del
corso, è stato il rapporto – in tutte le sue articolazioni e lateralità – tra i “sensi”
e i “significati”, soprattutto in ordine all’acquisizione dei concetti trattati nelle
lezioni.
Il rapporto tra senso (caratterizzato dall’opinabilità della doxa) e significato
(legato alla certezza dell’episteme) è – spesso ed erroneamente – visto in termini
esclusivamente dicotomici.
Si tende a considerare, in genere, una dinamica di acquisizione/metabolizzazione del Sapere cosiddetta “step by step”, che dunque detti le articolazioni
dell’apprendimento distinguendo tra le due categorie della soggettività e
dell’oggettività. La qual cosa, nel corso di giornalismo, è stata ampiamente
rielaborata, considerando l’esigenza di ottenere una sintesi serrata e continua tra
l’universo sensistico e quello attinente ai significati.
Questa dinamica operativa ha consentito di avviare un processo di
vicendevole apprendimento da parte dei discenti, che spesso ha loro consentito
di auto - organizzare le priorità di studio, inserendo istanze caratterizzate
dall’universo cognitivo e propositivo tipico dei piccoli alunni.
Ne deriva un giudizio largamente positivo, sia per quanto riguarda i risultati
raggiunti sia, soprattutto, per il clima di mutuo arricchimento che il contesto ha
ben creato sin dalle sue prime battute.
―
La pubblicazione di un giornalino, come risultato fisico e tangibile del
lavoro degli alunni, ha infine offerto un’utile occasione di ulteriore
socializzazione di quanto acquisito durante il corso, a maggior
dimostrazione della sua validità intrinseca ed estrinseca.
Un progetto, dunque, da riproporre e rivivere insieme: agli alunni e agli
insegnanti, nonché ai tanti intervenuti all’evento conclusivo del corso.
Questi ultimi tutti impegnati a sfogliare il giornalino che, frutto
dell’inventiva e della creatività dei bambini, ha d’un tratto cancellato ogni
distanza, che spesso purtroppo si configura, tra il contesto familiare e
quello scolastico dimostrando, una volta di più, che integrazione e confronto
non sono soltanto belle immagini da pubblicizzare ma rappresentano,
quotidianamente, il vero sale della crescita.
Francesco Miraglia
7. Antigone e Mamma Lucia a Cava de’ Tirreni: la poesia
in un gesto
La presentazione dei lavori a chiusura del progetto di Filosofia con i
bambini coordinato dalla dott.ssa Pina Montesarchio, ha coinciso,
quest’anno, con altre manifestazioni nel paese in memoria di Lucia Apicella,
una donna che Cava deì Tirreni non ha mai dimenticato. Nei giorni
tremendi del settembre 1943, al passaggio del fronte, Lucia Apicella si spese
per raccogliere e ricomporre i resti dei caduti senza distinzione di divise o di
bandiere, e a chi le diceva di lasciar perdere, che non valeva la pena di
esporsi a sua volta a rischi mortali per via degli ordigni inesplosi, soltanto
per dare una più degna sepoltura a dei soldati tedeschi morti in
combattimento, lei rispondeva: “Song’ tutt’ figl’ ‘e mamma”. E questo
mentre nel Salernitano era in pieno svolgimento l'Operazione Avalanche,
con cui gli Alleati, sbarcati nella piana del Sele a sud di Salerno, puntavano
ad occupare rapidamente Napoli. La battaglia infuriava con alterne vicende,
poi i tedeschi iniziarono il ripiegamento.
Dalla sua bottega Lucia li vide passare nella loro divisa terribile. Erano
giovani, poco più che ventenni e nel volto già il pallore della morte. A quelli
fecero seguito altri giovani, altre divise. Passano gli anni. La guerra è ormai
lontana da Cava e tutti cercano di rimuovere il ricordo di quei giorni
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apocalittici. Ognuno vuole dimenticare, vuole vivere. Per Lucia Apicella
riprende la vita di sempre. Ma un giorno assiste ad una scena che le gela il
sangue. Alcuni ragazzi, sotto lo sguardo indifferente dei passanti, giocano
prendendo a calci un teschio di un soldato caduto in combattimento. Per giorni
e notti quella triste scena le ripassa negli occhi. Lucia non sa darsi pace di tanta
innocente crudeltà. Le ripassano negli occhi i tristi giorni di quel tragico
settembre del '43. Rivede quei giovani che marciano.
