SERVIZIO DIOCESANO PER
IL PROGETTO CULTURALE
DIOCESI DI RIMINI
LA FAMIGLIA
Nel corso dell’anno pastorale 2009/2010 anche il Servizio Diocesano per il Progetto Culturale ha scelto di lavorare
sul tema della famiglia, con l’obiettivo di favorire il raccordo tra pastorale della cultura e pastorale ordinaria,
nonché di mettere a servizio della pastorale ordinaria gli approfondimenti e il lavoro svolto nella Commissione del
Progetto Culturale. Si è cercato in tal senso di favorire il discernimento comunitario, mettendo in rete le realtà
che operano sul tema della famiglia in Diocesi, allo scopo di creare sinergie e favorire la condivisone e il
confronto. Sono stati organizzati incontri “allargati”, con la partecipazione di altre realtà diocesane già impegnate
sullo stesso tema, al fine di stimolare un discernimento più ampio ed evitare ridondanze nelle iniziative.
La Commissione ha scelto di lavorare sul tema della famiglia con l’intento di fornire un contributo mirato alla
riflessione, teso a recuperare il contesto culturale della famiglia e i grandi mutamenti in campo etico, valoriale ed
educativo che lo hanno caratterizzato e che sono tuttora in corso. Nel far ciò, si è cercato di riproporre la
peculiarità della visione cristiana di famiglia e di promuovere l’incontro tra la ricchezza e bellezza dell’eredità
teologica e spirituale del cristianesimo sulla famiglia e le sfide della cultura contemporanea. Sono stati affrontati
alcuni aspetti della famiglia, quali la fragilità dei legami affettivi familiari, la difficoltà nel vivere l’affettività e il
senso dell’affettività, il problema della qualità e del senso delle relazioni familiari (tra sposi, ma anche tra genitori,
figli e nonni), la bellezza della famiglia, la “potenza” ma anche la “fatica” della famiglia. Si è cercato inoltre di
mettere in relazione i tratti costituitivi del modello cristiano di famiglia con le esperienze, le fragilità e talvolta i
drammi quotidiani di oggi, cercando di evitare di cadere in letture esclusivamente sociologiche o nel moralismo
che fa contrapporre il modello “giusto” a tutti gli altri.
Qui di seguito sono riportare le tre principali relazioni svolte durante gli incontri dalla Commissione – da parte
di Nevio Genghini (pag. 2), Paolo Parma (pag. 8) e Natalino Valentini (pag. 20) – e una sintesi del successivo
dibattito che è stato condotto con il metodo del forum, ovvero lasciando libero spazio al confronto,
approfondimento e discernimento comunitario.
Maurizio Mussoni
(Responsabile del Servizio Diocesano per il Progetto Culturale)
La famiglia nella tempesta
Nevio Genghini
Perché la famiglia si trova oggi nell’occhio del ciclone? In poche battute azzarderò una risposta, scegliendo un
angolo visuale che ritengo decisivo per sbrogliare la matassa.
1. La famiglia, come tutte le cose umane, può essere considerata sotto due aspetti, alquanto diversi tra loro: sia
con l’occhio disincantato dello studioso di fatti sociali, sia con l’occhio partecipe di chi ne ha formata una.
- Da un punto di vista esterno la famiglia è un’istituzione, e come tutte le istituzioni riceve un mandato dal
sistema sociale di cui fa parte. Il mandato, ovviamente, riflette la cangiante autocomprensione del sistema,
ciò che Hegel chiamava “lo spirito dei tempi”. Oggi, per esempio, la veneranda idea della famiglia come
“cellula naturale” della società non trova più credito nell’immaginario collettivo: giurisprudenza e senso
comune concordano sul carattere “artificiale” del matrimonio, un “accordo tra privati” che non ha bisogno di
alcuna solenne consacrazione.
- Da un punto di vista interno la famiglia è una scuola di comunione, un luogo nel quale si impara a riconoscere
– giorno dopo giorno – l’infinito valore della persona amata. L’esperienza familiare, in quanto partecipazione
al destino dell’altro e collaborazione alla sua gioia, è quanto di più simile ci sia nell’ordine della natura
all’amore trinitario. In essa affiora l’autentica genealogia dell’uomo: questi, come il suo archetipo divino, è
fatto per la comunione e si realizza pienamente nel libero dono di sé ad un altro (GS, n. 24).
Il punto di vista esterno è legittimo ed anche utile: ci fa conoscere dimensioni della famiglia che trascendono il
vissuto dei suoi membri. E’ chiaro, però, che la prospettiva esterna può sussistere perché e finché sussiste la
1
prospettiva interna. Una famiglia che non venisse più percepita come scuola di comunione, non potrebbe più
ricevere mandati dalla società, e quindi assolvere compiti di tipo istituzionale.
2. Dal punto di vista esterno – come si è detto – la famiglia è solo una tessera di un mosaico più vasto, che ne
determinata il posto e l’importanza. Dal punto di vista interno, al contrario, essa rappresenta il crocevia, nonché
l’orizzonte unificante, delle nostre basilari esperienze: la nascita e la morte, l'amore e il lavoro. Il filo che annoda
queste esperienze è la gratuità, ossia la capacità di onorare l’altro nel suo irraggiungibile mistero. La gratuità, a
sua volta, è la matrice segreta dei codici che ci guidano nella selva dei nostri dilemmi esistenziali (vero/falso,
buono/cattivo, ammirevole/ripugnate, giusto/iniquo, ecc.). Dunque, lo specifico contributo della famiglia all’utilità
generale è la formazione della personalità morale. Poiché non ci sono energie alternative o equivalenti funzionali
della gratuità, non c’è alcuna agenzia pubblica che possa surrogare la sua performance. La famiglia mette a
disposizione della società un tipo d’uomo che, detto alla buona, sa di poter essere felice solo con gli altri, non a
spese degli altri. Su questo tipo umano, com’è noto, fanno gran conto le istituzioni della vita civile ed economica,
proprio perché sono consapevoli di non poter generare in proprio le virtù necessarie all’efficienza dei loro
processi e dei loro apparati.
3. “La famiglia è in crisi” – si dice da più parti, ma il discorso si ferma perlopiù alle ragioni economiche e
sociologiche del suo precario stato di salute (i giovani che non trovano lavoro, la loro preferenza per i legami
“liquidi”, ecc.). Rischia così di passare inosservata la radice culturale della crisi. Molti pensano che la famiglia
“tradizionale” non meriti alcun trattamento di favore, da parte dell’ordinamento giuridico, rispetto ad altri legami
e sodalizi di natura affettiva. Da dove nasce questa insofferenza? Un episodio può aiutarci a riflettere. Alcuni anni
fa, durante una seduta del Parlamento europeo, nella quale si discuteva la regolamentazione dell’accesso alle
tecniche di riproduzione assistita, fu issato in mezzo al pubblico un manifesto che recitava così: l’unica legge è il
desiderio. Lo slogan ricapitola il senso della rivoluzione morale che ha cambiato, negli ultimi decenni, il comune
senso del pudore: il desiderio è innocente, perciò non ha bisogno di essere guidato o indirizzato secondo verità e
ragione. Di conseguenza vincoli ed impegni affettivi duraturi umiliano oggettivamente la sua naturale esuberanza.
Si spiega così – nella considerazione pubblica – il declino della famiglia “cristiano-borghese”, che la letteratura e la
cinematografia odierne dipingono volentieri come la madre di tutte le nostre nevrosi.
4. Lo slogan che ho ricordato potrebbe sembrare la trovata estemporanea di una lobby (quella, per intenderci,
che ci ha abituati a pensare l’identità sessuale come un “orientamento”, ossia come un dato socio-culturale,
piuttosto che come una “vocazione” iscritta nella carne della persona). Al contrario, racchiude un messaggio
seducente, soprattutto per i giovani. Dice a ciascuno di loro: il tuo desiderio è innocente, dunque non hai bisogno
di misurarti con una realtà più grande delle tue “voglie”. Ecco il centro, il vortice interno della tempesta: chi è
convinto che non vi sia nulla al di là delle sue voglie, percepirà inevitabilmente la famiglia come una pietra
d’inciampo. L’esperienza familiare, infatti, contraddice la fede nell’innocenza e nella spontaneità dei nostri
desideri: nessuno sa quel che vuole realmente, finché non si sente voluto; nessuno sa quel che desidera
realmente, finché non si sente desiderato. Solo quando uno sguardo carico di sollecitudine e di benevolenza si
posa su di me, io imparo a mettere ordine nel groviglio delle mie voglie, a distinguere quelle compatibili con la
mia dignità da quelle che invece, se soddisfatte, potrebbero compromettere la piena fioritura della mia persona.
