STORIA DELLA SOCIOLOGIA 1 Introduzione1 Nel tentare di definire cos’è il pensiero sociologico, si incontra subito una difficoltà. Se si tentasse di definire genericamente l’oggetto della sociologia come lo studio dei rapporti che gli uomini instaurano fra di loro in quanto vivono in società, si rischierebbe di attribuire alla sociologia un discorso così generico da fargli perdere il suo oggetto. Tale premessa è tanto più necessaria in quanto, ad oggi, si è lontani da un’idea condivisa e univoca di cosa sia la sociologia. Secondo il punto di vista che Alberto Izzo2 tenterà di sostenere, la sociologia si occupa dei modelli che egli definisce “parzialmente cristallizzati”, “i quali sono sì il risultato dell’interazione degli uomini, ma rispetto al singolo acquistano una realtà indipendente che gli preesiste e lo condiziona in ogni aspetto della sua esistenza”. La convinzione dell’autore è cioè che “il pensiero non emerge dalle menti degli individui indipendentemente dalle situazioni e dai problemi pratici in cui essi si trovano a vivere” (senza che ciò implichi “una concezione deterministica del pensiero” ma solamente l’esistenza di un “inevitabile nesso”). La sociologia non intende affermare cioè che l’essenza dell’uomo è interamente riconducibile alla società. Il suo compito è mettere a fuoco un ambito problematico, così come lo fanno biologia e psicologia. Naturalmente tutti i molteplici aspetti che le singole scienze individuano dell’uomo sono scindibili solo per astrazione. Storicamente, ci sono state alcune situazioni che hanno permesso la presa di coscienza del problema sociologico. Prima di tutte il modo di produzione industriale e l’economia di mercato. Con essa, come disse Weber, si è passati da un tipo di relazione che, per quanto potesse essere ingiusta e subordinante, era comunque personale, ad un sistema oggettivo che si autolegalizza per il solo fatto di esistere. Un’altra ragione del sorgere del problema sociologico sono gli aumentati contatti fra le popolazioni, l’instaurarsi di una pluralità di modi di vedere il mondo, la fine dell’egemonia culturale del clero. 1 Le presenti dispense si basano su una rielaborazione dei seguenti testi 1: Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna 1994; N. Abbagnano, Storia della filosofia, UTET, Torino (ora anche in TEA, Milano 1995) AA.VV. Enciclopedia Garzanti di Filosofia e Logica, Linguistica, Epistemologia, Pedagogia, Psicologia, Psicoanalisi, Sociologia, Antropologia culturale, Religioni, teologia, Garzanti, Milano 1993 Gli appunti delle lezioni del prof. Francesco Villa – a.a. 1999-2000 – Università degli studi di Macerata – Corso di laurea in Scienze della formazione primaria La lettura è agevolata dal rimando a note per quanto riguarda termini più propriamente sociologici o filosofici e si è tentato, per quanto possibile, di mediare il linguaggio specialistico con una lettura scorrevole e sintetica. Come per l’apprendimento dei fondamenti di qualunque disciplina, anche per la Sociologia è richiesta la padronanza dei momenti storici più importanti, dei principali concetti e la capacità di usare termini specialistici. Queste dispense intendono essere un aiuto nell’acquisizione di tali competenze, ma, per la loro sinteticità, che ne costituisce anche il proposito, esse si configurano come una griglia concettuale che rimanda alla lettura dei testi indicati nel programma. 2 A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna 1994 2 Storicamente la sociologia sorse nell’ambito di quell’orientamento teorico che fu la filosofia positiva del XIX secolo3, che “faceva esplicito riferimento al modello delle scienze naturali per lo studio della realtà sociale”. Tuttavia anche altre influenze culturali permisero il sorgere della sociologia (illuminismo, idealismo dialettico, materialismo storico). In ogni caso è difficile accettare la restrizione esclusiva del pensiero sociologico a quello delle scienze esatte, se non altro per l’oggetto stesso della sociologia, che ha il compito di chiarire le condizioni storico-culturali all’interno delle quali si sviluppano tali scienze. Origini e storia della sociologia Se la filosofia sociale nasce con la Repubblica di Platone, la sociologia ha ‘solo’ 150 anni. L’approccio filosofico ai problemi della società privilegia il ‘dover essere’ della società medesima, i suoi elementi normativi, laddove la sociologia intende studiare la società quale essa è da un punto di vista scientifico. Il prof. Francesco Villa individua i seguenti fattori all’origine della sociologia: 1) la rivoluzione scientifica: la sociologia è erede della rivoluzione scientifica, cioè della necessità di un’osservazione scientifica della realtà e di una descrizione della stessa tramite la matematica (ricerca empirica e uso della statistica); 2) le rivoluzioni borghesi (illuminismo): la rivoluzione borghese e la diffusione della cultura illuministica4 permette di comprendere che la società non è qualcosa di immutabile, ma è passibile di trasformazioni, di passaggi da un tipo di ordinamento ad un altro. La rivoluzione francese può essere considerata proprio all’origine della sociologia in quanto presentò l’emergere di momenti problematici che dovevano essere affrontati con uno studio più approfondito della società; 3) la rivoluzione industriale: attraverso la rivoluzione industriale si delinea un cambiamento radicale del tessuto sociale (ritmi e stili di vita, città che cambiano fisionomia, trasformazione radicale nel modo di produrre e di vivere); 4) l’instaurarsi della società capitalistica: trasversalmente rispetto alla rivoluzione scientifica, a quella borghese e a quella industriale troviamo come lo sviluppo tecnologico reso possibile dalla ricerca scientifica permetta l’instaurarsi della società capitalistica. Claude Henry de SAINT-SIMON (1760-1825). Sviluppò, assieme allo storico A Thierry, in Della riorganizzazione della società europea (1814), l’idea di una società ‘positiva’ e scientifica, governata da scienziati e Il termine positivo deriva dall’indirizzo filosofico denominato Positivismo, sorto in Francia nella prima metà del XIX secolo. Il termine fu coniato da Saint-Simon e poi adottato da Comte (vedi sotto) per designare lo stadio scientifico del sapere umano. Metodo positivo e metodo scientifico possono essere considerati sinonimi. 4 Per illuminismo si intende un periodo della storia europea che coincide approssimativamente col sec. XVIII col quale si afferma una forma di pensiero e una corrente filosofica che intende liberare la mente dell’uomo dalle tenebre dell’ignoranza, dell’oscurantismo, della superstizione attraverso la conoscenza e la scienza. E’ spesso collegata alla prospettiva illuministica l’idea che l’ignoranza e la superstizione siano diffuse e mantenute nel popolo da chi detiene il potere per dominare le coscienze e tenere soggiogati i sudditi; l’emancipazione intellettuale diviene così anche emancipazione politica. L’atteggiamento illuministico è in generale caratterizzato da un’illimitata fiducia nella ragione, che si esercita anzitutto in forma negativa e critica, ossia sgombrando preliminarmente il campo dalle conoscenze tradizionali che si rivelino illusorie, analizzando e contestando leggi, istituzioni e costumi, ma soprattutto smascherando quella che gli illuministi ritengono la più potente e onnipresente delle illusioni, la religione rivelata. 3 3 industriels (i grandi industriali e banchieri visti acriticamente come guide naturali dei lavoratori) in luogo delle classi oziose dei nobili e dei militari. In tale opera si abbozza una filosofia della storia nella quale il progresso è scandito dall’alternanza di epoche “organiche” (come furono l’antichità e il medioevo) e di epoche “critiche” (come il periodo della rivoluzione francese, al quale Saint-Simon immagina succedere un nuovo periodo organico caratterizzato dall’utilizzazione in chiave produttiva del sapere tecnico-scientifico). Saint-Simon, come gli altri pensatori del periodo della Restaurazione, ritiene superiore l’armonia sociale rispetto alle posizioni individuali (egli concepisce la società come un organismo di cui gli individui non sono che parti), ma pensa che tale armonia si legittimi non in quanto ricerca la ricostituzione di un ordine caratteristico di epoche passate, ma in quanto si fonda sull’osservazione scientifica. Nel 1816 Saint-Simon pubblicò la rivista L’industria, raccogliendo attorno a sé numerosi esponenti del mondo economico, finanziario e scientifico. Dal 1817 al 1923 collaborò col giovane Comte, con il quale scrisse: - Del sistema industriale (1820-22) - Catechismo degli industriali (1823-24) - L’organizzatore (periodico, 1819-20) In quest’ultimo sostenne la celebre tesi dell’inutilità dell’aristocrazia e delle classi improduttive. Dopo la rottura con Comte, il suo pensiero ebbe una svolta etico-religiosa, ed egli indicò che l’obiettivo della riorganizzazione scientifica della società era il miglioramento delle condizioni della “classe più numerosa e più povera”. Nell’incompiuto Nuovo Cristianesimo (1825) Saint-Simon lasciava ai suoi seguaci un messaggio che lo fece annoverare fra i socialisti utopisti. In breve: ricostituzione della società attorno al sapere tecnico e scientifico; sostituzione delle improduttiva classe aristocratica con la produttiva classe industriale; socialismo utopistico. Auguste COMTE (1798-1857). E’ considerato il fondatore del positivismo. E’ a Comte che si deve l’invenzione del termine Sociologia nell’ambito del suo Corso di filosofia positiva (XLVII lezione, 1839). Allievo di Saint-Simon, si inizia a distanziare dal maestro con la pubblicazione del Piano dei lavori scientifici necessari per riorganizzare la società (1822). La sua opera maggiore è il Corso di filosofia positiva (6 voll., 1830-42). La seconda parte della sua vita, contrassegnata dal legame con Clotilde de Vaux, conosce una svolta mistico-umanitaria, che sfocia nella sua seconda grande opera (Sistema di politica positiva o trattato di sociologia che istituisce la religione dell’umanità, 4 voll., 185154), il Catechismo positivista (1852) e il Calendario positivista (1860). Questo indirizzo mistico del pensiero di Comte venne rifiutato dai maggiori discepoli. 4 Nonostante ciò il pensiero di Comte continuò ad esercitare una grande influenza. La sua religione dell’umanità diede luogo a sette e si diffuse in Francia, in Inghilterra e soprattutto in America, dove pare avere ancora proseliti in Brasile. Convinto come Saint-Simon della validità metodologica delle scienze positive, giunse alla formulazione della celebre “legge dei tre stadi”, per la quale la comprensione della realtà evolve secondo i seguenti tre stadi: 1) stadio teologico: la realtà è spiegata in termini teologici, attribuendo cioè potere spirituale ora a degli oggetti (fase teologica feticista), ora a degli dei (fase teologica politeista), ora a un solo dio (fase teologica monoteista); 2) stadio metafisico: stadio intermedio e di transizione fra il primo e il terzo, che fa ricorso, per spiegare la realtà, a principi astratti; 3) stadio positivo: tutto è spiegato attenendosi alla rilevazione della realtà empirica e dalle leggi scientifiche che da tale rilevazione scaturiscono. La legge dei tre stadi, che Comte rielaborerà per tutta la vita, ha come intento fondamentale la critica alla concezione illuministica, identificata col secondo stadio, e alla volontà di assicurare alla società un ordine che a suo parere la teorizzazione illuministica stessa non poteva dare. Infatti essa afferma che la verità dipende dal soggetto e non da una realtà che si impone insindacabilmente dall’esterno, come oggettiva. Ma ciò per Comte genera il caos. Ora, solo la scienza positivisticamente intesa può dare questa certezza che supera l’arbitrio del soggetto, come si evince nel seguente brano: “Non vi è affatto libertà di coscienza in astronomia, in fisica, in chimica, e nella stessa fisiologia (…) Se in politica accade diversamente, è unicamente perché essendo caduti i vecchi principi e non essendo i nuovi ancora formulati, non vi sono affatto, in questo intervallo, principi stabiliti. (…) La vera libertà non può consistere, senza dubbio che in una sottomissione razionale, alla sola supremazia, convenientemente constatata, delle leggi fondamentali della natura, al riparo da ogni arbitrario potere personale.” La “politica positiva” ha il compito di occuparsi dei problemi della società secondo il metodo della filosofia positiva. E’ possibile distinguere nell’ambito della sociologia una “dinamica sociale” e una “statica sociale”: la prima studia la società nelle sue trasformazioni (la legge dei tre stadi), la seconda studia le strutture sociali che sono presenti in modoo stabile nella società. La statica sociale riconosce la superiorità della società sull’individuo e individua nella famiglia la vera unità sociale: la famiglia è un’istituzione naturale fondamentale che rimane stabile nonostante i cambiamenti storici. Altro tratto appartenente ad ogni società è la cooperazione. La statica sociale si occupa anche di studiare una determinata società in un dato momento storico, orizzontalmente, in quanto tutto organicamente relazionato: idee, costumi, istituzioni sono infatti fenomeni interconnessi che si influenzano reciprocamente. Ogni società presenta quindi un ordine e un peculiare consenso delle parti col tutto. Quando tale ordine viene meno, la società entra in una fase “critica”, che la sociologia statica non può più descrivere. Interviene allora la sociologia dinamica e la legge dei tre stadi. 5 Nell’ultimo Comte, la fede nel progresso della politica positiva diventa affermazione dell’esistenza di una religione positiva, ossia di una religione che non venera valori trascendenti l’uomo, ma dirige l’affettività e subordina i sentimenti personali ai sentimenti sociali. La nuova religione positiva ha i suoi santi (i geni e gli scienziati che hanno guidato l’evoluzione dell’umanità), ha un pontefice (lo stesso Comte) e una sorta di culto della femminilità incarnato nel ricordo di Clotilde de Vaux. In queste immagini misticheggianti - e forse anche patologiche - si stemperava l’originale sociologia comtiana, inclinando verso forme di pseudoreligiosità romantica. In breve: ricostituzione della società attorno al sapere tecnico e scientifico; contestazione della libertà attribuita dall’illuminismo al soggetto; legge dei ‘tre stadi’; “dinamica sociale” e “statica sociale”; religione positiva. Herbert SPENCER (1820-1903) Dopo studi di carattere scientifico, maturò convinzioni evoluzionistiche. Nel 1850 pubblicò la sua prima opera di rilievo, la Statica sociale, dove il principio evoluzionistico viene applicato alla vita sociale. Seguono i Principi di psicologia, dove è la vita psichica e spirituale a essere studiata secondo i principi dell’evoluzionismo. Dal 1858 Spencer lavorò ad un grande piano di filosofia evoluzionistica, che si concretò in una serie di volumi tra cui il già citato Principi di sociologia (1876-96). Nel 1884 scrive il suo famoso saggio L’uomo contro lo stato in cui espone le sue idee politiche ed economiche. Se la Francia aveva conosciuto una soluzione rivoluzionaria ai suoi problemi politici, l’Inghilterra vittoriana vive in un periodo di consolidati equilibri, dove vige ottimismo e fiducia nello sviluppo tecnico, scientifico e industriale e dove si ritiene che i problemi possano essere risolti per evoluzione graduale; in particolare i rapporti basati sugli interessi individuali lasciati liberi da costrizioni esterne (laissez faire) costituivano la migliore garanzia dell’evoluzione verso l’armonia sociale. Spencer risente di queste idee, assieme a quelle del positivismo francese di Saint-Simon e di Comte. Egli concepisce la società come un ‘organismo’ o come una realtà ‘superorganica’, la cui natura e le cui funzioni sono appunto quelle di un organismo. “La società, cioè, è concepita come un insieme ben integrato di parti che con la loro attività contribuiscono tutte al mantenimento e all’evoluzione dell’insieme” 5. “Spencer ribadisce a più riprese l’identità tra organismo biologico e società per quanto riguarda al legge dell’evoluzione”6. Pur non ignorando le pessime condizioni in cui vivono gli operai della società industriale, Spencer ha fiducia in ciò che verrà definito ‘darwinismo sociale’. Egli scrive: 5 6 A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, cit., p, 82 ibidem, p.83 6 “Sembra che nel corso del progresso umano, alcune parti, più o meno grandi, di ciascuna società siano sacrificate a beneficio della società nel suo complesso.” Nella società industriale tale sacrificio riguarda coloro che sono meno idonei alla libera concorrenza economica, mentre premia chi lo è maggiormente. La sua prospettiva è quindi quella della prevalenza del più forte sul più debole sulla base della libera competizione economica (cfr. libertà di mercato, ottica di tipo liberistico). La società industriale per Spencer è un’evoluzione della società militare e ne rappresenta un superamento attraverso il passaggio dal semplice al complesso. Se nella società militare l’individualità di ogni membro era subordinata in tutto e per tutto allo Stato, la società di tipo industriale non solo non deve sacrificare l’individualità del cittadino allo Stato, ma deve difenderla, in quanto è alla base del principio della libera concorrenza. Si noti la differenza con Comte, il quale continuava a credere nella necessità di una funzione regolatrice assoluta dello Stato.7 Quando Spencer affronta il delicato tema dei rapporti fra religione e scienza ne I primi principi, sostiene che la realtà ultima è inconoscibile e che l’universo è un mistero. La ricerca scientifica è un’estensione progressiva del conoscibile che non approderà mai all’inconoscibile. Compito della scienza sta nell’estendere sempre oltre questa conoscenza, senza tuttavia ritenere di poter cogliere l’Assoluto. Anzi, più progredisce la conoscenza umana più diventa consapevole dei suoi limiti. Compito della religione è mantenere vivo il senso del mistero. In moso simile a Comte, Spencer crede nella funzione di integrazione sociale svolta dalla religione. In breve: Evoluzione dal semplice al complesso; Darwinismo sociale e sue implicazioni liberiste. 