CAP 5 – IL SISTEMA FINANZIARIO 1. Il sistema finanziario: un quadro d’insieme. Nel diagramma del flusso circolare del reddito (cap.1) avevamo visto che in senso opposto al flusso reale di beni e servizi si muove un flusso monetario. Il flusso monetario viene effettuato con vari strumenti; la moneta è uno di questi strumenti, il più importante ma, come si vedrà di seguito, non è l’unico. L’insieme degli strumenti e delle tecniche che permettono di facilitare il funzionamento del sistema economico mediante lo scambio di attività finanziarie costituisce il sistema finanziario. Esso presiede a due funzioni, una di allocazione delle risorse finanziarie ed un’altra monetaria. La funzione allocativa consiste nel trasferire temporaneamente i saldi finanziari inutilizzati dagli operatori in avanzo, ad altri che assumono questi fondi per acquisire beni reali. La funzione monetaria consiste nel fornire al sistema economico i mezzi di pagamento necessari per assicurare il funzionamento del circuito di produzione e distribuzione del reddito. Il sistema finanziario è costituito da un insieme di enti. Al di sopra del circuito vi sono le autorità di vigilanza, con il compito di assicurare il rispetto della regolamentazione e il corretto funzionamento degli operatori. Ai due estremi vi sono gli operatori che hanno rapporti con il sistema finanziario: - da un lato le famiglie, le quali hanno depositi e altre forme di crediti verso banche ed altri intermediari, possiedono quote di fondi comuni (e strumenti emessi da investitori istituzionali) e titoli azionari e obbligazionari; - dall’altro lato, le imprese e il settore pubblico, che ricevono finanziamenti dalle banche e da altri intermediari e tramite il mercato in forma di azioni e obbligazioni. Per il trasferimento di fondi da un soggetto ad un altro si possono avere due canali di intermediazione: - un canale diretto, che passa attraverso i mercati, e che a sua volta può essere distinto in investimenti diretti (azioni, obbligazioni, altri titoli) e investimenti che passano attraverso investitori istituzionali; - un circuito indiretto, che passa attraverso gli intermediari finanziari. Fondamentale per lo sviluppo del trasferimento diretto è l’esistenza di meccanismi di mercato, cioè di strutture che facilitano i contatti tra le unità in avanzo e quelle in disavanzo. Se le esigenze dell’unità in avanzo e di 169 quella in disavanzo non sono conciliabili con riferimento ad uno o più aspetti dell’operazione di trasferimento, essa può essere realizzata solo “spezzandola in due”, cioè l’interposizione di una terza parte che stipula con l’unità in surplus e con quella in deficit due contratti distinti, ognuno costruito per soddisfare le esigenze di una delle parti. Si realizza quindi un circuito indiretto, per il tramite di un intermediario che copre il divario. Il sistema finanziario è costituito da più mercati interdipendenti: il mercato monetario; il mercato finanziario e quello dei cambi. Il loro modo di operare è simile a quello degli altri mercati del sistema economico. Il mercato monetario è costituito dall’insieme delle negoziazioni di attività finanziarie a breve termine caratterizzate da basso rischio e alta liquidità. Una parte importante del mercato monetario è il mercato interbancario nel quale le banche concedono e prendono a prestito fondi, tipicamente per periodi molto brevi, anche per 24 ore. Le banche possono fronteggiare eventuali momentanee carenze di liquidità o ricorrendo alla Banca centrale, oppure rivolgendosi al mercato interbancario. Il mercato finanziario è costituito dalle negoziazioni di attività finanziarie a medio-lungo termine. Tipicamente si tratta di azioni (mercato azionario) e obbligazioni e titoli di Stato (mercato obbligazionario). Le istituzioni che offrono servizi e prodotti finanziari prendono il nome di intermediari finanziari (banche commerciali, assicurazioni, fondi pensione, ecc.). Il mercato dei cambi è costituito dalle negoziazioni in valuta degli operatori non bancari con i non residenti, e dalle operazioni in valuta svolte dagli enti creditizi abilitati ad operare in valuta. Questo mercato è già stato analizzato nel capitolo 4. 2. Il sistema finanziario e il ruolo della Banca centrale. La moneta è il principale strumento che permette la realizzazione delle transazioni nel sistema economico; è dunque un mezzo di scambio. In realtà essa ha altre due funzioni: è riserva di valore, rappresenta un mezzo per trasferire potere d’acquisto dal presente al futuro; ed è unità di conto, rappresenta l’unità di misura con cui si esprimono i prezzi. La moneta, a differenza di quanto avveniva nel passato, non ha un valore intrinseco, e cioè non è una merce che possiede una propria utilità derivante dalle sue caratteristiche fisiche (oro, argento, ecc.), ma viene accettata per disposizione di legge e perciò è anche chiamata moneta legale. Tra la fine dell’ottocento e i primi anni del novecento, in tutti i 170 paesi europei si passò dalla circolazione con carta-moneta convertibile (la moneta emessa da una data banca poteva essere convertita in oro o argento), alla circolazione con carta-moneta inconvertibile e si attribuì ad un’unica banca, la Banca centrale, il monopolio dell’emissione dei biglietti di banca. Nell’area euro è il Sistema europeo delle banche centrali (Sebc) a determinare l’offerta di moneta; esso è costituito dalla Banca centrale europea (Bce) e dalle Banche centrali nazionali (fra le quali anche la Banca d’Italia) dei paesi che aderiscono all’Unione Europea. Il Sebc è guidato dagli organi direttivi della Banca centrale europea (Bce): un’unica direzione garantisce l’unicità dei comportamenti nell’attuazione della politica monetaria, ampiamente decentrata alle banche centrali nazionali. L’obiettivo principale della Bce consiste nel fornire all’economia europea una quantità di moneta sufficiente a consentire gli scambi economici (liquidità), garantendo al tempo stesso la stabilità dei prezzi. Nell’ambito dell’Eurozona, la Banca d’Italia produce la quantità di banconote in euro ad essa assegnata e immette le banconote in circolazione. Le monete in euro sono coniate dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, in qualità di ente emittente, provvede alla loro distribuzione sul territorio nazionale avvalendosi delle filiali della Banca d’Italia. La possibilità di stampare banconote e coniare moneta comporta un reddito, detto signoraggio (il termine risale al medioevo, quando i signori locali detenevano il monopolio del conio e chiedevano un prezzo per ogni moneta che coniavano), che viene incassato dalla Bce per le banconote e dalle Bc per il conio delle monete. Nell’area euro vi è completa separazione tra le Banche centrali e il potere politico. La legge (il trattato di Maastricht) impedisce alle Bc di concedere prestiti diretti alle autorità pubbliche. In caso di disavanzo i governi possono essere tentati di finanziare l’eccesso di spesa emettendo moneta, com’è successo in vari paesi, causando però problemi di stabilità dei prezzi. L’indipendenza consente alla Bc di impedire appunto che la stabilità dei prezzi venga messa in pericolo. Nonostante l’accentramento delle decisioni in capo al Sebc, le banche centrali nazionali (Bc) hanno mantenuto varie funzioni (purché non interferiscano con gli obiettivi e i compiti del Sebc), la più importante è quella della vigilanza sui sistemi bancari, sui mercati finanziari, e sugli intermediari non bancari. La Banca centrale evita che il fallimento di una banca possa portare a una situazione in cui altri soggetti, in un processo a catena, falliscano a loro volta. 171 La Bc fornisce alle banche in difficoltà la moneta sufficiente a evitare il fallimento immediato e rassicurare i titolari dei depositi bancari che questi potranno essere convertiti in contante ed evitare così la cosiddetta “corsa agli sportelli”. Se si dovesse verificare questa situazione, è impossibile che tutti i depositi vengano rimborsati, in quanto le banche detengono solo parte delle loro attività sotto forma di contante. Il sospetto è contagioso e può essere fatale anche per le banche sane, danneggiando l’intero sistema bancario. E’ per questo motivo che le autorità monetarie possono intervenire come “prestatore di ultima istanza”: grazie alla loro disponibilità a creare la quantità di moneta necessaria per onorare le richieste di prelievo, hanno il potere di porre fine alla corsa agli sportelli. D’altra parte, la protezione offerta dal prestatore di ultima istanza può incoraggiare le banche ad assumere rischi eccessivi, un fenomeno noto come comportamento opportunistico (moral hazard). Per evitare questo aspetto le Bc non si pronunciano con precisione riguardo la loro probabile reazione in caso di fallimento bancario. La regolamentazione delle banche di credito prevede la supervisione dei conti e delle operazioni bancarie, vincoli alle attività possedute e alla gamma di operazioni consentite, nonché la limitazione della concorrenza (ritenuta pericolosa ai fini della stabilità del sistema bancario). Quest’ultima forma di regolamentazione è rilevante. La Bc ha infatti il potere di autorizzare o vietare l’apertura di nuove aziende di credito e di nuovi sportelli per le aziende già operanti sul mercato. In tale modo esiste una barriera legale all’entrata di nuovi concorrenti nel mercato creditizio. In altri termini, le banche già presenti sono in concorrenza fra di loro, ma sono difese rispetto alla concorrenza potenziale di nuovi operatori. Di conseguenza, le banche spesse volte sono indotte a comportamenti collusivi. Forme di concorrenza riguardano sia i tassi di interesse che vengono offerti dalle banche ai risparmiatori per attrarre i loro depositi (tassi di interesse passivi), sia i tassi di interesse richiesti a coloro che chiedono prestiti (tassi di interesse attivi). Lo spread dei tassi è il differenziale che una banca applica tra i tassi di interesse attivi e quelli passivi. La concorrenza tende a ridurre al minimo lo spread fra tassi attivi e tassi passivi. L’integrazione finanziaria tra le economie avanzate ha portato a una maggiore interazione reciproca tra i sistemi finanziari e bancari dei vari paesi e ha allargato la concorrenza oltre i confini nazionali. Per assicurare che la concorrenza sia equa, le economie avanzate hanno raggiunto un accordo a livello internazionale determinando dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale, ossia dei livelli minimi di capitale che le banche devono detenere, espressi come porzione delle attività di rischio 172 complessive. Le regolamentazioni sull’adeguatezza patrimoniale sono volte a proteggere l’integrità del sistema bancario dal rischio delle singole banche, richiedono che il capitale costituisca una frazione costante delle attività di rischio complessive. Sebbene tale regolamentazione sia utile, a volte pone le banche in una situazione di svantaggio competitivo nei mercati internazionali. I paesi dove le regolamentazioni sono scarse o inesistenti possono operare con livelli di capitale inferiori per uno dato stock di attività fruttifere, e possono guadagnare tassi di rendimento migliori. In reazione a tale problema, il Comitato sulla regolamentazione e la supervisione bancaria (noto anche come Comitato di Basilea) ha concordato alcune misure standardizzate di adeguatezza patrimoniale. 