5. Nella famiglia si fa esperienza di questa verità elementare: c’è un altro, al di à delle nostre confuse voglie e
prima dei nostri autentici desideri. Pertanto essa è il luogo originario del senso religioso. Ci ricorda, infatti, che
abbiamo un debito di gratitudine con chi ci ha voluti al mondo, un debito che non potremo mai saldare: siamo
dunque degli invitati, gli ospiti di un banchetto allestito per noi ma non da noi. Rispetto alla vita, in altre parole, ci
troviamo nella stessa condizione del musicista che scopre una partitura incompiuta: egli può aggiungere alcune
battute di suo pugno, può riempire gli spazi vuoti dello spartito con il suo personale talento, ma nello stesso
tempo deve accordare i suoi interventi con una linea melodica già tracciata dall’iniziativa altrui. La famiglia è nella
tempesta perché la sua dinamica ordinaria (che l’inevitabile oscillazione della vita coniugale tra alti e bassi, tra
lucidità e confusione, tra ardore e stanchezza non può radicalmente alterare) smentisce il pròton pseudos
(l’errore originario) di chi crede che il desiderio umano non abbia bisogno di essere redento1.
6. La tempesta che ha investito la famiglia, sin qui descritta come crisi culturale, ha anche un evidente risvolto
civile. Secondo un’influente visione della democrazia, i protagonisti essenziali della vita pubblica sono due:
l’individuo e lo stato. La persona viene così rinviata alle istituzioni statali quali fonti primarie di solidarietà sociale.
Questo spiega perché la famiglia sia stata spogliata in misura crescente – nelle società occidentali – delle funzioni
Un’eloquente difesa di questo pròton psèudos si trova in R. Rorty, Un’etica per i laici, Introduzione di G. Vattimo, Bollati
Boringhieri, Torino 2008.
2
1
che naturalmente le competono, come ad esempio nel campo dell’educazione e dell’assistenza. Bisogna dunque
lottare perché la famiglia diventi finalmente il primo interlocutore delle politiche sociali dell’ente pubblico.
Esistono bisogni umani (educazione, cultura, assistenza) che per la loro natura complessa chiamano direttamente
in causa la responsabilità delle famiglie. Nessun apparato burocratico, infatti, è in grado di erogare quel senso di
partecipazione al destino dell’altro che è il cuore stesso della vita familiare.
Dibattito successivo alla relazione di Nevio Genghini
1. E’ molto positivo che la Diocesi rifletta sul tema della famiglia, sperabilmente non solo e non tanto perché si
tratta di una realtà per molti aspetti in crisi, ma perché è un valore fondante della società. La riflessione sulla
famiglia si deve muovere su tre piani.
a) Prospettiva culturale
Oggi è in crisi l’identità stessa di famiglia. L’Istat, ad esempio, quando sintetizza le sue ricerche si trova nella
necessità di spiegare a quale tipo di famiglia si riferisce (ci sono 10-12 tipi diversi), mentre un tempo non era
necessario spiegare cos’era la famiglia, era un concetto chiaro a tutti.
Ad essere in crisi è oggi prima di tutto la comunione, fondamento della famiglia, sostituita dall’individualismo dei
singoli componenti. La famiglia è diventata un luogo privato, che non ha niente da dire alla scuola, alla politica,
con cui non ha niente a che fare. Oggi viviamo nella società dei figli unici, perché il primo figlio è spesso anche
l’unico, dato che ci si sposa sempre più tardi. Vene perciò meno il senso stesso della fraternità. La durata media
del matrimonio è oggi pari a 13 anni, un matrimonio su quattro salta. Ci sono tre periodi che rappresentano
“picchi” in cui avvengono le crisi: il primo è entro i primi 2-3 anni dal matrimonio, il secondo dopo 10 anni e due
figli, il terzo dopo i 30 anni di matrimonio, quando i figli se ne vanno e si allontanano dal nucleo familiare
originario. Si assiste poi oggi anche ad un fenomeno del tutto nuovo: un 5% di “separazioni” dovute
esclusivamente a convenienze di tipo fiscale.
b) Prospettiva pastorale
Di fronte alla constatazione che la famiglia è in crisi, la Chiesa non deve solo giocare in difesa, deve considerare la
famiglia non solo come parte del problema, ma come parte della soluzione al problema stesso. In altri termini, se
è vero che la famiglia rappresenta la cellula fondamentale della società e della Chiesa, la Chiesa deve puntare
proprio sulla famiglia per uscire da questa situazione di crisi.
c) Prospettiva biblico-teologica
E’ necessario approfondire il fondamento biblico e teologico della famiglia, che rappresenta il “modello” di
riferimento di tutto il messaggio cristiano.
La riflessione su magistero e teologia della nuzialità dopo il Concilio Vaticano II si è sviluppata moltissimo. Il
problema è allora che oggi il magistero della Chiesa è molto più avanti rispetto alla prassi pastorale delle
parrocchie, che non si è adeguata. Ciò significa che occorre fare uno sforzo di cambiamento, che i corsi per
fidanzati devono essere fatti in un certo modo, ecc. ecc.
2. Come Chiesa si sta troppo a guardare il declino della famiglia, la si sta un po’ “abbandonando” e non si trovano
gli strumenti per incidere. Soprattutto non si considera un aspetto, quello della Chiesa come “Popolo di Dio”,
come comunità che non faccia sentire sola la famiglia. Il cristiano deve stare dentro una comunità, da soli non si
va lontano. La famiglia deve giocarsi dentro una comunità, al di fuori è sola. Bisogna inoltre recuperare il “Vieni e
vedi” che dice Gesù, il proporre degli esempi da seguire: anche noi abbiamo qualcosa da mostrare, da proporre, e
cioè la bellezza del fare famiglia. Spesso invece non abbiamo niente da mostrare, e non esprimiamo la bellezza del
dire Sì per sempre e del portarlo avanti.
3. Perché costruire una famiglia oggi? Cosa vuol dire costruire una famiglia oggi? L’idea della famiglia cristiana è
basata sul sacramento del legame coniugale. Dio ha deciso di chiamare Cristo “sposo” quindi la famiglia ha un
ruolo anche teologico e spirituale, perché incarna il rapporto tra uomo e Dio. La genesi dell’umano nasce di lì, a
partire dalla sessualità. È importante quindi condurre una riflessione anche sulla sessualità: non solo non è tabù,
ma va valorizzata al livello più alto. Anche gli altri sacramenti hanno un riferimento con il legame sacramentale del
vicolo matrimoniale. Occorre dire forte allora i valori che sono alla base della famiglia, ripartendo proprio dalla
riflessione teologico-spirituale sull’unione coniugale, che dà poi valore a tutto il resto.
4. Un tempo il matrimonio era lo sbocco inevitabile di una relazione di coppia, e anche successivamente c’era
tutto un mondo attorno che aiutava, confortava, e non contemplava neppure l’idea di potersi separare. Dal punto
di vista culturale, non c’era neanche l’idea della separazione. Oggi invece le famiglie sono sole: servono perciò
3
l’accompagnamento, l’accoglienza, l’esperienza di altre famiglie attorno. Non siamo inoltre capaci di far vedere il
bello, la bellezza della famiglia.
5. Ci sono due attenzioni da tenere: la prima è quella di non fare una “retorica” della famiglia, è bene parlare
anche degli aspetti più critici della famiglia; la seconda è quella di non affrontare il futuro con lo sguardo rivolto al
passato, la famiglia non è solo quello che è stata, ma è quello che sarà e che potrà fare; probabilmente sarà anche
di più, non bisogna guardare al passato.
6. C’è una stretta relazione tra la prospettiva interna e la prospettiva esterna citate da Nevio Genghini nella sua
relazione. Infatti, se la famiglia è il luogo di produzione dell’umano, qual è il modello di uomo di cui parliamo? I
genitori infatti trasmettono ai figli i valori che a loro volta prendono dalla società, in cui c’è pluralismo culturale: ci
sono perciò famiglie diverse che trasmettono valori diversi (potere/successo o valori evangelici). In tal senso le
famiglie hanno anche una funzione antropologica, mentre purtroppo oggi le “agenzie formative” sono ben altre
(mass-media in primis). La famiglia dunque non è sostituibile, ma è di fatto ampiamente sostituita.
