Lettori di Kierkegaard nel Novecento

LETTORI KIERKEGAARD NEL NOVECENTO
"Il tempo come struttura della possibilità è appunto il problema del nostro muoverci
verso un futuro, avendo alle spalle un passato; e sia che questo passato venga visto
come blocco rispetto alla nostra libertà di progettare (progetto che ci impone in
definitiva di scegliere ciò che siamo già stati), sia che sia inteso come fondamento
delle possibilità a venire, e quindi possibilità di conservazione o mutamento di ciò che
si è stati, entro limiti determinati di libertà, ma pure sempre in termini di processo e di
operatività progrediente e positiva … in tutti questi e in altri casi la condizione e le
coordinate delle nostre decisioni sono state identificate nelle tre estasi della
temporalità (passato, presente e futuro)e in un articolato rapporto tra di esse.
… le mie possibilità di scegliere o di non scegliere un futuro dipendono comunque dai
gesti che ho fatto e che mi hanno costituito come punto di partenza delle mie decisioni
possibili. E subito, appena decisa, la mia decisione, costituendosi in passato, modifica
ciò che io sono e offre un'altra piattaforma ai progetti successivi. .... In effetti il
passato mi determina e perciò determina anche il mio futuro, ma il futuro, a sua volta,
libera il passato...
Dunque ogni volta che progetto avverto la tragicità della condizione in cui sono, senza
poterne uscire; ma tuttavia progetto proprio perché a questa tragicità oppongo la
possibilità di una positività, che è il mutamento di ciò che è, che io attuo nel
protendermi verso il futuro. Progetto, libertà e condizione si articolano dunque mentre
io avverto questa connessione di strutture del mio agire secondo una dimensione di
responsabilità.
In altri termini dunque l'essere io situato in una dimensione temporale fa si che avverta
la gravita e la difficoltà delle mie decisioni, ma che avverta in pari tempo il fatto che
devo decidere, che sono io a dover decidere e che questo mio decidere si collega a una
serie indefinita di dover-decidere che coinvolge tutti gli altri uomini."
"Un uomo eterodiretto è un uomo che vive in una comunità ad alto livello tecnologico
e a particolare struttura sociale ed economica (in questo caso basata su una economia
di consumo), al quale viene costantemente suggerito (attraverso la pubblicità, le
trasmissioni televisive le campagne di persuasione che si attuano in ogni aspetto della
vita quotidiana) ciò, che deve desiderare e come ottenerlo secondo certi canali
prefabbricati che lo esentano dal progettare rischiosamente e responsabilmente. In una
società di questo tipo la stessa scelta ideologica viene imposta attraverso una oculata
amministrazione delle possibilità emotive dell'elettore, non promossa attraverso uno
stimolo alla riflessione e alla valutazione razionale.
....Nella pubblicità come nella propaganda e nei rapporti di human relations l'assenza
della dimensione progetto è in fondo essenziale allo stabilirsi di una pedagogia
paternalistica, la quale richiede appunto la persuasione segreta che il soggetto non sia
responsabile del proprio passato né padrone del proprio futuro, né infine sottomesso
alle leggi della progettazione secondo le tre estasi della temporalità (presente, passato,
futuro) perché tutto questo implicherebbe fatica e dolore, mentre la società è in grado
di offrire all'uomo eterodiretto i risultati di progetti già fatti, tali da rispondere ai suoi
desideri, i quali desideri, poi, gli sono stati indotti in modo da fargli riconoscere, in ciò
che gli viene offerto, ciò che egli avrebbe progettato."
"... non diversamente accade oggi quando la nuova automobile, quanto più possibile
costruita secondo modelli formali che fanno leva su una sensibilità archetipica diventa
a tal punto un segno di uno status economico da identificarsi con esso. La moderna
sociologia ci ha convinto del fatto che in una società industriale i cosiddetti "simboli di
status" pervengono in definitiva a identificarsi con lo status stesso: raggiungere uno
status vuol dire possedere un certo tipo di macchina, un certo tipo di televisore, un
certo tipo di casa con un certo tipo di piscina; ma al tempo stesso ciascuno degli
elementi posseduti, macchina, frigorifero, casa, televisore, diventa simbolo tangibile
della situazione complessiva. L'oggetto è la situazione sociale e nel contempo ne è il
segno: di conseguenza non ne costituisce solo il fine concreto perseguibile, ma il
simbolo rituale, l'immagine mitica in cui si condensano aspirazioni e desideri. È la
proiezione di ciò che vorremmo essere. In altri termini, nell'oggetto, inizialmente visto
come manifestazione della propria personalità, si annulla la personalità."
Tratto da U. Eco, "Apocalittici e integrati", 1964. (vedi lettura U. Eco "Il mito di Superman",
pag. 6, 8 e 1)
"L'io nell'interesse del quale agisce l'uomo moderno è l'io sociale, che è costituito in
sostanza dal ruolo che l'individuo dovrebbe svolgere, e che in realtà è soltanto una
maschera soggettiva per l'obiettiva funzione sociale che l'uomo svolge nella società.
L'egoismo moderno è 1'avidità radicata nella frustrazione dell'io reale, il cui oggetto è
l'io sociale. L'uomo moderno, pur sembrando caratterizzato da una esasperata
affermazione dell'io, in realtà è stato indebolito e ridotto a un segmento dell'io totale all'intelletto e alla volontà - ad esclusione di tutte le altre parti della personalità
totale. ... il problema non è che la gente si occupa troppo del suo interesse, ma che non
si occupa abbastanza dell'interesse del suo vero io; il fatto non è che siamo troppo
egoisti, è che non amiamo noi stessi".
