Canapa nel cervello: storia di un rapporto con molte ombre

Canapa nel cervello: storia di un rapporto con molte ombre
di Billy R. Martin
Professore di Farmacologia e Tossicologia del
Medical College of Virginia, Richmond Virginia
Consulente del NIDA National Institute of Drug Abuse
per le droghe leggere
Tratto da Medicina della Farmacotossicodipendenze anno 3 n. 8
Nonostante il suo consumo si sia ridotto negli ultimi vent'anni, la marijuana è ancora oggi
la sostanza d'abuso illegale più frequentemente consumata negli Stati Uniti. I
consumatori di marijuana costituiscono una popolazione eterogenea per età, etnia e sesso.
Si stima che circa il 70 % degli americani di età compresa tra i 27 e i 32 anni, abbiano
consumato marijuana almeno una volta. Il 2-3 % della popolazione ne fa uso
quotidianamente. Il consumo di marijuana tra gli adolescenti costituisce una grave
problema medico e sociale. Le conseguenze del consumo di marijuana sulla salute sono
ancora poco chiare e non ben caratterizzate. La ricerca scientifica in questi ultimi anni, ha
però compiuto notevoli progressi. L'esistenza di un sistema "cannabinoidergico"
endogeno è ormai unanimemente accettata: è stato clonato un recettore, è stato
individuato un sistema di secondi messaggeri ed è stato isolato un probabile ligando
endogeno.
FARMACOLOGIA NELL’UOMO
Effetti sulla performance
E’ noto che la mariijuana influenza le funzioni sensoriali, psicomotorie e cognitive:il
fumo di marijuana, in certi individui, determina una compromissione dell’abilita’ con cui
determinati compiti, soprattutto se difficili ed impegnativi, vengono svolti. Ad esempio,
e’ stata osservata una ridotta capacita’ nella guida dell’automobile, che risulta essere poi
all’origine di tanti incidenti stradali. La marijuana non sembra tuttavia avere alcun effetto
sui tempi di reattivita’ e sulla risposta motoria ad uno stimolo visivo.
Esistono pero’ dei fattori che complicano l’interpretazione dei danni indotti dalla
marijuana, quali il contemporaneo abuso di altre sostanze, una certa variabilita’ tra
individuo ed individuo, lo sviluppo di tolleranza a certi suoi effetti e le difficolta’ nella
valutazione dei dati provenienti da una popolazione cosi’ eterogenea. Non e’ quindi facile
valutare le conseguenze del fumo di marijuana in milioni di individui in termini di
danno, ridotta produttivita’ e cosi’ via. E’ ormai chiaro che al trattamento cronico con alte
dosi di tetraidrocannabinolo
(THC) segue lo sviluppo di tolleranza: mentre e’ meno
certo che questo fenomeno si manifesti dopo assunzione non continuata di marijuana.
L’intossicazione da cannabis in un consumatore abituale puo’ essere riconosciuta solo se
gli viene richiesto di svolgere un nuovo e difficile compito motorio. Al contrario,
l’intossicazione viene percepita facilmente in individui che consumano marijuana
saltuariamente. Riguardo al coabuso con altre sostanze, e’ stato dimostrato che la
riduzione di capacita’ nella guida dell’automobile, dovuta all’assunzione di alcool, viene
aggravata ulteriormente dalla marijuana. E’ superfluo precisare che la possibilita’ di
stabilire una diretta correlazione tra la gravita’ del deficit psicomotorio ed i livelli ematici
di cannabinoidi sarebbe di grande aiuto nel determinare la causa di molti incidenti
stradali. Purtroppo l’ampia variabilita’ che si osserva nella sensibilita’ individuale alla
marijuana ed i fattori sovente confondenti citati poc’anzi rendono improbabile che la
determinazione delle concentrazioni sanguigne di THC o dei suoi piu’ importanti
metaboliti possano entrare nella pratica comune per la valutazione dell’intossicazione da
marijuana.
Apprendimento e memoria.