7. La realtà delle famiglie irregolari o separate è una grande sfida e una grande emergenza culturale per la Chiesa.
Ci si sente più rappresentati dalla famiglia dei “Cesaroni”, serial televisivo, che dal modello di famiglia proposto
dalla Chiesa. Occorre aumentare la consapevolezza della crescita della persona dentro la famiglia come cristiano.
La Chiesa deve fare più sforzi per arrivare alla gente, soprattutto a chi ha bisogno di aiuto. Occorre fare più
attenzione alle giovani coppie, alla realtà di famiglia che esiste, ai figli di separati. In particolare occorre
interrogarsi e aiutarsi in questo campo: come educare i figli dei separati al valore della famiglia?
8. C’è oggi un deficit formativo sulla famiglia, anche da parte dei cattolici cosiddetti “praticanti”. Si è allentato lo
sforzo formativo del mondo cristiano su queste tematiche, i cristiani praticanti si comportano come gli altri (si
pensi a rapporti prematrimoniali e convivenza), non c’è sufficiente formazione. Il risultato è che l’“esterno” della
società ha una grande incidenza sull’“interno” della famiglia.
4
La famiglia in prospettiva sociologica
Paolo Parma
Le riflessioni che seguono prendono spunto dall’analisi di alcuni dati statistici pubblicati dalla Segreteria Generale
della CEI nell’ottobre del 2009. Poiché non sono uno specialista in tematiche famigliari, mi limito a collocare tali
informazioni all’interno di un quadro interpretativo generale di tipo sociologico che mette a confronto due
diverse prospettive: quella che si rifà alla tradizionale teoria funzionalista e quella, più recente, che riprende le
idee di fondo della teoria sistemica.
Nella prospettiva sociologica funzionalista
L’individuo viene considerato l’elemento principale di un sistema sociale. E’ lui che, attraverso la sua continua
attività di produzione di beni immateriali (idee) e materiali (le cose) contribuisce a costruire il mondo in cui abita.
Questa costruzione riguarda innanzitutto la dimensione culturale: un apparato simbolico di valori e significati che,
se condiviso dai membri della società, finisce per costituire l’identità nazionale di un popolo od anche (per usare
un termine durkheimiano) la sua “coscienza collettiva”. Essa stabilisce le cose in cui credere e definisce il senso di
ciò che si è e di ciò che si fa.
Questa produzione culturale, poi, si concretizza nella costruzione della dimensione strutturale: un apparato di
istituzioni (politiche, giuridiche, economiche, sociali, ecc.) che traduce quei valori e significati in fini sociali da
realizzare ed indica ai soggetti quello che devono fare (i ruoli) e come lo devono fare (le procedure e norme di
comportamento).
L’uomo, dunque, è il costruttore del suo mondo (il mondo è una produzione umana) ma è vera anche la
proposizione inversa e cioè che l’uomo è un prodotto sociale. E’ questo il rapporto dialettico che esiste tra l’uomo
e il suo mondo ed è in relazione a questo secondo aspetto del rapporto (la produzione dell’uomo) che entra in
scena la famiglia (considerata come istituzione sociale).
L’uomo è un prodotto sociale nel senso che trae dalla famiglia (attraverso un processo di interazione con i
genitori chiamato “socializzazione”) tutte quelle conoscenze che (una volta interiorizzate nella coscienza) sono
necessarie a completare il suo apparato istintuale, a consentirgli di entrare in relazione con gli altri in modo
corretto ed a dare un senso alla sua biografia.
La famiglia, quindi, insegna ai nuovi arrivati che cosa è il mondo (i valori e significati), come si deve stare nel
mondo (le norme), cosa si deve fare nel mondo e chi si è (l’identità) in questo mondo. Essa trae, ovviamente, le
conoscenze da trasmettere dall’apparato culturale presente nella società con la conseguenza che si avranno tanti
tipi di uomini diversi a seconda delle culture presenti nel tempo e nello spazio (cosa ben documentata dagli
antropologi) o in dipendenza dello strato sociale di appartenenza (operaio, borghese ecc.).
Alla famiglia, in definitiva, sono affidati alcuni compiti essenziali al buon funzionamento della società:
1. Garantire la riproduzione sociale
a) in senso biologico (mettere al mondo nuovi bambini all’interno dell’unico ambito legittimato ad
esprimere la sessualità)
b) in senso culturale (trasmettere i valori, i significati e le norme)
2. Consentire l’integrazione sociale delle nuove generazioni (cioè, fare in modo che esse entrino nella
società in modo corretto e acquisiscano un forte senso di appartenenza).
3. Rendere plausibile e legittimo l’ordine sociale ( cioè, confermare, spiegare e giustificare continuamente
la validità di quei valori, significati e norme e fornire risposte credibili ad eventuali domande e dubbi)
Nella prospettiva funzionalista ciò che garantisce la riproduzione sociale è, dunque, la condivisione di un
nucleo essenziale di valori e significati (la cultura) e l’impegno della famiglia (prima) e della scuola (poi) nel
compito della socializzazione. Se le due condizioni si realizzano, la società funziona in modo corretto e senza tante
situazioni conflittuali. Gli individui si trovano inseriti in una realtà che non offre loro tante possibilità di scelta (si
vive in un mondo di destino, un mondo dato per scontato):
a) esiste un solo modello istituzionale (la famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio, la scuola
pubblica, l’ospedale civile, la Chiesa cattolica, ecc.)
b) esiste grande omogeneità tra il “foro interno” (la coscienza) e il “foro esterno” (la società)
c) i fini delle istituzioni prevalgono su quelli dell’individuo
d) le istituzioni (tra cui la famiglia) possiedono un elevato tasso di stabilità e di durata nel tempo
(matrimonio indissolubile)
5
Nella prospettiva sistemica
Nella realtà di oggi constatiamo che le cose non funzionano così, il mondo è cambiato e va descritto e compreso
con altre categorie interpretative. E’ a tale scopo che si ricorre alla teoria dei sistemi (detta anche neofunzionalista)2.
Tale teoria rovescia completamente la prospettiva precedente: non ci si pone più dal punto di vista
dell’individuo ma da quello del sistema sociale e delle sue esigenze di funzionamento. Si nota, allora, che:
a) tale sistema è immerso in un “ambiente” estremamente caotico e variegato, in cui si muovono individui
che agiscono sulla spinta di progetti, obiettivi, desideri, aspettative e interessi molto diversi tra loro, che
avanzano pretese legate essenzialmente ai loro bisogni individuali;
b) non esiste più un quadro di valori condiviso da cui far discendere le norme di comportamento ed in
grado di conferire un senso unitario e coerente al tutto (è la cosiddetta “perdita del centro”);
c) la coscienza collettiva (l’identità nazionale) si è frantumata ed è divenuta incerta (si vedano ad esempio,
le controversie su due momenti fondativi di tale identità: il Risorgimento e la Resistenza);
d) i fini sociali non sono più condivisi Si discute su cosa debba intendersi per giustizia, libertà, uguaglianza,
educazione, legalità, democrazia, ecc.;
e) di conseguenza, le istituzioni perdono la loro forza (nell’imporre il rispetto dei ruoli e delle regole) e la
loro stabilità (i modelli sono soggetti a mutamento e frammentazione);
f) esiste un divario crescente fra ciò che l’uomo può pensare e immaginare e ciò che può realmente fare,
fra bisogni e possibilità di soddisfarli (è questo il concetto di complessità sociale);
g) l’individuo si trova di fronte alla possibilità di effettuare scelte diverse. Da un mondo di destino si è
passati ad un mondo di scelte che, se rendono l’uomo più libero e responsabile, lo rendono anche più
incerto e insicuro (in ogni caso lo pongono nella condizione di dover riflettere e, di conseguenza,
aumentare il tasso di soggettività).
In queste condizioni, il sistema sociale per poter funzionare (e ridurre il campo di scelta dei soggetti) deve
operare attraverso una strategia di differenziazione istituzionale. Ciò significa che si costruiranno nuovi modelli
istituzionali (in grado di rispondere alle esigenze che provengono da quell’ambiente così complesso e multiforme
di cui si diceva sopra). La conseguenza è che oggi ci si trova di fronte a diversi modelli di famiglia, diversi modelli di
scuola, di Stato, di Chiesa ecc.
