Silvano Moroni – biografia
Silvano Moroni, viaggiatore, giornalista, fotografo, scrittore e naturalista di fama internazionale,
nasce a Sesto Calende, in provincia di Varese, il 27 dicembre del 1956. Studia medicina, ma
abbandona presto la professione medica per dedicarsi alla sua principale passione: l’alpinismo in
tutte le sue forme. A chi gli chiede come è nato questo suo interesse, è solito rispondere che “la
colpa è tutta dei suoi genitori”: sin da ragazzino, la ricerca di “ciò che stava dietro la collina” è stata
per lui una delle cose più importanti. Da questa curiosità è scaturito dapprima l’interesse per le
montagne, il gusto di arrivare in vetta, “là dove si congiungono tutte le linee”. In seguito, però, si è
fatta strada in lui l’idea che, una volta giunto in vetta – qualunque essa fosse – l’avventura era
terminata: il sogno finiva, oltre non si poteva andare. Si doveva dunque ripartire alla ricerca di
qualcosa di nuovo, di qualcosa che facesse scattare quella molla d’interesse che risiede in ognuno,
ma che in molti rimane sopita.
Man mano che proseguiva in questa sua ricerca interiore, si rendeva anche conto che oltre alla cima
esistevano i fianchi, che talvolta potevano suscitare anche più interesse. Per tale ragione ha iniziato
ad approfondire le sue conoscenze in materia di antropologia, e questo l’ha portato – e lo porta
tuttora – a visitare le più disparate regioni del pianeta, alla ricerca di quella meraviglia e di
quell’emozione che si possono provare solo durante un incontro, dopo giorni e giorni di faticose
ricerche, con i Pigmei dell’Africa, o con i Mudmen (uomini-fango) della Papua Nuova Guinea, o
con tanti altri gruppi etnici che ormai corrono seri rischi di estinzione. Una ricerca che si rivela
contemporaneamente una sfida a se stessi e ai propri limiti, una traduzione in atto della volontà di
superare tutte quelle barriere psicologiche, sociali e culturali che la società moderna ci impone fin
dalla più tenera età.
Oggi, dopo 25 anni peregrinazioni in ogni angolo del globo, Silvano Moroni ha al suo attivo
centinaia di ascensioni sulle più alte vette del mondo, innumerevoli libri che descrivono i luoghi da
lui visitati (Kenya, Etiopia, Camerun, Marocco, Tanzania, Yemen, Cipro, Malta, Grecia, Russia,
Irlanda, Scandinavia, il Circolo Polare Artico, Perù, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Mongolia, India,
Nepal, Tibet, solo per citarne alcuni), ed un numero ancor più elevato di articoli a carattere turistico,
geografico e geo-politico pubblicati su varie testate a diffusione nazionale e locale, oltre a svariati
documentari realizzati per diverse reti televisive. Attualmente, oltre a proseguire indefessamente la
sua attività di giornalista ed esploratore, di insegnate di giornalismo e organizzatore di viaggi e
spedizioni (in passato è stato per vari anni selezionatore internazionale per il Camel Trophy), sta
lavorando ad un libro autobiografico che “tiri le fila” delle sue ricchissime esperienze di viaggio e
di vita.
Il suo primo amore rimangono sempre le montagne: i loro paesaggi, la natura che le popola, ma
anche le genti che di esse hanno fatto la propria dimora. Popoli spesso “primitivi” secondo i canoni
della nostra civiltà, genti pacifiche o aggressive, ma tutte accomunate dalla quotidiana lotta per la
sopravvivenza, condotta con tenacia, dall’alba al tramonto, con l’aiuto dei pochi mezzi che la natura
aspra delle vette e degli altipiani può offrire. Ma il parametro stesso della povertà, avverte Silvano,
può essere interpretato in vari modi: i popoli delle montagne possiedono una formidabile ricchezza
interiore, che molti di noi non riusciranno mai a raggiungere, sprofondati come siamo tra bei vestiti
e comodità. La capacità, propria di queste genti, di cercare e raggiungere la serenità interiore in
condizioni di vita che ai nostri occhi appaiono drammatiche non può che far meditare seriamente
sulla nostra società “civile” e le sue distorsioni.