2.1. Il processo di creazione di moneta. Uno dei compiti fondamentali della Bce è dunque quello di fornire una quantità di moneta in modo che gli scambi possano avere luogo. Tuttavia, nelle economie moderne la componente principale dell’offerta di moneta è costituita dai depositi bancari presso le banche di credito. Queste ultime creano moneta sotto forma di credito: la cosiddetta moneta fiduciaria. Ogni volta che la moneta viene depositata in banca e da questa impiegata in prestiti, viene creata moneta. I depositi rappresentano un debito della banca nei confronti di chi ha effettuato il deposito, e vengono accettati come mezzo di pagamento (assegni, carte di credito) solo sulla base della fiducia che effettivamente esista un credito nei confronti della banca, di modo che l’eventuale assegno possa essere convertito in moneta. La fiducia nella convertibilità dell’assegno determina la capacità dei debiti bancari (moneta bancaria) di fungere da mezzo di pagamento. Per questo motivo la moneta bancaria viene definita anche moneta fiduciaria. Pertanto, alla moneta legale si affianca dunque una moneta fiduciaria creata dal sistema bancario e rappresentata dai depositi bancari: Banche centrali Emettono la moneta legale Banche Emettono la moneta fiduciaria La quantità di moneta fiduciaria che un sistema bancario genera a partire di ogni euro di depositi è più grande dei depositi; essa dipende dalle riserve e cioè dalla quantità di circolante depositato che le banche sono obbligate dalla Bc a detenere per fare fronte agli eventuali prelievi da parte dei clienti. Questa riserva è detta riserva obbligatoria ed è costituita da una data percentuale dei depositi raccolti che ogni istituto di credito deve 173 depositare presso la Bc o tenere sotto forma di contanti.(sono crediti delle banche commerciali presso la Bc). La riserva obbligatoria è una frazione dei depositi. Lo scopo delle riserve obbligatorie non è quello di accrescere la liquidità delle banche e quindi proteggere i depositanti dal rischio di perdite; esse comunque non sarebbero sufficienti per far fronte a un “assalto agli sportelli”. Esse hanno la funzione di controllo; la riserva obbligatoria permette alla Banca centrale di condizionare la possibilità delle aziende di credito di concedere prestiti. Oltre alla riserva obbligatoria, le banche possono decidere di accantonare un’ulteriore somma come riserva libera o riserva in eccesso, per fronteggiare ritiri improvvisi di contante da parte dei depositanti. Esempio: se un individuo deposita presso una banca in un conto corrente 1.000€ e se la riserva obbligatoria è del 10% (la banca deve accantonare sotto forma di riserva 100€), essa ha a disposizione 900€ che può dare a prestito o investire. Chi prende a prestito i 900€ li depositerà presso un’altra banca, che a sua volta terrà come riserva obbligatoria il 10% e cioè 90€ e investirà o concederà dei prestiti per 810€. A questo punto il totale di moneta in circolazione è di 2710€. Il processo continua, si verifica una catena di espansione mediante la quale si crea ancora più moneta bancaria, e si arresterà quando non vi sarà più alcuna banca del sistema con riserve superiori alla quota obbligatoria del 10%. Il sistema bancario raggiungerà l’equilibrio quando i 1.000€ di nuove riserve saranno esauriti sotto forma di riserva obbligatoria dei nuovi depositi. Base monetaria e offerta di moneta - La somma del circolante e delle riserve delle banche commerciali è nota come base monetaria (a volta definita M0); essa è uno dei principali determinanti dell’offerta di moneta, facilmente controllabile da parte delle autorità monetarie. Fig. 5.1 – Base monetaria e offerta di moneta. La base monetaria differisce però dall’offerta di moneta. La prima è infatti costituita dal circolante più le riserve depositate dalle banche presso 174 la banca centrale; mentre l’offerta di moneta, intesa come quantità di moneta esistente in un determinato momento nel sistema economico, è pari alla moneta legale in circolazione più i depositi nelle banche (fig. 5.1). Il moltiplicatore dei depositi – Poiché i depositi concorrono a creare moneta fiduciaria per una somma maggiore dei depositi stessi è importante conoscere di quanto aumenta l’offerta complessiva di moneta in conseguenza dei depositi. La risposta ci viene data dal moltiplicatore dei depositi, che indica appunto di quanto varia la moneta bancaria ottenuta dai depositi bancari; esso dipende dal coefficiente di riserva delle banche e dalla percentuale di circolante trattenuta dal pubblico. Se il tasso di riserva per il sistema bancario è R, ogni euro di depositi genera 1/R euro di moneta. Se il tasso di riserva fosse 20 (pari al 5%), il sistema bancario non potrebbe che avere depositi per 20 volte le riserve, implicando un moltiplicatore monetario di valore 20. Ogni euro di riserva genererebbe 20€ di moneta. Più elevato è il tasso di riserva, tanto inferiore è la quota di depositi che la banca impiega, tanto più basso è il moltiplicatore monetario. La formula del moltiplicatore dei depositi è data da: DB = m x BM, dove DB indica l’ammontare della moneta bancaria ottenuta dal deposito iniziale; BM la base monetaria (detta anche “moneta ad alto potenziale” perché costituisce la base per l’espansione della moneta bancaria, che è data dalla somma del circolante e delle riserve delle banche commerciali), e m il moltiplicatore monetario, espresso come l’inverso del coefficiente di riserva obbligatorio (k). La formula del moltiplicatore può essere riscritta come segue: DB = BM 1/k. In ogni fase del processo di espansione del credito si possono verificare altre due dispersioni di moneta che riducono la capacità del sistema bancario di accrescere la massa monetaria: 1) fuoriuscita di circolante. Il beneficiario di un assegno può presentarsi in banca e chiedere di convertirlo in circolante, invece di depositarlo sul suo conto corrente; 2) riserve in eccesso. La banca decide di aumentare le riserve oltre al coefficiente di riserva obbligatoria. Gli effetti del moltiplicatore monetario risultano ridotti. In ultima analisi, il valore del moltiplicatore monetario dipende da due parametri: a) il rapporto tra riserve e depositi delle banche (coefficienti di riserva); b) il rapporto tra la quantità di circolante che i privati desiderano trattenere rispetto ai loro depositati bancari (coefficiente di liquidità). Riassumendo, tutta la moneta esistente a disposizione del pubblico (M) è pari alla somma della moneta legale, e cioè il circolante (Circ), e dei depositi bancari (Dep): M = Dep + Circ. Il processo di creazione di 175 moneta è quindi determinato dalle scelte di tre operatori: dalla banca centrale, che controlla il coefficiente di riserva obbligatoria e il credito delle banche ordinarie; dalle banche, che decidono di utilizzare parte delle riserve libere per effettuare operazioni di prestito; dal pubblico, che decide se chiedere prestiti e se depositare presso le banche parte del circolante che detiene. La Bc non è dunque in grado di controllare direttamente la quantità di moneta esistente nell’economia ma comunque determina l’andamento della massa monetaria. Ogni operazione di creazione o distruzione di base monetaria rappresenta una manovra di politica monetaria. Il controllo della base monetaria può avvenire attraverso: - le operazioni di mercato aperto che consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli o attività finanziarie sui mercati dei capitali. Ogni acquisto di titoli concorre ad aumentare la base monetaria e viceversa la vendita di titoli la fa diminuire. - il finanziamento delle aziende di credito. Gli istituti di credito che si trovano in carenza di liquidità possono rivolgersi alla Banca centrale per ottenere finanziamenti (vengono erogati sotto forma di anticipazioni di cassa o riscontri di cambiali relative a crediti commerciali del settore privato); - il finanziamento del Tesoro, il cui fabbisogno finanziario può venire coperto con il ricorso al conto corrente di tesoreria presso la Banca centrale. Quando la Banca centrale fa un prestito al Tesoro (acquistando titoli da lui emessi) crea base monetaria. Quando il Tesoro restituisce il prestito (rimborsa i titoli) la base monetaria si distrugge. Comunque, come già anticipato, nell’area dell’euro il finanziamento del Tesoro da parte della Bce o delle banche centrali dei paesi membri è vietato dal Trattato di Maastricht; - l’estero: nel capitolo precedente abbiamo visto che un saldo positivo (deficit) della bilancia dei pagamenti determina un afflusso di valuta estera che si traduce in un aumento (diminuzione) delle riserve ufficiali e della base monetaria. Quando la Banca centrale acquista valuta pagando con euro immette base monetaria nel circuito. Quando invece cede valuta in cambio di euro, sottrae base monetaria dal circuito. La Banca centrale può intervenire discrezionalmente sul primo canale e regolare la creazione di moneta, mentre sugli altri due la discrezionalità è molto limitata. Gli aggregati monetari – L’offerta di moneta a cui abbiamo fatto ora riferimento è dunque costituita da un insieme di mezzi di pagamento aventi caratteristiche diverse. Un elemento che li contraddistingue è il loro grado 176 di liquidità; ad esempio il circolante ha un grado di liquidità maggiore di un deposito a termine. Ed infatti i mezzi di pagamento vengono raggruppati in base al loro grado di liquidità in modo da formare degli aggregati più o meno omogenei. Ad esempio, abbiamo visto che la base monetaria costituisce uno di questi aggregati, e che a volte viene definita M0. La Bce considera i seguenti aggregati monetari: M1, M2 e M3. M1 è costituito dalla somma del circolante e dei depositi a vista; M2 è invece dato dalla somma di M1 e dei depositi rimborsabili a termine. Per l’area dell’euro si fa riferimento a M3 (circolante, depositi a vista, depositi rimborsabili a termine, titoli di Stato e obbligazioni con scadenza a due anni), e ciò perché l’obiettivo istituzionale della Bce è il controllo della stabilità dei prezzi che è definito da un tasso di inflazione inferiore al 2%. La Bce ha come livello di riferimento per la crescita di M3 il 4,5% annuo (2012). Questo obiettivo indica che per la Bce è ottimale una crescita del Pil nominale (crescita più inflazione) del 4,5%. 2.2. La domanda di moneta. Come in tutti i mercati anche in quelli finanziari si ha domanda ed offerta di un dato bene: la moneta. Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato l’offerta, vediamo di seguito la domanda; essa indica la quantità di moneta che un’economia desidera tenere. Gli individui desiderano moneta per due motivi: a) per acquistare beni e servizi e cioè per effettuare delle transazioni, e b) per realizzare delle attività finanziarie. Motivo transazionale – Questa domanda dipende dal valore nominale del Pil; più è elevato il Pil, maggiore è la domanda di moneta L1 = f(Y). La domanda per scopi transazionali è sensibile anche al livello del saggio di interesse, in funzione inversa: quanto più elevato è il saggio di interesse meno i soggetti domandano scorte monetarie per transazioni. La moneta viene anche domandata per fare fronte a eventuali necessità per spese non previste: per motivi precauzionali. Anche questa domanda dipende in maniera direttamente proporzionale dal livello del reddito e, in parte, in modo indirettamente proporzionale, dal saggio di interesse, per cui viene assimilata a quella per motivi transazionali. Motivo finanziario o speculativo – Questa domanda, che definiamo L2, è tipica degli operatori di borsa e del mercato finanziario; è una domanda di attività finanziarie. Dipende esclusivamente dal saggio di interesse, cioè 177 dal corso effettivo dei titoli, e dalle aspettative (di ribasso o rialzo) degli operatori: L2 = f(i,a). La domanda di moneta per attività finanziarie è quindi elevata (bassa) se si prevede un calo (aumento) dei prezzi delle attività finanziarie. Se il prezzo di una obbligazione diminuisce,il proprietario nel caso le debba vendere prima della scadenza subisce una perdita; questo rischio non esiste se si sceglie la moneta come attività finanziaria. Lo svantaggio di detenere moneta come attività, piuttosto di obbligazioni, è che non si percepisce interessi. Un aspetto importante dei mercati finanziari è il rapporto inverso fra tassi di interesse e prezzi delle attività. Tassi di interesse più elevati tendono a ridurre i prezzi delle attività. Infatti, il valore attuale di un bene patrimoniale è dato dal valore monetario che ha oggi il flusso di reddito che si ricava da quel bene nel corso del tempo. Quel valore attuale tende a ridursi all’aumentare del tasso di interesse per cui il valore delle attività dovrebbe variare inversamente ai tassi di interesse. Si può così affermare che, in generale, quando i tassi di interesse aumentano, il valore delle azioni, delle obbligazioni, dei beni immobili e di molte altre attività di lunga durata diminuiscono. Esempio: supponiamo di acquistare un’obbligazione senza scadenza del valore nominale di 1.000.000 € e che frutti interessi annui di 50.000€. Il tasso di interesse (rendimento) dell’obbligazione è quindi del 5% (50.000/1.000.000). Supponiamo che la quotazione delle obbligazioni (il loro valore di mercato che non sempre coincide con il valore nominale, esso è dato dalle contrattazioni che si verificano nella borsa valori) scenda a 667.000 @ a causa della maggior offerta di obbligazioni sul mercato; l’interesse annuo fisso di 50.000 € corrisponderà a un tasso di interesse del 7,5% . Per contro se i prezzi delle obbligazioni fossero aumentati, i tassi di interesse sarebbero scesi. Infatti se le obbligazioni valgono ora 2.000.000 € e si ricavano 50.000€ di interessi annui, il tasso di interesse risulta 2,5%. Queste considerazioni portano a concludere che la domanda di moneta speculativa è funzione inversa del saggio di interesse: gli operatori speculativi chiederanno moneta (vendendo titoli) quando il saggio di interesse effettivo e reale è basso; offriranno invece moneta (acquisto di titoli) quando il saggio di interesse effettivo raggiungerà livelli considerati più elevati di quello normale. La domanda totale di moneta Md – essa si ricava sommando la domanda di moneta per transazioni e quella per attività finanziarie: Md = L1+ L2. Ciascun individuo può detenere la propria ricchezza in due forme: in denaro o in titoli. Questi ultimi, a differenza della moneta, fanno maturare interessi (o dividendi nel caso di azioni). Pertanto le variabili rilevanti nella determinazione della domanda di moneta sono due: il livello generale dei prezzi (P) e il tasso di interesse sui titoli (i). Se cresce P ci vorrà più moneta per effettuare un dato volume di scambi; se cresce i gli individui 178 vorranno invece detenere meno moneta, poiché diventa più conveniente acquistare titoli che fruttano un interesse crescente. Pertanto, dal punto di vista formale avremo L1 + L2 = Md = f(Y,i) = kY – hi con k,h >0 dove k è il parametro che indica la variazione della domanda di moneta al variare del reddito, e h indica la sensibilità della domanda di moneta rispetto a variazioni del tasso di interesse. La domanda di moneta ha una pendenza negativa, perché le giacenze monetarie diminuiscono all’aumento dei tassi di interesse; quando i tassi aumentano gli individui spostano una quantità maggiore dei loro fondi verso attività a rendimento più elevato. Teoricamente si riduce al minimo (cioè alla sola domanda per transazioni corrispondente) per elevati livelli del saggio di interesse. 2.3. Il controllo dell’offerta di moneta. Il controllo dell’offerta di moneta di fatto costituisce la politica monetaria che ha come obiettivo principale il raggiungimento del livello di piena occupazione in assenza di inflazione. La Bc può controllare l’offerta di moneta servendosi di alcuni strumenti: le operazioni di mercato aperto, la riserva obbligatoria, i tassi di interesse del mercato monetario e i controlli diretti o amministrativi dei flussi finanziari. Le operazioni di mercato aperto – consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli obbligazionari sul mercato “aperto”, vale a dire le operazioni di acquisto o vendita di titoli in cui la Bc la come contropartita un’azienda di credito o il pubblico. Se la Bc acquista titoli immette sul mercato moneta e ritira titoli e, viceversa, se la Bc vende titoli ritira dal mercato moneta. Con le operazioni di mercato aperto si agisce direttamente sulla base monetaria. Poiché l’offerta di moneta è data dalla base monetaria moltiplicata per il moltiplicatore monetario, variando la base monetaria si è in grado di agire sullo stock complessivo di moneta offerta. Esempio: se la Bc vende Buoni del tesoro per 1.000 miliardi di € alle principali banche commerciali, queste ricevono titoli in cambio di contante che prelevano dai propri conti: l’intero sistema bancario avrà 1.000 miliardi di € in meno di riserve, che saranno invece depositati preso la Bc. Se l’obbligo di riserva è del 10%, la vendita di titoli per 1 miliardo di € determinerà una riduzione dell’offerta di moneta di 10 miliardi di €. Abbiamo infatti visto in precedenza che una variazione delle riserve bancarie porta a una moltiplicazione dei depositi bancari totali. 179 Il coefficiente di riserva obbligatoria - Il coefficiente di riserva obbligatoria è costituito dal rapporto minimo tra riserve di liquidità e depositi che ogni banca deve detenere. Esso determina la quantità di moneta che il sistema bancario può creare per ogni euro di deposito. Se il coefficiente di riserva obbligatoria sale, aumenta la quantità di riserve che le banche devono detenere. Se, per contro, il coefficiente viene abbassato parte elle riserve obbligatorie diventano riserve in eccesso e ciò accresce la possibilità delle aziende di credito di creare moneta concedendo prestiti. Un aumento del coefficiente di riserva obbligatoria forza le banche a trattenere una maggior frazione delle attività complessive sotto forma di riserve bancarie e una minor frazione sotto forma di prestiti a privati. Se le banche si trovano con un aumento di domanda di credito da parte dei clienti, avendo già raggiunto il rapporto riserve/depositi imposto dalla Banca centrale, possono chiedere a prestito liquidità per aumentare le proprie riserve alla Banca centrale. Se la Banca centrale si rifiuta di prestare liquidità per evitare di aumentare la quantità di moneta, le banche di credito potrebbero offrire al settore privato tassi passivi sui c/c più elevati, incentivando il settore privato (i propri clienti) a rinunciare a detenere circolante in conto di depositi bancari. Le banche attraggono così liquidità e, pertanto, sono in grado di espandere il credito. Il tasso ufficiale di sconto – Un altro strumento indiretto per controllare la base monetaria è costituito dalla variazione del tasso ufficiale di sconto (Tus). Quando le banche commerciali hanno bisogno di liquidità possono contrarre prestiti presso la Banca centrale. Una delle funzioni tradizionalmente affidate alla Bc è quella di essere “prestatore di ultima istanza”. Infatti le Bc concedono prestiti agli istituti di credito finanziariamente solidi, che tuttavia si trovano ad avere un improvviso e urgente bisogno di fondi. Se le aziende di credito prendono a prestito dalla Bc denaro le loro riserve aumentano e quindi aumenta anche la loro capacità di erogare crediti al pubblico. La Bc può alzare o abbassare il tasso di sconto, che rappresenta il tasso di interesse praticato sui prestiti alle banche di credito. Esso costituisce il termometro del mercato finanziario, perché sulla sua base vengono determinati il tasso di interesse, applicato dalle banche ai propri clienti, ed il tasso interbancario, che si applica ai prestiti fra le banche. L’aumento del Tus fa aumentare il costo delle banche per ottenere liquidità dalla Banca centrale e quindi esse dovrebbero aumentare i tassi attivi sui crediti concessi ai propri clienti, con l’effetto di una loro diminuzione e quindi, diminuendo i prestiti, aumentano le riserve delle 180 banche. Aumentando allora il rapporto riserve/depositi del sistema bancario ecco che si riduce il valore del moltiplicatore monetario e dunque si riduce lo stock di moneta a disposizione del sistema economico. La variazione del saggio ufficiale di sconto ha soprattutto importanza per l’effetto annuncio al mercato delle intenzioni delle autorità monetarie. Ad esempio, riduzioni del tasso di sconto indicano l’adozione di una politica monetaria più espansiva, tesa a favorire gli investimenti (si ricorda che gli investimenti sono funzione del tasso di interesse) e ad ampliare la liquidità del sistema. A fronte delle riduzioni del tasso ufficiale di sconto anche le banche adegueranno i propri tassi. Gli strumenti diretti – Questi strumenti sono volti al controllo del credito. Le autorità monetarie impongono vincoli o regole di comportamento agli intermediari finanziari per regolare il volume globale del credito o per cercare di correggere l’imperfetto funzionamento del mercato finanziario. Carattere affine hanno anche i provvedimenti tesi al controllo dei movimenti di capitale. 