Questo processo di differenziazione porta il sistema a suddividersi in sub-sistemi, in settori istituzionali (la
famiglia, la scuola, la Chiesa, ecc.) che forniscono risposte “all’ambiente” in cui sono immersi e, attraverso
l’offerta di sempre nuovi modelli, ne riducono le possibilità di scelta e ne controllano i comportamenti. Avremo,
così, accanto al modello di famiglia tradizionale, quella di fatto, quella omosessuale, quella monogenitoriale, ecc.
Come pure accanto alla scuola pubblica troveremo quella privata (parificata o non parificata, confessionale o
laica, etnica, ecc.). Od ancora, accanto alla Chiesa cattolica ci saranno altre chiese, e all’interno della Chiesa
cattolica troveremo tante modalità diverse di vivere l’esperienza religiosa. Tutto ciò rappresenta abbastanza bene
quel processo di differenziazione che i settori istituzionali devono mettere in atto per rispondere alla crescente
complessità sociale. In altri termini, per ridurre la complessità dell’ambiente sociale, i sistemi istituzionali devono
aumentare la loro complessità interna.
Occorre, infine, far presente che tali sistemi istituzionali, in un contesto come quello fin qui descritto,
diventano sempre più autoreferenziali, funzionano in modo relativamente autonomo rispetto al sistema sociale
complessivo. Essendo venuta meno l’esigenza di dare senso unitario a tutto il sistema (essendo venuto meno il
centro), essi traggono dal loro interno le regole di funzionamento (e le norme di comportamento) ricavandole
essenzialmente da un principio funzionale di fondo (ad esempio, il potere per il sub-sistema politico, il profitto per
il sub-sistema economico la salute per il sub-sistema sanitario, la salvezza per il sub-sistema religioso, ecc.).
L’uomo si trova, così, a passare da un sub-sistema ad un altro (dalla famiglia, alla scuola, al lavoro, ecc.)
essendo chiamato a seguire norme che rimandano a principi funzionali diversi ed avendo la spiacevole sensazione
della mancanza di un senso unitario e coerente del tutto. L’uomo si trova nella stessa condizione dell’emigrante
(in senso culturale anziché geografico), con tutte le conseguenze sociali e personali che ciò comporta (relativismo,
soggettivismo, incertezza, precarietà, ecc.).
In questo contesto la famiglia:
a) si è differenziata in modelli diversi;
b) il suo principio funzionale (cioè il criterio fondamentale che presiede al funzionamento della struttura
famigliare) è l’amore (non più il matrimonio o la natura). La famiglia è il luogo dei sentimenti, delle
2
Tale teoria viene elaborata dal sociologo tedesco Niklas Luhmann.
6
relazioni primarie, dell’autorealizzazione dei membri, della compensazione delle frustrazioni subite
negli altri sub-sistemi;
c) non è più l’ambito esclusivo ove esercitare in modo legittimo la sessualità. Le nuove tecniche
riguardanti la fecondazione e la contraccezione hanno trasformato il tradizionale rapporto tra sessualità
e procreazione (oggi esiste una sessualità senza procreazione ed una procreazione senza sessualità);
d) non svolge più il suo ruolo di socializzazione (perché non c’è più un problema di integrazione sociale ma
di integrazione sistemica). La socializzazione è limitata al funzionamento interno dell’organizzazione
famigliare. La sua tradizionale funzione pubblica non rientra più tra i fini della famiglia;
e) non trasmette più dei valori condivisi (c’è pluralismo culturale).
Se caliamo i dati statistici pubblicati dalla CEI3 all’interno del quadro teorico sopra delineato, si può rilevare
quanto essi riescano a confermarne la validità interpretativa.

Il matrimonio
1. La famiglia non si fonda più solo sul matrimonio (inteso come negozio giuridico avente un
2.
3.
4.
5.
6.
7.

3
riconoscimento pubblico e, quindi, effetti sul piano civile) ma anche su unioni di fatto (le cosiddette
convivenze)4, quelle che meglio rispondono all’esigenza di costruire “progetti di breve periodo”
(funzionali ad una condizione esistenziale dominata dalla precarietà e dal relativismo etico). Avanzano,
poi, richieste di regolamentazione giuridica da parte di coppie che pretendono il superamento del
vincolo eterosessuale.
Ci si sposa sempre di meno (diminuisce il numero dei matrimoni celebrati annualmente).
Ci si sposa sempre di più in comune (nonostante l’appartenenza alla religione cattolica dichiarata dalla
stragrande maggioranza degli italiani ed evidenziando, in tal modo, la crescente frattura che esiste tra il
modello diffuso dalla Chiesa e quello praticato):

Matrimoni civili ----> 45% (Diocesi di Rimini)

Matrimoni religiosi ----> 55% (Diocesi di Rimini)
Ci si sposa sempre più tardi (con ovvie conseguenze sulla propensione alla fecondità):

Età media dello sposo ----> 36,09 (comune di Rimini)

Età media della sposa ----> 32,97 (comune di Rimini)
Aumentano i matrimoni misti (direttamente connessi al crescente fenomeno migratorio e su cui non si è
ancora sufficientemente indagato).
Aumentano i secondi matrimoni: in Italia, in quasi il 10% delle coppie, almeno uno degli sposi è alla sua
seconda esperienza (nonostante la crisi del modello tradizionale di matrimonio, permane il bisogno di
relazioni affettive di coppia). Questi secondi matrimoni, per l’età degli sposi e per le finalità perseguite,
accentuano l’aspetto della chiusura e dell’autoreferenzialità.
Aumenta l’instabilità del matrimonio a causa dell’aumento delle separazioni (legali e di fatto) e divorzi.
La dimensione istituzionale della famiglia (un tempo caratterizzata dalla stabilità) cede alla dimensione
della precarietà (che oggi caratterizza tutti gli ambiti della società post-moderna).
La composizione famigliare5
1. L’ambito famigliare si è notevolmente ristretto (diminuisce il numero dei componenti).
2. Aumenta il numero delle famiglie unipersonali6
----> 24,76% (in forte crescita)
----> 34,20% (nel comune di Rimini)
3. Diminuiscono le famiglie composte da due o più persone
Si fa notare che tali dati sono molto parziali e disomogenei quanto al tempo ed al luogo di riferimento. Sono parziali poiché
non riportano tutti gli aspetti necessari a costruire un quadro completo della situazione famigliare. Sono disomogenei quanto al
tempo perché si riferiscono ad anni diversi (dal 2001 al 2007) e quanto al luogo (poiché si riferiscono ad ambiti spaziali diversi
(Diocesi, Comune, Regione, Italia).
4
Da uno studio Istat, effettuato nel febbraio 2007, emerge che «accanto alle convivenze prematrimoniali cresce l’accettazione
sociale della convivenza come modalità di formazione della famiglia alternativa al matrimonio». Una recente indagine,
promossa dalla Regione Piemonte su un campione rappresentativo di popolazione dai 18 ai 29 anni, attesta che oltre un terzo
dei giovani vive (o sceglierebbe) un rapporto di convivenza.
5
La famiglia è costituita da un insieme di persone legate da vincoli di: 1) matrimonio; 2) parentela; 3) affinità; 4) adozione; 5)
tutela; 6) vincoli affettivi, 7) coabitanti (anche se non ancora iscritte nell’anagrafe del comune ove dimorano abitualmente).
Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona.
6
N. famiglie unipersonali, che vivono sole, di età inferiore a 35 anni ----> Nel 2001 ----> 3,89% (media nazionale 3,22%).