7 Alberto Izzo, op. cit., p.84 7 Emile DURKHEIM (1858-1917) Problema centrale della sociologia di Durkheim è quello dell’ordine8, ossia come sia possibile realizzare quel consenso che è la condizione fondamentale per l’esistenza di una società. Criticando Spencer per quanto afferma circa il valore dell’individuo, Durkheim ritiene invece che il fondamento della società sia elemento non riconducibile all’egoismo dei singoli: tale è la solidarietà. Nel testo La divisione del lavoro sociale (1893), Durkheim distingue la solidarietà meccanica – caratteristica delle società semplici, in cui vi solo una minima divisione del lavoro e si ha il prevalere della ‘coscienza collettiva’ su quella individuale – dalla solidarietà organica: quest’ultima si sviluppa quando la società diventa più complessa e le varie parti (cioè gli individui) si differenziano nei compiti che svolgono e ciascuno assolve una funzione in qualche misura indispensabile. La società, poi, è caratterizzata dall’esistenza di una coscienza collettiva. Secondo Durkheim, la coscienza collettiva ispira e determina le azioni del singolo in misura tale che si può affermare che l’individuo è generato dalla società e non viceversa.9 Differenziandosi da Spencer, Durkheim ritiene dunque che la società si fondi non sull’egoismo dei singoli, ma sulla moralità e l’altruismo. In tale contesto egli espone la sua teoria dell’ “anomia” (dal greco: mancanza di norme). Tenendo presente che per Durkheim la norma fondamentale del vivere in società è la solidarietà, il termine “anomia” significa per lui mancanza di solidarietà. Egli dice che la divisione del lavoro implica “uno stato di dipendenza reciproca” e che gli uomini non possono svolgere la loro funzione se non nell’ambito di una regolamentazione sistematica o di una precisa forma di “solidarietà”. Lo sviluppo dell’industria è stato tuttavia troppo rapido e non ha ancora potuto creare un sistema di regole. Benché talvolta i toni usati da Durkheim ricordino quelli utilizzati dal giovane Marx nella trattazione del tema dell’alienazione, a differenza di quest’ultimo per Durkheim la proprietà privata va mantenuta: è solo necessario instaurare un sistema di regole. Quanto al problema che le regole, una volta instaurate, potrebbero essere ingiuste, Durkheim arriva ad una conclusione che A. Izzo definisce “piuttosto sconcertante”10, e cioè che la divisione del lavoro andrebbe effettuata in base ai talenti dei singoli. Le regole del metodo sociologico (1895). Si trova in tale testo la notissima definizione della sociologia come disciplina che studia i fatti sociali, i quali vanno considerati come “cose”. Un fatto sociale, inteso come modo di agire, pensare e sentire, è coercitivo per l’individuo. Un modo di agire, pensare o sentire va considerato normale quando appartiene alla generalità, e patologico nei casi in cui è proprio di una minoranza. 8 Questa e le successive considerazioni, ove non altrimenti indicato, sono tratte da A. Izzo, op. cit., p.194-212. Enciclopedia filosofia garzanti, op. cit., p.288. 10 ibidem, p.198 9 8 Il socialismo (1895-6). In quest’opera si possono individuare i tratti caratteristici di tutta il pensiero di Durkheim. Vi si afferma che il nucleo centrale delle teorie socialiste consiste nell’idea della necessità di un coordinamento centralizzato delle attività economiche, in seguito alla convinzione che “il libero gioco degli egoismi non sia sufficiente a produrre automaticamente l’ordine sociale”. Affinché regni l’ordine sociale è necessaria una forza morale: un principio economico non può essere sufficiente. Il suicidio (1897). Anche in questo testo Durkheim afferma quel dualismo fra individuo e società per il quale è stato criticato. Infatti, anziché tematizzare una continuità fra realtà sociale e realtà individuale, egli tende sempre a immaginare che le vere cause dell’azione siano quelle sociali. In quest’opera, Durkheim non vuole solo mostrare che il tasso di suicidio aumenta con il diminuire della coesione sociale, ma individua anche tre tipi di suicidi, che corrispondono a tre diversi tipi di società: - suicido egoistico: si ha quando viene meno la forza di coesione della società e si lascia aperto il campo all’insorgere di moventi individualistici; - suicidio altruistico: è quello proprio delle società semplici, fondate sul prevalere della coscienza collettiva su quella individuale. L’individuo si annulla nella società. Il venire meno, per qualche ragione, della funzione sociale dell’individuo configura la situazione di suicidio in questo tipo di società; - suicidio anomico: è il suicidio che avviene nelle società prive della norma morale della solidarietà. In assenza di un disciplinamento morale l’individuo facilmente si sente insoddisfatto e sempre desideroso di nuove mete che da solo non riesce a raggiungere. Le forme elementari della vita religiosa (1912). Per Durkheim la religione afferma una verità fondamentale: esiste una realtà che trascende gli uomini. Tuttavia la sociologia ipotizza che tale dimensione trascendente sia in realtà la società stessa. Durkheim è stato accusato di aver individuato una dicotomia fra società e individuo, attribuendo alla prima ogni moralità, altruismo e anche capacità conoscitiva presente nell’uomo e all’individuo solo istinti egoistici. Riducendo l’individuo solo a questo, tutto è visto procedere dalla società: Durkheim accentua l’importanza del fattore causale della società. E’ stato anche detto che Durkheim “cercò di elaborare una sociologia che costituisse non tanto una teoria generale della realtà sociale, quanto un modello teorico di riferimento per una sua corretta amministrazione. Di qui gli derivò il favore delle autorità e la possibilità di esercitare sul pensiero sociologico ‘ufficiale’ francese una duratura influenza”11. In breve: 11 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, op. cit., p.288. 9 la società non si fonda sul libero gioco degli egoismi, ma su un ordine sociale che presuppone un principio morale: concetti di solidarietà e anomia; solidarietà meccanica e solidarietà organica; priorità della società sull’individuo; suicidio egoistico, altruistico, anomico. 10 Karl MARX (1818-1883) Opere principali: Manoscritti economico-filosofici del 1844, La sacra famiglia (1845), Tesi su Feuerbach (1845), Ideologia tedesca (1845-6), Miseria della filosofia (1847), Manifesto del partito comunista (1847), Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850), Il capitale (1867). Mentre la Francia e la Gran Bretagna avevano conosciuto lo sviluppo industriale e in Francia vi era stata la grande rivoluzione, la Germania era caratterizzata ancora da un’organizzazione feudale: era suddivisa in una serie di piccoli stati i cui principi agivano in base ad interessi personali, più che alle esigenze della società. A ragione Marcuse disse che mentre “la Rivoluzione francese aveva già cominciato a sostenere la realtà della libertà, l’idealismo tedesco continuava ad occuparsi dell’idea di libertà”12 Il giovane Marx riceve un’educazione di impronta illuministica, si iscrive all’università di legge di Berlino per poi interessarsi di filosofia, attratto da Hegel. Punto di partenza di Marx è la rivalutazione dell’uomo esistente nella sua totalità materiale, e non semplicemente nei suoi aspetti teoretici e contemplativi: “I filosofi hanno finora diversamente interpretato il mondo: si tratta ora invece di trasformarlo” Il presupposto teorico dal quale muove Marx è la dialettica hegeliana e l’annesso concetto di alienazione. Per Hegel l’unica realtà esistente è lo Spirito, che è una realtà dinamica e non statica. Tale dinamicità della Spirito si esplica e consiste, per Hegel, nell’estraniarsi dello Spirito (o Ragione o Idea, che nella filosofia hegeliana ne sono gli antecedenti) da sé, cioè, secondo un termine che diverrà celebre, ad alienarsi da sé e porsi come realtà fuori di sé. Ogni aspetto della realtà concreta e tangibile è un momento parziale di tale alienazione e ricongiungimento a sé dell’Idea. Obiettivo dello Spirito è il suo completo ricongiungimento con se stesso nella sintesi. L’Idea si aliena da se stessa e, superando tale alienazione, perviene a se medesima. La realtà nel suo insieme è lo Spirito nel suo divenire auto-cosciente. Nella filosofia hegeliana l’oggetto che l’uomo avverte estraneo a sé è in verità, nel grande processo di oggettivazione dello Spirito nella natura, un momento dello Spirito stesso: è lo Spirito stesso che deve ricongiungersi a sé tramite la sua antitesi. In particolare poi, ed è questo aspetto che raccoglierà l’attenzione di Marx, l’oggetto che l’uomo produce nella sua attività lavorativa, è un’oggettivazione della sua soggettività che egli deve poter riconoscere come un’estrinsecazione di sé per riportarlo a sé e riappropriarsi così anche della sua identità. Se per Hegel il problema del ricongiungimento di soggetto e oggetto è solo un problema filosofico, per Marx non è così. Marx metterà in luce come le condizioni lavorative dell’operaio d’industria non gli permettano di attuare questo processo di ricongiungimento a sé tramite il manufatto della sua stessa attività lavorativa. Nel lavoro, l’operaio “non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito”. Il fatto che il lavoro non appartenga più a chi lo svolge genera una svalorizzazione del mondo umano. 12 Marcuse, 1966, in A. Izzo, op .cit., p.89 11 Marx ha premura di denunciare tutte quelle condizioni in cui storicamente questa svalorizzazione si attua. Alla speculazione filosofica deve seguire l’azione pratica di cambiamento delle situazioni storiche. Si leggano ad esempio le seguenti affermazioni di Marx: “Non è possibile attuare una liberazione reale se non nel mondo reale e con mezzi reali (…) Si tratta di rivoluzionare il mondo esistente, di mettere mano allo stato di cose e di trasformarlo” (Ideologia tedesca); “Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico, spirituale della vita” (in Prefazione a Per la critica dell’economia politica); “La coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita” (Ideologia tedesca); “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociali che determina la loro coscienza” (Prefazione a Per la critica dell’economia politica). Si ha l’ideologia quanto la cultura pretenda di astrarre dal rapporto di condizionamento materiale del sistema di produzione sulle coscienze degli uomini e di porsi come ‘pura’, autonoma e indipendente da qualsiasi attività pratica ed economica. In realtà, “le idee che si pretendono ‘pure’ e dotate di validità universale celano interessi specifici e particolari di determinate classi”13. Sebbene manchi nell’opera di Marx un’analisi sistematica14 del concetto di classe, è possibile dire che per Marx la società borghese crea una struttura socialmente dicotomica: da un lato ci sono i possessori dei mezzi di produzione – la borghesia – e dall’altro il proletariato. Il proletariato, nella misura in cui è in grado di creare una comunità, un’unione politica su scala nazionale e un’organizzazione politica, è una classe15. Spetta al proletariato giungere alla “coscienza di classe” e rivoluzionare i rapporti di classe propri della società borghese-industriale, per instaurare una “dittatura del proletariato” che impedisca alla borghesia di riprendere il potere. Nell’opera di Marx è dunque possibile enucleare diverse aree tematiche16: 1) una tematica filosofica. Marx utilizza la dialettica hegeliana: - per analizzare i rapporti che concretamente e storicamente hanno creato la società e per mostrare la dipendenza del benessere dell’uomo da tale struttura; - per denunciare l’impoverimento spirituale del proletariato, costretto a produrre oggetti dalla cui proprietà viene poi estromesso e, con la proprietà, viene espropriato anche dalla possibilità di riappropriarsi del proprio essere spirituale ‘alienatosi’ nell’oggetto prodotto. 13 A. Izzo, op .cit., pp. 106-7 ibidem, p.112 15 a differenza ad esempio dei contadini piccoli proprietari, che creano solo legami locali. 16 Prof. Francesco Villa 14 12 2) Una tematica economica. Marx compie importanti analisi di economia politica. Si confrontino le analisi dell’economia industriale contenute ne Il Capitale e la messa in evidenza del carattere strutturale della contrapposizione di interessi che vige nell’economia di tipo industriale. 3) Una tematica politica. A partire dalle premesse filosofiche, Marx si fa interprete dell’esigenza di cambiamento avvertita dal proletariato. Il Manifesto del partito comunista fu un invito a sviluppare un programma di cambiamento e di rivoluzione, a partire dalle contraddizioni del sistema, il cui protagonista avrebbe dovuto essere il proletariato. Marx è il riconosciuto ispiratore della politica comunista. 4) Tematica sociologica. I sociologi hanno scoperto all’interno della produzione di Marx importanti apporti per la sociologia. In che senso Marx può essere considerato un sociologo? In Marx si trovano importanti elementi dal punto di vista dell’analisi sociale. La differenza fra proletariato e borghesia è determinata dal possesso o meno dei mezzi di produzione industriale. Tale dualismo è molto caratterizzato in senso ideologico (cfr. la tesi hegeliana di tesi-antitesi-sintesi). Per Marx la piccola borghesia, costituita dai ceti impiegatizi, militari, piccolo artigianato, … è destinata o ad esaurirsi o ad assimilarsi, in qualche caso, alla grande borghesia industriale. Tale questione della piccola borghesia può essere considerata emblematica, perché sopravvivendo e rigenerandosi, ha contraddetto le previsioni di Marx: la moltiplicazione dei ceti medi e il sorgere di nuovi lavori non era stata prevista da Marx. “Quanto è necessario affermare … è che il marxismo costituisce, oltre che un contributo essenziale alla teoria sociologica, anche un’esperienza imprescindibile della cultura contemporanea. Del marxismo rimane anzitutto l’idea secondo cui la realtà sociale, pur essendo il risultato dell’attività umana, assume un carattere autonomo e indipendente dalle volontà dei singoli, il che… costituisce il presupposto stesso della teoria sociologica”17 In breve: Messa in luce della dipendenza del benessere spirituale dell’uomo dalle concrete situazioni storiche in cui si trova ad esistere e, di conseguenza, messa in luce della necessità di trasformare concretamente il mondo; Società industriale e alienazione/impoverimento del lavoratore; Dicotomia borghesia/proletariato; Concetto di coscienza di classe e dittatura del proletariato. 