2.4. La determinazione del tasso di interesse. Nel mercato monetario si determina il tasso di interesse di mercato che è dunque un prezzo: il prezzo della moneta attuale in termini di moneta futura. Esso è determinato dalla preferenza per la liquidità delle famiglie (la domanda di moneta) e dalle decisioni delle autorità monetarie in materia di offerta di moneta. L’offerta di moneta è perfettamente verticale all’asse delle ascisse (fig 5.2) poiché non dipende in alcun modo dal tasso di interesse ma solo dalla quantità di base monetaria creata dalla Bc e dalle scelte dei risparmiatori e delle banche commerciali che influenzano il moltiplicatore monetario. L’offerta di moneta è del tutto esogena. Come abbiamo già detto in precedenza l’offerta di moneta è controllata dalla banca centrale, che la gestisce agendo sulle riserve del sistema bancario, attraverso la compravendita di tioli di Stato in operazioni di mercato aperto. Se la banca centrale acquista titoli di Stato, il denaro che utilizza per pagarli viene di solito depositato nel sistema bancario e va ad aggiungersi alle riserve bancarie; se la banca centrale vende titoli di Stato, il denaro che incassa proviene di solito da depositi bancari e va a detrimento delle riserve bancarie. Le variazioni delle riserve bancarie, a propria volta, modificano la capacità d’impiego della banca, e creano o distruggono moneta. Oltre alle operazioni di mercato aperto, la banca 181 centrale può alterare gli obblighi di riserva del sistema bancario o il tasso di sconto. Per quanto riguarda la domanda di moneta abbiamo visto che le determinanti della domanda di moneta sono infinite, ma la teoria della preferenza della liquidità pone l’accento sul tasso di interesse, che viene considerato la variabile più importante, per il fatto che rappresenta il costo opportunità del possesso di moneta. Rappresentiamo graficamente l’equilibrio sul mercato della moneta nella fig. 5.2. Sull’asse verticale è riportato il saggio di interesse, mentre su quello orizzontale la moneta. Il saggio di interesse si aggiusta in modo da eguagliare la quantità di moneta domandata con quella offerta. Se il tasso di interesse è superiore a quello di equilibrio, la quantità di moneta che gli individui desiderano detenere è inferiore alla quantità che la Banca centrale ha creato e questo eccesso di offerta di moneta genera una pressione al ribasso sul tasso interesse. Analogamente, se il tasso di interesse è inferiore al livello di equilibrio la quantità di moneta che gli individui desiderano detenere è superiore alla quantità che la Banca centrale ha creato e questo eccesso di domanda di moneta genera una pressione al rialzo sul tasso di interesse. Fig. 5.2 - La determinazione del tasso di interesse Nella realtà, non esiste un vero e proprio mercato della moneta. Un mercato esclusivamente monetario implicherebbe il comprare e vendere euro contro euro. Come vedremo di seguito, il mercato rilevante è quello delle obbligazioni. Ciò che succede nel mercato delle obbligazioni ha effetti anche sul mercato monetario. 2.5. La politica monetaria e la sua efficacia. 182 Analizziamo ora come le variazioni che intervengono nel mercato monetario incidono sul tasso di interesse. Supponiamo che dapprima la Banca centrale, in presenza di disoccupazione attui una politica monetaria espansiva e, quindi, in presenza di una situazione inflazionistica, attui una politica monetaria restrittiva (riduzione dell’offerta di moneta). A) Politica monetaria espansiva - La politica monetaria espansiva ha lo scopo di aumentare la disponibilità di credito e ridurre i tassi di interesse al fine di stimolare la spesa aggregata e accrescere l’occupazione. In termini grafici (fig. 5.2) ciò implica lo spostamento verso destra della curva di offerta di moneta e, data la curva di domanda di moneta, un più basso tasso di interesse. La riduzione del tasso di interesse stimola la componente speculativa della moneta, determina l’aumento del prezzo dei titoli e quindi la contrazione del loro rendimento. La Bc deve indurre gli agenti economici ad assorbire la quantità di moneta sostituendola ai titoli. Essa si offre di acquistare i titoli a cui gli agenti rinunciano ad un prezzo più alto che in precedenza, provocando così un rialzo delle quotazioni e un ribasso del tasso di interesse. La diminuzione del tasso di interesse rende meno costoso l’accesso al credito e di conseguenza incentiva la realizzazione degli investimenti che sono una componente della domanda aggregata. Per espandere la massa monetaria la Bc deve accrescere le riserve in eccesso delle aziende di credito e per fare questo può adottare vari interventi: - acquistare titoli di Stato sul mercato aperto (si ha un aumento delle riserve delle aziende di credito); - ridurre il coefficiente di riserva obbligatoria (la Bc trasforma parte delle riserve obbligatorie delle aziende di credito in riserve in eccesso e farebbe aumentare il moltiplicatore monetario); - abbassare il tasso ufficiale di sconto (con ciò si indurrebbero le aziende di credito ad aumentare le loro riserve contraendo debiti con la Bc). L’aumento dell’offerta di moneta è rappresentato nella fig. 5.3. Se l’offerta di moneta aumenta, la semiretta si sposta verso destra dalla posizione O’, che supponiamo essere la posizione iniziale, in O: il saggio di interesse diminuisce. Poiché la domanda di moneta per motivi transazionali è generalmente stabile nel breve periodo, ogni aumento dell’offerta di moneta dovrà essere assorbito dal movente speculativo. Ciò è possibile solo se il tasso di interesse è basso: infatti un basso tasso di interesse costituisce uno dei maggiori incentivi agli investimenti privati. Tuttavia, se l’offerta di moneta aumenta di molto, il saggio di interesse non scende: oltre un certo livello del saggio di interesse ogni ulteriore immissione di liquidità nel sistema economico non avrebbe effetti sul 183 saggio di interesse. Questa situazione viene denominata trappola della liquidità: oltre un certo livello considerato minimo, il saggio di interesse non può scendere perché gli operatori trattengono tutta la loro moneta in possesso, e la domanda di moneta tende a divenire infinita (la curva di domanda di moneta M diviene parallela all’asse delle ascisse). La domanda di moneta per motivi speculativi diventa illimitata, poiché le aspettative dei risparmiatori saranno indirizzate verso un aumento del saggio di interesse e quindi preferiranno detenere moneta in forma liquida piuttosto che investirla. La manovra sul saggio di interesse trova dunque un limite invalicabile. (a) (b) Fig. 5.4- L’effetto della politica monetaria sui tassi di interesse. Nei periodi di recessione è probabile che le banche riducano l’offerta di moneta privilegiando la liquidità (riserve in eccesso), nonostante ciò significhi rinunciare a percepire interessi. Le aziende di credito temono che molti clienti possano presentarsi contemporaneamente a ritirare i loro depositi, e nello stesso tempo hanno paura che i mutuatari non siano in grado di rimborsare i prestiti ricevuti. Non sorprende dunque che durante le crisi economiche le banche abbiano una notevole quantità di riserve in eccesso e ciononostante ci sia scarsa disponibilità di credito. La scarsità di crediti determina una riduzione dell’offerta di moneta e questa contrazione della massa monetaria non fa che aggravare la recessione. E’ quindi molto probabile che le banche, perseguendo i propri obiettivi di profitto e liquidità, modifichino l’offerta di moneta in modo tale da accentuare le fluttuazioni cicliche. B) Politica monetaria restrittiva - Supponiamo ora di trovarci nella situazione opposta: si ha una spirale inflazionistica dovuta ad un eccesso di spesa. La Bc dovrebbe ridurre la spesa aggregata facendo diminuire 184 l’offerta di moneta. Per raggiungere questo obiettivo è necessario togliere riserve in eccesso alle banche adottando i seguenti interventi: - vendita di titoli di Stato sul mercato aperto ( per ridurre le riserve delle aziende di credito); - aumentare il coefficiente di riserva obbligatoria (si riducono le riserve in eccesso alle banche facendo diminuire il valore del moltiplicatore monetario); - alzare il tasso di sconto (le aziende di credito rinunceranno a contrarre debiti con la Bc per incrementare le loro riserve). L’impatto della restrizione viene rappresentato nella fig 5.3. Lo spostamento verso sinistra della curva di offerta di moneta (fig. 5.3a) determina un’eccedenza nella domanda NE che fa spostare i tassi di interesse verso l’alto (per indurre i cittadini a scambiare il proprio denaro con obbligazioni e altre attività non monetarie). Supponiamo che l’aumento del livello generale dei prezzi sia dovuto ad un aumento del prezzo del petrolio. A parità di reddito reale, la domanda di moneta aumenta facendo spostare la curva della domanda di moneta a destra da DD a D’D’ (fig. 5.4b), determinando un incremento del tasso di interesse. Ugualmente un aumento del reddito reale fa aumentare la domanda di moneta; essa si sposta verso destra e il livello del tasso di interesse tenderà ad aumentare. I soggetti che hanno bisogno di liquidità vendono titoli per cui il prezzo diminuisce e per effetto del legame inverso tra quotazioni e tasso di interesse, quest’ultimo viene spinto verso l’alto. Al contrario, una diminuzione del reddito reale determinerà una riduzione del tasso di interesse. Va osservato che nel mondo reale nei periodi prosperità le banche tendono ad espandere il più possibile il credito: i prestiti sono attività produttive di reddito e quando l’economia va bene non è molto forte il timore che i mutuatati possano rivelarsi inadempienti. Tuttavia, concedere prestiti e quindi creare moneta, le azioni di credito possono contribuire a un eccessivo aumento della domanda aggregata e di conseguenza possono alimentare p’inflazione. C) L’efficacia della politica monetaria – I fattori che influenzano l’efficacia di una politica monetaria sono sostanzialmente due: - la sensibilità della domanda di moneta rispetto a variazioni del tasso di interesse (h). Se h è nullo la domanda di moneta è influenzata soltanto dal livello del reddito e può non esserci alcun equilibrio sul mercato monetario. Se h è molto piccolo, una manovra di politica monetaria ha notevoli riflessi sul tasso di interesse e quindi sul reddito di equilibrio. Al contrario, se h assume valori molto elevati, la politica monetaria ha scarsi 185 riflessi sul tasso di interesse e quindi sul reddito. Si tratta di una situazione di “trappola della liquidità”. Gli effetti delle manovre di politica monetaria sono così poco influenti sul livello del tasso di interesse che non c’è motivazione per detenere in portafoglio titoli. - la sensibilità degli investitori rispetto a variazioni del tasso di interesse (k). Se k è molto piccolo la politica monetaria non genera alcun effetto sul reddito. Il caso contrario se k è molto grande. 