Gli studi sugli effetti della marijuana a carico dei processi di apprendimento e memoria
hanno sovente dato origine a risultati contradditori. Il THC sembra poter danneggiare
soprattutto la memoria a breve termine; deficit nella memoria a lungo termine sono pero’
stati rilevati in adolescenti che facevano uso cronico di marijuana. E’ stato inoltre
dimostrato che il THC altera la percezione del tempo, determinando una dilatazione del
tempo trascorso.
Disturbi psichiatrici.
Il rapporto tra consumo di marijuana e malattie psichiatriche e’ stato oggetto di
numerosi studi per via dei frequenti e numerosi casi di soggetti con disturbi psichici che
sono al tempo stesso consumatori di sostanze d’abuso. Nonostante sia stato proposto che
la marijuana possa indurre diversi stati psicopatologici, la c osiddetta «psicosi da
cannabis» non e’ stata ancora ben caratterizzata. E’ probabile invece che la marijuana
possa amplificare disordini mentali gia’ esistenti. Nonostante gli effetti dannosi della
marijuana negli schizofrenici siano ben documentati, una larga parte di questi individui
continua ad automedicarsi con la marijuana anche dopo aver avuto esperienza dei suoi
effetti negativi. In questi pazienti, la terapia diventa piu’ difficile e la sintomatologia
peggiora anche in presenza di un appropriato trattamento con neurolettici. E’ stato
proposto che l’abuso di marijuana in individui con problemi psichiatrici possa portare
alla comparsa di schizofrenia ad esordio precoce.
Fisiologia del sistema nervoso centrale.
Una delle piu’ importanti scoperte degli ultimi anni e’ stata la determinazione degli effetti
dei cannabinoidi sul flusso cerebrale sanguigno e sui parametri elettroencefalografici. E’
stato infatti osservato che la marijuana aumenta il flusso cerebrale sanguigno, soprattutto
nella regione frontale e nell’emisfero destro. La marijuana induce inoltre un aumento del
flusso ematico cerebrale in seguito all’aumentata perfusione capillare. Riguardo ai
parametri elettroencefalografici, e’ stato descritto come il THC produca un aumento
dell’intensita’ di tutte le frequenze corticali.
Riproduzione.
Anche gli studi sinora condotti sugli effetti della marijuana e dei cannabinoidi a carico
del sistema riproduttivo, sia negli animali da laboratorio che nell’uomo, hanno dato
risultati contrastanti. E’ stato comunque riportato che il THC produce effetti negativi
sulla gametogenesi, sull’embriogenesi e lo sviluppo post-natale. E’ stato descritto inoltre
come la marijuana provochi una riduzione della concentrazione spermatica ed
oligospermia con disfunzione delle cellule di Leydig e Sertoli, arrivando alla
conclusione che la marijuana possa essere associata ad infertilita’. Solide evidenze
sperimentali mostrano inoltre come la marijuana sia in grado di ridurre i livelli di ormone
luteizzante sia nella femmina che nel maschio.Non e’ invece stato chiarito se la marijuana
eserciti alcun effetto sull’embrione e sul feto.
Chimica.
Alcuni ricercatori hanno sintetizzato degli analoghi del THC che in diversi test
comportamentali, risultano essere centinaia di volte piu’ potenti dello stesso THC. Sono
stati sintetizzati anche enantiomeri diversi: la scoperta dell’alta potenza e
dell’enantioselettivita’ di alcune molecole ha confermati l’ipotesi secondo cui i
cannabinoidi interagiscono con uno specifico recettore. Cio’ dovrebbe condurre, prima o
poi, alla sintesi di specifici antagonisti. Tali molecole sarebbero di estremo aiuto nello
studio dei processi biochimici che mediano gli effetti farmacologici dei cannabinoidi e
nello sviluppo di cannabinoidi utili in terapia e privi di effetti collaterali.
Recettori ai cannabinoidi.
L’uso di cannabinoidi marcati ha consentito di scoprire l’esistenza di siti di legame ai
cannabinoidi. E’ stata dimostrata una eccellente correlazione tra la potenza farmacologica
di diversi cannabinoidi in differenti modelli sperimentali e la loro affinita’ per il sito di
legame, dimostrando che questo recettore media tutti gli effetti farmacologici e
comportamentali dei cannabinoidi. Si e’ anche dimostrato come questo sito di legame sia
selettivo per i cannabinoidi.