17 A. Izzo, op. cit., p.120 13 Wilhelm DILTHEY (1833-1911) Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Studio sui fondamenti delle scienze dello spirito (1905), L’essenza della filosofia (1907), La costituzione del mondo storico (1910). Scrive Dilthey: Le scienze dello spirito si distinguono dalle scienze della natura, in quanto queste hanno come loro oggetto dei fatti che si presentano alla conoscenza dall’esterno, cioè come fenomeni singolarmente dati, mentre in quelle i fatti si presentano originariamente dall’interno, come realtà e come una connessione vivente […]. Noi spieghiamo la natura, mentre intendiamo la vita psichica […]. Ciò condiziona la grande differenza dei metodi con cui studiamo la vita psichica, la storia e la società, da quelli con cui è stata condotta la conoscenza della natura […]. I fatti della società sono comprensibili dall’interno … Invece la natura è per noi muta18. Mentre le scienze della natura quindi si devono limitare alla conoscenza esterna dei fenomeni, le scienze dello spirito, studiando l’uomo nella sua realtà storica e sociale, permettono una conoscenza dall’interno, sulla base dell’esperienza vissuta (Erlebnis) nella sua immediatezza dall’uomo. La differenza metodologica è l’effetto di una differenza di oggetto: la realtà naturale per le scienze naturali, gli individui per le scienze dello spirito.19 La possibilità di un sapere storico oggettivo è intravista da Dilthey nella capacità di risalire la realtà dall’interno, con uno sforzo di comprensione della stessa al di là della sua esteriorità, per ritrovarvi quell’io oggettivato in un tu, che è la dimensione storica. Per Dilthey l’uomo è storico e tutto è storico. Uscire dalla storia per cercare una spiegazione assoluta e globale della realtà è una pretesa illegittima. L’uomo è confinato nella finitudine della sua storicità, e solo a partire da tale storicità egli può sperare di costruire un senso e un significato.20 L’idea che non è possibile comprendere l’uomo al di fuori del contesto storico concreto in cui si trova ad esistere e che, come Dilthey ripetutamente affermò, la psicologia individuale è solo un’astrazione, forniscono un’importante idea sociologica che sembra aver trovato conferme in teorie sociologiche e psico-sociologiche posteriori21. Il problema sorge per Dilthey quando deve spiegare la possibilità di uno studio scientifico basato sulla partecipazione dall’ “interno”. “E’ questo il suo compito più difficile, che – si può sostenere – non troverà mai una risposta adeguata”22 In breve: Diversità di metodo fra scienze della natura e scienze dello spirito. 18 Il corsivo è mio N. Abbagnano, op cit. 20 ibidem. 21 A. Izzo, op.cit., p.135 22 ibidem 19 14 Wilhelm WINDELBAND (1848-1915) Windelband sostenne che tanto il mondo umano quanto quello naturale potevano essere studiati sia dal punto di vista del ripetersi dei fenomeni al fine dell’individuazione di leggi generali, sia dal punto di vista dell’unicità e dell’irripetibilità dei singoli eventi, e questo è quanto fa la storiografia. Abbiamo così, per Windelband, da un lato le scienze monotetiche, che studiano le leggi generali, e dall’altro le scienze idiografiche (o scienze dell’uomo), cioè del particolare e unico. Quanto poi al problema di come scegliere, nell’infinità degli eventi particolari, quelli di rilievo nella costruzione delle scienze ideografiche, è necessario per Windelband una “relazione ai valori”, concepiti da Windelband come universali, vincolanti per tutti e in tal senso garanti dell’universalità delle scienze storico-sociali. In breve: scienze monotetiche e scienze idiografiche scelta degli eventi significativi sulla base di un ancoraggio ai valori valido per tutti gli uomini. 15 Ferdinand TÖNNIES (1855-1936) La sua opera principale è Comunità e società (1887). Il processo sociale è caratterizzato secondo Tönnies da due modelli opposti di aggregazione sociale: 1) da un lato abbiamo la ‘comunità’ (Gemeinschaft), nella quale opera una volontà essenziale o organica (a seconda della traduzione del termine Wesenwille) che dà spontaneamente vita ai rapporti naturali e originari della famiglia e della vita comunitaria fondata su legami sentimentali e affettivi e su valori inconsapevolmente condivisi (autorità, pietà, lealtà, ecc.). La volontà essenziale è, come dice Tönnies, una sorta di “principio dell’unità della vita”, della quale anche “l’attività del pensare, al di là dei suoi specifici contenuti e progetti, ne è un attributo”23 2) dall’altro lato abbiamo la ‘società’ (Gesellschaft), basata su una volontà arbitraria (Kürwille). “Nella ‘società’ contrariamente a quanto avviene nella comunità, gli individui sono uniti contrattualmente piuttosto che naturalmente ed emotivamente, per cui in essa vige l’arbitrio della persona e l’egoismo. Le attività comuni non dipendono da un’unione reale, ma piuttosto dalla possibilità dei singoli di ricavarne un utile. (…) Mentre nella comunità gli oggetti non vengono tanto scambiati quanto piuttosto goduti in comune, nella società le persone sono in concorrenza l’uno con l’altro. Il rapporto economico, che costituisce il fondamento della società, non è fondato sul valore d'uso, ma sul profitto che si può ricevere dallo scambio"24. “L’opera di Tönnies si risolve in gran parte in una critica alla società capitalistica, urbana, industriale. Da essa non pare esservi scampo (…). Alla società (borghese, capitalistica, industriale, urbana, individualistica, convenzionale), Tönnies contrappone dunque la comunità, il vincolo naturale, spontaneo…”25 In breve: dicotomia società/comunità Georg SIMMEL (1858-1918) Studioso estremamente problematico e vario, Simmel viene presentato nell’ambito della sociologia come un “sociologo formale”, in quanto egli intese tratteggiare una sociologia appunto “formale”, ossia che individuasse rapporti che rimangono invariati al variare delle situazioni storiche. Premessa Interessato dalle discussioni sullo statuto delle scienze dello spirito (cfr. Dilthey), la prima fase del suo pensiero è caratterizzata dal tentativo di inserire la tradizione 23 ibidem, p.154 ibidem, p.153 25 ibidem, p.155 24 16 kantiana26 nel positivismo evoluzionistico27. Con la crisi del positivismo, Simmel entrò in una fase che, “pur muovendo dal riconoscimento di forme e valori ideali che sovrastano l’accidentalità empirica del mondo fenomenico, presenta una prevalente tendenza relativistica”28. Simmel ritiene infatti che le categorie sono a loro volta immerse nell’esperienza e quindi esse stesse prodotti storici. Per le scienze dello spirito non è dunque possibile la formulazione di leggi oggettive. Rifiutando in tale modo l’idea di un Io conoscente puro, che viene prima dell’esperienza, “Simmel ipotizza una soggettività immersa nel flusso vitale che ha coscienza di sé, della propria possibilità di conoscersi, e del mondo come elementi di tale flusso”29, abbracciando quindi una concezione dinamica della soggettività. in La differenziazione sociale (1890), che costituisce la prima opera sociologica importante di Simmel, egli afferma: - che la sociologia elabora i risultati già raggiunti da altre scienze; - che tuttavia l’azione conoscitiva compiuta sia dalla sociologia sia dalle altre scienze si configura come una interpretazione dei fatti30; - che la sociologia, poi, non può individuare delle leggi intese come cause uniche in quanto l’uomo è un essere complesso risultato di forze eterogenee, tanto che, spiega Simmel, “ogni normazione unitaria, ogni fissazione di una forma generale in questi rapporti non può essere che unilaterale”; - che la società non è né autonoma rispetto agli individui, né la somma degli stessi: è il risultato dinamico di un insieme di relazioni (Simmel ammette pure che l’interazione fra gli uomini “porta alla luce una formazione oggettiva che ha una certa indipendenza dalle singole personalità in essa coinvolte”); - che la crescente differenziazione interna alla società conduce ad un maggiore distinzione non solo fra gli individui, ma anche dei singoli aspetti degli individui. Analizzando tale problema dal punto di vista del crimine, Simmel mette in evidenza non solo come, col crescere della differenziazione, il crimine venga visto come opera del singolo e non del gruppo, ma come sia possibile differenziare singoli aspetti della vita di un individuo in rapporto con le varie interrelazioni sociali cui egli partecipa: emerge in tal senso il problema del condizionamento sociale. Simmel mette inoltre in evidenza come con l’aumentare delle dimensioni del gruppo i legami fra gli individui si facciano meno forti e ciò conduca ad un maggiore individualismo, il quale permette, a sua volta, una più ampia possibilità di rapporti fra gruppi diversi; La differenziazione sociale affronta anche altre tematiche che verranno riprese a più battute da Simmel (il problema del denaro, l’esistenza nella società 26 Kant riteneva che esistessero delle categorie a priori del conoscere, in virtù delle quali qualunque oggetto è conosciuto non per quello che è, ma per come noi soggettivamente (e universalmente, perché per tutti le categorie a priori sono le stesse) lo organizziamo. 27 Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano 1993, p.1057. Per il positivismo evoluzionistico si confronti Spencer. 28 Ibidem, p.1057. 29 Pier Aldo Rovatti (a cura di), Dizionario Bompiani dei filosofi, Bompiani, Milano 1990, p.363 30 Questa e le considerazioni che seguono sono tratte da A. Izzo, op. cit., pp.159-171 17 contemporanea di uno ‘spirito oggettivato’ che rende il lavoratore espropriato del senso della propria attività). Nonostante l’allontanamento dai presupposti metodologici tipici del positivismo, Simmel appare ancora molto legato a tematiche spenceriane, quale l’evoluzione intesa come passaggio dall’omogeneo all’eterogeneo. Problemi della filosofia della storia (1892). Simmel vi afferma che la conoscenza storica è sempre relativa, perché è frutto di un’interpretazione individuale. Filosofia del denaro (1900). Contraddicendo la tesi di Marx secondo cui è il tempo necessario a produrre un certo bene di consumo a determinarne il valore sul mercato, Simmel afferma che tale valore scaturisce dalla libera contrattazione di scambio. Il valore non è dunque intrinseco al bene, ma estrinseco. Simmel intende applicare tali considerazioni anche alle idee, che traggono il loro valore nel contesto relazionale in cui vengono espresse e si trovano a vivere ed operare. Per Simmel “ogni fenomeno deve essere considerato e può essere definito solo analizzando la rete di relazioni che intrattiene con gli altri fenomeni”. Dal fatto che “le cose trovano il loro senso l’una rispetto alle altre” consegue l’assenza del valore specifico di una cosa e il fatto che essa può essere sostituita col suo equivalente monetario. Dice Simmel: Il significato filosofico del denaro sta nel fatto che esso rappresenta nel mondo pratico l’immagine più certa e la realizzazione più evidente della formula generale dell’esistenza, secondo cui le cose acquisiscono significato l’una dall’altra, e sono determinate nella loro essenza dalle reciproche relazioni.31 Per Simmel ne consegue che il denaro viene a rappresentare “la forma più pura di interazione”. In ciò sta un’anticipazione della concezione Simmeliana della sociologia, intesa come studio delle forme32 dell’interazione a prescindere dai loro contenuti. Nel caso estremo del rapporto fondato sull’economia monetaria l’uomo può scomparire completamente. Dice Simmel: “il moderno cittadino della metropoli […] non dipende… da una singola entità determinata, ma soltanto da prestazioni oggettive, valutate in termini monetari, che possono essere fornite da persone qualsiasi e sostituibili […] Il rapporto del singolo con gli altri uomini dipende soltanto dal rapporto dell’uomo con le cose mediato dal denaro”. Si può anche evincere uno stretto legame tra economia monetaria e divisione del lavoro. La metropoli e la vita mentale (1903). Riprendendo il discorso del mutarsi dei rapporti fra gli uomini, da affettivi e personali in rapporti puramente quantitativi, economici e regolati dal denaro, Simmel mette in luce come anche le caratteristiche qualitative dell’individuo tendono ad essere tradotte in termini quantitativi. Dice Simmel: “lo sviluppo della cultura moderna è caratterizzato dalla preponderanza di ciò che si potrebbe chiamare ‘spirito oggettivo’ sullo ‘spirito soggettivo’ ”. 31 32 in Pier Aldo Rovatti (a cura di), op. cit., p.363. per forma, qui come altrove, si intendono gli aspetti strutturali in quanto contrapposti agli aspetti contenutistici. 18 Il testo Soziologie è del 1908. Simmel elabora una sociologia formale il cui scopo è studiare le forme 33 pure dello stare insieme34: come la geometria studia le forme dei corpi a prescindere dalle dimensioni e dalla materia, così la sociologia dovrebbe studiare le ‘forme della sociazione’ quali la superiorità e la sottomissione, la concorrenza, la rappresentanza, la solidarietà di gruppo, ecc. prescindendo dalla concretezza e dalla storicità in cui esse appaiono. Ponendosi il problema del metodo della sociologia, Simmel prende in esame Kant e la sua tesi delle categorie conoscitive35 per rilevare subito una differenza fra la conoscenza della natura e la conoscenza della società, in quanto la natura è estranea all’uomo, mentre la società è costituita da individui che vivono in essa e ad essa danno significato. Simmel individua le seguenti categorie a priori senza le quali una società non potrebbe esistere: 1) noi non cogliamo mai una persona nella sua totalità, ma sempre in relazione a qualche categoria sociale in cui la collochiamo; 2) la vita non è interamente sociale e permane uno scarto tra ciò che è sociale e comunicabile e ciò che è altro; 3) a priori della disuguaglianza: la società può esistere solo come insieme di elementi differenziati. Un cenno va fatto all’ultima fase del pensiero di Simmel, che lo vede impegnato a sottolineare una dialettica tra vita e forma, per la quale la vita crea sempre delle forme stabili entro le quali rimane vincolata e che cerca poi di superare. Da un lato lo spirito tende a rimanere chiuso nelle forme che lui stesso ha creato e dall’altro a superarle. Tale stemperamento in un teorizzazione metastorica gli attirerà le critiche del suo allievo G. Lukàcs, che lo accuserà di dimenticare di porre sotto accusa specifiche e concrete strutture economiche e politiche. 33 vedi nota precedente. Questa definizione e le seguenti sono contenute in A. Izzo, cit. pp. 167-171. 35 Cfr. nota 26. 34 19 Max WEBER (1864-1920) Fra i 1903 e il 1906 scrive i principali saggi sul metodo: Roscher e Knies e i problemi logici della scuola storica dell’economia politica (1903-1906); L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale (1904) e gli Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura (1906). Negli stessi anno pubblica l’opera cui deve gran parte della sua notorietà: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904). Le ricerche che Weber porterà ancora a termine riguardano in particolare la sociologia della religione e la sociologia del potere, in stretta connessione con l’ideale politico della compresenza di democrazia parlamentare e di potere carismatico. La summa delle analisi sociologiche di Weber – Economia e società – uscirà postuma nel 1922. L’impostazione weberiana delle scienze sociali procede dalla distinzione che lo storicismo tedesco aveva operato tra scienze dello spirito e scienze della natura (cfr. Dilthey). Se, con le prime, veniva affermato che la storia non può essere compresa a partire dal concetto di causa così come lo intendono le scienze naturali, il passo metodologico36 di Weber consiste inizialmente nel recuperare la causalità, recupero che non è finalizzato ad un’impossibile spiegazione universalmente valida di un fatto storico, ma ad un’interpretazione che abbia valore solo all’interno di quelle configurazioni storiche che egli chiama tipi ideali (vedi sotto). Per Weber la realtà oggettiva presa così com’è senz’alcuna interpretazione è solo caos. Se il criterio per definire una spiegazione scientifica è la sua capacità di produrre spiegazioni causali, una spiegazione causale è possibile solo se si adotta un particolare punto di vista e una selezione della realtà da esaminare. Tale selezione si opera con riferimento a dei valori – dove con ‘valore’ Weber non intende il riferimento ad un ambito normativo di carattere universale, ma solo come ciò che ci permette di interrogare la realtà da un qualche punto di vista e di fornire delle spiegazioni che, dunque, saranno in relazione a questi punti di vista ‘valoriali’. Tutto ciò ha come effetto l’impossibilità che la scienza si ritenga definitiva. 