7
---> due persone
----> 27,58% (dato di Rimini)
---> tre persone
----> 23,40%
---> quattro persone ----> 18,18%

I nuclei famigliari7
1. Crescono i nuclei composti da coppie senza figli ----> 30,95%
2. Diminuiscono i nuclei composti da coppie con figli ----> 55,58%
3. Aumentano i nuclei composti da madri e figli
----> 11,17%
8
4. Aumentano le “famiglie a distanza”
----> 650 mila persone9

La riproduzione
1. Diminuisce il numero delle nascite10
 Tasso di natalità (rapporto tra i nati e la popolazione) ---> 0,9%
2. Diminuisce il numero di figli per donna
 Tasso di fecondità ----> N. medio di figli per donna in età fertile nel 2007 (a Rimini) -----> 1,41
3. Aumenta l’età media dei genitori al parto (a Rimini):
 Età media del padre ----> 35
 Età media della madre ----> 31,2
4. Aumenta il numero dei figli nati fuori del matrimonio11
Alcune note conclusive
La prima osservazione da fare è di tipo metodologico. Come si è visto, per comprendere le problematiche
riguardanti la famiglia si è utilizzato un quadro teorico (la teoria sistemica) che meglio di altri riesce a dar conto
dei mutamenti sociali. Occorre, però, sempre essere consapevoli che le teorie sono costruzioni astratte e
storicamente determinate. Esse, pur pretendendo di interpretare la realtà, non riescono mai a rendere conto
fino in fondo della sua complessità. Il mondo concreto è sempre più vario di quanto una teoria (seppur valida)
sia in grado di rappresentare e spiegare.
La seconda osservazione richiama l’attenzione sul fatto che le società sono soggette a mutamento
continuo (non sono immobili) e che tale mutamento è, in ultima analisi, sempre riconducibile all’azione umana.
Sono sempre gli uomini che, con le loro decisioni, orientano e influenzano le strutture sociali (anche se,
utilizzando la teoria sistemica, si ha l’impressione che il sistema funzioni senza soggetto, quasi come un mega
computer che è sfuggito al controllo del suo costruttore).
Infine, dalle statistiche che descrivono la condizione della famiglia a Rimini emerge in modo evidente che
essa si trova coinvolta all’interno di un forte processo di differenziazione. Si moltiplicano modelli di unione
famigliare essenzialmente determinati dal tipo di struttura sociale che la nostra società è venuta assumendo e
funzionali ad esigenze e finalità diverse e, spesso, lontane dai fini tradizionali ricavati da valori condivisi. E’
chiaro, ormai, che in un contesto postmoderno come quello in cui viviamo, occorre fare i conti con una
situazione molto più complessa e competitiva di un tempo. Chi intende avanzare nuovi modelli di famiglia (o
difendere quelli tradizionali) dovrebbe accettare la logica della differenziazione, senza pretendere di imporre a
tutti, in modo autoritativo, il proprio modello (magari facendo leva su inadeguati criteri di appartenenza
religiosa o inesistenti rendite di posizione).
Questa è la sfida che la Chiesa si trova ad affrontare. Oggi i suoi membri devono impegnarsi in una vera e
propria battaglia culturale, in una azione di promozione da svolgere nella sfera pubblica e politica, con
strumenti adeguati e facendo leva essenzialmente sulla credibilità e sulla ragionevolezza del modello proposto.
Il nucleo famigliare è l’insieme di persone che formano una relazione di coppia o di tipo genitore figlio. La coppia si intende:
1) coniugata o convivente; 2) senza figli o con figli mai sposati; 3) un solo genitore assieme ad uno o più figli mai sposati.
Nell’ambito di una famiglia possono esistere uno o più nuclei famigliari o anche nessuno (come nel caso delle famiglie
unipersonali).
8
Persone regolarmente coniugate (magari con figli) che, per motivi di lavoro risiedono in città o regioni diverse e sono
costrette ad incontrarsi solo nei fine settimana.
9
Tale numero si aggiunge ai circa 2 milioni di persone (“i pendolari della famiglia”) che per motivi diversi si spostano da un
luogo ad un altro per incontrare i componenti del nucleo famigliare.
10
Da ciò consegue che la riproduzione sociale è drasticamente rallentata, tanto da non consentire un adeguato tasso di
sostituzione (calcolato intorno a 2,1 figli per donna).
11
Lo studio Istat del 2007 rileva che il fenomeno dei figli nati fuori dal matrimonio è, in Italia, intorno al 15%, pari a circa
80mila bambini l’anno, quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.
8
7
In particolare, diventa sempre più urgente strappare la famiglia da quella sfera privata in cui è stata confinata e
ridarle le funzioni pubbliche che le sono proprie (e che vengono, paradossalmente, richiamate tutte le volte che
ci si trova di fronte a fenomeni di devianza e disordine sociale).
La sfida del pluralismo ai modelli sociali tradizionali può suscitare reazioni di vario genere: di resa allo
spirito del tempo, di tipo difensivo od offensivo. Nel primo caso ci si impegna in uno sforzo di “aggiornamento”
che finisce per indebolire e nascondere gli aspetti essenziali che caratterizzano la specificità della proposta. Nel
secondo caso ci si sforza di rimanere fedeli al proprio sistema di valori, si rafforzano i “muri” e si guarda al
mondo con sospetto (rischiando di non essere più capaci di sintonizzarsi con le nuove sensibilità culturali). Una
reazione offensiva, infine, affronta la sfida con lo spirito aggressivo tipico di chi deve compiere una crociata
(dove l’altro non è più il fratello ma il nemico da combattere).
La posizione più sensata sembra essere, come sostiene Berger, quella di riuscire a “mantenere delle
convinzioni senza dissolverle nel relativismo e senza racchiuderle nei falsi assoluti del fanatismo”12.
Dibattito successivo alla relazione di Paolo Parma
1. Occorre sempre avere alcune accortezze quando si fa un’analisi sociologica. I modelli interpretativi sono infatti
sempre un po’ rigidi, e quindi vanno letti sempre con una certa precauzione metodologica. José Casanova, ad
esempio, applicando la teoria dei sistemi aveva previsto la progressiva privatizzazione delle religioni, mentre
questo non è avvenuto. I dati sociologici non sono “veri” in senso assoluto e non hanno una valenza eterna, ma
sono validi “per una stagione”, all’interno di un determinato contesto e per un dato periodo, col tempo cambiano.
Inoltre se è vero che mancano politiche per la famiglia, allora il problema è anche culturale. Dove infatti le
politiche sono state maggiormente orientate alla famiglia, i risultati si sono evidenziati: ad esempio in Francia,
dove in seguito alle politiche che sono state attuate in difesa della maternità, le nascite sono aumentate. D’altra
parte il modello “tradizionale” di famiglia è comunque presente, e costituisce una parte consistente della realtà
del nostro paese, anzi nel nostro paese proprio ad un eccessivo familismo è stata attribuita in alcuni casi la
responsabilità di una mancata crescita e di un arretrato sviluppo sociale.
Se la cultura conta, le battaglie culturali non sono quindi affatto inutili: il modello tradizionale di famiglia continua
a mantenere consistenza, e il tema dell’educazione alla famiglia di tipo “religioso” e “tradizionale” ha anche oggi
grande significato e importanza (anche perché vi è chi ritiene che se va in crisi la famiglia “tradizionale”, andrebbe
in crisi tutta la società più in generale). Non è dunque la battaglia culturale che deve fare paura, l’importante è
non concepire l’esito del processo in atto come meccanicamente e deterministicamente già predeterminato.
2. La relazione di Paolo Parma si è volutamente limitata ad una presentazione ed una prima lettura dei dati
sociologici. Il passo successivo necessario della riflessione è quello di chiedersi il perché di quanto sta accadendo,
quali sono le motivazioni che sostengono tali cambiamenti e quali strumenti darsi per modificare quanto accade,
come fare perché le cose vadano in modo diverso. In tal senso, c’è spazio per fare ricerca (noi direttamente
oppure chiedendo l’aiuto e il sostegno ad esperti esterni).
3. E’ necessario chiarire i termini del problema e definire meglio l’oggetto della domanda “cosa è cambiato?”, nel
senso che occorre non fermarsi ad una diagnosi dei cambiamenti delle caratteristiche “esterne” della società e
della famiglia, ma andare al cuore del problema. Ad esempio ci si potrebbe chiedere se nella situazione attuale le
persone sono effettivamente più felici. Nessuno lascia un’esperienza significativa e arricchente per una più povera
e sterile. Forse il disorientamento che caratterizza la nostra società deriva dalla ricerca, in modi non adeguati e
impropri, di modelli che rispondano alle esigenze di felicità che sono dell’uomo di tutti i tempi. Come leggere
dunque questa situazione, quanto è successo?
4. E’ importante non idealizzare il passato e il modello tradizionale come se fossero soltanto positivi e non
contenessero anch’essi aspetti di criticità, e contemporaneamente demonizzare il presente. Non necessariamente
il “monolitismo culturale” che ha caratterizzato il passato ha apportato solo frutti positivi (si pensi ai regimi
totalitaristi e alle guerre che hanno caratterizzato il secolo scorso), mentre d’altro canto una società “liquida” e
“pluricentrica” come quella di oggi non ha solo aspetti negativi.