Tratto da E. Fromm "Fuga dalla libertà", 1941(vedi lettura "Fuga dalla libertà: individuo e
processo nella società di massa", pag. 4)
"Non chiedere a nessuno come devi gestire la tua vita: chiedilo a te stesso. Se desideri
sapere come impiegare al meglio la tua libertà, non perderla mettendoti al servizio di
un altro o di altri, per buoni, saggi e rispettabili che siano: sul modo di usare la tua
libertà interroga la libertà stessa. [...] E se, mi dici che basta così, che sei stufo e non
vuoi continuare a essere libero? Se decidi di venderti come schiavo al miglior
offerente o di giurare obbedienza eterna e assoluta a un tiranno qualsiasi? Beh, lo farai
perché lo vuoi, usando la tua libertà e anche se ubbidisci ad altri o ti lasci trascinare
dalla massa comunque continuerai ad agire come preferisci: non rinuncerai a scegliere,
ma avrai scelto di non scegliere da solo. [...] Devi prendere sul serio il problema della
tua libertà, e nessuno può esonerarti dalla responsabilità creativa di scegliere la tua
strada.
... Responsabilità significa sapere che ciascuno dei miei atti mi costruisce, mi
definisce, mi inventa. Scegliendo quello che voglio fare mi trasformo a poco a poco.
Tutte le mie decisioni lasciano impronte in me stesso prima ancora di lasciarle nel
mondo che mi circonda. Ovvio che una volta che ho impiegato la mia libertà per darmi
un volto non posso lamentarmi o spaventarmi per quello che vedo nello specchio
quando mi guardo."
Tratto da E. Savater, Etica per un figlio (1991)
Don Giovanni (così come viene raffigurato da Molière, Mozart o Kierkegaard) può
essere definito un inventore e un pioniere di questa strategia. Per stessa ammissione
del Don Giovanni di Molière, il piacere dell'amore consiste nel cambiamento
incessante. Il segreto delle conquiste del Don Giovanni di Mozart, secondo
Kierkegaard, era il suo dono di finire rapidamente e ripartire da un (altro) inizio: Don
Giovanni era in uno stato di perpetua autocreazione...
... Incastrare insieme pezzi e frammenti fino a ottenere una totalità coerente e coesiva
chiamata identità non sembra essere la principale preoccupazione dei nostri
contemporanei, assegnati forzatamente e irrevocabilmente a una condi-zione alla Don
Giovanni, e pertanto costretti ad adottare la sua strategia. Forse non se ne preoccupano
proprio. Un'identità coesiva, saldamente inchiodata e solidamente costruita, sarebbe un
fardello, un vincolo, una limitazione alla libertà di scegliere. Presagirebbe
l'impossibilità di aprire la porta quando un'al-tra opportunità busserà. Per farla breve,
sarebbe una ricetta per l'inflessibilità, per una condizione, cioè, che è continuamente
biasimata, ridicolizzata o con-dannata da quasi tutte le vere o presunte autorità dei
nostri giorni (mezzi di comunicazione, esperti di problemi umani e leader politici),
perché all'opposto di un atteggiamento corretto e prudente, foriero di successo, nei
confronti della vita; una condizione di cui si deve diffidare e che quasi tutti
all'unanimità raccomandano di evitare con cura.
Per la grande maggioranza degli abitanti di un mondo di modernità liquida,
atteggiamenti come la preoccupazione per la coesione, l'adesione alle regole, il
giudicare sulla base dei precedenti e il restare fedeli a una logica di continuità invece
di fluttuare sull'onda di opportunità mutevoli e di breve durata, non sono opzioni
promettenti. Se vengono adottati da qualcun altro (di rado volontariamente, se ne può
star certi!), vengono prontamente bollati come sintomi di deprivazione sociale e
stimmate di insuccesso nella vita, di sconfitta, di scarso valore, di inferiorità sociale.
Nella coscienza pubblica, si tende ad associarli a una vita passata in prigione o in un
ghetto urbano, relegati nella detestata e aborrita «sottoclasse» o confinati nei campi di
profughi senza Stato... I progetti a cui giurare fedeltà per tutta la vita una volta scelti e
sposati (Jean-Paul Sartre, ancora mezzo secolo fa, raccomandava di adottare projets de
vie) godono di cattiva stampa e hanno perso la loro capacità di attrattiva. La maggior
parte della gente, messa alle strette, li definirebbe controproducenti e sicuramente un
genere di scelta che non farebbe di buon grado. Continuare ad incastrare insieme i
pezzi, sì, non si può far altro. Ma incastrarli insieme una volta per tutte, trovare il
miglior incastro possibile, quello che mette fine al gioco di incastro? No, grazie,
questo è qualcosa di cui si fa volentieri a meno.
Tratto da Z. Bauman "Intervista sull'identità" a cura di B. Vecchi, Laterza, 2003
F. Savater (1947), Filosofo e scrittore spagnolo . La sua riflessione filosofica è stata sempre accompagnata da una
particolare attenzione alle questioni politiche e sociali. S. si è fatto portavoce di una nuova idea di etica, più vicina alla
volontà e ai desideri dell’uomo, che si contrappone violentemente all’etica del fare, considerata imperante nella società
contemporanea.
Z. Bauman (1925), sociologo polacco. Le sue più recenti pubblicazioni si sono concentrate sul passaggio dalla
modernità alla post-modernità e le questioni etiche relative. Con una espressione divenuta proverbiale Bauman ha
paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società. Intendendo
con questi termini sottolineare il fatto che mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri
giorni, invece ogni aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente. Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e
fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si
vuole sentire ingabbiati; le influenze non mancano anche nel mondo politico:difatti ora non si cerca più di costruire il
“mondo perfetto”, seguendo un rigido e predeterminato sistema politico, forte di una consolidata ideologia, come era
nel passato.