37. Dirà Weber: “l’essere superati sul piano scientifico non è solo il nostro destino, ma anche il nostro scopo”. Adottando un particolare punto di vista scaturisce un costrutto mentale che Weber chiama tipo ideale. Il tipo ideale è uno strumento metodologico, che in realtà opera una riduzione della complessità della realtà al fine di rendere comprensibile il fenomeno storico che si vuole indagare. Concetti come feudalesimo, cristianesimo, capitalismo ne sono esempi. La validità di un costrutto ideal-tipico dipende dalla sua efficacia, cioè dal fatto che funziona nell’aiutarci a comprendere concreti fenomeni culturali.38 Collegato al discorso sugli idealtipi è il problema di come possa lo storico determinare il peso di una causa nel verificarsi di un evento. Lo storico adotta una sorta di metodo differenziale, immaginando uno sviluppo possibile; per determinare il Per metodo si intende tutto quell’insieme di prescrizioni e indicazioni tramite le quali si ritiene di poter acquisire la certezza in campo conoscitivo. 37 Abbagnano, op.cit. 38 Enciclopedia filosofica Garzanti, op. cit., p.1212 36 20 peso di una causa proverà ad escluderla per verificare quale evoluzione avrebbe avuto l’evento storico senza di essa.39 I giudizi storici esprimono delle possibilità oggettive. Nel saggio Alcune categorie della sociologia comprendente (1913), Weber definisce essere l’oggetto della sociologia le uniformità dell’agire umano, quali si riscontrano nell’azione sociale dotata di senso e rivolta verso altri individui. Dice Weber: “per agire si deve intendere un atteggiamento umano se e in quanto l’individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo”. Il ‘senso’ dell’agire si definisce in relazione alla situazione e agli altri uomini. Esso viene percepito soggettivamente. E’ tale ‘senso’ ciò che propriamente la sociologia deve penetrare e comprendere. Weber propone una ideal-tipizzazione dell’agire sociale in base all’orientamento di senso. Weber tenta anche di gerarchizzare tali tipi ideali disponendoli secondo un criterio di crescente razionalità: da un minimo di razionalità, caratterizzato dalla fedeltà alla religione, al calcolo razionale in vista di uno scopo. L’agire sociale può essere determinato: 1) in modo razionale rispetto allo scopo; 2) in modo razionale rispetto al valore; 3) in modo affettivo; 4) in modo tradizionale. L’agire razionale rispetto allo scopo è ciò che caratterizza lo sviluppo del capitalismo40. La progressiva applicazione del calcolo razionale ha prodotto quella che Weber chiama la razionalizzazione o il disincanto del mondo. Dice Weber: “la scienza ci fa vedere nella realtà esterna unicamente forze cieche che possiamo mettere al nostro servizio”; “non occorre più ricorrere alla magia per dominare o ingraziarci gli spiriti”. Il moderno razionalismo è molto di più che non la sola economia capitalistica; è un processo di razionalizzazione di tutti gli aspetti del mondo occidentale moderno, anche se ciò che Weber pone al centro della sua analisi è il criterio della razionalità con cui l’imprenditore capitalista persegue la meta dell’acquisizione di ricchezza. Oltre a individuare nel processo di razionalizzazione l’essenza del capitalismo, Weber, in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5) ha messo in luce come il capitalismo moderno debba all’etica protestante e calvinista la sua forza propulsiva. Le sette calviniste credettero di trovare nel successo mondano un segno del loro essere predestinati alla salvezza; d’altra parte la prescrizione all’ascetismo portava tali sette a non godere del profitto ma a reinvestirlo continuamente. In breve: la realtà viene sempre interpretata a partire da un determinato punto di vista, che implica il riferimento ai “valori”; dall’interpretazione scaturisce una costruzione ideale (“tipo ideale”),, che serve per comprendere la realtà senza alcuna pretesa di comprenderne il significato; 39 cfr. Abbagnano, op.cit. e Enciclopedia filosofica Garzanti, op. cit., p.1212 Naturalmente la razionalità formale è un idealtipo che permette di spiegare in termini di maggiore o minore vicinanza al tracciato ideale, come deviazioni dal corso puramente razionale (in Enciclopedia filosofica Garzanti, op. cit., p.1212) 40 21 i tentativi di spiegazione causale dei fatti storici devono tener conto di tali idealtipi. 22 Gli ELITISTI. Il termine élite è “usato per indicare una minoranza alla quale è socialmente riconosciuta una qualche superiorità e la possibilità di influenzare alcuni, o tutti, i settori della vita sociale. L’idea di élite tende quindi a coincidere con l’idea di minoranza politica dirigente. I teorici della élite (V. Pareto, G. Mosca, R. Michels) , concentrando le loro analisi sulle élites al potere, le considerano essenzialmente come una minoranza di governo o un’oligarchia, e riconoscono che processi di oligarchizzazione del governo sono inevitabili anche nelle democrazie, in quanto minoranze organizzate finiscono fatalmente per prevalere su maggioranze disorganizzate”41. Gaeteano MOSCA (1858-1941) Elementi di scienza della politica (1896), Lezioni di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche (1933) “Le teorie di Gaetano Mosca appaiono strettamente collegate con gli eventi storici dell’Italia del periodo, e, come sempre, non sono comprensibili se estraniate dal loro contesto”42. Il Risorgimento è stato un movimento sostenuto non da tutta la collettività, ma da una minima parte della stessa. La democrazia dell’800 italiano si fondò su tale base ristretta. La destra che governò nei primi anni dopo la proclamazione del Regno d’Italia gestì il Paese in modo oligarchico. Ma anche la sinistra di Depretis si macchiò di trasformismo, tramite alleanze con gruppi clientelari che gli permisero di conservare il potere. Pesa sulle idee di Mosca e degli altri fautori delle teorie dell’élite tale pessimismo verso la democrazia, quale storicamente l’avevano appresa, e di conseguenza l’idea che “le organizzazioni politiche migliori sono quelle che permettono una ‘difesa giuridica’ dall’egoismo della classe politica grazie alla presenza di una pluralità di poteri e di gruppi (pluralismo e separazione dei poteri)”43. Si veda a proposito della pluralità dei poteri il testo, Storia delle dottrine politiche (1933), nel quale Mosca tratteggia un’organizzazione oligarchica basata sullo ‘stato-città’, dove, dice Mosca, “le funzioni di governo sono distribuite non secondo il territorio, ma secondo la natura di esse. Perciò la direzione militare viene separata da quella giudiziaria e questa da quella finanziaria […], ognuna delle quali riceve impulso dall’organo centrale dello Stato”. In tale contesto Mosca sembra arrivare a prendere le distanze dalle sue più intransigenti posizioni giovanili, ammettendo la possibilità storica, all’interno dello stato-città, di un’organizzazione liberale, nel senso della formazione della classe politica dal basso verso l’alto, cioè che i funzionari vengano creati dal suffragio di coloro che dovranno loro sottostare. 41 Enciclopedia filosofica Garzanti, cit., p.305 A. Izzo, op. cit., p.214 43 Enciclopedia, op. cit., p.769 42 23 Vilfredo PARETO (1848-1923) Scrive: - Corso di economia politica (1897-8); - Manuale di economia politica (1906); - Il monumentale Trattato di sociologia generale del 1916. Pareto si occupa più ampiamente di sociologia, laddove Mosca fu soprattutto uno scienziato della politica (fu infatti professore di Storia delle dottrine politiche). Pareto riprende, ridefinendolo, l’oggetto della sociologia così come lo aveva inteso Weber. Se per Weber l’oggetto specifico della sociologia sono le “azioni sociali”, Pareto aggiunge che occorre distinguere le azioni logiche dalle azioni non logiche. “Nel Corso e nel Manuale, infatti, Pareto concepisce l’economia come quella scienza che ha per oggetto le azioni logiche degli uomini, quelle in cui essi scelgono i mezzi obiettivamente adeguati al raggiungimento dei fini desiderati. Ciascun soggetto è mosso dai suoi fini (“gusti”) e agisce entro un ambito determinato dalle disponibilità di beni o dalla tecnologia (“ostacoli”). Scopo finale dell’economia politica è descrivere le condizioni dell’equilibrio finale tra gusti e ostacoli.”44. Nei suoi studi economici, Pareto è un assertore della teoria del laissez faire, ossia del liberalismo economico. Nei suoi studi sociologici divenne sempre più perplesso circa la possibilità di esaurire la conoscenza dell’attività umana attraverso l’uso di categorie economiche. In questa ottica lo studio della sociologia rappresenta per Pareto il logico completamento di quello dell’economia. Così come aveva definito le condizioni di equilibrio nell’ambito dell’economia politica, Pareto si chiede ora per la sociologia quali siano le condizioni di equilibrio del sistema sociale. Pareto distingue allora, come detto sopra, le azioni logiche da quelle non-logiche (definite per differenza rispetto a quelle logiche). Per Pareto l’aspetto irrazionale dell’uomo gioca un ruolo importante nel determinare le sue azioni. “Le azioni non logiche sono quelle in cui non vi è consapevolezza dell’adeguatezza dei mezzi rispetto ai fini (come avviene per gli istinti del mondo naturale) e quelle in cui l’adeguatezza è solo soggettiva e non oggettiva”45. In quest’ultimo caso l’azione è influenzata da fattori estranei alla definizione puramente logica dell’azione(come quelli culturali o legati alla tradizione). Pareto si interessa così delle ‘teorie’, intese come sistemi di credenze associate alle azioni, che svolgono un ruolo centrale nella società, proprio in quanto fanno appello a componenti non scientifiche che dominano il comportamento umano. “Nel Trattato Pareto distingue, all’interno delle teorie non logico-sperimentali, le derivazioni (argomentazioni quasi logiche con cui gli uomini razionalizzano a posteriori i loro istinti e sentimenti)46 e i residui (ciò che resta della teoria dopo averne scrostato la “vernice logica”) . Sono questi gli elementi costitutivi del sistema sociale, quelli che danno a ogni società la sua particolare forma” 47. 44 ibidem, p.837 ibidem 46 Spiega Pareto nel Trattato: “L’animale, che non ragiona, che compie solo atti di istinto, non ha derivazioni; l’uomo, invece, prova il bisogno di ragionare e inoltre di estendere un velo sui suoi istinti e sui suoi sentimenti…” , in A. Izzo, op. cit., p.223. 47 Enciclopedia, op. cit., p. 838. 45 24 Per quanto dunque “l’idea della maggiore influenza dell’irrazionale piuttosto che del razionale nella vita dell’uomo sta alle fondamenta di tutta la sociologia di Pareto … egli, per quanto riguarda la scienza … rimane sostanzialmente ottimista. Il suo ottimismo epistemologico48 consiste nella convinzione che lo scienziato ha la possibilità di attenersi esclusivamente ai fatti e di osservarli oggettivamente” 49. “Lo schema dei residui e delle derivazioni costruito da Pareto ha l’esplicito intento di dimostrare come non possa esservi affermazione valida al di fuori del metodo logicosperimentale, cioè della scienza. Essa sola può far uscire l’uomo, e solo come scienziato, dall’insieme dei condizionamenti… Tutto il resto della vita umana è regolato dai residui e dalle derivazioni, che ‘s’incontrano ogniqualvolta si studiano teorie e ragionamenti che non siano rigorosamente logico-sperimentali’ “50. L’applicazione più famosa di questo apparato teorico è costituita dalla teoria della circolazione delle élites. Per Pareto i residui sono sempre distribuiti in modo ineguale tra i membri della società, per cui ogni società sarà divisa tra il gruppo dei più dotati (élite o classe dominante) e quello dei meno dotati (classe dominata). La società in cui il ricambio delle élites è garantito i modo continuo e regolare è la società ideale , che vive in condizioni di equilibrio dinamico. Se il ricambio cessa, la società può trovarsi in un equilibrio statico oppure in un disequilibrio che può portare al suo sovvertimento e a un nuovo sistema politico-sociale (rivoluzione). Ma a differenza del materialismo storico o del darwinismo sociale, giudicati da Pareto dottrine pseudoscientifiche, in questa visione il passaggio da un sistema sociale ad un altro non comporta alcun elemento di progresso.51 In Pareto troviamo una scissione radicale fra l’idea, da un lato, tipica della sociologia ottocentesca, secondo cui la scienza della società può contribuire al miglioramento della società stessa e, dall’altro, la concezione di un pessimismo antropologico per il quale gli uomini sono e resteranno sempre esseri essenzialmente irrazionali, i quali hanno bisogno di fede più che di scienza, di derivazioni più che di scoperte scientifiche. Eppure Pareto non sembra ammettere che tale principio d’irrazionalità coinvolga la sua stessa teoria: essa si profila come verità astorica, in virtù della quale la storia è vista come moto circolare di circolazione delle élites. L’aspetto più importante e attuale del pensiero di Pareto va visto soprattutto nella sua critica alle ideologie. 52 In breve: azioni logiche e azioni non logiche; “derivazioni” e “residui”; teoria sulla circolarità delle élites. L’epistemologia è l’indagine critica sulla struttura e i modi di conoscenza della realtà e, in particolare, della scienza (cioè la valutazione critica – se sono giusti o meno – i metodi adottati dalla scienza per conoscere la realtà) 49 A. Izzo, op. cit., p.220. 50 ibidem, p.224 51 Enciclopedia, cit., p. 838 52 in A. Izzo, op. cit., pp.226-8 48 25 Roberto MICHELS (1876-1936) Fortemente influenzato dalla cultura tedesca, dal marxismo, dal socialismo e da Weber, di cui fu allievo, si convinse successivamente dell’inutilità dell’ “azione diretta” delle masse verso il potere e sostenne il prevalere, nella corsa al potere, delle organizzazioni politiche istituzionalizzate53. Nell’opera più famosa di Michels, La sociologia del partito politico, si esprime, con astio anti-socialista e anti-democratico, tale concetto dell’impossibilità della partecipazione delle masse alla gestione del potere. Il potere, infatti, può di fatto essere conservato solo attraverso un’organizzazione, la quale a sua volta richiede l’esistenza in essa di personale specializzato e si ha quindi la tendenza al monopolio della direzione e della rappresentanza politica da parte di un’élite di politici di professione. Ne consegue che la democrazia è solo una finzione. Ciò porterà spesso Michels a denigrare le masse passive, disposte a sottomettersi al carisma dei capi senza comprenderli. Michels diventò un sostenitore esplicito del fascismo. “Questi suoi atteggiamenti rimangono tuttavia di secondaria importanza rispetto al principio fondamentale della sua opera. Tale principio ha trovato certo storicamente più conferme che smentite. Come Michels aveva sostenuto, infatti, anche all’interno dei regimi che si rifanno al marxismo e alla democrazia parlamentare, le tendenze oligarchiche sulla base dei principi dell’organizzazione, della specializzazione e della burocratizzazione sono effettivamente apparse insuperabili. 