Comincia la sua fatica terribile. Alla fine della sua missione ha raccolto le
spoglie di oltre 700 caduti.
Lo stesso Stato italiano la ritiene meritevole di un alto riconoscimento e così
il 2 giugno 1959, festa della repubblica, il presidente Giovanni Gronchi le
conferisce l'onorificenza della Commenda al Merito della Repubblica. Quando
muore l'intera città di Cava resta incredula e frastornata. Un suo busto in
bronzo fu collocato nel cortile della scuola elementare "Don Bosco" di corso
Mazzini, a perenne memoria delle future generazioni.
La scuola i cui alunni quest’anno si sono soffermati, nel corso del laboratorio
di filosofare, a ragionare di libertà, legami affettivi, giustizia, insieme alla
dott.ssa Rosita Siano che ha saputo rilevare i pensieri più significativi dei
bambini e integrarli nella semplificazione della tragedia Antigone.
L’8 giugno scorso gli alunni hanno portato in scena “La meraviglia di
Antigone” riprendendo la poesia di Antigone e in essa facendo rivivere
Mamma Lucia. Antigone che dà sepoltura la fratello malgrado la legge glielo
vieti, come Lucia Apicella. La stessa poesia nei gesti! Una scommessa
pedagogica l’incontro dei bambini con il tema della sepoltura. In un tempo in
cui l’incontro dei bambini con la morte è virtuale, una dimensione in cui lo
stritolare una persona nei video-giochi esige ci sia nessuna esitazione ma
prontezza di riflessi per puntare l’arma/il mouse contro chi, in quell’istante, si
ha piacere di uccidere. Il teatro stabilisce un altro tempo. E forse sta in questo il
suo somigliare alla filosofia, anche la filosofia stabilisce un altro tempo. Il
teatro, il teatro vero, non è mai, come dire, compresso in una prefigurazione, si
forma al momento, hic et nunc, qui ed ora, lo ricorda Peppe Basta, esperto teatrale
che ha curato la rappresentazione di questa particolare Antigone. Il teatro è uno
spazio magico in cui si vive lo scorrere dello sguardo e dell’ascolto: attori e
pubblico coinvolti in un mondo possibile, in un luogo presente eppur altro, in un
tempo rallentato e incantato. Uno spazio in cui ognuno inventa e prefigura scenari
―
possibili. Il linguaggio teatrale crea confusione, un ribaltamento. Una sana
inquietudine interiore. La creazione di una realtà parallela codificata da
nuove regole condivise dalle due parti, pubblico e attori. Le finzioni
diventano o possono diventare paradigmatiche, esemplari di possibili realtà
parallele, il famoso mondo possibile, quindi possibili verità; ne consegue la
responsabilità artistica, etica e civile, del mondo possibile che si crea,
ovvero della verità che si fa. Lavorare alla riduzione di un testo significa
fare un’operazione estremamente complessa, significa interrogarsi su cosa
scegliere, quali parole cambiare, come cambiarle e perché.
Nel curare l’adattamento/riduzione del testo dell’Antigone sono state
seguite queste linee-guida. Sicchè l’indovino cieco Tiresia è stato
interpretato dai bambini, che sono ciechi perché non li abbaglia l’ira, la
violenza, il potere. Il bambino diventa per l’adulto – e Tiresia per Creonte –
un terremoto psichico, un crepaccio nel mondo, un sisma del vissuto. L’adulto è spinto
in segreto a vivere il salto – meraviglioso e inquietante – dal presente
mondo reale a un possibile scordato. La rappresentazione di Antigone si
inscrive in una cornice di riflessione più ampia che ha visto la
partecipazione di Ester Cherry (Dirigente Scolastico), Bruno Moroncini
(Università di Salerno), Umberto Landi (Isp. MIUR), Umberto Tenuta (Isp.
MIUR) e la sottoscritta in rappresentanza di AmicaSofiaCampana.
L’Isp. Tenuta, nel suo intervento, richiama l’attenzione al rischio di
“pensare” la filosofia con i bambini come un optional. “La filosofia, afferma,
non può essere intesa come una nuova disciplina, ma come formazione
critica e la formazione critica non può essere riservata ad una ristretta
schiera di alunni. Il che significa che la Filosofia coi bambini non è un optional
di alcune scuole, ma un impegno di tutte le scuole, per tutti i bambini.