Riguardo alla distribuzione anatomica dei recettori ai cannabinoidi, la massima densita’
e’ stata descritta nei gangli della base e nel cervelletto. Livelli di minore densita’ sono
stati rilevati nel tronco encefalico, nei nuclei talamici, nell’ipotalamo e nel corpo calloso.
Esistono pero’ recettori anche in altre strutture cerebrali quali gli strati 1 e 6 della
corteccia, il giro dentato ed alcune regioni dell’ippocampo.
La distribuzione dei recettori ai cannabinoidi nel cervello puo’ fornire alcune
informazioni sul significato funzionale di questi recettori. L’elevata densita’ nel sistema
motorio extrapiramidale e nel cervelletto spiegherebbe gli effetti dei cannabinoidi sulle
funzioni motorie. Gli effetti sui processi cognitivi e mnemonici potrebbero essere dovuti
alla presenza di recettori nell’ippocampo e nella corteccia. La scoperta di recettori nello
striato ventromediale e nel nucleo accumbens suggerisce invece l’esistenza di una
relazione con i neuroni dopaminergici, e quindi con i processi di gratificazione cerebrale.
Recentemente e’ stato clonato il recettore umano ai cannabinoidi. La sua struttura
dimostra l’appartenenza ad una famiglia di recettori, associati alle proteine G, a cui
appartengono anche i recettori all’adrenocorticotropina ed alla melanotropina.
Presunti ligandi endogeni.
Devane e collaboratori hanno postulato che un ligando endogeno per i recettori ai
cannabinoidi sia una sostanza altamente lipofila: per questo motivo hanno isolato le
sostanze THC simili presenti nell’estratto lipidico del cervello del maiale. E’ stato
scoperto che un derivato dell’acido arachidonico si lega al recettore dei cannabinoidi ed
inibisce la contrazione del muscolo liscio in modo simile al THC. Questo composto e’
stato chiamato anandamide. Studi successivi hanno dimostrato che l’anandamide
possiede proprieta’ farmacologiche simili a quelle del THC e inibisce l’adenilil ciclasi ed
i canali al calcio di tipo N. Considerata la larghissima diffusione degli acidi grassi, non e’
improbabile che possa esistere una intera famiglia di composti amandamidesimili.
Recentemente, Hanus e collaboratori hanno identificato altre due sostanze, presenti
normalmente nel cervello del maiale, che si legano al recettore dei cannabinoidi. Studi
futuri dovranno stabilire il ruolo fisiologico dei cannabinoidi endogeni e comprendere se
l’anandamide sia un neurotrasmettitore o un modulatore. Ed inoltre, i diversi derivati
amidi degli acidi grassi possiedono ruoli neurochimici distinti? Qual’e’ la funzione del
sistema del sistema cannabinoidergico?
Interazioni neurochimiche.
I cannabinoidi interagiscono con diversi sistemi neurotrasmettitoriali. Quello colinergico,
ad esempio, sembra mediare gli effetti catalettici dei cannabinoidi, dato che vengono
potenziati dagli agonisti colinergici, ed e’ bloccato dagli antagonisti. Il sistema
colinergico non media pero’ altri effetti, come quelli discriminabili e quelli
antinocicettivi. Anche il sistema dopaminergico sembra partecipare alla mediazione degli
effetti catalettici dei cannabinoidi. Numerosi gruppi di ricerca hanno infatti dimostrato
che la stimolazione del sistema dopaminergico attenua la catalessia indotta da
cannabinoidi, mentre gli antagonisti la aumentano. Inoltre, il THC stimola il rilascio di
dopamina nelle aree della gratificazione cerebrale. Il sistema adrenergico sembra invece
essere il substrato neuronale degli effetti antonocicettivi dei cannabinoidi: la yohimbina,
antagonista dei recettori di tipo Alfa2, blocca infatti tali effetti. Anche la
somministrazione di agonisti serotoninergici esacerba la catalessia indotta da
cannabinoidi, mentre gli antagonisti ne provocano un’attenuazione. Questi risultati
dimostrano che anche il sistema serotoninergico partecipa alla mediazione di questo
effetto. Un gran numero di evidenze sperimentali indicano con chiarezza l’esistenza di
un’interazione tra cannabinoidi e sistema GABAergico. In primo luogo, il THC agiosce
sinergicamente con antagonisti GABAa (quali, ad esempio, il muscimolo) e GABAb
(come il baclofen) e con le benzodiazepine nell’indurre catalessia. Inoltre, gli effetti
ansiogenici dei cannabinoidi possono essere bloccati sia da agonisti che da antagonisti del
recettore alle benzodiazepine. Il THC e il diazepam posseggono effetti non discriminabili
negli animali da laboratorio.