53 ibidem, p.229 26 Le origini della sociologia nord-americana Tratti generali La sociologia è nata in Europa. Sulla sociologia europea hanno pesato i problemi politici, di lotta di classe, dell’industrializzazione. La sociologia nordamericana ha invece spesso ripudiato queste problematiche di carattere più generale per circoscriversi, in modo maggiormente empirico, alla formulazione di teorie più aderenti alla realtà, tendenti piuttosto alla psicologia sociale. Il tratto caratteristico della sociologia nordamericana è dunque, nonostante i rimandi alla tradizione europea, il risvolto fortemente pragmatico: “la sociologia si sviluppa in gran parte come studio per la soluzione di … problemi ‘concreti’: immigrazioni, tensioni ‘razziali’, povertà, delinquenza, mancata integrazione nei valori prevalenti, alcolismo, divorzio, ecc.”. Non mancano tuttavia scuola sociologiche che si rifanno al pensiero europeo, ma con due differenze: 1) se in Europa la concezione illuministico-romantica di un progresso era in parte andata persa, nell’America del Nord è fortemente presente un ideale pionieristico che risente fortemente dell’influenza evoluzionistica; 2) l’America del nord è molto influenzata dalla tradizione religiosa protestante. William G. SUMNER (1840-1910) In una prima fase, caratterizzata dal pensiero di H, Spencer (vedi parte 1) e da certi aspetti dell’etica protestante (Sumner era stato pastore presbiteriano), i suoi lavori si muovono nell’ambito del darwinismo sociale, del quale Sumner fu considerato in America l’esponente più autorevole. In saggi dal titolo trasparente (L’assurdo sforzo di rifare il mondo; Il potere e l’azione benefica del capitalismo, ecc.), Sumner difende il ruolo “naturale” della borghesia in base ai concetti di lotta per l’esistenza e di selezione naturale: egli insiste in tale contesto sui benefici effetti della concorrenza, della disuguaglianza e del potere del capitalismo e dell’industria.54 A partire dal 1893 si dedica ad un grande lavoro di ricerca comparata sulle culture55 che sfocerà nella sua opera fondamentale, Costumi di gruppo (1906). I costumi di gruppo (folkways) sono usanze collettive imitate e ripetute: originariamente sorte, dice Sumner, come “abitudini dell’individuo e costumi della società … da sforzi intesi a soddisfare i bisogni”, una volta rivelatisi efficaci per l’azione sociale e l’ordine della società, si fissano in modelli di comportamento. Dai folkways derivano i mores, quando ai folkways si è “associata la convinzione che essi contribuiscono al benessere sociale”56. Le istituzioni si differenziano infine sia dai folkways che dai mores in quanto ‘hanno un carattere di consapevolezza e volontarietà’ (Sumner). Altra categoria elaborata da Sumner è quella dell’in-group, o “gruppo-di-noi” o gruppo interno, e dell’out-group, o “gruppo-di-altri” o gruppo esterno. I primi sono 54 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, pp.11220-21 per ricerca comparata sulle culture si intende la messa a confronto delle culture di popoli diversi per rilevarne i rapporti di derivazione o imitazione 56 Izzo, p.251 55 27 caratterizzati da atteggiamenti che Sumner definisce etnocentrici. L’esistenza stessa del gruppo-di-altri rende maggiore la coesione del gruppo-di-noi, aumenta la solidarietà57. Sumner, e questo costituisce per Izzo forse il contributo più rilevante di Sumner alla storia del pensiero sociologico, critica l’atteggiamento etnocentrico, quello per il quale “il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto ad esso” (Sumner). In breve: folkways, mores, istituzioni in-group/out-groups critica all’etnocentrismo Thorstein VEBLEN (1857-1929) Per il prof. Villa in Sumner abbiamo una sociologia di tipo giustificativo, che cerca di spiegare come nella società multietnica nordamericana possa esservi un equilibrio; in Veblen, viceversa, è ravvisabile una posizione molto più critica, una sociologia del conflitto più che una sociologia del consenso. Scrive Izzo: “Veblen è considerato spesso come il primo esponente del filone critico della sociologia nordamericana, e certamente l’aspetto critico e dissacrante è fortemente presente nella sua opera, ma in essa non vanno neppure sottovalutati gli aspetti tipicamente nordamericani, legati all’efficientismo e allo spirito pionieristico”58. Figlio di piccoli proprietari terrieri norvegesi immigrati negli Stati Uniti, Veblen ha difficoltà ad avanzare nella carriera accademica. Nella sua opera La teoria della classe agiata (1899), anticipando il temi tipici di certa sociologia successiva, Veblen mette in evidenza come il consumo, lungi dal rispondere solamente a bisogni biologici, diventi nelle classi sociali più elevate un “consumo opulento” o “vistoso” volto ad incrementare il prestigio personale. Lo schema teorico adottato da Veblen è tuttavia prettamente evoluzionistico. Egli individua una dicotomia fra capitani d’affari e capitani d’industria (o fra business e industry): gli uni interessati solamente alla ricerca del profitto, gli altri all’aspetto tecnologico ed effettivamente produttivo. Da questa posizione, in qualche modo critica nei confronti dei “predoni della finanza”59, interessati al profitto e non ad un effettivo sviluppo della produttività, deriva l’importanza assegnato da Veblen ai tecnici e ai lavoratori produttivi nell’evoluzione del sistema economico verso un ordinamento di tipo socialista.60 “La dicotomia in questione ritorna a proposito della cultura: abbiamo quella fondamentalmente inutile, basata sui riti magici e sull’animismo, la quale è solo un ‘sottoprodotto’ della classe agiata, cioè della classe che non lavora e considera quindi 57 ibidem, p.252 ibidem, p.253 59 cfr. Ferrarotti in Izzo, op.cit. p.255 60 cfr. Enciclopedia, cit., p.1189 58 28 la cultura come fine a se stessa e come ornamento che testimonia una presunta superiorità sociale; e cultura tecnologica e produttiva, considerata generalmente inferiore alla prima, ma in realtà superiore”61 In breve: impianto teorico evoluzionistico il consumo opulento o “vistoso” dicotomia fra capitani d’industria e capitani d’affari cultura produttiva e cultura inutile George H. MEAD (1863-1931) Appartiene più al campo della psicologia sociale che a quello della sociologia in senso stretto. L’opera in cui gli allievi hanno raccolto l’insegnamento del maestro è Mente, sé e società (1934). E’ considerato il fondatore della scuola psico-sociologica denominata interazionismo simbolico. Questa definizione del pensiero di Mead si deve a Blumer (vedi oltre). Partendo da una prospettiva evoluzionistica e dal problema di come l’uomo venga a costituirsi come animale razionale, Mead si interessa della formazione sociale dell’io e dell’origine della mente. In tal senso obietta a Wundt di considerare la mente e l’individuo come qualcosa di precostituito rispetto al processo dell’esperienza. Per la messa in luce del ruolo dell’esperienza, Mead si collega così alla psicologia comportamentista, distanziandosene però perché per Mead è possibile, a differenza di quanto riteneva il comportamentismo, studiare il “privato” di un individuo e non solo i comportamenti osservabili: il privato, infatti, non è un a priori del comportamento, ma si forma tramite l’interazione e la comunicazione. Nell’interazione con altri individui, nella reazione di un “organismo” ad un “gesto” di un altro organismo, cioè all’interno delle relazioni sociali, si vengono a costituire i significati. La “mente”, e con essa il linguaggio, si sviluppa in questo processo di interazione: il potersi vedere del soggetto come oggetto a se stesso è possibile solo in quanto l’individuo apprende a vedersi e a considerarsi come lo considerano gli altri. Quando i gesti vengono compiuti consapevolmente, gli interlocutori acquisiscono un Sé (Self).62 Esiste poi per Mead una continua dialettica fra il “me”, risultato dell’interiorizzazione nel processo di socializzazione, e dell’ “io”, risposta spontanea e selettiva del soggetto, che agisce attivamente sul contesto sociale, modificandolo. Un concetto chiave della teoria sociale di Mead è in tal senso quello di ruolo e i suoi scritti su questo argomento sono diventati fondamentali per quella che in seguito fu chiamata la “teoria dei ruoli” nella sociologia, nella psicologia sociale e nella antropologia culturale63 In breve: Izzo, cit., p256. Il Sé, chiarirà Blumer, è la capacità dell’uomo di diventare oggetto a se stesso (ibidem, p. 382) Cfr. Izzo, cit. 258-260 e Pier Angelo Rovatti (a cura di), Dizionario Bompiani dei filosofi, Bompiani, Milano 1990, pp. 267-8 63 Peter L. Berger, Brigitte Berger, Sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna 1977, pp. 45-6 61 62 29 L’io, i significati, la mente e il linguaggio si sviluppano nel processo di interazione con gli altri Dicotomia me/io e concetto di ruolo (teoria dei ruoli) L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO DOPO MEAD: Herbert BLUMER L’espressione interazionismo simbolico con cui si usa definire la teorizzazione di Gorge H. Mead si deve a Blumer, che chiarisce i principi fondamentali della scuola creata da Mead. Egli spiega: l’interazionismo simbolico si basa in ultima analisi su tre semplici premesse: [1] […] gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose in base ai significati che tali cose hanno per loro; […] [2] […] il significato di tali cose è derivato dall’interazione sociale che il singolo ha con i suoi simili; […] [3] […] questi significati sono elaborati e trasformati in un processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affontare le cose in cui si imbatte. (Blumer 1969) Queste affermazioni, sostiene Blumer, possono sembrare ovvie, ma in realtà le scienze sociali si comportano all’opposto di quanto affermano questi principi: in esse il significato è dato per scontato […] [vi] è la tendenza a considerare il comportamento umano come il prodotto dei vari fattori che agiscono sugli esseri umani; l’interesse è rivolto così al comportamento e ai suoi fattori considerati come ciò che lo produce. Così, gli psicologi si rivolgono a fattori quali gli stimoli, gli atteggiamenti, i motivi consci o inconsci, a vari tipi di energie psicologiche, alla percezione e alla cognizione… In modo simile, i sociologi si basano su fattori quali la posizione sociale, le esigenze di status, i ruoli sociali, le prescrizioni culturali, le norme e i valori, le pressioni sociali, l’affiliazione di gruppo per fornire tali spiegazioni. In entrambe queste tipiche spiegazioni psicologiche o sociologiche i significati delle cose per gli esseri umani sono o trascurati o ridotti ai fattori usati per spiegare il loro comportamento (Blumer 1969, 2-3, il grassetto è mio). Dato che “i significati sono costituiti attraverso un processo di interazione sociale”, Blumer privilegia un’interpretazione della situazione a partire dalle persone che vi agiscono e ai significati che di conseguenza ne nascono. Al contrario, continua a scagliarsi contro i concetti più comuni della teoria sociologica: status, ruolo, norme, valori, modelli culturali, ecc. e in particolare contro l’uso di questi concetti che voglia far derivare l’attività degli esseri umani direttamente dalla forza esercitata dalla loro appartenenza a una determinata cultura. La sua concezione, fortemente caratterizzata da convincimenti antideterministici, ha delle conseguenze metodologiche. Se, in luogo della sociologia “convenzionale”, per la quale l’azione dei soggetti è da riportare ad attributi fissi e generali, la scienza sociale ha invece a che fare con significati sempre mutevoli, ne deriva che quei concetti che per la teoria sociologica convenzionale sono “prescrizioni circa cosa vedere”, per Blumer diventano “concetti sensibilizzanti”, che si limitano a fornire indicazioni circa cosa guardare. “La critica principale che può essere rivolta all’interazionismo simbolico è che esso, riducendo tutto al rapporto significativo tra ‘unità agenti’, rischia di lasciare al di 30 fuori del suo ambito problematico gli aspetti della società, che, pur avendo avuto anch’essi origine nell’interazione, hanno poi assunto carattere di autonomia rispetto ai singoli e alle loro scelte. Questo è il problema tradizionale della sociologia, senza il quale la sociologia cessa di essere per risolversi in psicologia sociale. Non a caso, infatti, l’interazionismo simbolico nasce nell’ambito della psicologia sociale”64 William I. THOMAS (1863-1947) e Florian ZNANIECKI (1882-1958) e la Scuola di Chicago Thomas e Znaniecki insegnavano all’Università di Chicago, un’istituzione che negli anni venti e all’inizio degli anni trenta fu senza dubbio al centro di quasi tutte le correnti vitali e innovatrici della sociologia americana. La denominazione “Scuola di Chicago” stava ad indicare un intero gruppo di sociologi che in quel periodo lavoravano a Chicago. I loro principali interessi erano rivolti alla città. La scuola di Chicago fu all’origine di quella che più tardi si sarebbe chiamata sociologia della disorganizzazione e della devianza.65 Occorre ricordare che nel 1870 la città di Chicago venne distrutta dal fuoco (Chicago fire). La ricostruzione fu una grande occasione di sviluppo e anche di richiamo di immigrati. Ne scaturirono difficoltà di amalgama fra le tante persone confluite nella città e l’emergere di fenomeni di ghettizzazione, prostituzione, alcolismo, delinquenza, ecc. Gli industriali finanzieranno un istituto di sociologia per cercare di capire i fenomeni presenti in quella società e per cercare di risolverne i conflitti.66 Thomas e Znaniecki diedero un’impostazione pragmatica alla loro indagine sociologica. La sociologia doveva studiare i problemi della difficile integrazione nelle aree urbane. Più in particolare essi studiarono il mutamento sociale sia all’interno della società polacca, sia tra i polacchi immigrati in America. Rilevarono un cambio di valori rispetto a quelli tradizionali della società contadina polacca, con l’affermarsi di un individualismo edonistico votato alla ricerca del successo. Vennero ideate delle tecniche di indagine consistenti nel costruire delle storie di vita (tramite la raccolta di documenti preesistenti) e l’analisi della stampa popolare. A livello teorico, gli autori distinsero fra l’atteggiamento, che è un orientamento della coscienza individuale, e il valore sociale, che è una realtà che ha valore per i membri di una società. Fra i due vi è un reciproco legame, che il sociologo non deve trascurare. Nella celebre ricerca empirica su Il contadino polacco in Europa e in America (1918-20) si afferma che esistono alcuni desideri comuni a tutti. Essi sono: 1) il desiderio di esperienze nuove, 2) il desiderio di riconoscimento, 3) il desiderio di dominio, 4) il desiderio di sicurezza. 64 Izzo, cit.. p.386 idibem, p.45 66 prof. Francesco Villa, appunti dalle lezioni 65 31 I CONTEMPORANEI Per Alberto Izzo esiste una difficoltà nell’individuare le correnti sociologiche rilevanti della contemporaneità, in quanto è andato perduto il profilo della sociologia come disciplina accademica istituzionalizzata e codificata. Poste queste considerazioni, Izzo afferma che la scelta delle scuole da studiare non appare particolarmente difficile nei confronti dello struttural-funzionalismo e della teoria critica della società (la cosiddetta Scuola di Francoforte). Grande importanza ha assunto negli anni recenti l’orientamento fenomenologico. 