Evidentemente, qui nasce il problema della formazione dei docenti, di tutti
i docenti, a curare un apprendimento critico di tutte le discipline, a
impegnarsi a realizzare “una scuola di spirito filosofico dotata.”
Il prof. Moroncini, nel suo intervento, ha mirabilmente messo in luce il
legame filosofia-bambini-donne-Antigone, sgombrando il campo da facili
fraintendimenti che indurrebbero a pensare il filosofare con i bambini
modo perchè i piccoli abbiano a dire le cose più "buone". C’entra,
piuttosto, la ribellione.
P. M.
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all'interno di un proprio progetto e modello di scuola che non ha ‘padrini’ o
‘padroni’ immediati ma è piuttosto la sintesi di sensibilità personali, scelte
etico-civili e pedagogiche, competenze professionali. La mia idea – ha
proseguito Landi – riguarda gruppi di docenti che abbiano la
consapevolezza e il coraggio di dire – nel pieno-esercizio della loro
autonomia – io/noi non siamo né di Lipman, né di Tizio né di Caio – di cui
pure abbiamo cercato di conoscere e di capire idee e proposte didattiche
senza prevenzioni e senza chiusure – abbiamo deciso di ‘fare filosofia con i
bambini’ perché:
a...................
b...................
c…...............
trovando cioè ragioni non speciose ma validissime per dire che farlo
significa:
 personalizzare i percorsi formativi
 valorizzare i potenziali individuali
 contribuire alla formazione di uomini e cittadini
 esaltare creatività e pensiero critico
Veri professionisti dell'educazione e dell'istruzione possono e debbono
fare questo. Diversamente rimarranno degli 'applicatori’ o esecutori di idee
altri prese in blocco, quasi come una donna che dicesse: 'oggi ho cucinato
pasta barilla'. La barilla è un tipo di pasta, un ingrediente ... ma il pranzo (il
curricolo evoca l'idea del menu!) lo prepara – ha concluso l’Isp. Landi – chi
lo prepara: è una creazione del cuoco/dei cuochi.”
P. M.
8. La prima Giornata della Filosofia e i bambini al 22° CD di
Napoli
Il 1° giugno 2007 si è tenuta, presso il 22° Circolo Didattico di Napoli, la I
Giornata della Filosofia, in collaborazione con AmicaSofiaCampana Ha aperto
i lavori la Dott.ssa Maria Rosaria Sabini che ha illustrato i momenti forti del
laboratorio di filosofia esteso alle classi quarte e quinte della Scuola Primaria.
Un incontro sul tema che ha visto la partecipazione allargata degli alunni di
oggi, nonché di ex alunni, ormai adolescenti, uniti insieme nello slogan:
…io non so…tu non sai…
…insieme impareremo…“filosofando”
All’incontro sono intervenuti, fra l’altro, la Dirigente Scolastica Pina Florio,
Giuseppe Limone (II Università degli Studi di Napoli), Umberto Landi
(Ispettore MIUR), Umberto Tenuta (Ispettore MIUR) e Paola Grattagliano
(Docente di Filosofia).
Nel suo intervento, il prof. Giuseppe Limone ha focalizzato l’attenzione sul
bambino come forma staminale sussistente del nostro essere al futuro. “Come
le cellule staminali sono il seme di ogni possibile forma e come il ‘neotenicò è il
seme di ogni possibile nuovo, il bambino è la forma staminale sussistente del
nostro essere al futuro. Il bambino ricorda ai ‘sofòì la filosofia. Di fronte ai superperiti del ‘saper di non sapere’, egli non sa di sapere. Ma glielo ricorda. Occorre
riuscire a vivere e a pensare in almeno tre fasi questa vicenda di liberazione.
Occorre ascoltare il bambino – tutti i bambini. Occorre capire che cosa il
bambino ci dice, nel momento in cui ci dice, non sapendo di sapere. Occorre
capire che cosa, nel momento in cui egli la dice, quella cosa significa – e il
mondo imprevisto che apre nel mondo usuale: per l’assetto dei saperi e della
scuola, per il pensiero, per i valori, per la possibile emersione in sequenza di
altre domande liberate, per la ricerca di nuovi orizzonti, per tutti. E,
principalmente, per la nostra vita di persone.”