3. Il mercato monetario. Alla base dei mercati che costituiscono il sistema finanziario vi è la moneta che alimenta i vari mercati fra i quali quello monetario, costituito dall’insieme delle negoziazioni aventi come oggetto prestiti monetari a breve termine. Il tasso del mercato monetario è il tasso al quale la Bc presta denaro alle banche, oppure al quale remunera il denaro depositato dalle banche. Si tratta dei tassi ai quali la Bc finanzia il sistema bancario, inietta o drena moneta, entro un arco temporale breve. I tassi praticati dalla Bc si ripercuotono, con un effetto domino, sui tassi applicati dalle banche nei prestiti alla clientela privata e alle imprese, ovvero sul costo del denaro, e quindi su tutta l’economia del Paese. Nel mercato monetario vengono infatti trasmessi gli impulsi della politica monetaria adottata dalla Banca centrale presso la quale le banche detengono moneta, come il cittadino detiene il suo conto corrente presso un istituto di credito. Un segmento importante del mercato monetario è quello interbancario, che rappresenta il principale strumento utilizzato per gestire gli scambi quotidiani di liquidità fra gli istituti di credito. Infatti, per gestire la propria liquidità, le banche possono ricorrere a due canali: - il primo, di tipo privato, coincide con il mercato interbancario; - il secondo, di tipo istituzionale, consiste nell’ottenere o depositare liquidità presso la Banca centrale. Una delle finalità principali del mercato interbancario è di gestire i flussi di liquidità grazie alla breve durata dei contratti ed alla presenza di un mercato secondario, che permette agli investitori istituzionali ed individuali di investire temporanee eccedenze di fondi ed allo Stato e alle imprese di risolvere temporanei fabbisogni attraverso prestiti a breve. 186 Gli strumenti utilizzati sul mercato interbancario sono principalmente i conti correnti interbancari, depositi interbancari, prodotti derivati e pronti contro termine. Il mercato unico europeo consente oggi di avere un unico mercato interbancario che ha come tasso di interesse di riferimento l’Euribor (Euro interbank offered rate). Spesso viene utilizzato anche il Libor (London interbank offered rate), soprattutto sulla piazza finanziaria britannica. L’Euribor è un tasso di riferimento calcolato giornalmente; indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in euro tra le principali banche europee. È un indicatore del costo del denaro a breve termine, ed è spesso usato come tasso base per calcolare interessi variabili, come quello dei mutui. È tipicamente il riferimento dei mutui ipotecari a tasso variabile. I tassi interbancari, che rappresentano il costo della raccolta a breve termine sopportato dalle banche, si ripercuotono sui tassi applicati dalle banche alla clientela: la remunerazione dei certificati di deposito, il mutuo ipotecario, il prestito e il prime rate (detto prime lending rate), ovvero il tasso applicato alla clientela migliore. I mercati interbancari possono essere considerati il barometro delle difficoltà del sistema economico, della mancanza di liquidità. Uno degli indicatori è dato dallo spread fra tassi di interesse interbancario a tre mesi e quello a un giorno (overnight). Le banche meno solide faticano a ottenere credito o lo ottengono a tassi più alti delle banche con migliori rating e, soprattutto, i differenziali tra i tassi a brevissima scadenza (overnight) e quelli a più lunga scadenza (uno, tre, sei mesi) aumentano. Se lo spread (differenziale) tra i tassi a un giorno e quelli ad esempio a tre mesi aumenta significa che è aumentato il premio di rischio (di restituzione del debito e il rischio di liquidità, poiché il prestatore potrebbe a sua volta trovarsi a corto di liquidità in futuro e avere difficoltà a finanziarsi sul mercato) che le banche richiedono per prestarsi denaro tra di loro. Dai paragrafi precedenti sappiamo che la Bc può influenzare il livello di liquidità e quindi i tassi d’interesse. In realtà la Bce influenza innanzitutto i tassi interbancari. Per farlo, la Bce interviene sul mercato della liquidità, sia attraverso le cosiddette operazioni di mercato aperto, sia attraverso la definizione di alcuni tassi di riferimento che la stessa Bce applica ad alcune specifiche operazioni in cui ha come controparte le banche. Le determinanti principali che influenzano i tassi di interesse sono: l’inflazione, i prezzi delle materie prime e del lavoro, le aspettative. La Bce fissa il tasso di sconto basandosi sulle attese di inflazione alzando i tassi per fermarla, così facendo rallenta l’economia e l’occupazione. E’quindi importante capire come si muove l’inflazione attraverso l’analisi delle sue 187 tre componenti: le prime due misurabili – materie prime e lavoro – la terza molto meno – le aspettative di inflazione futura. In un sistema economico i prezzi (materie prime e lavoro) non possono crescere più della produttività, ovvero la capacità di produrre ricchezza. Se questo avviene oltre certi limiti (oltre il 2% secondo la Bce) la Bce alzerà i tassi di interesse a breve per cercare di frenare l’inflazione. Quindi, per capire come evolveranno i tassi di interesse, dobbiamo capire come evolverà l’inflazione; e per capire come quest’ultima varierà, dobbiamo interpretare l’evoluzione dei prezzi delle materie prime e del lavoro. Mettendo insieme l’andamento dei prezzi delle materie prime e lo sviluppo del mercato del lavoro ci si può formare un’idea sull’evoluzione dell’inflazione e quindi sull’intervento dell’autorità monetaria sui tassi di interesse. Questo è importante per il risparmiatore, perché l’evoluzione dei tassi di interesse determina inversamente i prezzi delle obbligazioni (ovvero quando i tassi di interesse salgono tendenzialmente i prezzi delle obbligazioni scendono e viceversa). In conclusione, i tassi a breve termine sono governati dalla Bce, mentre quelli a lungo termine sono il risultato delle aspettative di mercato. La Bce agisce sui tassi a breve termine (tasso di sconto che si riflette sull’Euribor): quando si hanno delle pressioni inflazionistiche essa alza i tassi di rifinanziamento, segnalando ai mercati la volontà di combattere l’inflazione. I mercati interbancari reagiscono con un rialzo dell’Euribor a tre mesi e quindi del costo del finanziamento per i clienti. Questo produce un rallentamento della congiuntura economica. Tutto ciò produce anche un aumento del prezzo dei titoli a più lunga scadenza, come i Btp (i prezzi dei titoli sono legati inversamente ai tassi di interesse). Diversamente quando l’economia è in recessione la Bce abbassa i tassi di interesse a breve creando le condizioni per un aumento del ricorso all’indebitamento. L’effetto sui Btp è opposto: si avrà un rialzo del prezzo. Quando i tassi a breve salgono in fretta e superano quelli a lungo termine, l’investitore dovrebbe comperare i Btp approfittando del calo del prezzo. Quando invece i tassi sono a livelli minimi rispetto a quelli di lungo termine e questi ultimi sono a loro volta scesi (e quindi i prezzi saliti) si dovrebbero vendere i Btp. 4. Il mercato finanziario. Nel mercato finanziario o mercato mobiliare, a differenza del mercato monetario, gli scambi sono a medio e lungo termine; in esso si negoziano 188 sia titoli di credito, come le azioni, rappresentativi di capitali investiti nelle imprese, sia titoli a reddito fisso (obbligazioni) emessi dalle imprese, dal settore pubblico e dagli intermediari finanziari non bancari. I mercati finanziari hanno l’importante funzione di trasferire le risorse dell’economia da chi desidera risparmiare parte del proprio reddito a chi desidera indebitarsi per acquistare beni di investimento da utilizzare per la produzione futura. Il processo di trasferimento di fondi tra risparmiatori e imprenditori è detto intermediazione finanziaria. Le due tipologie fondamentali di attività finanziarie sono costituite da: titoli a reddito fisso (le obbligazioni) e i titoli a reddito variabile (le azioni). Si parla anche di mercato azionario e di mercato obbligazionario. Il mercato finanziario, come quello monetario, è regolamentato e sorvegliato da varie autorità di vigilanza: la Banca d’Italia che, come abbiamo visto, oltre a far parte del Sebc, svolge anche compiti di vigilanza sul buon funzionamento delle banche e degli altri intermediari finanziari; la Commissione nazionale per la società e la borsa (Consob) tutela la trasparenza e la corretta erogazione dei servizi di investimento in strumenti finanziari. Si hanno quindi altre istituzioni che presiedono alla vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo e sui fondi pensione. 4.1. Il mercato obbligazionario. Le obbligazioni. Un’obbligazione è un titolo di credito; rappresenta i debiti di un soggetto (Stato, ente pubblico, banca, società per azioni) nei confronti dei risparmiatori che gli hanno prestato del denaro. In altre parole, i titoli obbligazionari rappresentano un credito del sottoscrittore verso l’emittente, che si impegna a pagare una data somma nominale entro una scadenza prefissata, oltre agli interessi sull’importo investito. Finalità di un’emissione obbligazionaria è il reperimento di liquidità. Gli emittenti possono essere le società private o quelle pubbliche, le banche commerciali o lo Stato; in quest’ultimo caso si parla di titoli di Stato o titoli del debito pubblico. Quando lo Stato o le grandi imprese hanno bisogno di grossi prestiti possono ricorrere ai prestiti obbligazionari, e cioè suddividere il prestito in molte quote e offrirle in sottoscrizione al pubblico ad un prezzo predeterminato e in base ad un tasso di interesse nominale, che è il prezzo pagato dallo Stato o dalle imprese per ottenere il prestito. Il livello del tasso nominale può differire in base al rischio di insolvenza dell’emittente e alla scadenza del titolo. Quanto più elevato è il rischio tanto maggiore sarà tendenzialmente il tasso di interesse. In base alla loro scadenza (data di rimborso del prestito), le obbligazioni si distinguono in 189 titoli a breve (massimo un anno), a medio (da uno a dieci anni) e lungo termine (superiore a dieci anni). Quando si emette un’obbligazione, l’emittente si impegna a: - restituire il capitale scritto sul titolo (valore nominale) alla scadenza del prestito; - effettuare una serie di pagamenti periodici (cedole) calcolato in base ad un tasso di interesse prestabilito. Un’obbligazione ha dunque quattro elementi essenziali: la cedola, la data di scadenza, il valore nominale e il rendimento. La cedola costituisce gli interessi che vengono liquidati a scadenze regolari (trimestralmente, semestralmente, annualmente) a colui che ha prestato il denaro; la data di scadenza è la data entro la quale terminano i pagamenti delle cedole e viene rimborsato il capitale; il valore nominale è l’ammontare di capitale che verrà rimborsato alla data della scadenza; il rendimento effettivo o tasso di interesse corrente è il tasso che si ottiene tenendo conto delle cedole e del prezzo corrente o effettivo del titolo. Le obbligazioni possono essere acquistate o vendute (il credito può essere ceduto). Dalle contrattazioni di acquisto e vendita si determina un prezzo di mercato che può essere al di sopra (sopra la pari) o al di sotto (sotto la pari) del suo valore nominale (cioè la somma che viene rimborsata alla scadenza del prestito per ogni singola obbligazione). Si parla di mercato primario quando i titoli