32 LO STRUTTURAL-FUNZIONALISMO Il funzionalismo è una delle teorie antropologiche e sociologiche più importanti e influenti del Novecento. Nasce dall’abbandono in tali discipline dei tentativi di spiegare le strutture sociali con la loro origine storica, o con la loro particolarità geografica o epocale, per insistere invece sulle funzione che tali strutture svolgono a favore della società o di parti di essa. Il funzionalismo si chiede quale contributo un’attività dia all’esistenza di un’unità sociale più ampia.67 Il prof. Villa mette in evidenza come lo struttural-funzionalismo adotti una concezione sistemica della società. Secondo Izzo, per il funzionalismo l’obiettivo della società è l’integrazione: per ogni ‘attività ricorrente’ ci si deve interrogare quale funzione e contributo dia al “mantenimento della continuità strutturale”68. I Berger definiscono lo struttural-funzionalismo nella seguente maniera: Questo tipo di approccio allo studio della società (elaborato originariamente in Inghilterra dagli antropologi culturali) considera la società stessa come un sistema in azione, in cui ogni parte funziona comunque in rapporto con tutte le altre. Tutti i rilevamenti sulla società possono quindi essere analizzati come funzionali o disfunzionali nel conservare il sistema sociale. Nell’America degli anni cinquanta lo struttural-funzionalismo è stato probabilmente l’aspetto predominante della teoria sociologica, e solo molto recentemente la sua influenza ha subito un certo declino.”69 Izzo mette in evidenza come l’accentuazione dello struttural-funzionalismo dell’elemento della coesione sia stata molte volte criticata come il suo limite più palese. Concentrandosi solo sull’accentuazione funzionalistica dell’equilibrio, si “può solo spiegare come si riducono o si eliminano i conflitti, mai come e perché vengono in vita o come e perché si intensificano70 Talcott PARSONS (1902-1979) L’analisi sociologica di Parsons segna una svolta profonda nello studio dei fatti sociali. Opponendosi ai modelli storicistici ed evoluzionistici della sociologia tradizionale, egli si orienta verso uno studio della vita sociale che ne affronta i fenomeni da un punto di vista funzionale e strutturale. Lo scopo è di fornire una elaborazione concettuale al più alto livello di astrazione che sia in grado di ricondurre ad un modello sistemico strutture e processi sociali anche molto distanti tra loro. Il nucleo della sua indagine si situa nella relazione funzionale che intercorre tra il sistema sociale e l’agire individuale, dove quest’ultimo è inteso non come ciò che produce una particolare configurazione del sistema, ma come ciò che, data una struttura sociale, ne può soddisfare le molteplici funzioni.71 67 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, cit. p.412 Radcliffe-Brown 1963, 181, citato in Izzo, op. cit. p.282 69 Peter L. Berger, Brigitte Berger, op. cit., pp.46-7 70 Harris 1971, p.751, citato in Izzo, op. cit., p.282 71 Pier Angelo Rovatti (a cura di), Dizionario Bompiani dei filosofi, cit., p.303 68 33 Ne La struttura dell’azione sociale (1937) Parsons si oppone alla concezione positivistica dell’azione sociale, secondo cui essa va intesa in termini di reazione ad uno stimolo esterno, per porre invece in evidenza gli aspetti teleologici e volontaristici dell’azione stessa, con un’accentuazione dell’aspetto normativo verso cui si orienta l’azione. Dice Parsons: Gli uomini non soltanto rispondono a stimoli, ma in un certo senso cercano di conformare la loro azione a modelli i quali sono ritenuti desiderabili dall’attore e da altri membri della società.72 Focalizzando maggiormente la sua attenzione sull’aspetto dell’integrazione, nell’opera Il sistema sociale (1951), Parsons, utilizzando il concetto di ruolo, mette in luce come la struttura sociale sia composta da gruppi di soggetti con ruoli differenti, che si sono consolidati oggettivamente in base ai valori accettati nel processo di integrazione sociale, e soggettivamente in seguito a processi di interiorizzazione delle norme.73 Più precisamente occorre parlare di status (la posizione che una persona occupa nella società: ad esempio il suo essere medico o studente, ecc.) e di ruolo (le attività del soggetto agente collegate alle sue posizioni di status). Vi possono poi essere nei soggetti diversi orientamenti all’azione sociale, diversi “valori” sottesi all’interiorizzazione delle norme. Parsons riprende e rilegge la distinzione di Tönnies tr acomunictà e società, elaborando delle variabili di comportamento di tipo comunitario e degli orientamenti di tipo societario. Individua così le seguenti dicotomie: Orientamenti di tipo comunitario (COMUNITA’) - Affettività - Particolarismo - Ascrizione (attribuzione) - Diffusività - Bene collettivo Orientamenti di tipo societario (SOCIETA’) - Neutralità affettiva - Universalismo - Autorealizzazione (acquisizione) - Specificità - Bene individuale La combinazione di questi valori può dare origine a diversi tipi di relazione fra le persone e, in ultima analisi, a diversi tipi di società. Affrontando il classico problema dell’ordine e dell’integrazione, Parsons scorge nell’ordine sociale non una condizione di partenza, ma un esisto complesso e precario delle forze che animano il sistema sociale. Il sistema sociale si origina nell’interazione di altri due sistemi, quello culturale e quello della personalità, il primo inteso come interazione di norme e valori e l’altro come realtà psicodinamica di tipo freudiano. Parsons enuclea poi i seguenti pre-requisiti funzionali (schema AGIL): 72 73 in Izzo, cit., p.284 Enciclopedia Garzanti di filosofia, cit., p.840 34 1) Adattamento all’ambiente naturale (avviene attraverso l’economia); 2) perseguimento dello scopo e dell’obiettivo (“Goal”) (avviene attraverso la politica); 3) Integrazione (cfr. valore della cultura); 4) Latenza (mantenimento e riproduzione delle motivazioni e del controllo sociale).74 Robert K. MERTON (1910 – ) “Mentre Parsons si dedica alla costruzione di uno schema esplicativo di carattere generale e astorico fondato sull’analisi funzionale, il funzionalismo negli Stati Uniti d’America assume anche indirizzi notevolmente diversi dal suo”75. Il principale esponente di un orientamento funzionalista che diverge da quello di Parsons è Merton. Convinto della necessità per la sociologia di costruire “teorie di medio raggio”, che si discostino sia dalle grandi generalizzazioni non verificabili in termini empirici, sia dall’empirismo che si limita a raccogliere dati senza peraltro inquadrarli in una teoria questo autore - diversamente da Parsone - non aspira a definire i prerequisiti funzionali di ogni società in generale. Merton, criticando l’idea per la quale “ogni attività e ogni convinzione, che sia culturalmente standardizzata, è funzionale per la società intesa come unità ed è allo stesso modo funzionale per le persone che vivono in essa”76, rileva l’esistenza, accanto a fattori funzionali, di fattori disfunzionali, che tendono cioè alla disintegrazione piuttosto che all’integrazione. Un buon esempio dell’analisi mertoniana è offerto dalla spiegazione di molti fenomeni sociali grazie alla distinzione fra le funzioni manifeste e quelle latenti: le prime coincidono con le motivazioni coscienti, le seconde sono inconsce. La reale funzione esercitata da un’azione o da una struttura sociale può divergere rispetto a quella ad essa attribuita da una collettività o da un gruppo sociale. Queste ambivalenze impediscono di considerare le società come totalità unificate e coerenti77. Merton cerca di applicare le proprie teorie sociologiche di medio raggio a una serie di problemi concreti e settori specifici della sociologia, quali lo studio dell’anomia, i gruppi di riferimento, la sociologia della sociologia. In breve: costruzione di teorie di medio raggio; esistenza accanto a valori funzionali di valori disfunzionali Il prof. Francesco Villa evidenzia come lo struttural-funzionalista, proprio per il suo approccio sistemico (che tende ad individuare le modalità di funzionamento di un dato sistema in un dato momento), tenda a mettere in ombra i potenziali di trasformazione presenti in ogni società, limitandosi a descrivere “come funziona il sistema”. 74 prof. Francesco Villa Izzo, cit., p.288 76 Merton, in Izzo, ibidem, p.290 77 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, cit., p.722 75 35 LA SOCIOLOGIA CRITICA NORD-AMERICANA Laddove lo struttural-funzionalismo, soprattutto nella sua versione parsoniana, accentuava l’aspetto dell’integrazione e dell’ordine sociale rispetto ai problemi legati al mutamento sociale e al conflitto, la “sociologia critica” nord-americana tende a mettere in luce il carattere contraddittorio e talvolta antidemocratico della società nord-americana: in essa assume maggiore importanza l’aspetto del condizionamento economico, trascurato dalla sociologia ufficiale. Robert S. LYND (1892-1970). Nella sua opera principale, Middletown (1929), scritta assieme alla moglie, l’autore analizza la società ‘media’ americana e, pur non essendo marxista, la trova connotata, socialmente e culturalmente, dalla contrapposizione fra classe operaia e imprenditori. In Middletown in trasition (1937), Lynd analizza i mutamenti indotti nella società dalla grande crisi del 1929. Mette in evidenza la capacità del potere economico di controllare e manipolare le istituzioni e i processi economici e sociali. Il potere economico di fatto limita la democrazia. In Conoscenza per che fare? (1939) sostiene che il ricercatore deve abbandonare ogni neutralità e disimpegno e sviluppare un’analisi critica del capitalismo e un progetto di trasformazione democratica e pianificata.78 Contemporaneamente egli evidenzia il carattere contraddittorio e ‘nevrotizzante’ della cultura capitalistica nord-americana, che da un lato caldeggia il perseguimento di scopi comuni e dall’altro si fonda sull’individualismo.79 In breve: capacità del potere economico di controllare i processi sociali; aspetti contraddittori della società capitalistica nord-americana. David RIESMAN (1909 – ). Autore del famoso libro La folla solitaria (1950), Riesman mette in luce la mancanza di autonomia dell’individuo nella società “altamente industrializzata e burocratica”. Postulando una correlazione dell’evoluzione del carattere sociale con il ritmo di incremento demografico, egli individua tre tipi di personalità: - diretta dalla tradizione: è proprio delle società tradizionali, in cui domina il potere della tradizione; - autodiretta: in cui la scelta della meta è affidata all’individuo; - eterodiretta: le scelte dell’individuo sono determinate da altri. In particolare ciò è determinato, negli USA e in generale nelle società avanzate, a partire dal giudizio del gruppo dei pari e dai mezzi di comunicazione di massa. A questo proposito ne La folla solitaria Riesman afferma: … ciò che è comune a tutte le persone […] è che i contemporanei sono la fonte di direzione per l’individuo, quelli che conosce e quelli con cui ha relazioni indirette attraverso gli amici 78 79 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, op. cit., p. 671 Izzo, op. cit., pp. 298-9 36 e i mezzi di comunicazione di massa. Questa fonte è naturalmente ‘interiorizzata’ nel senso che la dipendenza da essa come guida nella vita è radicata nel fanciullo molto presto. L’immagine della società americana proposta da Riesman (che però ha indagato soprattutto il comportamento della classe media urbana delle grandi città) è quella di una società pluralistica, in cui innumerevoli gruppi di interesse competono per orientare a proprio favore l’attività legislativa e amministrativa dello stato. In breve: mancanza di autonomia dell’individuo nella moderna società industrializzata Charles Wright MILLS (1916-1962). E' forse il più noto e caratteristico autore della sociologia critica nordamericana. Egli ha affrontato: 1) sia i problemi fondamentali della struttura sociale (con attenzione al pensiero di Freud, Marx e Weber), 2) sia i problemi concreti posti dalla realtà sociale, e in particolare: - la trasformazione della struttura di classe in seguito allo sviluppo del potere capitalistico; - l'intreccio di potere economico e politico; - il rischio della guerra. Tra i suoi scritti si ricorda: - Colletti bianchi (1951), in cui si denunciano le condizioni di vita della classe media statunitense. Gli impiegati, i professionisti, gli insegnanti appaiono completamente manipolati dal potere, sono apatici politicamente e "privi di difese morali". I colletti bianchi sono in balia della cultura di massa. - L'élite al potere (1956), si tratta di un’analisi empirica sulla distribuzione del potere in America, detenuto da coloro che controllano le grandi corporations, la macchina dello stato e quella militare. E' da notare che per Mills l'esistenza di un'élite al potere non è, come per gli elitisti classici, un fatto inevitabile, ma qualcosa che dev'essere superato per raggiungere un'effettiva democrazia. - L'immaginazione sociologica (1959), contiene una severa critica alla sociologia statunitense. Tanto la "grande teorizzazione" quanto l' "empirismo astratto in essa presenti, per quanto opposti l'uno all'altro, sono egualmente incapaci di condurre la ricerca sociologica verso i concreti problemi strutturali e psicologici di una particolare società storica, perché impegnati l'uno a definire i problemi da un punto di vista troppo generale che ignora le genesi specifiche e i contesti storici e strutturali dei problemi e l'altro interessato, dietro l'alibi di una presunta scientificità, a definire problemi e contesti troppo limitati. Mills invita i sociologici a sviluppare quell'immaginazione che permette di comprendere la connessione fra la specificità storica e la struttura sociale, al fine di costruire un mondo più umano. Il problema della specificità storica (della relazione fra le biografie individuali e le strutture storiche), ereditato da Marx, ma trasformato da Mills e adeguato al suo pensiero, diventa la categoria centrale del suo pensiero e di conseguenza questo autore diventerà fautore di una sociologia che muova dal 37 presupposto della storicità delle singole società, delle loro istituzioni e del comportamento degli individui in esse. In breve: mancanza di autonomia intellettuale dell’individuo nella moderna società industrializzata; dominio del potere economico sul potere politico e militare; necessità per la sociologia di interessarsi della specificità storica di una determinata struttura sociale. 38 LA TEORIA CRITICA DELLA SOCIETA' (SCUOLA DI FRANCOFORTE) Se gli autori della sociologia critica nord-americana sono considerati minori, perché, pur sviluppando un critica interessante, non sono degli innovatori in campo teorico 80, in Europa si sviluppa un'importante teoria critica, che pur rifacendosi esplicitamente a Marx, rifiuta il totalitarismo sovietico e sviluppa progressivamente una sempre più netta sfiducia verso l'ideale raggiungimento di una società emancipata, modellata sulla concezione marxiana del controllo razionale e pubblico delle forze di produzione. Il culmine di tale sfiducia sfocia nella celebre opera La dialettica dell'illuminismo (1947), scritta da Adorno e Horkheimer, in cui viene in luce lo stretto legame che intercorre fra dominio della natura e dominio degli uomini: l'idea sostenuta dagli autori è che l'Illuminismo considera la conoscenza fondamentalmente come dominio: dominio degli uomini sulle cose e al contempo dominio degli uomini sugli uomini: L'illuminismo si rapporta alle cose come il dittatore agli uomini, che conosce in quanto è in grado di manipolarli. Ne consegue uno strano paradosso: l'illuminismo, che aveva avuto il compito di liberare l'uomo dal mito, lo ha poi chiuso in una logica formale e immutabile correlata alla logica meccanica e disumana dell'organizzazione economica capitalista, un'organizzazione finalizzata al dominio delle cose e di uomini reificati, ridotti essi stessi a cose. Così il paradosso dell'Illuminismo è che viene meno al proprio compito di liberare il soggetto. L'industria culturale organizza lo svago, le attività culturali, il gusto, fino a raggiungere un completo livellamento degli individui, fino a ridurli a zero, integrandoli totalmente entro la cultura dominante, espressione ideologica del potere. In breve: La ragione come potere di dominio (cfr. Adorno e Horkheimer La dialettica dell’illuminismo) La ragione incarnatasi nell’organizzazione capitalistica della società riduce gli uomini a cose Perdita di autonomia intellettuale e critica dell’individuo L’uomo-massa 80 prof. Francesco Villa 39 L'ORIENTAMENTO FENOMENOLOGICO Premessa Il fondatore della fenomenologia in campo filosofico è Edmund HUSSERL (18591938). Contraria all’ottimismo scientifico-positivistico, per la fenomenologia la coscienza è essenzialmente "coscienza di", perché possiede una “intenzionalità” con la quale si rivolge ad un oggetto esterno a sé. Scopo dell'approccio fenomenologico è il ritorno alle "cose stesse", alle cose come sono nella loro autentici connotati. Le cose, infatti, nella loro dimensione originaria non sono come quelle che esperiamo quotidianamente, perché nella loro quotidianità operano