A sua volta l’Isp. Landi, a chiusura della sua relazione, rivendica la necessità
di “affrancare l'ispirazione delle scuole impegnate in percorsi di filosofia con i
bambini, facendole assumere il significato di scelta professionale che non
ignora – anzi conosce e valuta criticamente – i contributi provenienti dalle
diverse scuole di pensiero, ma li assume in autonomia e responsabilità
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9. “Piccoli somari crescono”: cronaca di un titolo
impertinente
Così si intitola il Bollettino degli Insegnanti del del Circolo Didattico di Corciano
(PG) 2006/2007 ed è Walter Pilini a spiegare che “…forti della sua
amicizia e signorilità, ci siamo rivolti al perugino Marco Vergoni, grafico,
umorista ed artista di fama internazionale, fidando sul suo estro creativo,
ma il parto della sua fantasia è andato oltre (non immaginavamo tanto!), a
partire da una nuova prospettiva di titolo. Dopo un momento di
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sconcerto ci abbiamo pensato su, arrivando alla conclusione di poter
raccogliere con levità la provocazione ed il paradosso almeno per quel che
riguarda il nostro Circolo, da sempre al servizio degli ultimi e dei diversi – i
“somari”, appunto – cari a noi altrettanto quanto a uno dei nostri Maestri (con
la m maiuscola!) di riferimento, don Milani, con una venatura di sorriso
sdrammatizzante, ma necessario, e di sana autoironia, per una professione,
quale la nostra di insegnanti, che sembrerebbe aver smarrito autorevolezza ed
il senso della sua funzione. E la metafora animalesca non rende giustizia
all’umile, tenace, paziente amico e scudiero dell’uomo, mirabile protagonista
di tanta letteratura (da quello del chisciottesco servitore Sancho Pancha,
all’immortale Blatero di Juan Ramón Jiménez, a quello del filosofo Buridano,
alle prese con un filosofico dilemma). E, dunque, anche per il superamento
dello stereotipo e del luogo comune. Ma poi, chi sono i somari che crescono?
Non vogliamo che la risposta sia scontata. Ed allora: sono forse gli insegnanti
nel loro impegno costante a ridefinire la loro professionalità attraverso
l’aggiornamento continuo e la riflessione di cui il Bollettino costituisce un
momento importante del lavoro di documentazione?
Ed oggi si può ancora parlare della scuola come “fabbrica dei somari” e di
“pampini bugiardi”, per rifarci ad espressioni e titoli cari a Umberto Eco? O
non è ora di restituire questi esseri viventi al loro status animalesco e di farne a
meno come abusata e superata metafora scolastica? Ma il titolo, nella sua
raffinata ed eversiva ironia (che non è però sarcasmo), evoca altre suggestioni
letterarie attraverso il titolo di un romanzo di Luigi Meneghello, uno dei
maggiori narratori italiani del novecento, “I piccoli maestri”, e della sua
trasposizione cinematografica del regista Daniele Luchetti. Evocativo è anche
l’aggettivo che ci rimanda alle fortunate opere di Louisa May Alcott (“Piccoli
uomini”, “Piccole donne” Piccole donne crescono”). Insomma, la frase ci è
piaciuta e l’abbiamo adottata, insieme alla tenerissima immagine, che ci
piacerebbe leggere come un ulteriore sberleffo ad un altro luogo comune,
quello della maestra-mamma e di un ruolo (questo si, purtroppo!), in via di
progressiva, ma speriamo non irreversibile femminilizzazione.”
Il ricco annuario (220 p.) documenta la singolare fertilità di una scuola
rinomata (al CD di Corciano fa capo anche la scuola di Chiugiana da cui è
uscito, fra l’altro, il memorabile La filosofia è una cosa pensierosa, a cura di Anna
Rita Nutarelli e Walter Pilini, Perugia 2005) che sa muoversi in molte
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direzioni. Le schede più vicine alla filosofia con i bambini fanno
riferimento ad alcune classi prime. Per brevità ci limitiamo a richiamare i
titoli: Imparando con il cane Otto “Imparotto” (insegnanti D. Melani e A. R.
Nutarelli) e “Dove è andato Buricchio?” Prime riflessioni sui perché del mondo e della
vita (ins. Walter Pilini), ma non senza auspicare che anche da queste
esperienze possa scaturire… un’altra stimolante “cosa pensierosa”.
L. R.
In redazione: Livio Rossetti e Pina Montesarchio
Chiuso il 22 giugno 2007
Il nostro logo, adottato nel 2005: ideazione
di Walter Pilini, realizzazione grafica di Mara
Fioretti, ambedue insegnanti in servizio
presso il Circolo Didattico di Corciano PG.
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