5. La relazione di Paolo Parma suscita molte domande. Cosa ha determinato questi cambiamenti? C’è stato un
fattore particolare che ha scatenato i cambiamenti? Un tempo la coppia era concepita come durevole per tutta la
12
P. BERGER, Una gloria remota, Il Mulino, Bologna, 1994, p. 49.
9
vita, ma dov’era la scelta? Oggi al contrario ci sono molteplici possibilità di scelta, ma come regolarsi? E di fronte
ad una gamma così ampia di scelte, siamo veramente più “liberi”? Come si è arrivati a questa situazione? In una
volta sola oppure progressivamente?
6. Occorre ribadire che non esistono dati, ma solo interpretazioni, non bisogna sacralizzare punti di partenza
dell’interpretazione trattandoli come certezze. La foto presentata è sicuramente realistica, ma statica: per
comprendere i dati, che sono “statici”, occorre inserirli in una prospettiva dinamica.
Nel 1860 Engels pubblica “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato” per dimostrare che la
famiglia era un “costruzione sociale” destinata ad evolversi in futuro, fino a tramontare del tutto (perché
ampiamente inefficiente e inefficace), quando la società avesse trovato modi più efficaci (“agenzie sociali”) di
esercitare i suoi ruoli.
Nei totalitarismi la prima agenzia che è stata esautorata e spogliata dai propri compiti educativi è stata proprio la
famiglia (attraverso la militarizzazione della gioventù, i riti del sabato, ecc.), quindi il parallelo tra secolo delle
guerre e dei regimi totalitari e modello tradizionale della famiglia è improprio, perché per affermarsi, i regimi
totalitari hanno dovuto svuotare del proprio ruolo educativo proprio la famiglia. Si potrebbe anzi dire che proprio
il risultato di ciò sono state le guerre e le dittature.
I dati offerti possono essere esaminati come fossero eventi atmosferici, come tali ineluttabili, oppure al contrario
come l’esito di una battaglia culturale, che ha come posta in gioco la forza e il significato del legame uomo-donna.
Occorre sempre risalire alla radice umana della loro consistenza, alla concezione di uomo che ci sta dietro, per
poter correttamente comprendere i dati di un fenomeno.
Il magistero di Giovanni Paolo II insisteva fortemente sull’antropologia, ricordando che l’ultima radice di ogni
vicenda umana è sempre umana. Occorre perciò ricercare il significato umano dei fenomeni sociali, mentre oggi si
assiste ad uno iato tra la lettura dei dati e la loro interpretazione. Attenzione dunque al “culto paralizzante” dei
dati, essi vanno sempre interpretati e non vanno mai considerati come ineluttabili, perché partono sempre da
precise scelte e sfociano sempre in scelte. Spesso infatti non viene dedicata altrettanta attenzione alla ricerca
delle scelte che hanno determinato la comparsa del fenomeno che si studia: bisogna buttarsi nell’avventura della
comprensione.
7. Si può parlare di uno spostamento del luogo educativo dalla famiglia ad altre “agenzie educative”: ciò è
avvenuto oggi soprattutto ad opera della televisione, che ha un vero e proprio predominio culturale. Non sono
dunque necessari i totalitarismi per esautorare il ruolo della famiglia, è sufficiente pensare al ruolo della
televisione. La famiglia infatti è stata spogliata del suo ruolo di creare relazioni e favorire la maturazione
dell’identità della persona: il “divenire uomo” oggi è stato spostato al di fuori della famiglia, e nell’ultimo
trentennio in particolare in direzione dello strumento della televisione commerciale. In tale contesto si è passati
dall’“essere in relazione” all’“essere in ego”, non si costruiscono più “persone” (cioè esseri in relazione) ma
“individui” (esseri chiusi in sé stessi). Il ruolo educativo è dunque spesso delegato alla TV, gigantesco affare
commerciale. Se questo spostamento sia avvenuto “naturalmente” oppure sia stato voluto per fini altri o
secondari, ossia sia un frutto volontario di altre scelte (si pensi all’esigenza insita in un’economia capitalistica di
ingenerare bisogni commerciali), questo non è dato saperlo.
8. E’ necessario ristabilire un nesso tra dati e interpretazione, per poter poi trovare una soluzione sul piano
culturale e incidere su questa realtà.
“Nativi digitali” è il titolo di un convegno a cui ho partecipato di recente, e definisce come tali le nuove
generazioni (in particolare i nati dal 1991 in poi), che vivono internet come ambiente di relazione e di crescita,
come ambiente in cui vivono, studiano, lavorano, ecc. In questo convegno si è evidenziato come lo sviluppo di
relazioni virtuali comporti lo sviluppo di una dimensione narcisistica molto spiccata, con la diminuzione
dell’empatia verso gli altri e dell’umanità delle relazioni. Lo sviluppo di legami “liquidi” caratterizza sempre più i
rapporti di oggi e sembra che l’abitudine a frequentare ambienti virtuali (ipertesti, ad es.) induca modifiche nel
funzionamento di intere aree della corteccia cerebrale. Si sviluppano quindi effetti collaterali, si sviluppano
relazioni particolari, di qualità strana e che possono creare nuovi tipi di relazioni anche nelle famiglie (si pensi ai
casi sempre più frequenti in cui si interrompe una relazione affettiva con un sms, senza alcuna dimensione
“umana”). In tale contesto, risulta necessario domandarsi cosa succederà in futuro.
9. Viviamo in una società pluralista, caratterizzata cioè da una molteplicità di diverse concezioni del mondo, che
coabitano insieme. In questa società sono possibili più progetti di vita, e altrettante sono le istituzioni che lo
10
permettono. Il pluralismo culturale ha cioè prodotto un pluralismo delle istituzioni e dei progetti di vita (tale per
cui oggi è diventato “concepibile” ad esempio un matrimonio tra omosessuali).
Il pluralismo genera un grande conflitto di interpretazioni. Indubbia è la deriva individualista e narcisista che
caratterizza il nostro tempo, ma altrettanto presenti sono anche dei contro-movimenti di stampo personalista. La
pressione sociale esercitata dalla corrente più diffusa può essere pertanto contraddetta, il fenomeno
dell’individualismo che spezza le relazioni può essere contrastato, ad esempio proprio tramite la famiglia: la sfida
è aperta (ad esempio nella nostra Diocesi ci sono dei mass media che diffondono modelli alternativi di vita e di
famiglia).
Maritain ci ricorda che la storia non è il ricettacolo dei rifiuti, ma ha un senso e una direzione. La “soggettività” e
l’individualità è molto stimolata anche perché oggi c’è la necessità di fare molte più scelte di un tempo, per cui è
percepita come un valore molto più che un tempo. Non c’è quindi da guardare con pessimismo a questa
situazione, al contrario la pluralità delle scelte ha sicuramente anche dei risvolti positivi. Occorre dunque essere
ottimisti, se solo si concepisce la storia in maniera non deterministica, le possibilità di creazione e di invenzione
oggi sono infinite.
10. La fotografia offerta dalla relazione di Paolo Parma è molto importante per renderci conto della situazione.
Non dobbiamo nasconderci che la realtà è piuttosto inquietante, perché la linea di sviluppo appare molto
persuasiva. Il punto di riferimento culturale si è spostato da alcuni principi ad altre prospettive. Dall’800 al ‘900
c’è stato un cammino graduale della cultura verso l’assolutismo dell’io (libertà estrema come valore, edonismo,
incomunicabilità, annullamento delle relazioni, ecc.), e ciò ha prodotto i suoi effetti, che sono quelli ben esposti
da Paolo Parma. Il modello tradizionale di famiglia è visto come ideale borghese da abbandonare.
Occorre perciò interrogarsi sul ruolo della cultura cattolica prima, durante e dopo questo passaggio. Il
cristianesimo ha delle responsabilità nell’aver permesso tutto ciò, è stato assente o incapace di intervenire, ad
esempio senza una opportuna difesa della cultura cattolica della famiglia. La cultura della massificazione
(televisiva e non), inoltre, è stata assimilata anche dalla coscienza cristiana, l’omologazione televisiva è stata quasi
completamente assorbita. Occorre invece formulare ipotesi alternative, ad esempio ribadire una cultura della
qualità dei rapporti. Anche se la presenza cristiana è minoritaria in questa società pluralista si tratta di una
minoranza profetica, deve essere “sale e lievito”, capace di essere incisiva ed efficace.