di Stato sono acquistati al momento dell’emissione da parte degli operatori economici e finanziari, siano essi banche, fondi o altri investitori istituzionali, oltre alle famiglie. Il mercato primario riflette quindi le esigenze di finanziamento dello Stato e dalla sua copertura dipende il costo con cui lo Stato si indebita con i suoi creditori. Se un risparmiatore o un operatore acquista titoli di Stato dopo che sono già stati emessi dal Tesoro, acquistandoli quindi in Borsa, si parla di mercato secondario. Quotazioni dei titoli, tasso di interesse e rendimento - Una volta emessi da un’impresa o dal Tesoro di un paese, i titoli a reddito fisso sono scambiati sui mercati obbligazionari, e i loro prezzi sono riportati sui quotidiani finanziari. L’elemento principale per la determinazione del prezzo di mercato è dato dal confronto fra il tasso di interesse corrente e il tasso d’interesse nominale. Quest’ultimo è definito come il rapporto fra il valore della cedola e il valore nominale del certificato obbligazionario, mentre il tasso di interesse corrente è per definizione pari al rapporto tra cedola e prezzo di mercato dell’obbligazione. Per esempio, il rendimento immediato di un’obbligazione con cedola al 6% e prezzo di mercato di 9€ è 6,66 per cento. Cioè 0,6/9 x 100= 6,66%. Il rendimento è in relazione 190 inversa del rischio, maggiore è il rischio di insolvenza più elevato è il rendimento. Più importante è il rendimento effettivo che è dato dal rapporto tra il flusso di interessi annui (ia ) e il prezzo di acquisto (pa ): R = ia / pa . Il tasso di rendimento è maggiore del tasso di interesse nominale se il prezzo di acquisto del titolo è inferiore al suo valore nominale. Come abbiamo già avuto modo di osservare, il rendimento del titolo nel suo complesso è legato al suo prezzo. La relazione tra i due elementi è in genere di tipo inverso: se uno sale l’altro scende, e questa relazione si verifica sia al momento del collocamento che successivamente, quando il titolo viene scambiato nel mercato secondario. Quanto più un titolo è richiesto, tanto più il suo prezzo aumenta e visto che il suo rimborso è in ogni caso 100, il rendimento di conseguenza scende. Tipi di obbligazioni - Nel mercato obbligazionario vengono trattati vari tipi di obbligazioni: - corporate bonds o obbligazioni societarie: emessi da società private che utilizzano queste emissioni di capitale di debito come strumento di finanziamento; - titoli di Stato emessi dai governi di solito per finanziare il debito pubblico o specifici programmi statali. In Italia, i titoli emessi dallo Stato sono di tre tipi: i Bot (Buoni ordinari del tesoro), i Btp (Buoni del tesoro poliennali) e i Cct (Certificati di credito del tesoro). I Buoni ordinari del tesoro (Bot a tre, sei, dodici mesi) sono titoli cosiddetti “zero coupon”, cioè senza cedole. Il rendimento è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto (Pa) (sotto la pari) e il valore nominale o prezzo di rimborso (Vn): R = (Vn – Pa) / Pa. Se viene acquistato in epoca successiva all’emissione il rendimento effettivo dovrà tener conto dei giorni di possesso del titolo [(Vn-Pa)/Pa] x 360/g. Nel caso di un Bot comprato sul mercato secondario al prezzo di 98 e detenuto per 88 gg. Il suo rendimento effettivo su basa annua sarà pari a: (100-98)/98 x 360/88 = 8,34% Per ogni titolo esistono però due rendimenti: netto e lordo, dovuti alla ritenuta fiscale del 12,5% sulla differenza fra il valore d’acquisto e il valore nominale. I Certificati del tesoro zero coupon (Cct zero coupon) – Si tratta di un titolo analogo ai Bot, cioè senza cedola, ma di durata media (18 o 24 mesi). I Buoni del tesoro poliennali sono titoli di Stato a media-lunga scadenza, con rendimento a tasso fisso, erogato semestralmente (cedola semestrale), mentre il rimborso avviene sempre in un’unica soluzione alla scadenza. Hanno scadenza di 3, 5 ,10 e 30 anni. A differenza dei Bot e dei Cct, il rendimento dei Btp tiene conto non solo della differenza di prezzo tra 100€ 191 del rimborso e il prezzo d’asta, ma anche dei flussi di reddito generati dall’incasso delle cedole, di valore sempre costante, appunto a cedola fissa. Il risultato dei due fattori è il cosiddetto rendimento effettivo che è riportato per ogni emissione sui giornali specializzati. Ad esempio, per calcolare il valore di una obbligazione che paga una cedola annua del 5,375% per cinque anni, il cui valore nominale del titolo è 100€ e dato un tasso di sconto a scadenza del 3,8% occorre procedere nel modo seguente: VA = 5,375/(1.038)1 + 5,375/(1.038)2 + 5,375/(1.038)3 + 5,375/(1.038)4 + 105.375/(1.038)5 = 107.05 Al momento della sottoscrizione si può comunque calcolare il rendimento immediato. Si tratta di una approssimazione, che dà una indicazione di massima sul rendimento del titolo. Occorre dividere il valore della cedola per il prezzo e moltiplicare per cento. I Cct a tasso variabile, come i Btp, hanno scadenza pluriennale, tuttavia si differenziano da questi ultimi in quanto la cedola da essi offerta è a tasso variabile. Anche per essi il rimborso avviene in un’unica soluzione alla scadenza. I criteri per calcolare il rendimento dei Cct sono analoghi a quelli dei Btp. Con una differenza però fondamentale: quando viene emesso un Cct è possibile conoscere solo la prima cedola. Le successive, infatti, non sono fisse e determinate a priori, ma sono variabili, legate all’andamento dei rendimenti dei Bot. I Cct sono titoli indicizzati, creati negli anni 1970 per consentire ai risparmiatori di difendersi dall’erosione dell’inflazione. Le cedole dei Cct di nuova emissione vengono determinate sulla base del rendimento dei Bot semestrali, come risulta dall’asta immediatamente precedente il godimento della cedola. 4.2. Il mercato azionario. Le azioni (stocks o equity, in inglese), sono titoli a reddito variabile che rappresentano la partecipazione di un socio a una società. Esse costituiscono il valore dei conferimenti dei soci in una azienda e, pertanto, sono un titolo di proprietà di una quota del capitale di quell’azienda. Il titolare acquista lo status di socio e ha diritto ad una percentuale dei profitti proporzionale al valore delle azioni possedute (quote di capitale). Il loro valore nominale è dato dal capitale diviso il numero di azioni emesse. Le imprese raccolgono il capitale di rischio (perché finanzia il rischio imprenditoriale) attraverso l’emissione di differenti tipologie di azioni che si differenziano dagli strumenti di debito (obbligazioni) in quanto: - non hanno scadenza; 192 - attribuiscono il diritto a una quota di profitti societari attraverso la distribuzione dei dividendi stabiliti dal consiglio di amministrazione della società; - offrono una maggiore potenzialità di guadagno se il titolo aumenta di valore grazie al buon andamento della società e/o del mercato; - incorporano un rischio maggiore, poiché in caso di perdite non viene pagato alcun dividendo. Le azioni possono essere oggetto di scambio sul mercato azionario. Il prezzo dipende così dalla domanda ed offerta di azioni. Il rendimento annuale derivante dal tenere un’azione dipende dall’incremento o decremento del valore dell’azione in un dato periodo, a cui si aggiungono eventuali dividendi pagati nello stesso periodo: (P1+D)/P0, dove P1 = valore di vendita di un’azione; P0 = prezzo di acquisto; D = dividendo pagato tra il moneto 0 e il momento 1. In genere, se l’intero utile prodotto da un’azienda viene distribuito agli azionisti, il rendimento dell’azione per ciascun esercizio viene determinato dal rapporto tra dividendo e prezzo dell’azione. Il dividendo è la somma che l’impresa paga ogni anno ai proprietari dell’azione. Il guadagno di capitale durante un anno è l’aumento del prezzo dell’azione durante quell’anno. Una perdita di capitale è un guadagno di capitale negativo: una diminuzione del prezzo dell’azione. Il tasso di rendimento da dividendi è il dividendo espresso come percentuale del prezzo. Le imprese non pagano tutti i loro profitti sotto forma di dividendi; una parte dei profitti (l’utile) non viene distribuita e viene reinvestita in capitale fisico o in ricerca. Le azioni possono essere di vari tipi: quelle ordinarie attribuiscono ai titolari il maggior numero di diritti esercitabili. Fra questi vano indicati: - la partecipazione al riparto degli utili netti e del patrimonio risultante dalla liquidazione della società; - l’esercizio del diritto d’opzione nella sottoscrizione di azioni e obbligazioni convertibili di nuova emissione; - la partecipazione all’assemblea ordinaria e straordinaria dei soci e l’esercizio del diritto di voto; - il diritto di recesso dalla società e il conseguente diritto a ottenere la liquidazione delle azioni possedute. Oltre alle azioni ordinarie, il Codice Civile prevede anche altre categorie di titoli azionari quali le azioni privilegiate. Esse vengono definite tali in quanto attribuiscono ai titolari privilegi nella ripartizione degli utili (generalmente attribuiscono il diritto a una determinata quota dell’utile prima della distribuzione del dividendo alle azioni ordinarie). 193 Le azioni di risparmio possono essere emesse da società le cui azioni ordinarie siano quotate in Borsa e per un ammontare complessivo non superiore alla metà del capitale sociale. Si differenziano dalle azioni privilegiate in quanto: sono al portatore; non attribuiscono diritto di voto nemmeno nelle assemblee straordinarie; in sede di ripartizione degli utili garantiscono un dividendo minimo pari al 5% del loro valore nominale e comunque superiore del 2% rispetto a quello attribuito alle azioni ordinarie. 4.3. I prestiti finanziari e i piani d’ammortamento. Quando un’impresa si avvia o si espande deve ottenere fondi. Questi fondi costituiscono il capitale finanziario. Le imprese possono utilizzare fondi propri (l’autofinanziamento), o ottenerli indebitandosi presso le banche, o aumentando il capitale di rischio conferito dai soci. Di seguito prendiamo in considerazione il ricorso al debito. Il problema nei confronti di questo metodo consiste nel calcolare le rate necessarie per rimborsare il capitale preso a prestito. Il rimborso di un mutuo si chiama anche ammortamento. Il capitale preso a prestito, mutuato, viene rimborsato nel tempo secondo un piano di ammortamento, che riporta nei dettagli, flusso per flusso, il procedimento di restituzione del capitale preso a prestito. Il debitore (mutuatario) paga annualmente al mutuante (colui che presta il denaro) una rata costituita dall’interesse e da una quota del debito che così si riduce gradualmente. Gli elementi che costituiscono il piano di ammortamento sono : 1) il valore della rata; 2) il capitale rimborsato; 3) il capitale residuo da rimborsare; 4) gli interessi pagati. Esistono numerosi schemi di piani di ammortamento: quello francese, all’italiana, all’americana, alla tedesca. Quello che viene normalmente utilizzato nella quasi totalità delle banche italiane è quello alla francese, o a rate costanti. L’importo delle rate rimane costante, ma cambia la loro composizione tra quota interessi e quota capitale: la quota capitale è crescente mentre la quota interesse, calcolata sul capitale residuo, è decrescente. Sommando tutte le quote capitale si ottiene il capitale iniziale preso a prestito, mentre sommando tutte le quote interesse si ottiene il totale interesse da rimborsare (nel caso di tasso di interesse fisso). All’inizio si pagano soprattutto interessi; a mano a mano che il capitale viene restituito, l’ammontare degli interessi diminuisce (perché diminuisce il debito residuo su cui viene conteggiato) e la quota capitale aumenta. 