CARLO URBANI E IL DIARIO DI CARIS, racconto di SARA DE FALCO (III F) DAL DIARIO DI CARIS: “Mi chiedo disperatamente se vale ancora la pena continuare a vivere. Non c’è più niente che mi lega a questa terra, a questa vita, che fatico a definire tale. Mi sento piccola e infinitamente sola. Il mondo mi ha voltato le spalle, e io non trovo la forza per richiamarlo a me. Non riesco a trovarla come tanta altra gente che mi circonda, siamo tutti disperati, affamati, infelici! Eppure io ho perso qualcosa do più della mia casa, del mio cibo, della mia famiglia… io ho perso la voglia di vivere! Non credevo di poterla ritrovare, non immaginano che si potesse ricominciare a sorridere fino a quando go visto lui, così forte, così tenace, così generoso!” CARLO URBANI: È così che si apre la pagina di diario di una ragazzina di nome Caris. Abita in Cile e ha perso tutta la sua famiglia nel terribile terremoto che ha colpito il paese il 27 Febbraio del 2010. Ha soli 13 anni, ma è già diventata donna. Ha assistito a quanto di più terribile può capitare ad un uomo, ha affrontato tutte le difficoltà di una vita in un sola giornata, quel fatidico Sabato. Io, Carlo Urbani, quell’ uomo coraggioso e altruista di cui Caris parla, oggi leggo questo diario perché lei, la “mia bambina”, mi ha permesso di sfogliare tali pagine e rivivere così quei momenti che ci hanno visti insieme, fianco a fianco, a combattere la morte, la disperazione, la malattia. Non aggiungo nient’altro perché basta leggere le sue parole per capire quanto dolore può esserci nella vita di una bambina, ma più di tutto per capire quanta forza può spingere una donna sola a riprendersi in mano la propria vita. Provate voi stessi a immedesimarvi in questa ragazza che io definisco un’eroina e capirete che le sue riflessioni, come lampi che squarciano un sereno cielo blu, colpiscono e feriscono l’animo più di quanto possa fare io. CARIS: “Era il 27 Febbraio. Il cielo era sereno, costellato di luminose stelle e per strada si respirava un’atmosfera tranquilla, forse troppo tranquilla. Erano le 3 del mattino ma stranamente non riuscivo a riposare. Forse perché ero molto preoccupata per il compito in classe che avrei dovuto sostenere il giorno seguente. Che assurdità! Ora, solo ora che mi trovo sola in un mondo maledettamente crudele, mi accorgo quanto siano banali quei problemi e quelle preoccupazioni che riempiono la vita di una bambina. Ma io una bambina non lo sono più. Decisi di alzarmi per uscire un po’ fuori casa, nel mio giardinetto e indossai un golfino rosa poiché la serata era molto fredda. Lo ricordo ancora, è l’unico che conservo…Mi sedetti sulla sdraio che tanto adoravo e che dopo quella sera non avrei più rivisto. È andata distrutta, e con lei tanti altri oggetti e soprattutto tante vite umane.Guardai il cielo e nello stesso momento in cui vidi brillare una stella cadente, accadde qualcosa che non seppi immediatamente spiegare. Quasi come un segno premonitore, quasi come se Dio, che tutto sa e tutto può, si fosse preso gioco di me…e mi avesse dimostrato che la mia vita, fino a quel momento raggiante come la stella, stesse per affievolirsi, nel giro di pochi istanti. E così accadde. La terra cominciò a tremare sotto i miei piedi e continuò a farlo ancora per molto, come se si fosse stancata di reggere il peso degli uomini e della loro crudeltà. La sua vendetta fu atroce, una carneficina! Nei momenti che seguirono quella terribile scossa il “mondo umano” crollò, mostrando tutta la sua fragilità. Non credevo ai miei occhi, non mi sembrava possibile che stesse davvero accadendo quello che vedevo! Ero ancora una bambina e pensavo che tali disastri