11. E’ importante non mitizzare il passato, perché anche la famiglia di un tempo, tradizionale, non era sempre una
realtà positiva: non si “rompeva”, ma non era sempre luogo di relazione e di crescita della persona.
11
La famiglia: educazione al mistero e alla relazione
Natalino Valentini
Premessa
L’intento è quello di offrire alcuni spunti di riflessione complementari a quanto già ascoltato nelle relazioni
precedenti. Ritengo importante tornare al tema della famiglia come luogo di costruzione dell’identità personale,
sebbene incentrando l’attenzione sull’educazione alla gratuità e al mistero, sulla qualità delle relazioni personali
all’interno della vita familiare.
Lo sguardo cristiano sul dono della famiglia dovrebbe essere scoperto, testimoniato e custodito fuori da ogni
gonfia retorica e da ogni spettacolarizzazione, preservandone con umiltà la sua essenza più intima. Occorre
innanzitutto edificare “l’uomo interiore”(Rn 7,23-24; Ef 3,14-16), costruire una solida architettura dell’anima, dare
forma all’unità della persona in relazione a partire dal radicamento al Cristo, rivelazione dell’agape trinitaria. Solo
in Lui infatti possiamo rigenerare e santificare la nostra vita, unendola alla vita divina, senza contrapporre lo
spirituale al corporale, la fedeltà in Dio alla fedeltà alla storia e al mondo.
Qualche rimando biblico
Lasciamoci guidare anzitutto da alcune sottolineature provenienti dalla Parola di Dio, alla ricerca dello sguardo
biblico sulla famiglia.
Ciò che subito stupisce è che l’alleanza tra Dio e l’uomo è concepita proprio secondo il modello del vincolo
familiare, attraverso l’immagine della nuzialità e della sponsalità. La Bibbia si apre con una coppia e si chiude con
un'altra due coppia. La storia della salvezza è scandita da questa modalità di relazione.
La casa, la famiglia, di Nazareth si presenta con determinate e precise caratteristiche: mette in rilievo la qualità
degli affetti e della relazione sponsale, ma senza alcuna enfatizzazione di tipo familistico, senza farne un
paradigma esplicito (familismo), bensì sottolineando uno stile di fondo: accettazione della volontà di Dio, primato
della Parola di Dio, amore oblativo come regola di vita. Vi è una sorta di trascendimento della famiglia e essa nel
Vangelo è quasi sotto traccia. Ci sono però temi significativi quali lo smarrimento di Gesù nel tempio e il suo
ritrovamento (Lc 2, 46-50), che richiamano il calore familiare, la qualità degli affetti (materna, paterna e filiale), il
rapporto tra identità e distinzione come una delle caratteristiche della dimensione familiare.
Riguardo al tema della nuzialità cruciale resta l’episodio delle nozze di Cana. In esso si compie la benedizione delle
nozze, ma l’atto concreto del Cristo rispetto alla sponsalità è verso la gioia (l’acqua viene trasformata in vino): con
Gesu la vita ha un altro sapore, c’è la gioia nel cuore. La nuzialità crea dunque gioia e relazioni significative.
Altro aspetto è il rapporto tra famiglia e amicizia a partire dalla relazione con Lazzaro, con le sorelle Maria e
Marta. Anche qui non vi è nessun familismo, Gesù non fa della famiglia un assoluto, ma mostra che essa si deve
aprire alla volontà di Dio (“Chi è mio padre e chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli e le mie sorelle?” Mc 3,31).
Il trascendimento del matrimonio e della famiglia è dunque a partire dalla famiglia stessa e arriva fino
all’abbandono.
Tuttavia, per cogliere il senso più complessivo della famiglia, a partire dal sacramento delle nozze, san Paolo ci
esorta a fissare il nostro sguardo sul grande mistero: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e
alla Chiesa !” Ef 5,32).
Il carattere propriamente misterico del matrimonio risiede essenzialmente nel suo contenuto d’amore, prima
ancora che in quello di “famiglia”, la sua natura trascende i confini naturali per aprirsi alla Chiesa e al mondo.
Il fine e la pienezza di ogni vita, di ogni amore, è accogliere il Cristo, dargli vita in noi. Non è certo per caso che il
rapporto tra Dio e il mondo, tra Dio e Israele, tra Dio e il cosmo reintegrato nella Chiesa, sia espresso nella Bibbia
in termini di amore coniugale. Si tratta di una duplice analogia: da una parte, noi comprendiamo l’amore di Dio
per il mondo e l’amore di Cristo per la Chiesa perché ci è stata offerta l’esperienza dell’amore coniugale, ma,
d’altra parte, l’amore coniugale ha le sue radici, la sua profondità e la sua pienezza nel grande mistero di Cristo e
della sua Chiesa. La relazione e la conoscenza tra i coniugi diventano eventi ecclesiali, sono esperienze di
partecipazione alla comunione dei santi: «Sarebbe un errore considerare il matrimonio come semplice
certificazione e benedizione di un evento biologico. Collegato con l’Eucaristia, il matrimonio costituisce la
memoria con i nubendi, anche se hanno la benedizione per formare una propria famiglia, tuttavia non hanno
nella famiglia l’ultimo e definitivo plesso di relazioni costituenti la loro ipostasi, ma nella Chiesa quale assemblea
eucaristica» (J. Zizioulas, Dalla Maschera alla Persona, in L’essere ecclesiale). Il trascendimento escatologico della
natura biologica è legato sostanzialmente ed esistenzialmente all’Eucaristia, e conseguentemente alla comunione
trinitaria, ma questo non significa una “spiritualizzazione” del matrimonio e una svalutazione della relazione
familiare, bensì una trasformazione dinamica della relazione naturale in evento di comunione personale, cioè di
grazia, di dono gratuito di alterità e di libertà personali. Si tratta di conformare tutto il proprio essere
all’accoglimento umile e paziente del dono, della grazia di Dio che, simile a un metallo fuso, cola nella realtà
12
umana deificandola. Soltanto così può avvenire quella trasfigurazione dell’amore naturale in “vero amore ”, che
nella sua compiutezza e integrità dischiude la natura autenticamente ascetica, spirituale ed etica del sacramento
nuziale. Portando l’incontro “naturale” del maschile e del femminile nel “grande mistero del Cristo e della
Chiesa”, il sacramento delle nozze acquista un nuovo significato, che ha la sua sorgente vivificante nell’Eucaristia.
La partecipazione alla comunione eucaristica è come sigillo e compimento delle nozze in Cristo. Egli infatti è
l’essenza dell’unità di vita nella reciproca donazione.
L’ascesi cristiana non è mai un fatto privato, ma sempre un evento ecclesiale, un’opera di comunione, di
partecipazione personale all’unità di vita della Chiesa. A partire da questo nucleo sacramentale della vita liturgica
si può scoprire perché la Chiesa sia compresa nei sacramenti, nell’unità organica che la rende fonte della grazia e
della salvezza. Qui la vita cristiana come unione storica ed escatologica si traduce in comunione con la vita della
Santa Trinità, possibile nell’esperienza sacramentale all’interno della Chiesa, quale corpo teandrico di Cristo.
[A partire dalla coppia sponsale è possibile rintracciare nel Vangelo (ad es. di Marco), alcune scansioni
fondamentali della vita familiare: la misura e il valore della comunicazione in famiglia, il cambiamento del cuore,
l’esercizio del perdono, la relazione con chi è più debole, l’esperienza della sofferenza e della morte in famiglia, il
tempo della quotidianità e della festa, ecc… ( Significativo a proposito resta l’itinerario esegetico proposto da M.T.
Zattoni e G. Gillini, Interno familiare secondo Marco)].
Verso una pedagogia della relazione familiare
Ciò che oggi appare sempre più urgente e fondamentale è pensare la famiglia come luogo di costruzione della
personalità, come luogo pedagogico di ricerca di senso, luogo nel quale si dà fondamento alle relazione umane, si
apprende l’esercizio del discernimento, della comprensione reciproca, della condivisione, di una comune visione
del mondo. È il luogo in cui si fa esperienza della fragilità dei legami, della difficoltà, ma anche della decisività
delle relazioni. Oggi la famiglia è una realtà fragile e vulnerabile, esposta a molti rischi, eppure, paradossalmente,
proprio per questa sua condizione, molto dipende da essa. Nella famiglia occorre mettere in gioco la propria
libertà nella costruzione delle relazioni affettive, occorre mettere in gioco sé stessi fino in fondo.
