PROGRESSIONE VERTICALE PER CATEGORIA “D”
Modulo didattico Corso C
FUNZIONI E COMPITI DEL COMUNE
Sommario
§ 1. Autonomia del Comune…………………………………………. Pag. 1
§ 2. Disciplina delle funzioni………………….……………………... Pag. 6
§ 3. Compiti del Comune per servizi di competenza statale…………. Pag. 10
§ 1. Autonomia del Comune
Art. 3 Autonomia dei comuni e delle province
Le comunità locali, ordinate in comuni e province, sono autonome.
Il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e
ne promuove lo sviluppo.
La provincia, ente locale intermedio tra comune e regione, rappresenta la propria
comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne coordina lo sviluppo.
I comuni e le province hanno autonomia statutaria, normativa, organizzativa e
amministrativa, nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri
statuti e regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica.
I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge
dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. I comuni e le
province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere
adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro
formazioni sociali.
Ai sensi dell’art. 3 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n° 267, e successive
modifiche ed integrazioni che per comodità di esposizione in futuro chiameremo
Testo Unico degli Enti Locali (T.U.E.L.), dispone che le comunità locali, ordinate in
comuni e province, sono autonome.
Il Comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e
ne promuove lo sviluppo.
Il Comune ha autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa,
nonché autonomia impositiva e finanziaria nell’ambito dei propri statuti e
regolamenti e delle leggi di coordinamento della finanza pubblica.
Il Comune è titolare di funzioni proprie e di quelle conferite ad esso con legge dello
Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. Il Comune svolge le sue
funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate
dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.
Avv.Pietro Pescatore
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L’articolo 3 del Testo Unico riporta senza apportare modifiche il testo dell’articolo 2
della legge 142/90.
Le disposizioni dell’articolo 3 sono poste ad attuare i principi previsti dall’articolo 5
della Costituzione, ai sensi del quale “La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali, attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più
ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Scopo fondamentale delle autonomie locali è la promozione dello sviluppo delle
comunità da esse rappresentate e la cura dei rispettivi interessi. Il T.U. accentua il
carattere di ente prettamente amministrativo del comune. Tale ente, pur essendo
soggetto rappresentativo e perseguendo finalità politiche, deve avere di mira lo
sviluppo economico e sociale come principale obiettivo della propria attività.
Questa tanto più oggi, in un momento in cui il legislatore, dopo la legge 59/97 che ha
aperto ampi spazi al decentramento delle funzioni amministrative dello Stato, tende
sempre più ad estendere la potestà dei Comuni di esigere i tributi direttamente dai
cittadini componenti le proprie comunità, al fine di creare uno stretto rapporto tra le
risorse reperite ed il modo di impiegarle, direttamente sottoposto al controllo dei
cittadini contribuenti.
L’impegno di risorse finanziarie per fini non direttamente volti allo sviluppo della
comunità, come spese per gemellaggi o erogazione di contributi di solidarietà ad altre
comunità, nazionali ed internazionali, fondate più su ragioni politiche che non
amministrative, sarebbe, pertanto, giustificato solo qualora sussistano ragioni tali da
rendere evidenti i vantaggi diretti o indiretti che simili spese potrebbero apportare ai
cittadini.
In ogni caso, poiché la legge assegna al comune il compito di curare gli interessi e
promuoverne lo sviluppo della comunità amministrata, è da ritenere che il comune
possa perseguire questi obiettivi secondo le modalità ed i processi ritenuti più
opportuni, valutando caso per caso il rapporto tra l’impiego delle risorse ed il
beneficio che può trarne la comunità
Il Comune nel perseguire gli obiettivi della crescita complessiva della propria
comunità è titolare di funzioni proprie, definite dal testo unico e altre norme regolanti
l’ordinamento degli enti locali. Tali funzioni costituiscono competenze specifiche
degli enti locali, come ad esempio, la disciplina del commercio o dell’assistenza
pubblica.