avvenissero solo negli incubinotturni… Provai a svegliarmi ma mi resi subito contro che purtroppo quello non era un sogno! Crollò tutto ciò che mi circondava : gli alberi, i pali della luce, gli edifici, le case…la mia casa! Alle mie spalle i muri perimetrali cominciarono a frantumarsi senza neanche darmi il tempo di reagire. Morirono i miei genitori e i miei due fratellini, lasciando questa insopportabile realtà che ha straziato la vita di tanti uomini. Mi ritrovai così sola, senza una casa, senza una famiglia e senza la forza di compiere un solo passo. Se probabilmente fossi rimasta lì, immobile, anche la mia vita si sarebbe spenta in breve tempo, scacchiata da quel tumulo di macerie che continuava a cadere, vittima di quella natura vendicativa che sfoga la propria ira su tutti: uomini, anziani, donne, bambini. Ma forse era Dio che voleva che io sopravvivessi, che trovassi poi la forza di raccontare tutto quello che avevo vissuto. Oggi, a distanza di due mesi dall’accaduto, ancora non so se essergli grata o meno…. Di ciò che seguì il crollo della mia casa ricordo molto poco, poiché accadde tutto così velocemente e soprattutto perché in quel momento il mio cuore e la mia mente erano “altrove”, con la mia famiglia. Ricordo solamente che qualcuno mi trascinò via e mi portò in un luogo sicuro, al riparo dalla città che crollava. Ricordo solamente i pianti dei bambini, le urla disperate delle madri, l’odore di polvere mescolato a sangue che invase rapidamente l’aria. Ricordo i volti, gli sguardi che incrociai mentre il mio “salvatore” mi portava via. Erano occhi vivi, disperati, occhi di fuoco! Quegli occhi li ricordo ancora e forse li porterò con me per tutto il resto della mia vita, come una macchia indelebile sul tessuto del mio cuore. I giorni che seguirono furono ancora più strazianti del terremoto. L’uomo che mi salvò si chiamava Rodrigo ma giorni dopo mi accorsi che il mio vero angelo aveva il nome di Carlo Urbani. Arrivò nel mio paese esattamente due giorni dopo l’accaduto e come mi spiegò più tardi era il presidente dell’associazione MSF( Medici Senza Frontiere). Quando lo vidi per la prima volta mi trovavo in una specie di orfanotrofio dove venivano accolti i bambini che nel terremoto avevano perso i propri genitori. Si trattava di un grande casolare, buio e sporco, infestato da un’insopportabile puzza di muffa. Era freddo e poco accogliente, tutto il contrario della mia casa; ma purtroppo in quel momento era l’unico luogo che poteva ospitarmi. È difficile raccontare ciò che provai in quell’istituto, mi sentivo sola e d’altronde lo ero, abbandonata, senza più neanche la forza di alzarmi. Per due giorni non toccai cibo e non parlai con nessuno, ero completamente chiusa in me stessa, prigioniera di quella realtà. La prima parola che dissi fu: “Cosa vuole da me?” e la rivolsi proprio a lui. Mi rispose che voleva aiutarmi, mi disse che non potevo continuare a vivere così, che c’erano bambini nell’orfanotrofio più piccoli e più spaventati di me. Mi disse che dovevo comportarmi da adulta. Se probabilmente mi avesse rivolto parole dolci e confortanti io non mi sarei più mossa di lì, da quell’angolino che mi aveva ospitato per due giorni, e avrei aspettato ancora un po’ fino a quando la Morte, vestita di nero e con un sorriso sarcastico stampato sulle labbra, non fosse venuta a prendermi. Ma lui sapeva che io non avevo bisogno di quello. Mi aiutò ad alzarmi, mi diede da bere e da mangiare e mi raccontò che in Cile c’erano altre centinaia di persone nella mia stessa condizione. Forse voleva che il buon senso, la generosità e la bontà prevalessero in me rispetto all’apatia, la rabbia e il dolore. Non