Dal punto di vista pedagogico ciò che oggi appare più indispensabile consiste nel dare forma concreta ad una vera
e propria ontologia delle relazioni, cioè nel plasmare quotidianamente un senso profondo del nostro essere-inrelazione con l’altro a partire dalle persone che compongono la famiglia, costruendo con ognuna di loro relazioni
autentiche, uniche e irripetibili. La costruzione della persona nella famiglia è anche il frutto dell’incontro con le
diverse esperienze umane che compongono ogni singolo nucleo. Le diverse esperienze di vita che si sedimentano
fanno di ogni famiglia un’esperienza unica eppure comune.
Questo sguardo cristiano sulla famiglia, teso a rintracciare i fondamenti antropologici e ontologici della relazione
non può prescindere da alcune dimensioni educative di fondo. Tra queste mi permetto qui di richiamare
schematicamente almeno un paio di aspetti.
a. Anzitutto l’importanza dell’educazione al mistero, una sorta di “mistagogia del quotidiano”, un recupero
del senso del mistero a partire dalla vita quotidiana, in una costante educazione a vivere sulla soglia, al
confine tra “i due mondi”: visibile e invisibile, al “già e il non ancora”. Educare soprattutto i nostri figli alla
relazione vitale con l’invisibile, con l’eterno, con la presenza di un mistero che pervade la realtà e il nostro
quotidiano. Questo atteggiamento presuppone da parte l’aiuto a conquistare spazi interiori di attenzione,
di silenzio, di contemplazione … Educare all’ascolto e al tempo disteso della comunicazione e della
relazione, mostrando i rischi devastanti della confusione comunicativa; educare all’attenzione, alla ricerca
della perfezione interiore, realizzare ogni cosa con cura e precisione, con gusto e soddisfazione interiore,
rifuggendo da ogni forma di approssimazione e distrazione. La ricerca della perfezione interiore
accompagna e sostiene la cura attenta verso ogni persona e ogni realtà.
b. Altro aspetto correlato è l’educazione al dono e alla gratuità, attraverso la ricerca costante di un
contenuto sostanziale rispetto a ciò che si sta vivendo. Educare a vivere ogni istante colmandolo di
contenuto sostanziale, nella consapevolezza che questo non si ripeterà mai più come tale. Ciò è alla base
di ogni esperienza di persuasione interiore e della ricerca di una pienezza di senso a partire dalla relazione
personale, intesa anche come consegna, disvelamento e abbandono di sé. Tutto quanto viviamo si dà
nella sua immediatezza, ma in quella pienezza lo si può vivere solo in quel momento. La ricerca della
pienezza delle relazioni presuppone infatti la ricerca della nostra autenticità, cioè della capacità di
presentarci nella relazione come veramente siamo.
c. Un terzo aspetto che vorrei evidenziare riguarda la celebrazione del quotidiano della vita familiare. La
relazione familiare quotidiana non più come annoiata routine, come luogo nel quale rifluiscono
meccanicamente fatiche, tensioni, incomprensioni, malumori ecc… ma l’ambiente nel quale ha inizio:
- il cammino verso la santità e la santificazione;
- lo spazio e il tempo dell’educazione al mistero e alla fede;
13
-
la consegna autentica di sé all’altro al cospetto di un Terzo, la reciproca comprensione e misericordia;
la celebrazione del quotidiano scandita da tempi, segni e simboli ben determinati: preghiera, lettura della
Parola di Dio, silenzio, ascolto, dialogo, …
Alcune possibili piste di lavoro per un recupero dell’ontologia della relazione affettiva e familiare:
 percorso esperienziale ed ecclesiale, basato sulla condivisione di un cammino ecclesiale (si veda il testo di
M. Corsi e M. Stramaglia, Dentro la famiglia. Pedagogia delle relazioni, Armando editore, Roma 2009);
 percorso pedagogico-sapienziale, (si vedano i testi di Pavel A. Florenskij, “Non dimenticatemi. Lettere dal
gulag”, Oscar Mondadori, 2008; Karol Wojtyla, “Amore e responsabilità”).
Dibattito successivo alla relazione di Natalino Valentini
1. Oggi tutti questi elementi non vengono vissuti più, soprattutto non c’è più il “tempo” per “vivere” la famiglia.
Dove ci sono questa fatica e queste difficoltà cosa si può fare, da dove si può partire? Laddove le relazioni familiari
sono molto “rovinate” da dove si può partire?
Partire dall’affetto per i ragazzi è ad es. sempre importante, soprattutto perché i giovani non ne hanno mai
abbastanza. La qualità del poco tempo che abbiamo a disposizione è forse la chiave di tutto.
2. Il contesto attuale ci pone di fronte ad una grande sfida; tuttavia non dobbiamo perdere la speranza. Occorre
recuperare la qualità delle relazioni, a partire dall’ambito ecclesiale, con un atteggiamento teso a recuperare
l’essenziale dal punto di vista evangelico. Per fare ciò dobbiamo innanzitutto riappropriarci del tempo, del vivere
in pienezza e in modo totalizzante il tempo che ci è donato, in ogni ambito e con ogni persona. Per poter aver
cura dell’altro, per poter “consegnarci” all’altro, è necessario del tempo, vivere in pienezza ogni singolo istante,
avere capacità di ascolto.
La famiglia è poi anche il luogo della prova, della fatica, della croce, ma è proprio il sigillo della croce che rende
l’amore più autentico, qui è il mistero dell’eros crocifisso (Sant’Ignazio di Antiochia) quale fonte di una nuova
sapienza. Assumendo la fatica del quotidiano, dando dignità alle piccole e alle grandi cose di tutti i giorni,
lentamente i membri della famiglia scorgono nella tenerezza e misericordia reciproca, l’apparire di una “Bellezza
che crea ogni comunione” (Dionigi Areopagita). Soltanto da questa Bellezza inabitata dallo Spirito vivificante può
giungere una rivelazione di senso per l’esistenza, e questo non può che essere il dono sempre nuovo dell’amore.
Questa grazia, il santo la riceve ad ogni incontro, perché egli è, come diceva Evagrio, allo stesso tempo “separato
da tutti e unito a tutti”. È in questa Bellezza-Comunione della famiglia che si può scorgere come il divino
s’incontra con l’umano, fino a riscoprire il volto di Cristo nell’uomo e presentire il volto dell’altro in Dio.
3. Il problema è la qualità dei legami, della relazione, questo è il centro di tutto, laddove si gioca il mistero di Dio.
Qui secondo me va enfatizzato il discorso sulla famiglia.
4. L’identità della persona si costruisce proprio nella famiglia, fin dai primi anni, e si fonda sulla qualità della
relazione del dialogo che “disvela” (filosofia dialogica). C’è una qualità diversa che caratterizza ogni relazione e
che svela l’identità e la differenza nella famiglia, dove ognuno ha un portato sapienziale e dove la circolarità dei
legami diventa fondamentale.
5. Ci sono due questioni centrali, che secondo me sono da riprendere:
1) come credenti ci deve essere qualcosa che ci “seduce” più del mondo, per cui abbiamo una “coscienza”
felice anche in un mondo che va in tutt’altra direzione. Non è più un problema di ciò che è “fuori” e di ciò
che è “dentro” al nostro mondo di credenti;
2) la qualità delle relazioni è sì una questione centrale, ma c’è un aspetto complementare che è un mistero
da “imparare”, prima ancora che da “costruire” con le nostre forze, c’è una corrente di mistero che ci
precede e che ci disvela la verità.
6. Per un verso è necessario recuperare le peculiarità dell’antropologia cristiana sulla famiglia, a partire dai
fondamenti biblici, sapienziali e spirituali, per essere “nel mondo” senza essere “del mondo”, ma per altro verso,
non possiamo certo pretendere che tutto si riduca alle nostre costruzioni umane. L’educazione al mistero e alla
qualità della relazione comunionale è solo in ordine all’accoglimento di un dono di Grazia che ci precede e di una
divina Presenza che accompagna le nostre esperienze quotidiane.
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