194 Preammortamento tecnico - nei contratti di mutuo spesso viene indicato che la prima rata deve essere maggiorata degli interessi maturati al tasso iniziale tra la data di sottoscrizione e quella di inizio del piano di ammortamento. E’ praticato dalle banche per fare decorrere il mutuo, in genere stipulato in un giorno qualsiasi, dall’inizio del mese. L’istituto che eroga il finanziamento applica al capitale richiesto un tasso di interesse (di solito lo stesso del mutuo) per i giorni che intercorrono fra la data di stipula del mutuo e la fine del mese. Preammortamento finanziario - è un periodo di tempo piuttosto lungo (anche anni) in cui si pagano solo interessi. Al preammortamento possono essere applicati interessi diversi da quelli utilizzati nel piano di ammortamento. Il rimborso dell’intero capitale, anziché essere spalmato su tutte le rate, dovrà avvenire sulla durata restante del mutuo, che sarà più breve. Il tasso di interesse – Il tasso di interesse applicato al capitale preso a prestito rappresenta il costo del finanziamento che il cliente paga alla banca al rimborso del capitale. Può essere fisso, non varia per tutta la durata del mutuo, o variabile, agganciato a un indicatore che rappresenta il costo corrente del denaro. Stabilire quale sia il più vantaggioso è impossibile a priori. Nel mutuo a tasso fisso tendenzialmente il tasso di interesse è più elevato di quello variabile a parità di durata del finanziamento. Con il tasso variabile si ha generalmente un esborso inferiore di interessi, ma ci si espone al rischio di un futuro aumento dei tassi e, quindi, della rata. Il valore dei tassi di riferimento a cui sono agganciati i mutui dipende dall’andamento di altre variabili dei mercati finanziari, e varia quindi ogni giorno. L’indicatore di riferimento per i mutui a tasso variabile è l’Euribor (Euro Interbank Offered Rate). L’indice di riferimento dei muti a tasso fisso è l’Irs (Interest Rate Swap). L’indice è diffuso giornalmente dalla Federazione bancaria europea ed è pari a una media ponderata delle quotazioni alle quali le banche operanti nell’Unione Europea realizzano Interest Rate Swap (interessi che vengono applicati sui contratti che le banche negoziano per trasformare un flusso finanziario a tassi variabili in tassi fissi). Il tasso annuo effettivo globale (Taeg) è il costo totale del mutuo a carico del consumatore espresso in percentuale annua del credito concesso. Rappresenta lo strumento principale di trasparenza in tutti i contratti di credito. Comprende gli interessi e tutti gli oneri da sostenere per utilizzare il credito: spese di istruttoria e apertura della pratica di credito; spese di incasso delle rate; costi delle eventuali assicurazioni imposte dal 195 finanziatore per garantirsi il rimborso del credito in caso di morte, invalidità o infermità o disoccupazione. Per il calcolo del Taeg gli intervalli di tempo devono essere espressi in anni o frazioni di anno. Un anno è composto di 365 gg, 52 settimane o 12 mesi identici di 30 gg. Esempio. Mutuo di 1.000€ erogato il 1 gennaio 2012 e rimborsato con due rate di 600€ ciascuna versata dopo il primo e il secondo anno: 1000= 600 + 600/(730/365 ) = 600 + 600/2 = 0,1306623 i = 13,07% Esempio Il mutuo è di 1000€, la banca trattiene 50€ per le spese di istruttoria della pratica; il rimborso di 1200 è effettuato il primo luglio 2013: 950=1200/546/365 ossia 546/365 = 1200/950 = 1,263157 1+i=1,169026 i=1,169026-1=0,169026 i=16,90% Il Taeg non va confuso con l’Isc, l’Indicatore Sintetico di Costo, che è stato definito specificamente per i mutui, mentre il Taeg è per qualsiasi operazione di finanziamento. 4.4. L’intermediazione finanziaria e l’evoluzione degli strumenti finanziari Di solito, gli scambi nei mercati finanziari avvengono mediante intermediari finanziari che hanno lo scopo di far incontrare domanda ed offerta. Oggetto degli scambi sono le risorse finanziarie e la proprietà delle stesse per un determinato periodo di tempo; essi vengono realizzati tramite contratti che individuano diritti ed obblighi delle parti contraenti. La diversificazione degli strumenti utilizzati dagli intermediari è rilevante ed è finalizzata a raggiungere vari obiettivi: a) strumenti destinati a soddisfare il trasferimento del potere d’acquisto nello spazio: ordini di pagamento, ordini di incasso, servizi diversi. Si tratta, in generale, dei servizi più propriamente definiti bancari, e che hanno sempre ad oggetto il denaro; b) strumenti destinati a soddisfare bisogni di investimento, stimolati dal desiderio di accumulare ricchezza e trasferire risorse finanziarie a tempi futuri: depositi in c/C, depositi a risparmio, certificati di deposito e obbligazioni, quote di fondi comuni di investimento mobiliare, polizze assicurative, gestione patrimoniale individuale, ecc. Fra questi strumenti figurano i fondi comuni di investimento: strumenti di raccolta e investimento collettivo del risparmio. Si tratta di un patrimonio investito in azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari. Il patrimonio è formato dalla somma del capitale versato dai singoli risparmiatori-sottoscrittori, ed è depositato preso una banca; l’attività di 196 investimento invece è gestita da una società di gestione del risparmio (Sgr). Il patrimonio di un fondo comune, però, è distinto sia da quello della Sgr sia da quello del sottoscrittore: in altre parole, non appartiene né all’una né agli altri. Chi investe in un fondo comune detiene piuttosto delle quote del Patrimonio Totale, il cui valore è pari inizialmente al capitale versato, ma nel tempo aumenta o diminuisce in base all’andamento degli investimenti. La finalità del fondo è quella di ottenere, attraverso una gestione collettiva, vantaggi in termini di rendimento, minori costi e diversificazione del portafoglio. Ai fondi comuni di investimento vengono accomunati gli Etf (Exchange traded funds). Infatti, la gestione delle quote conferite avviene tramite una società di gestione. Le quote dei fondi vengono quotate e scambiate sul mercato. Gli Etf replicano un indice di borsa o paniere di valori, e ciò consente agli investitori di investire nell’insieme dei titoli che costituiscono l’indice mediante il semplice acquisto di una quota di essi. Anche le Sicav, le società di investimento a capitale variabile, sono molto simili ai fondi comuni di investimento. Rispetto a questi ultimi la differenza consiste nel fatto che per i fondi il patrimonio è costituito da quote, mentre per le Sicav è dato da azioni. Chi investe in una Sicav diventa azionista di una società. Un sistema di finanziamento è costituito dalla cartolarizzazione (securitization) che consiste nella conversione di un credito in titoli negoziabili. Ad esempio, una banca ha fra le sue attività dei crediti (dei prestiti immobiliari), decide di cartolarizzarli, e cioè di emettere dei titoli che hanno come garanzia quegli stessi mutui. Questi titoli vengono successivamente venduti a investitori privati o istituzionali, e così la banca rientra dei fondi prestati ai mutuatari. I titoli cartolarizzati hanno, come le obbligazioni normali, una scadenza e un tasso di interesse, e il servizio del debito è legato ai rimborsi e ai pagamenti di interessi da parte degli originari mutuatari. La banca, oltre al vantaggio di mobilizzare quelle attività poco liquide, si spoglia anche del rischio legato a quei mutui, trasferendolo agli investitori. c) strumenti per soddisfare bisogni di finanziamento: prestiti di moneta e titoli, prestiti di firma (garanzie), crediti speciali (leasing, ecc.), prestiti al consumo, servizi di investment banking; d) strumenti per la gestione più efficiente dei rischi che caratterizzano la gestione finanziaria e assicurativa del cliente, categoria particolarmente ampia nella quale rientrano tutte le ipotesi di contratti a termine, opzioni, future, swap, ecc. Uno strumento particolare è costituito dai derivati che sono contratti o titoli il cui prezzo è basato sul valore di mercato di altri beni (azioni, indici, 197 valute, tassi di interesse, merci, ecc.), definiti sottostanti. Sono strumenti finanziari nati per coprire vari rischi (hedging) (in realtà poiché i derivati scommettono sulle quotazioni future essi vengono usati molto spesso per speculazioni): rischi di prezzo (oscillazioni del prezzo del sottostante), di tasso (modifica dei tassi di interesse) o di cambio (oscillazioni del tasso di cambio). I derivati vengono scambiati fuori dalle Borse regolamentate, sui cosiddetti mercati over the counter (di fatto al telefono tra trader). Lo swap appartiene alla categoria degli strumenti derivati e consiste nello scambio di flussi di cassa tra due controparti. Per esempio, un soggetto A può acquistare un’obbligazione a tasso variabile e corrispondere gli interessi che percepisce a un soggetto B. B a sua volta acquista un bond a tasso fisso, percepisce gli interessi variabili di A e gli gira gli interessi a tasso fisso. Il future è un contratto derivato (dal possesso di azioni fisiche) che permette di vendere o acquistare il titolo sottostante a una data futura prestabilita. Sono contratti standardizzati nella quantità e nella qualità del bene sottostante, nella data di consegna e nella modalità di liquidazione del prezzo per cui sono negoziabili, a differenza di quelli personalizzati (over the counter) che per la loro eterogeneità non sono scambiabili sul mercato. Acquistare futures significa impegnarsi ad acquistare alla scadenza ed al prezzo prefissati l’attività sottostante. Questa può essere sia un’attività reale, ad esempio una commodity (grano, oro, metalli, caffè, ecc.) sia un’attività finanziaria. In quest’ultimo caso si parla di financial futures, i cui sottostanti possono essere, ad esempio, una valuta (currency futures) o un indice borsistico. L’acquisto di future corrisponde ad una aspettativa di rialzo dell’attività sottostante; la vendita, invece, sottende un’aspettativa al ribasso. Con i future sulle azioni è possibile scommettere sul futuro andamento di un singolo titolo azionario. In pratica, chi acquista uno di questo contratti punta al rialzo dell’azione sottostante, mentre chi lo vende punta al ribasso. Il future su azioni può anche essere venduto senza possederlo (cioè allo scoperto); in questo caso, se il suo prezzo scende si guadagna, se il prezzo sale si perde. Quando uno speculatore al ribasso vende a 100 un titolo che non possiede (prende a prestito titoli) fa una scommessa asimmetrica. Se, come spera, il titolo scende a 80, lo può riacquistare con un guadagno di 20€. Ma se il titolo sale rischia di perdere molto di più. L’acquisto o la vendita di un future su azioni, quindi, non equivale ad un investimento in titoli: il future non è un titolo, ma un contratto di compravendita a termine, acquistato con l’ottica di essere rivenduto al momento più propizio, per guadagnare o limitare le perdite. 