fu certo facile, ma con il suo aiuto oggi guardandomi allo specchio della sua casa ancora riesco ad accennare un sorriso! Caro Urbani è un uomo meraviglioso, la persona più generosa che io abbia mai conosciuto. È un angelo che Dio ha mandato sulla terra per combattere la crudeltà, il dolore e soprattutto la malattia. In seguito al terremoto tutti quelli che ancora avevano la forza di reagire si diedero da fare e aiutarono la polizia, l’esercito, i vigili del fuoco, i medici a salvare quanto ancora di “vivo” restava in Cile. Ed è guardando persone come Carlo Urbani, disposte a sacrificare la propria vita per salvare quella di un altro uomo, che io oggi sono qui. È grazie a lui se sono riuscita a trovare la forza di uscire in strada, di guardare quello scenario disastroso che invece di abbattermi ancora di più mi ha spinto ad andare avanti. Io ho tredici anni, sono ormai adulta e di fronte a quel dolore, come lui mi ha insegnato, non potevo starmene con le mani in mano. Dovevo fare qualcosa, dovevo prendere una decisione e soprattutto dovevo prendere quella giusta. Accettai dunque di seguirlo, poiché come l’esperienza mi ha insegnato, il dolore va affrontato e combattuto subito; d’altronde sapevo che il futuro mi avrebbe riservato più tempo di quanto potessi immaginare per piangere e lamentarmi del passato. Adesso dovevo riprendermi il presente e potevo farlo solo con lui, che mi ispirava fiducia ogni qual volta incrociavo i suo grandi occhi neri . Non so perché scelse proprio me, forse perché gli ricordavo sé stesso, o forse perché sapeva che il mio dolore poteva essere d’aiuto a tante persone bisognose. Solo lui ci riuscì, solo lui fu in grado di guarirmi da quell’incurabile malattia che mi stava distruggendo. Mi accolse nel suo centro operativo, mi spiegò cosa potevo fare per aiutarlo e il giorno dopo mi trovavo già in strada, al suo fianco, a soccorrrere i feriti, a consolare i bambini, a sfamare gli affamati, ad abbeverare gli assetati…. Stavo combattendo il mio dolore aiutando gli altri ad addolcire il proprio. Quei giorni furono interminabili… la gente continuava a morire, le madri e i padri continuavano a piangere per i loro bambini, e questi ultimi non smettevano di disperarsi per l’assenza dei propri genitori. Era uno spettacolo atroce, ma poco alla volta quei volti spenti ripresero a sorridere, quegli occhi smarriti si riaccesero di luce, quelle mani ruvide e sporche di polvere e sangue, ritornarono a donare carezze… e quei cuori infranti cominciarono a ricostruirsi, come il mio. Ma tutto questo fu possibile solo grazie a persone come lui, che anche quando la vita davanti ti sembra buia e tutta in salita, riescono a donarti un barlume di speranza, un soffio di felicità, un sorriso caldo e generoso, perché, come mi diceva sempre la mamma, nessuno ha più bisogno di un sorriso come colui che non riesce a donarlo. Per ciò che hai fatto per me e per tutti i miei amici del Cile, io non posso far altro che guardarti negli occhi, prenderti la mano e dirti: Grazie dottore, da grande vorrò essere come te… mentre un raggio di sole finalmente mi illumina il volto stanco”. CARLO URBANI :È toccante vero? Chi può insegnare più di una ragazzina sola e travolta dal dolore che ancora riesce a trovare la forza di vivere e di lottare? Ti avrò anche salvato la vita Caris, ma tu mi ha dato un motivo in più per credere nei miei sogni e continuare senza rimorsi il mio mestiere di medico. Ed è quello che vorrei insegnare anche a voi, come lei ha insegnato a me: “Non smettete mai di credere nei vostri sogni, perché proprio quando vi sembra che sia tutto finito, è il momento in cui tutto inizia!” Carlo Urbani