Per attendere nel miglior modo possibile a tali funzioni, creando anche un ottimale
assetto organizzativo e finanziario, gli enti locali hanno autonomia statutaria e
finanziaria. Quindi possono – nel rispetto delle disposizioni normative – meglio
definire i propri compiti e le competenze dei propri organi, dandosi una sorta di mini
costituzione, tale da adeguare alla realtà della comunità rappresentata la propria
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azione amministrativa. Poiché amministrare significa spendere, con efficienza ed
efficacia, risorse, hanno anche autonomia finanziaria.
Non è, quindi, un caso che la legge 265/99 abbia esteso l’ambito dell’autonomia dei
comuni, prevedendone espressamente i 4 tipi elencati e cioè:
1. l’autonomia statutaria;
2. l’autonomia normativa;
3. l’autonomia organizzativa e amministrativa;
4. l’autonomia impositiva e finanziaria.
Si enfatizza l’estensione e l’ambito dell’autonomia degli enti locali, coerentemente
con i principi di decentramento amministrativo, per effetto dei quali
l’amministrazione deve essere avvicinata il più possibile al cittadino e gli enti locali
devono essere dotati degli strumenti per esercitare le nuove funzioni che sono
chiamati a svolgere.
Di particolare rilievo, in questo quadro, sono l’autonomia organizzativa e
amministrativa nonché l’autonomia impositiva e finanziaria. Con la prima il
legislatore ha riconosciuto definitivamente agli enti locali la potestà di stabilire il loro
ordinamento e la loro organizzazione in relazione agli obiettivi amministrativi che
intendono perseguire.
L’organizzazione, quindi, non è statica né può dipendere esclusivamente dalle
disposizioni legislative centrali, ma è direttamente affidata all’ente
Lo specifico riconoscimento dell’autonomia impositiva, inoltre, è il chiaro segno di
un’inversione di tendenza del legislatore, che intende superare il modello della
finanza derivata, cioè quel sistema per il quale gli introiti del comune derivano
essenzialmente dai trasferimenti dello Stato.
Al contrario, il sistema delineato dalla legge 59/97 vuole che l’ente che eroga il
servizio acquisisca direttamente le fonti d’entrata necessarie al servizio medesimo, in
modo tale che per il cittadino sia più facile controllare come le risorse acquisite sono
effettivamente spese.
L’espresso riconoscimento di un’autonomia impositiva è, dunque, una norma
certamente programmatica, ma che consente immediatamente agli enti locali di
provvedere all’acquisizione delle entrate in maniera diretta.
L’esercizio di quest’autonomia, comunque, non è libero; infatti, il perseguimento
degli interessi locali non può prescindere dalle politiche generali della finanza
pubblica.
Il 5° comma dell’articolo 3, proprio in attuazione dell’articolo 5 della Costituzione,
stabilisce anche che i comuni possono esercitare funzioni amministrative ulteriori a
quelle proprie.
Dette funzioni debbono essere loro attribuite o delegate dallo Stato o dalle regioni.
E’ importante sottolineare il principio della riserva di legge contenuto nel 5° comma,
in base al quale lo Stato e le regioni possono attribuire o delegare funzioni ai comuni
solo mediante leggi, che dovranno individuare non solo le funzioni, ma anche le
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risorse finanziarie occorrenti per il loro corretto svolgimento e le modalità per
l’erogazione di tali risorse ai comuni.
Queste risorse potranno ricomprendere anche quelle umane, con eventuale
trasferimento del personale necessario per l’esercizio di tali funzioni delegate.
Il 5° comma prevede che i comuni esercitano le loro funzioni secondo il principio di
sussidiarietà.
Il testo unico, come del resto la legge 265/99, disciplina e regolamenta la sussidiarietà
cosiddetta orizzontale, trattando, quindi, dei rapporti tra gli enti pubblici e i soggetti
privati presenti nella società nella gestione di funzioni e servizi di utilità collettiva.