L’osservazione che i cannabinoidi e gli oppiacei hanno molte proprieta’ farmacologiche
simili indusse molti ricercatori ad ipotizzare un comune meccanismo d’azione. Esiste
infatti tolleranza crociata tra cannabinoidi ed oppiacei; inoltre i cannabinoidi, come gli
oppiacei, producono analgesia e blocco della nocicezione. Tuttavia, sono pochi gli studi
che hanno dimostrato l’efficacia del naloxone, un antagonista del recettore oppioide,
nell’inibire il blocco della nocicezione indotto dai cannabinoidi. Recentemente, si e’
pero’ dimostrato che gli effetti antinocicettivi dei cannabinoidi possono essere bloccati da
antagonisti al recettore oppioide di tipo K.
E’ stato inoltre proposto che i cannabinoidi possano influenzare la sintesi delle
prostaglandine. Farmaci bloccanti la formazione di prostaglandine, quali per esempio
l’aspirina e l’indometacina, attenuano infatti gli effetti antinocicettivi, catalettici ed
ipotensivi del THC.
Potenziali usi terapeutici.
Nessuno degli analoghi sopracitati e’ risultato essere utile, almeno fin’ora, in clinica.
L’ostacolo maggiore all’uso terapeutico dei cannabinoidi sembra essere la mancanza di
specificita’ farmacologica. Comunque, lo stesso THC e’ stato sperimentato in clinica, con
il nome di dronabidol.
L’interesse per l’utilizzo terapeutico dei cannabinoidi nasce da un gran numero di
resoconti, sovente soltanto aneddotici, sulla loro efficacia nel trattamento di: dolore,
convulsioni, glaucoma, spasticita’ muscolare, asma bronchiale, inappetenza, nausea e
vomito. Tali risultati hanno scatenato un acceso dibattito tra coloro che sostengono
l’efficacia terapeutica della marijuana e la sua mancanza di effetti collaterali e coloro che
invece ritengono che la marijuana e il THC siano non soltanto privi di efficacia ma
altamente pericolosi. A nostro avviso, c’e’ un po’ di verita’ in entrambe le tesi.
Nausea e vomito.
L’indicazione terapeutica per la quale il THC e’ stato piu’ studiato e’ certamente la
nausea ed il vomito. E’ stato infatti proposto che la marijuana, il THC ed alcuni analoghi
quali il nabilone ed il levonantradolo siano efficaci farmaci contro il vomito indotto dai
chemioterapici. Ed e’ con questa indicazione che, nel 1987, il THC e’ stato introdotto
nella pratica clinica negli Stati Uniti. La sua efficacia e’ stata ben dimostrata.
Recentemente, la marijuana e’ stata utilizzata per bloccare la nausea stimolata dai
chemioterapici e per stimolare l’appetito nei malati di Aids. Non va pero’ scordato che i
cannabinoidi alterano il sistema immunitario nell’animale da laboratorio. Il loro uso nei
malati di Aids risulta pertanto particolarmente inadatto.
Analgesia.
Riguardo all’effetto analgesico dei cannabinoidi, esso viene ottenuto a dosi che
producono effetti collaterali, inoltre la loro efficacia analgesica non e’ superiore a quella
degli analgesici comunemente usati. Alcuni gruppi di ricerca stanno pero’ dedicando
molte risorse all’identificazione di cannabinoidi utilizzabili in clinica e privi di effetti
collaterali. La scoperta, ricordata prima, che l’effetto antinocicettivo, e non altri effetti,
e’ bloccato dagli antagonisti al recettore oppioide di tipo K costituisce una formidabile
indicazione sul meccanismo alla base di tale effetto.