tutta una serie di pre-giudizi che occorre "sospendere" (epoché) affinché le cose si manifestino nella loro piena "evidenza". Si tratta, quindi, per la fenomenologia di partire dai dati immediati dell'esperienza, dal nostro "vissuto" qui ed ora e dalle operazioni che accompagnano ogni atto soggettivo, anche il più banale e comune, per riuscire a sperimentare le cose nella loro dimensione originaria, al di là di ogni preconcetto filosofico o concettuale. La fenomenologia stessa, per Husserl, non è mai definibile una volta per tutte e rimane aperta al "sempre di nuovo", nel senso che la decrizione fenomenologica è destinata ogni volta a ricominciare e a restare aperta. Solo se così intesa, la fenomenologia si apre al piano della "coscienza pura", che è in grado di attingere ad una dimensione di evidenze (delle cose) intuitivamente originarie (Idee) che non possono essere messe in dubbio: è una dimensione trascendentale, in cui le cose si mostrano nella loro essenza originaria. Più tardi Husserl (ne La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale) teorizzerà l’esistenza di un "mondo della vita" (Lebenswelt) che non è riducibile neanche alla capacità di intenzionare della coscienza pura e quindi all'ambito solamente conoscitivo: è "il mondo in cui viviamo intuitivamente". Husserl lo contrappone al mondo oggettivistico della scienza e della tecnica. La scienza sorge all'interno di esso e non è perciò possibile spiegare il mondo della vita con gli strumenti offerti dalla scienza. Husserl, pur essendo stato un filosofo e non un sociologo, con il concetto di "mondo della vita" definisce un ambito in cui si costituiscono i valori e i significati, chiarendo come questi vengono a definirsi all'interno dei rapporti interpersonali della vita quotidiana. Alfred SCHUTZ (1899-1959)81 Definisce più specificamente il mondo della vita come "mondo della vita quotidiana" mettendone in rilievo il suo carattere intersoggettvo e quindi sociale. Poichè il mondo della vita è fin dall'inizio un mondo di azione e di interazione, Schutz analizza l'azione significativa, o "dotata di senso", un concetto centrale per l'analisi sociologica, teorizzato in precedenza da Weber. Schutz si chiede cosa significhi dare significato ad un'azione. Egli chiarisce come, pur essendo caratteristica fondamentale di un'azione il suo perseguire un progetto, il senso di un'azione è sempre diverso dal suo progetto e lo si coglie a posteriori, ad azione conclusa, quando l'azione è interpretata da altri punti vista, anche semplicemente quello per il quale "siamo diventati più vecchi". Distinguendo inoltre fra motivi finali e motivi causali, dove i primi sono quelli che perseguo coscientemente nel compiere una certa azione e gli altri sono quelle cause esterne che mi determinano all'azione, Schutz mette in luce come non sempre il progetto sia presente al soggetto che agisce, 81 I contenuti che seguono sono tratti da Izzo, op. cit., pp. 329-341 40 ma che alcune azioni possono essere compiute senza che tale progetto sia presente. E' il caso, ad esempio, delle azioni compiute per routine. Quanto poi alla "costruzione del significato" nella vita individuale, Schutz evidenzia come il significato che attribuiamo all'agire sia frutto di un processo soggettivo, laddove è un atteggiamento ingenuo il ritenere che l'altro attribuisca senso al mio agire così come faccio io. Se prima Schutz aveva chiarito come ai miei progetti posso rivolgermi, per evincerne la compiutezza, solo retrospettivamente, ora afferma, con originalità, che ai vissuti dell'altro ci si può rapportare in contemporaneità, quando mi rivolgo intenzionalmente ai suoi vissuti di coscienza Infine Schutz distingue fra l'interpretazione in senso soggettivo e l'interpretazione in senso oggettivo: nel primo caso ci rifacciamo ai precisi atti di coscienza del soggetto, dei quali abbiamo coscienza in contemporaneità o quasi contemporaneità con lui; nell'interpretazione oggettiva ci serviamo di uno strumento creato da un altro senza che di lui si sappia niente del soggetto che l’ha creato. Passando all'analisi della relazione sociale, che sta alla base di ogni altra relazione e della stessa struttura del mondo sociale, Schutz elabora il concetto di "relazione sociale ambientale", caratterizzata dal fatto che gli interlocutori condividono lo stesso ambiente spazio-temporale, si trovano l'uno dinnanzi all'altro. In questa situazione le due parti vivono contemporaneamente l'una i significati dell'altra in un unico flusso di coscienza, creando insieme un "noi" come qualcosa di specifico, di diverso sia dall'io sia dal tu. Ovviamente il "noi" può coinvolgere aspetti profondi della personalità, oppure questioni molto specifiche e contingenti. Un aspetto del pensiero di Schutz molto importante per la sociologia - e per il nostro conoscere in generale - riguarda l'idea per la quale la realtà viene conosciuta attraverso l'utilizzo di "tipizzazioni". Le tipizzazioni sono elaborazioni concettuali precedenti, espressioni di un mondo intersoggettivo, nato attraverso l'interazione e il lavoro umano. Quando percepiamo una montagna o un cane questo accade perché riferiamo l'esperienza di un tale elemento singolo a un "tipo" generale di montagna o cane. Universi culturali differenti producono tipizzazioni differenti. Un concetto particolarmente importante del pensiero di Schutz è, infine, quello delle provincie finite di significato. Per Schutz il problema di fondo è quello della "struttura significativa della vita quotidiana". Poiché i significati attribuiti alla vita quotidiana cambiano da un contesto socio-culturale all'altro, Schutz riconosce non solo la pluralità dei mondi sociali, ma anche delle interpretazioni che in ogni dato momento della nostra vita diamo della realtà: possiamo guardare alla realtà da una pluralità di punti di vista a seconda dei particolari interessi che abbiamo in determinati momenti per essa. In tal senso Schutz parla di provincie finite di significato. Esse sono, come dice Schutz, “il mondo dei sogni, dell'immaginario e del fantastico, e soprattutto il mondo dell'arte, il mondo dell'esperienza religiosa, il mondo della contemplazione scientifica, il mondo dei giochi dei bambini, il mondo dei malati di mente”. Il mondo della vita quotidiana e dell'attività lavorativa è la realtà preminente che condiziona tutte le altre. 41 In breve: Mondo della vita quotidiana Relazione sociale ambientale Tipizzazione sociale dei significati Province finite di significato Peter L. BERGER (1929 - ) - Thomas LUCKMANN (1927 - ) Nella loro opera su La realtà come costruzione sociale si rifanno esplicitamente a Schutz. Essi sostengono che il punto di vista di Durkheim, secondo cui la realtà sociale si presenta come un fatto esterno all'individuo e coercitivo nei suoi confronti, e il punto di vista di Weber, secondo cui invece l'oggetto della sociologia è costituito dall'azione e dalla relazione sociale, non sono affatto antitetici, ma complementari (fatto di cui Durkheim e Weber sarebbero stati consapevoli). Questa è la tesi che essi cercano di dimostrare nel loro lavoro. Il carattere oggettivo della società consiste nell'istituzionalizzazione, cioè nel processo attraverso il quale l'agire umano tende a cristallizzarsi in forme fisse e prestabilite, che si impongono dall'esterno ai singoli individui ed esercitano un controllo sulla loro vita psichica e sul loro agire. Tale affermazione non deve far dimenticare la "società come realtà soggettiva", che è il momento più specificamente originario dei significati, i quali sorgono nell'interazione e costituiscono poi la base della società come realtà oggettiva. Berger e Luckmann riprendono la distinzione fra socializzazione primaria e socializzazione secondaria: la prima ha luogo nel periodo dell’infanzia, grazie alle profonde relazioni di senso instaurate con le persone della famiglia; la seconda fa sì che l'individuo interiorizzi le conoscenze, i valori, le norme relativi ad una specifica istituzione, per esempio un'istituzione professionale, nell'ambito della società più vasta di cui tale istituzione specifica fa parte. La socializzazione primaria consente l'interiorizzazione di una particolare interpretazione della realtà, che viene allora considerata l'unica esistente e possibile, data per scontata, benché in realtà sia una fra le tante possibili, e definisce per converso ciò che normale non è, come i sogni e la follia. Il problema dell'interazione è fondamentale per creare negli individui la conoscenza della realtà, così come essa è percepita nella loro società e l'identificazione di questa realtà con la realtà per eccellenza. Lo strumento fondamentale attraverso cui ciò si attua è il linguaggio. Per Berger e Luckmann la legittimazione si sforza di dare una giustificazione teorica alle cristallizzazione sorte per motivi pratici e di integrare i diversi processi istituzionali presenti in una società, che possono anche essere diversi e opposti. Berger e Luckmann criticano le tendenze prevalenti della sociologia contemporanea nordamericana sulla base del marxiano concetto di reificazione (processo in virtù del quale una persona o un rapporto sociale si fanno res, o cosa,) "Il mondo reificato è per definizione un mondo disumanizzato" (ibidem, p.136). Ma la possibilità di uscirne è pregiudicata dalla stessa concezione di Berger e Luckmann della reificazione, per i quali 42 sarebbe un errore... considerare la reificazione come un pervertimento di una percezione del mondo sociale originariamente non reificata, insomma una sorta di caduta cognitiva (...) Per mezzo della reificazione il mondo delle istituzioni sembra fondersi con quello della natura: diventa necessità e destino e come tale viene vissuto fino in fondo, felicemente o infelicemente, a seconda dei casi. La reificazione viene cioè quasi identificata con l'istituzionalizzazione, con la sola differenza che quest'ultima è percepita come naturale e immutabile. Peter Berger, assieme a Brigitte Berger e a Hansfried Kellner, è autore del libro La mente senza dimora: modernizzazione e coscienza (The Homeless mind: Modernization and Consciousness, 1974), nel quale si sostiene che, mentre nei periodi storici precedenti all'attuale società industriale gli uomini vivevano in mondi della vita relativamente unificati, oggi essi vivono in una situazione caratterizzata dalla pluralità di tali mondi. Un aspetto di questa pluralizzazione si ha nella dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata: tra il mondo del lavoro che si svolge in grandi organizzazioni e la vita intima. Un tempo esisteva un ordine generale che integrava gli individui nella società. Si trattava dell'ordine religioso, che faceva sentire all'individuo di appartenere, tanto al lavoro quanto nella famiglia, "sempre allo stesso mondo". Anche in uno stesso ambito abbiamo a che fare con la pluralizzazione: ad esempio nell'ambito lavorativo abbiamo a che fare con la produzione tecnologica e con la burocrazia. La pluralità dei mondi vive poi all'interno dello stesso individuo, che stenta così a riconoscersi come unitario e ha problemi nel definire la sua identità. Neppure la socializzazione primaria è esente da tale pluralizzazione dei mondi, che impediscono agli individui di possedere un "mondo di casa loro" integrato e indiscusso. Come reazione a tale moltiplicazione dei mondi si ha un'accentuazione dell'importanza del soggetto, proprio perché il mondo esterno appare molteplice e non offre certezze. In breve: coesistenza del momento istituzionale-oggettivo della società con quello soggettivo legato all’azione sociale; la reificazione pluralità dei mondi in cui vivono gli uomini, sia esteriormente che interiormente 43 L’ETNOMETODOLOGIA Harold GARFINKEL Il termine etnometodologia si riferisce ai metodi usati dagli individui per conferire un significato al mondo sociale (il prefisso ‘etno’ designa qui la conoscenza di senso comune). La ricerca etnometrica considera quanto accade nel quotidiano come “osservabile e riferibile” (H. Garfinkel, Studi di etnometodologia, 1967). Gli individui, in questa prospettiva, presentano una competenza o capacità, data per scontata, di fornire spiegazioni o resoconti (accounts) delle loro azioni.82 In tal senso Garfinkel si ispira ad Husserl e, più in particolare, a Schutz, per il quale il mondo della vita è fin dall’inizio un mondo intersoggettivo, di significati condivisi. 83 Diversamente da quanto avviene nella classica metodologia di Durkheim, i fatti sociali non sono infatti qui trattati come “cose”, le cui proprietà sono separabili dai metodi usati dagli individui per spiegarli. Gli accounts (i resoconti), attraverso i quali le persone spiegano il loro mondo sociale sono caratterizzati anzitutto dalla “indicalità”84 (indexicality), termine col quale si vuole intendere che nessuna affermazione può avere un significato indipendente dal suo contesto85. L’altra proprietà degli accounts è la “riflessività” per cui essi sono parte della situazione che intendono spiegare. Ciò significa che non è possibile separare una spiegazione dal suo oggetto.86 Presupposto dell’etnometodologia è, infatti, che la spiegazione scientifica è comprensibile… solo in riferimento alla situazione specifica in cui è espressa. Si è contestata all’etnometodologia l’assenza di un punto di vista globale sui fondamenti dell’ordine sociale cosa che la condurrebbe a un relativismo senza uscita; tuttavia, si rivela sempre più impraticabile la pretesa di spiegare il mondo sociale invocando sistemi unitari di valori e meta-norme, o separando la realtà sociale dagli individui che la costruiscono. Sul piano della ricerca questo implica l’impossibilità di stabilire una volta per tutte cosa accade “realmente” nel mondo sociale: scontrandosi con una regressione infinita di accounts, il sociologo non arriva mai in fondo alla ricerca (A Cicourel, Sociologia cognitiva, 1973).87 82 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, op. cit., pp. 353-4 Izzo, op. cit., p. 389 84 da indicale, propria di un’espressione linguistica il cui riferimento dipende dall’associazione ad un contesto, Enciclopedia Garzanti di Filosofia, p. 354 e pp. 535-6 85 Izzo, op. cit., p.391 86 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, p. 354 87 Enciclopedia Garzanti di Filosofia, p. 354 83 44 JÜNGEN HABERMAS Nasce nel 1929 a Gummersbach (Germania). Inizia la sua attività nell’ambito della scuola di Francoforte, nella cui ortodossia si colloca la sua produzione degli anni sessanta e settanta. Negli anni ottanta abbandona risolutamente la “filosofia della storia” di stampo marxiano e hegeliano per rifondare la “teoria critica” sui nuovi paradigmi della ragione comunicativa. La sua prima opera di rilievo è Storia e critica dell’opinione pubblica (1962), che appare molto legata alla teoria critica dei maestri e, in particolare, alla Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer. Habermas vi sostiene l’origine di carattere storico della distinzione fra sfera pubblica e sfera privata; ciò accade quando, come dice Habermas, la “circolazione delle merci e delle notizie creata dal grande commercio internazionale del primo capitalismo” ha come contraltare la rivendicazione da parte della borghesia dell’autonomia intellettuale e della capacità critica dell’individuo. La sfera privata sorge cioè nell’ambito della società capitalistica. Tale autonomia, tuttavia, dice Habermas in linea con la sua Scuola, viene ad essere sempre più pilotata dall’industria culturale e dei consumi. Habermas è stato in tal senso molto criticato perché, dopo aver impostato il problema in questi termini, ha auspicato la ricostruzione di una sfera pubblica composta da liberi individui con funzioni critiche nei confronti della sfera politica, senza peraltro chiarire le basi storico-sociali della possibilità di una tale ricostruzione.88 In altri lavori Habermas assume un punto di vista differente, in particolare quando, cinque anni dopo, affronta il tema dell’ermeneutica. Lontano dall’intendere l’ermeneutica89 come un relativismo culturale senza riserve, per Habermas, se il pensiero si sviluppa attraverso il linguaggio, cioè attraverso un sistema definito di regole, una grammatica, è vero che è proprio di tale sistema avere in sé la capacità di autotrascendersi, di porsi criticamente dinnanzi a se stesso. Se l’identità dell’io è possibile solo nell’intersoggettività - e di qui l’accentuazione del tema dell’ermeneutica - è anche vero che tale intersoggettività non deve essere totale, altrimenti scomparirebbe ogni differenza fra sé e altro da sé, con il rischio dell’annullamento dell’io. Habermas si pone in tal senso in modo critico nei confronti dell’ermeneutica di Gadamer, per il quale invece l’orizzonte della tradizione è quello in cui si collocano tutte le possibili ermeneutiche. Rifacendosi piuttosto al carattere dialettico del pensiero e al continuo autosuperamento presente nel pensiero di Hegel, Habermas, nel saggio La pretesa universalità dell’ermeneutica (1973), afferma che “la coscienza ermeneutica è incompleta finché non abbia assunto in sé la riflessione dei limiti della comprensione ermeneutica”. L’assunzione della tradizione linguistica come fondamento e legittimazione di ogni ermeneutica così come avviene in 88 Izzo, pp. 405-7 L’ermeneutica è la possibilità dell’uomo di articolare nuovi significati dell’esistenza. Si assume in tale contesto l’interpretazione che diede Heidegger di ermeneutica, e cioè che essa è la dimensione propria dell’uomo, che già all’origine possiede una certa pre-comprensione del mondo, a che, tramite il linguaggio, può articolare nuovi significati dell’esistenza. Gadamer riprenderà il tema dell’ermeneutica sulla linea heideggeriana. 