La sussidiarietà così intesa è, quindi, una modalità di esercizio dei detti servizi e
funzioni, tesa a coinvolgere l’attività dei soggetti che operano nella società, quando
l’ente pubblico intenda restringere il proprio campo d’azione, in presenza di soggetti
privati giudicati capaci di assolvere direttamente a determinati compiti.
L’accezione della sussidiarietà proposta, quindi, dal testo unico è diversa da quella
indicata nel trattato di Maastricht, definita come verticale, nel senso che presuppone
l’intervento del soggetto pubblico aggregativo più ampio solo quando gli interessi
pubblici e gli obiettivi gestionali nell’ambito di una certa materia non possono essere
gestiti efficacemente da enti di minore respiro.
L’intervento è quindi sussidiario nel senso di sostitutivo.
Cambia, quindi, in applicazione della sussidiarietà orizzontale, il sistema della
gestione; ancora una volta, nell’intento di valorizzare sia l’autonomia dell’ente locale,
sia la partecipazione consapevole della comunità all’attività dell’ente rappresentativo
della stessa., il legislatore ha previsto una vera e propria svolta nella filosofia
gestionale dei servizi degli enti locali.
L’ente locale, in conseguenza del principio di sussidiarietà, deve svolgere le proprie
funzioni “anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate
dall’autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali”.
In sostanza, la legge intende valorizzare il momento della partecipazione e
dell’amministrazione diretta dei servizi da parte delle formazioni sociali spontanee ed
organizzate, che possono, se dotate della necessaria organizzazione, attendere da sé e
con maggiore efficienza alle funzioni o ai servizi necessari per la comunità.
La sussidiarietà, allora, implica che l’ente locale, prima di decidere se intervenire
direttamente esercitando in prima persona le funzioni ed i servizi dedicati allo
sviluppo sociale, debba tenere in considerazione l’esistenza di formazioni sociali di
cittadini capaci di ottenere da sé i risultati di crescita economico-sociale rientranti
negli obiettivi politici dell’ente medesimo.
Soltanto in assenza di simili organizzazioni, l’ente locale, in quanto esponenziale
degli interessi collettivi, deve provvedere direttamente alla gestione dei servizi.
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Nella verifica della possibilità di avvalersi delle formazioni di cittadini per l’esercizio
delle funzioni proprie, particolare riguardo dovrà aversi all’adeguatezza del servizio
gestibile dai cittadini.
Negli statuti e negli atti attuativi del principio di sussidiarietà, allora, i comuni
dovranno individuare gli indici che di volta in volta, serviranno per verificare
l’adeguatezza dell’attività dei cittadini.
La partecipazione mediante la sussidiarietà, si trasforma da diritto all’informazione
sulle funzioni gestite dal comune, attraverso la garanzia dell’accesso agli atti o forme
di consultazione, in vera e propria partecipazione diretta alla gestione.
Alla cittadinanza, quindi, si consente la possibilità di intervenire nella conduzione dei
servizi, mediante forme associative o anche, addirittura, attraverso l’attività di
cittadini singoli anche non organizzati.
Non è inoltre, da sottovalutare un beneficio insito nel principio della sussidiarietà:
l’esercizio diretto di funzioni comunali, da parte di soggetti privati, può anche
garantire un maggior gradimento del servizio medesimo.
Prescindendo, quindi, dai pur auspicabili effetti di risparmi di gestione ed efficienza
produttiva, la gestione di funzioni comunali affidata direttamente agli utenti avrebbe
sicuramente l’effetto di assicurare lo svolgimento delle attività secondo gli effettivi
bisogni e gli indici di gradimento degli utenti, coincidendo – almeno in parte – questi
ultimi con i soggetti gestori.
E’ chiaro che il principio di sussidiarietà resta soprattutto una norma di carattere
programmatico, destinata a ricevere attuazione e definizione da norme attuative
successive.