198 I futures si caratterizzano per la possibilità di leva che offrono all’investitore. L’impiego di capitale per investire in un prodotto di questo tipo è minore rispetto a quello necessario per un investimento diretto nel valore sottostante (cosiddetto effetto leva). E proprio la presenza dell’effetto leva consente di moltiplicare la performance del sottostante. Con questo strumento, per aprire un contratto non vi è bisogno di pagare tutto il suo controvalore, ma un margine cauzionale che viene definito dalla Cassa di Compensazione e Garanzia; i benefici riguardano l’intera somma impiegata per l’acquisto della merce in oggetto nel contratto (detto sottostante). La Cassa di Compensazione e Garanzia gestisce il meccanismo dei margini (somme che i partecipanti versano a garanzia della propria posizione), ed ha il compito di assicurare il buon fine dei contratti. Prima di effettuare il contratto occorre effettuare un deposito a garanzia degli impegni che vengono presi, definito “margine”, il cui livello è fissato dalle borse. Il margine iniziale è tale da assicurare un buon livello di leverage (cfr la voce sottostante leva), E’ questa una delle attrattive dei contratti futures: la quantità di denaro necessaria per effettuare una transazione (il margine iniziale) rappresenta una percentuale relativamente piccola del valore delle attività negoziate (dell’ordine del 10%). I contratti futures sono trasferibili. E’ raro, particolarmente per i financial futures, che un contratto si concluda con l’effettiva consegna del bene. Molti contratti futures vengono chiusi prima del periodo di consegna e si procede alla liquidazione differenziale della variazione della quotazione. Infatti i mercati futures funzionano come strumento di copertura del rischio attraverso l’attività di hedging. L’hedging consiste nell’assumere una posizione identica come ammontare della transazione, ma di segno opposto sul mercato cash e future. Gli speculatori cercano invece di trarre profitto dalle oscillazioni dei prezzi e quasi mai operano anche sul mercato a pronti, o, quantomeno, non in modo speculare come avviene per gli hedger. Anche le opzioni (warrant) sono contratti derivati, ma differiscono dai futures in quanto la parte acquirente ha la facoltà, ma non l’obbligo, di acquistare o di vendere una certa quantità del sottostante entro una certa scadenza (opzione americana) o alla scadenza (opzione europea) ad un prezzo prestabilito. Le opzioni conferiscono all’acquirente la facoltà di decidere se dar luogo o meno alla compravendita concordata. 4.5. Il mercato delle commodities. 199 Il mercato delle materie prime è uno dei mercati più antichi. Si pensi al mercato dei bulbi di tulipani nei Paesi Bassi del XVII secolo, un mercato che non solo aveva marcati tratti speculativi, ma che dette anche origine ad una bolla finanziaria di grande estensione. Le commodity si dividono in quattro grandi categorie: quelle agricole (mais, frumento, ecc.), quelle energetiche (petrolio, gas, ecc.), i metalli industriali (rame, zinco, ecc.), e i preziosi (oro, argento, ecc.). Le tipologie dei contratti sono sostanzialmente di due tipi: - il contratto spot o a pronti o anche più comunemente cash (in contanti), scambio diretto di merce contro denaro; - il contratto differito o a termine: la consegna del bene acquistato avviene in modo differito nel tempo. Ad esempio, la vendita di un raccolto agricolo prima che venga effettivamente raccolto. Il contratto in questi casi è denominato forward (in avanti, differito), ma continua a prevedere che sia stipulato tra due contraenti e comporta l’effettiva consegna del prodotto sul mercato del disponibile. L’avvicinarsi della data di consegna rende paragonabili il prezzo spot attuale con quello forward formulato in precedenza. I contratti forward sono concordati preventivamente fra le parti, con modalità e tempi di esecuzione individuali, stabiliti volta per volta. Sono dunque contratti a termine nati per fare fronte ai rischi di volatilità dei prezzi dei raccolti I future sono contratti a termine standardizzati con i quali le parti si accordano per scambiare uno specifico bene (attività sottostante) in una data fissata ad un prezzo negoziato direttamente. Alle parti contraenti è lasciata solo la possibilità di definire il prezzo di scambio (prezzo future). Questi contratti sono negoziati su mercati specifici; alla negoziazione, che è libera tra le parti, sovrintende una terza parte che ha il compito di ridurre il rischio di inadempienza (default). 5. Il mercato valutario. Come abbiamo già visto nel capitolo 4, il mercato valutario, o mercato dei cambi, determina il tasso di cambio. I cambi sono quotati a pronti (spot exchange rate) e a termine (forward exchange rate). Il cambio a pronti misura il rapporto tra due valute per consegna immediata; quello a termine per consegna differita (una settimana, un mese, tre mesi, ecc.). In questo caso, lo scambio e il pagamento avverranno alla data futura prevista dal contratto, ma al prezzo (cambio a termine) fissato al momento della stipulazione. 200 Il mercato valutario è il mercato più grande del mondo. E’ nato nel 1971 quando, con la scomparsa del regime internazionale di Bretton Woods, i cambi furono lasciati liberi di fluttuare. I soggetti che vi operano possono essere divisi in due gruppi: da un lato, il mercato interbancario, costituito dalle Bc, dalle banche commerciali e dai grandi dealer finanziari; dall’altro, il mercato al dettaglio, dato dagli investitori privati. Le Bc hanno come obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi; le banche commerciali convertono le valute estere per conto dei clienti o effettuano operazioni speculative; le istituzioni finanziarie, quali i fondi di investimento, i fondi di pensione e le compagnie di brokerage operano sui mercati delle valute sia per diversificare i propri portafogli, sia per cercare le migliori opportunità di investimento per i propri clienti. Il mercato al dettaglio è costituito dalle transazioni eseguite da piccoli investitori, imprese e singoli individui, che operano di solito tramite intermediari finanziari. Il mercato è cambiato significativamente nel tempo, poiché la maggior parte delle transazioni finanziarie sono finalizzate non all’acquisto o alla vendita di beni, ma al fine di speculare sul mercato, essendo l’intento della maggior parte degli operatori di fare soldi con soldi. Le contrattazioni più diffuse sono quelle dei foreign exchange swap, seguono i contratti spot (regolazione del contratto a due giorni), i future (a scadenza di tre mesi), i currency swap (contratti scambiati quotidianamente), le opzioni, ecc. Le valute sono quotate in coppie, ad esempio €/US$. La prima sigla è detta valuta base, utilizzata per gli acquisti o le vendite, mentre la seconda è chiamata contro valuta. Ad esempio il cambio €/US$ vuole dire che si acquistano € e si vendono $. Hedging - Uno dei motivi per accedere al mercato valutario è quello di proteggersi da un rischio cambio o di ottenere dei vantaggi da una determinata evoluzione dei mercati valutari. Supponiamo che una società italiana contragga un prestito di 1.000.000 di $ a quattro anni, ma voglia proteggersi dal rischio di cambio fra il dollaro e l’euro. Il cambio attuale è di 1,3. La società, ottenuto il prestito sigla un currency swap euro contro dollari a quattro anni, versando 1.000.000 di $ e ottenendo 1.300.000 euro. Al termine del contratto la società può riottenere 1.000.000 di $ versando 1.300.000 di euro indipendentemente dall’evoluzione del cambio €/Us$. In pratica la società si è protetta da un eventuale apprezzamento del dollaro che potrebbe svantaggiarla al momento del risarcimento del debito. I carry trade sono operazioni in ambito valutario che sfruttano le differenze fra i tassi di interesse, prendendo a prestito del denaro nei mercato in cui costa meno (i tassi sono più bassi) e impiegandolo laddove i tassi sono più alti, consentendo quindi maggiori rendimenti. L’utilizzo della leva finanziaria permette di moltiplicare i rendimenti delle 201 operazioni. Esempio: gli Stati Uniti hanno attualmente un tasso di interesse dello 0,25%, mentre il Sudafrica ha tassi di interesse del 5,5%. Questa differenza nel costo del denaro può essere utilizzata indebitandosi in dollari e investendo in rand. Esercizi - Calcolare il tasso effettivo di rendimento di un investimento in titoli, per es in Bot ma anche in pronti contro termine (PCT) a fronte di un prezzo pagato al momento dell’acquisto dei titoli stessi. L’interesse in questo caso è dato dalla differenza tra il valore iniziale (prezzo di acquisto) e quello finale (valore di rimborso). R (tasso effettivo di rendimento) = [val. di rimborso – P di acquisto]x 365/ (P di acquisto x g dell’investimento) Per ottenere il tasso di rendimento percentuale occorre moltiplicare per 100 Al prezzo di acquisto vanno aggiunte le eventuali spese pagate per avere una grandezza indicativa del tasso di interesse effettivo dell’investimento. - Acquistiamo un Bot con le seguenti caratteristiche: durata 360gg prezzo 96,26 e commissione pari allo 0,15%. Calcolare il rendimento r a) a 360gg e b) a 178 gg. a) r = (100-96,26) / 96.26 x(360/360)) = 3,74/96,26= 3,885% Nella formula si è utilizzato 360gg cioè l’anno commerciale. Consideriamo ora le commissioni. R = (100-96,26)/((96,26+0,15) x (360/360)) = 3,74/96,41 = 3,879 lordo b) Supponiamo che il Bot che acquistiamo sia già quotato e che scada tra 178 gg R = (100-96,26)/ (96.26+0.15) x (178/360)) = 3,74/ (96,41 x 0,4944) = 7,845% lordo Poiché il Bot lo teniamo per 6 mesi il guadagno sarà 3,92% Ovviamente in tutti gli esempi occorre detrarre le ritenute fiscali del 12,50% 202 - Abbiamo acquistato 55.600 di pronto contro termine PCT ed abbiamo pagato 2,50€ di spese per l’acquisto. Tra 122 giorni riceveremo un valore a termine di 56.300€. Calcolare il tasso effettivo. (56.300 – 55.602,50) = 697,50 55.602.50 x 122 = 6.783.505 (697.50 / 6.783.505) x 365 x 100 = 3,75 - Abbiamo acquistato il 15/7/2011 a 99,50 un Bot emesso in data 15/11/2010 con scadenza 15/11/2011. Calcolare il rendimento annuo percentuale. (100-99.50)/99.50 x 365/120 = 1.53 - Il tasso di interesse =4%. Calcolate il valore attuale di un titolo che paga euro 50.000 tra un anno. Supponete poi che il tasso di interesse aumenti al 5%. Calcolate il nuovo valore del titolo. Pt= 50000/1+0,04 = 48076.92 Pt = 50000/1+0,05 = 47619.05 203