A questo proposito Silvano ricorda soprattutto il popolo tibetano, quello che forse più di ogni altro
lo ha impressionato. Durante le sue numerose ascensioni al “tetto del mondo”, molte sono state le
occasioni per condividere l’esistenza di un popolo la cui la vita quotidiana scorre pacifica ad
altitudini che a volte superano i cinquemila metri, circondata dagli sconfinati paesaggi montani
delle vette himalayane. In quei luoghi impressionanti, dove coraggiosi monaci si ritirano a
trascorrere l’intera esistenza in una solitudine assoluta, confortata solo dal mormorio delle
preghiere, la spiritualità si fa quasi palpabile, trasformandosi, anche per il viaggiatore di passaggio,
in un’esperienza che rimane nell’anima.
Ma le montagne, avverte Silvano, non sono l’unico luogo che ha il potere di parlare al cuore di un
viaggiatore: ogni meta esercita un suo particolare fascino, perché ogni terra e ogni popolo hanno
qualcosa da dire, qualche segreto da svelare a chi decide di intraprendere la non facile via
dell’esplorazione autentica. Le sconfinate distese dei deserti, siano esse ricoperte dall’infinito
oceano di dune che costituisce il Sahara, o assumano l’aspetto di desolate lande battute dal sole e
dal vento come i deserti dell’Asia centrale, hanno generato anch’esse, al pari delle vette e degli
altipiani, popoli e nazioni di venerabile antichità, ancor oggi ancorati con tenacia inaudita alle loro
ancestrali tradizioni, inflessibili nello sforzo di sopravvivere ad una natura tremendamente ostile.
Lo stesso si può dire delle tribù che abitano i più profondi recessi delle foreste, nel cuore dell’Africa
o dell’America Meridionale, o nelle regioni più selvagge dell’arcipelago indonesiano.
La “molla” che ha sempre spinto Silvano a percorrere i sentieri del mondo, in cerca di terre
semisconosciute e di culture lontane, altro non è che la curiosità; una dote, questa, oggi troppo
spesso assente nella vita di una persona adulta, troppo occupata nella ricerca e nel consolidamento
di una posizione sociale, di una solida carriera e della stabilità economica per dirigere lo sguardo
verso orizzonti lontani. Ma le gratificazioni che una vita di ricerca e scoperta può offrire a chi ne
accetta i mille disagi, imprevisti e – certamente – pericoli sono senza prezzo. Accostarsi alle genti
più diverse, immergersi nel loro ambiente, dividere – anche se per breve tempo – le loro fatiche, le
loro gioie, i piccoli riti della quotidiana esistenza è un’esperienza che trasforma profondamente, che
arricchisce l’animo ed apre la mente, “costringendo” chi ne è protagonista a guardare il proprio
stesso ambiente, naturale ed umano, con occhi che non saranno mai più gli stessi.
In questo modo anche il ritorno a casa acquisisce un senso nuovo: tornare significa applicare a quel
che era già noto un nuovo modo di vedere e di pensare, che permette di scoprire nuove dimensioni e
nuove profondità in quel che – si credeva – non aveva più nulla da insegnarci. Un esempio può
valere per tutti: «Le osservazioni migliori nell’ambito della lotta per la sopravvivenza» ci dice
Silvano «si possono cogliere nelle nostre città, dove le condizioni di vita sono spaventose. Nei miei
viaggi ho capito che l’uomo è una macchina veramente unica, una macchina che, se supportata da
un’apertura mentale adeguata e dal giusto equilibrio psichico, può adattarsi a qualunque ambiente.
Posso dire di non aver imparato nulla che già non fosse in me, come del resto in ognuno di noi».