Poiché il principio della sussidiarietà varrà anche per le funzioni esercitate dagli enti
locali in seguito al conferimento di competenze da parte dello Stato e delle regioni, le
leggi regolanti la materia conterranno probabilmente gli indirizzi per lo svolgimento
delle funzioni in esecuzione della sussidiarietà, oltre che i sistemi per individuare i
soggetti ai quali conferire l’esercizio delle funzioni.
Saranno, inoltre, i regolamenti di ciascun ente a specificare le modalità operative per
l’attuazione del principio, in omaggio a criteri generali che si auspica il legislatore
adotterà al più presto, per non rendere vana la previsione del 5° comma.
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§ 2. Disciplina delle funzioni
Art. 13. Funzioni
Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed
il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e
alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico,
salvo quanto non sia stato espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge
statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
Il comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme
sia di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.
A mente dell’articolo 13 del testo unico, spettano al comune tutte le funzioni
amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale precipuamente
nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed
utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia
espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le
rispettive competenze.
Il comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia
di decentramento sia di cooperazione con altri comuni e con la provincia.
Una sola variante è presente nel testo dell’articolo 13 del testo unico, rispetto
all’articolo 9 della legge 142/90, che riproduce.
Il legislatore delegato ha attribuito alla competenza dei comuni non più lo
svolgimento delle funzioni relative ai servizi sociali, bensì dei “servizi alla persona e
alla comunità”.
Non si tratta di una mera modifica terminologica tra due espressioni aventi lo stesso
significato.
La nuova espressione adottata dal testo unico è rivelatrice del concreto fine del
comune: l’attenzione verso la persona e verso la comunità, che implica lo
svolgimento, allora, di tutte le funzioni rivolte a procurare un beneficio economico,
morale, culturale, sportivo.
Quello di “servizio sociale” è nozione più propriamente attinente alle attività rivolte
alla rimozione di disagi e situazioni di difficoltà.
Il servizio alla persona ed alla comunità è certamente rivolto alla rimozione di
situazioni di disparità o svantaggio sociale, ma anche alla promozione e allo sviluppo
di ogni attività che renda un servizio anche alla singola persona, intesa non
necessariamente come appartenente ad una categoria, ma come cittadino nella
comunità.
In tal modo la promozione dello sviluppo della comunità influisce sul cittadino e,
nello stesso tempo, l’arricchimento della qualità della vita della singola persona
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diventa un elemento di qualificazione e promozione della qualità complessiva della
vita sociale.
In tal senso lo spettro delle funzioni comunali rivolte allo sviluppo sociale si allarga
ancora di più, per ricomprendere ogni iniziativa di sviluppo, basata naturalmente sulla
possibilità di quantificare il beneficio, in relazione al costo, fermo restando che in
questo ambito non deve esserci pareggio dei conti finanziari ed economici, ma la
dimostrazione di un miglioramento nella qualità dei rapporti sociali.
Il comma 1 dell’articolo 13 va letto in combinato disposto con l’articolo 3 , 5°
comma, del testo unico, in quanto specifica quali siano le funzioni “proprie” dei
comuni.
Il legislatore ha incentrato la sua attenzione in particolare sui seguenti settori
organici:
 servizi sociali;
 assetto ed utilizzazione del territorio;
 sviluppo economico.
L’elencazione, come si evince dall’avverbio “precipuamente” non è tassativa, ma
soltanto esemplificativa di alcune tra le principali funzioni comunali.
Opportunamente il legislatore ha preferito non definire una lista esaustiva delle
funzioni comunali, considerando che la legislazione in questo campo è in continua
evoluzione.
L’elenco potrebbe essere completato con i settori organici d’intervento dell’edilizia
scolastica o del supporto dell’attività sportiva.
Per individuare, quindi, le funzioni di volta in volta assegnate ai comuni, occorrerà
fare riferimento alle specifiche disposizioni normative.
In realtà, l’articolo in questione non elenca dettagliatamente le singole funzioni
spettanti al comune, per una precisa scelta da parte del legislatore, che ha preferito
definire la competenza dei comuni in via residuale e non in positivo.
Non a caso la dottrina concordemente ritiene che, per effetto del combinato disposto
dell’articolo 3, comma 5, e dell’articolo in questione, il comune è definibile come
ente a competenza generale.
Così anche il Consiglio di Stato, che con parere della sezione III n° 239 in data 27
aprile 1993 ha espressamente ritenuto che il comune si configuri come ente a
competenza generale, capace pertanto di esplicare la propria attività anche in materie
non attribuite espressamente da norme di legge alla sua competenza.
L’indicazione relativa alle tre materie individuate dall’articolo 13 è da ritenere come
riserva di specifica competenza, ma al comune spettano anche “tutte le funzioni
amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio” comunali.
Il riferimento al territorio, tuttavia, pone alcuni problemi.
Non sono mancati, infatti, avvisi giurisprudenziali e dottrinali che vedono nella
relazione con il territorio un limite fisico del campo d’intervento del comune
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nell’esercizio delle sue funzioni, che quindi oltre ad essere rivolte alla popolazione
debbono rimanere entro i confini territoriali.
Secondo questo tipo di visione, il classico caso della deliberazione che impegna spese
per aiuti a popolazioni estere colpite da guerre o catastrofi naturali, non rientra nelle
competenze e nelle funzioni locali.
Parte della dottrina, però, ritiene eccessivamente restrittiva l’interpretazione di cui
sopra, ritenendo di dovere interpretare evolutivamente la norma, in relazione anche
all’indubbio accrescimento dell’autonomia locale.
Allora, anche interventi economici in aiuto di entità diverse da quella territoriale o
iniziative di rappresentanza e di tipo turistico, possono rientrare pur sempre
nell’esercizio delle funzioni se il beneficio indiretto riguardi la popolazione di quel
territorio comunale, anche se l’attività o l’erogazione vada fuori dai confini del
territorio medesimo.
La mondializzazione dei rapporti commerciali e amministrativi rende certamente
questa seconda interpretazione più attuale e preferibile, anche se occorre individuare i
limiti entro i quali l’ente locale può operare.
E’ certamente accettabile l’opinione secondo la quale ogni attività e competenza è
esercitatile nell’interesse della popolazione, pur se prestata oltre il confine territoriale,
purchè se ne dimostri l’utilità per la comunità amministrata,
Ma il punto è proprio questo: la difficoltà di dimostrare con dati misurabili (e quindi
appunto dimostrabili) il collegamento tra lo svolgimento della funzione e l’interesse.
Questo è, allora, il punto debole della scelta legislativa di non aver attribuito all’ente
locale una sfera precisa di competenze, conseguenza diretta della scelta di
un’amministrazione decentrata e non federale.
Il principio del decentramento fa sì che a livello locale possano essere esercitate tutte
le funzioni che non sono riservate all’ordinamento amministrativo dello stato.
A sua volta, il principio di sussidiarietà impone all’ente statale di valorizzare le realtà
minori e locali, che debbono poter esercitare in prima battuta le funzioni rivolte alla
popolazione amministrata.
La sussidiarietà ed il decentramento non permettono però la devoluzione di
competenze, con la netta separazione dell’esercizio delle medesime, tipica
dell’assetto federale.
Nel sistema federale lo stato o la regione-stato esercitano esclusivamente alcune
funzioni di natura e rilevanza nazionale (politica estera, difesa, ordinamento
finanziario, sicurezza sociale) demandando il resto agli altri livelli amministrativi, cui
si assegnano competenze a loro volta esclusive.
E’ chiaro che nell’esercizio di competenze esclusive la valutazione del perseguimento
di interessi non occorre o è definibile in re ipsa in quanto l’ente può svolgere una
funzione più politica che amministrativa, quindi libera nei fini.
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Quanto appena detto non è completamente vero per gli enti locali, i quali svolgono
pur sempre funzioni amministrative nell’ambito di una competenza residuale, ma non
esclusiva.
L’ultima parte del comma 1 conferma che le funzioni proprie dei comuni non sono
tuttavia, esclusive; infatti è possibile che le leggi statali o regionali le attribuiscano ad
altri soggetti, sottraendole in tutto o in parte alla sfera di competenza degli enti locali.
Ciò, tuttavia, deve avvenire nel rispetto del principio stabilito dall’articolo 118 della
Costituzione, ai sensi del quale vanno attribuite a province, comuni e altri enti locali
le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale.
Il comma 2 dell’articolo 13 in parola è una norma programmatica, il cui scopo è
rendere evidente alle amministrazioni locali che possono esercitare le funzioni
comunali definendo gli ambiti territoriali all’interno dei quali svolgerle, prevedendo
quindi il principio sia del decentramento, sia dell’accorpamento delle funzioni.
A proposito delle funzioni degli enti locali, la disciplina del testo unico va integrata
con le innovazioni introdotte dal decreto legislativo 112/1998, che ha spostato dallo
Stato agli enti locali una notevole quantità di competenze prima esercitate dalle
amministrazioni centrali.
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§ 3. Compiti del Comune per servizi di competenza statale
Art. 14. Compiti del comune per servizi di competenza statale
Il comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di
statistica.
Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale del Governo, ai sensi
dell’articolo 54.
Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere
affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari,
assicurando le risorse necessarie.
In ossequio all’articolo 14 del testo unico il comune gestisce i servizi elettorali, di
stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica.
Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di governo, ai sensi
dell’articolo 54.
Ulteriori funzioni amministrative per servizi di competenza statale possono essere
affidate ai comuni dalla legge che regola anche i relativi rapporti finanziari,
assicurando le risorse necessarie.
L’articolo 14 riporta testualmente il contenuto dell’articolo 10 della legge 142/1990,
con la sola modifica del riferimento normativo all’articolo 54 del testo unico.
L’attribuzione al comune dell’esercizio di funzioni di interesse generale, che si
aggiungono all’espletamento delle competenze strettamente attinenti all’interesse
locale, è una tradizione da sempre esistente nell’ordinamento giuridico italiano, che
ha classicamente visto nell’ente locale il soggetto meglio in grado di espletare servizi
pur appartenenti alla competenza dello Stato, in relazione al diretto contatto col
territorio.
Non a caso per anni, fino sostanzialmente alla metà degli anni ’70, la funzione
essenziale dei comuni è consistita nella tenuta dei servizi demografici.
L’articolo 14 definisce i servizi che il comune gestisce per conto dello Stato (alle
leggi regionali spetta l’indicazione delle ulteriori funzioni amministrative demandate
ai comuni dalle regioni) .
Il comune cura per conto dello Stato, i seguenti servizi:
 elettorale;
 anagrafe;
 stato civile;
 statistica;
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 leva militare.
Sempre con legge statale (si tratta di una previsione di riserva di legge), ai sensi del
comma 3, è possibile affidare alla gestione comunale ulteriori servizi, di volta in volta
definiti dai singoli provvedimenti legislativi.
Il comma 3, stabilisce, tuttavia una condizione: lo Stato può assegnare ai comuni
ulteriori servizi, soltanto a patto che attribuisca loro le necessarie risorse finanziarie.
Il comma 2 dell’articolo in esame individua l’organo cui è demandato il compito di
gestire le funzioni indicate al comma 1 nel sindaco, che le esercita non quale capo
dell’amministrazione comunale, bensì come ufficiale di Governo.
La precisazione del comma 2 tende a sottolineare ancor di più che si tratta di funzioni
statali gestite attraverso i comuni.
Il Sindaco disimpegna questi compiti generalmente mediante delega ai funzionari
preposti ai servizi demografici.
Per quanto riguarda la funzione statistica, ai sensi dell’articolo 3, 3° comma, del
dlgs.6 settembre 1989,n° 322, tutti gli enti locali avrebbero dovuto istituire, anche in
forma associata o consortile, specifici uffici di statistica.
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