89 45 Gadamer ignora, per Habermas, anche i rischi di un’eventuale ermeneutica distorta, che non si renda conto cioè dei motivi inconsci che possono condurre ad una comunicazione distorta, così come hanno messo in luce la teoria critica di Francoforte per quanto riguarda la società e la psicoanalisi per quanto riguarda il singolo. Sostenendo la possibilità di una critica nei confronti della tradizione, Habermas ammette la possibilità del sorgere di una ragione critica intesa come libertà dai vincoli della tradizione. Tale chiarificazione ermeneutica della comunicazione distorta si profila naturalmente, coerentemente con gli insegnamenti dei maestri, come una comprensione “politica”. Con riferimento al problema della socializzazione, ed in particolare all’interiorizzazione degli atteggiamenti di valore che permettono agli individui di interpretare ruoli, Habermas, preoccupato di una totale riduzione dell’individuo alla società, lascia al singolo un margine di irriducibilità rispetto al processo di socializzazione: l’io, con la sua identità irripetibile, non si riduce a un sistema di ruoli precostituiti. La famiglia, poi, in linea con un tema caratteristico della teoria critica, è vista nella sua funzione di mediatrice fra il potere dominante e l’individuo. Nello studio Storia e critica dell’opinione pubblica (1962) Habermas si è dimostrato, contrariamente a quanto finora detto, molto più pessimista circa le possibilità di una libera espressione dell’individuo nella società industriale avanzata. In molte sue opere successive Habermas, pur nelle difficoltà storicamente in atto, cerca di individuare le condizioni che garantiscano un certo margine di autonomia all’individuo. Rifacendosi alla psicologia di L. Kohlberg, egli sostiene la possibilità dell’orientamento dell’individuo verso principi etici universali. Nell’Habermas maturo di Teoria dell’agire comunicativo (1981) la ricerca è tutta rivolta all’approfondimento delle condizioni della razionalità comunicativa, attraverso la quale gli individui “possono ritrovare se stessi”.90 Per Habermas esistono tre differenti “approcci al mondo” dell’uomo moderno, che l’agire comunicativo tenta di coniugare riflessivamente tra loro: a) l’agire teleologico nel mondo oggettivo delle cose razionali (vero-falso); b) l’agire normativo nel mondo sociale delle tradizioni culturali (giusto-ingiusto); c) l’agire drammaturgico nel mondo espressivo dell’interiorità individuale (autentico-non autentico). Rifacendosi a quella distinzione fra le diverse “sfere della razionalità” che era già stata diagnosticata da Kant e da M. Weber, egli cerca di pensare i processi della modernizzazione come un eccesso di potere acquisito dalla razionalità sistemica (denaro e potere) sull’orizzonte tradizionale della ragione comunicativa (le strutture preriflessive del mondo della vita). Mentre la razionalità sistemica è guidata da una logica funzionale di auto-stabilizzazione91 nei confronti dell’ambiente esterno, le 90 91 Izzo, op. cit., pp.405-418 cfr. funzionalismo 46 strutture del “mondo della vita” appaiono guidate da una logica linguisticocomunicativa orientata all’intesa reciproca. 47 Niklas LUHMANN E’ nato nel 1927 a Lüneburg (Bassa Sassonia). E’ morto nel 1998. Riprende in Germania l’impostazione sistemica di Parsons. Avvalendosi degli studi sulla cibernetica92 e sulla teoria dei sistemi93, interpreta il sistema sociale come autoreferenziale e autoregolato. Luhmann ha come riferimento la società capitalistica. Per Luhmann la società è caratterizzata da sottosistemi (cultura, politica, istruzione, ecc.) che tendono tutti ad autoregolarsi.94 L’intento di Luhmann è quindi analogo a quello di Parsons, capire come si mantiene il sistema società, ma con una metodologia differente: Luhmann non parla di fattori ma di sistemi, in quanto (cfr. note a fondo pagina) le moderne società altamente sviluppate non sono comprensibili a partire da singole cause. I fenomeni sociali vanno dunque studiati in rapporto alla funzione che svolgono per il mantenimento del sistema, come voleva Parsons, ma - aggiunge Luhmann - per funzione è da intendere qualcosa di diverso da causa: infatti, alla stessa esigenza nell’ambito di un sistema possono esserci diverse soluzioni, per cui il rapporto tra la presenza di una determinata esigenza e il suo soddisfacimento non è un rapporto causale.95 Il sistema è considerato da Luhmann non tanto sotto l’aspetto delle forse interne che ne garantiscono la continuità, quanto nella sua capacità di contrapporsi all’ambiente esterno che ne minaccia la stabilità. Ora, per Luhmann, dato che il mondo si pone come infinita complessità, è possibile orientarsi in esso solo a patto di adoperarsi verso una riduzione della complessità. Per sopravvivere l’uomo è costretto a ridurre la complessità. Dice ad esempio Luhmann: La complessità del mondo, la spaventosa molteciplità di possibilità, deve essere riportata entro una dimensione che possa essere vissuta come espressione di un determinato senso. I sistemi sociali si definiscono esclusivamente in base al senso. Il problema del senso rinvia tanto all’origine del senso psichicamente inteso, quanto al sistema sociale. Per Luhmann l’uno non ha la precedenza sull’altro: i due sistemi, egli dice, si sono formati per coevoluzione: Le persone non possono né esistere né sopravvivere senza un sistema sociale e viceversa […] Chiamiamo questo prodotto “senso”. 92 cibernetica = disciplina che studia i processi naturali o artificiali di controllo e la regolazione dei sistemi complessi. In ogni sistema regolato, secondo il modello fondamentale dell’analisi cibernetica, uno o più strumenti periferici di controllo trasmettono a un organo centrale di comando informazioni significative dello stato del sistema rispetto alle sue condizioni standard (effetto di feedback o retroazione): l’organo di controllo, dopo aver elaborato queste informazioni, interviene sul sistema per ristabilire le condizioni standard. 93 La teoria dei sistemi è un ramo della scienza e della filosofia contemporanee nato dalla consapevolezza che il classico sistema causale-deterministico (e in generale di tutte le ipotesi meccanicistiche) è insufficiente per spiegare le complesse e vastissime interazioni che caratterizzano la società tecnologica avanzata. I sistemi sono più adatti a descrivere la complessità, dove per sistema si intende un approccio alla realtà guidato più dalla globalità che dall’analisi atomistica. Per totalità qui non si intende qualcosa di metafisico, ma una prospettiva interdisciplinare che coniuga diverse teorie come la cibernetica, la teoria dell’informazione, la teoria dei giochi e che utilizza peculiari strumenti matematici. 94 Prof. Francesco Villa. 95 Izzo, cit., p.441 48 Con l’evoluzione la società diventa più complessa e ciò implica la formazione, al suo interno, di sistemi differenziati. Tali sottosistemi sono autonomi, cioè hanno solo entro loro stessi le ragioni del loro esistere. Prendiamo ad esempio il diritto. Se nelle società arcaiche era in relazione con la morale, con la religione, ecc., nelle moderne società è un’entità autonoma che trova solo in sé i presupposti della sua esistenza e del suo cambiamento in relazione al mutare della società. Il discorso sulla differenziazione conduce Luhmann a distinguere all’interno della società alcuni fondamentali sottosistemi, quali l’economia, la famiglia, la scienza, la politica. Tali sottosistemi tendono a diventare autoriflessivi, e ciò è parte del processo di differenziazione. Ad esempio - scrive Luhmann - “la scienza può apprendere soltanto entro contesti che essa garantisce”. Habermas rimprovera a Luhmann di avere semplicemente descritto le condizioni che rendono funzionanti i sistemi esistenti laddove, per Habermas, occorre individuare le condizioni che rendono libera la comunicazione da costrizioni esterne. Macerata, 15 giugno 2000-06-30 Stefano Polenta 49 I CONCETTI DELLA SOCIOLOGIA (Prof. Francesco Villa) 50 3. L'esperienza della società ed i suoi problemi Quasi sempre gli individui ed i gruppi sociali vivono in un mondo che è dato per scontato. Ciò significa che le strutture fondamentali in cui ha luogo l'esperienza sociale non sono messe in discussione, ma sono vissute come condizioni di vita apparentemente naturali e di per sé evidenti. Quando la caratteristica di ovvietà di una società viene messa in crisi, l'intera società o certe sue parti divengono un problema e di conseguenza la gente incomincia a riflettere sui fatti sociali. La storia della sociologia è la storia della progressiva messa in discussione della ovvietà dei fatti sociali, della loro problematizzazione e conseguente analisi critica. Una panoramica dei problemi di cui si sono occupati i sociologi risulta importante per documentare come si possa passare dal senso dell'ovvietà al senso critico nella propria esperienza di partecipazione sociale. Di seguito verranno elencati e sinteticamente descritti i principali problemi indagati dalla sociologia. A) SOCIALIZZAZIONE. Con il termine socializzazione si intende il processo attraverso il quale un individuo entra a far parte della società, o di un determinato gruppo sociale, mediante l'assunzione dei valori, delle norme, degli atteggiamenti e dei comportamenti generalmente diffusi e condivisi. Per socializzazione primaria si intende la socializzazione che avviene nei primi anni di vita, normalmente in famiglia, e concorre in modo rilevante a strutturare l'identità personale degli individui. La socializzazione secondaria comprende tutti i processi successivi, a partire dalla socializzazione scolastica per arrivare alla socializzazione lavorativa e post-lavorativa. In tale prospettiva la socializzazione può essere considerata come un processo che si svolge lungo tutto l'arco della vita, in quanto ogni situazione esistenziale - compresa la vecchiaia e la malattia - si struttura in ruoli sociali che devono essere appresi in base a precise norme di comportamento. Le teorie più importanti alle quali ci si può riferire per interpretare i processi di socializzazione e di sviluppo della personalità sono quelle di C. H. Cooley, G. H. Mead, S. Freud, E. Erikson, J. Piaget, L. Kohlberg. B) STATUS E RUOLO. Ogni persona occupa numerose posizioni nella società. Un individuo può essere un musicista, un'insegnante, un marito (o moglie), un padre (o madre). Ciascuna di queste posizioni sociali, con i diritti e doveri che comporta, è uno status. Anche se una persona può avere numerosi status, ve ne sarà uno, indicato come status principale, che definisce in modo particolare tale persona; in genere è la professione che fornisce lo status principale, in quanto l'attività lavorativa condiziona in modo prevalente l'esistenza di un individuo. Alcuni status derivano dalla nascita, come il sesso, l'etnia e la nazionalità, il luogo di nascita, le condizioni della famiglia d'origine e vengono definiti status ascritti. Altre forme di status, invece, dipendono da 51 quanto l'individuo riesce a realizzare attraverso la sue capacità e le sue scelte; allora si parla di status acquisiti, come nel caso delle condizioni matrimoniali, professionali, economiche, ecc. . Il ruolo, invece, è un insieme di comportamenti orientati secondo le aspettative proprie di un certo status. Allo status di musicista possono corrispondere uno o più ruoli costituiti da comportamenti collegati con i diritti ed i doveri di tale status e possono comprendere: il suonare uno strumento in un'orchestra (ruolo di violinista, flautista, pianista, ecc.), oppure il dirigere un coro o un'orchestra (direttore di coro o d'orchestra), comporre nuovi testi musicali (ruolo di compositore), insegnare a suonare certi strumenti (insegnante di musica), ecc. L'insieme dei ruoli che corrispondono ad un certo status viene definito con il termine di complesso di ruoli. Lo status è quindi una posizione nella società, mentre i ruoli sono rappresentati dalle attività collegate a tale posizione e sono concetti astratti che si riferiscono solo a certe parti o momenti di espressione della personalità individuale. L'apprendimento dei ruoli occupa gran parte del processo di socializzazione. I nostri ruoli sono definiti da quello che gli altri si aspettano da noi; le più chiare aspettative nei confronti di un ruolo sono quelle definite da norme, leggi o regolamenti. E' possibile distinguere anche tra ruoli formali ed informali in rapporto al contenuto reale e codificato, oppure simbolico ed aleatorio di certi ruoli. Ad esempio, i ruoli sopra considerati sono ruoli formali, perchè codificati in modo ufficiale dall'organizzazione sociale, mentre possono essere considerati ruoli informali quelli di "pagliaccio di famiglia" o di "allegrone della comitiva", oppure di "capro espiatorio", in quanto si tratta di ruoli creati dal modo in cui gli individui interagiscono con gli altri e dal modo in cui gli altri interpretano il loro comportamento, senza alcuna codificazione ufficiale da parte della società. C) FAMIGLIA. La famiglia é un gruppo sociale presente in tutte le società umane e risulta caratterizzata dal fatto che riunisce assieme funzioni biologiche e funzioni sociali assai più direttamente di qualsiasi altra istituzione. Gli studiosi di scienze sociali hanno proposto molte e varie definizioni della famiglia; viene comunque accettato quasi unanimemente che la famiglia ha un influsso su quattro attività umane fondamentali: l'affettività, la sessualità, la procreazione e la socializzazione primaria. Attorno a queste funzioni basilari si é creata un'immensa varietà di altri significati e di altre funzioni, tra le quali possono essere ricordate la funzione economica, quella giuridica e quella dell'autorealizzazione personale dei membri del gruppo familiare. Un contenuto privilegiato dell'analisi sociologica è stato il passaggio dal modello patriarcale esteso della famiglia, tipico dell'età agricola, al modello mononucleare borghese, tipico della società industriale. Questo mutamento, che é avvenuto in tutte le società occidentali, ha comportato profonde trasformazioni nei comportamenti e nelle funzioni della famiglia, ancora oggi oggetto di studio da parte dei sociologi. D) GRUPPO SOCIALE. Può essere definito come un insieme non molto esteso di persone che interagiscono tra loro in modo strutturato da modelli di comportamento, che sentono di appartenere al gruppo e che sono considerati dagli altri come membri di un gruppo. La prima caratteristica fondamentale di un gruppo é dunque 52 l'interazione strutturata da modelli di comportamento, la seconda é data dal senso di appartenenza e la terza é l'identità, acquisita e riconosciuta come tale dagli estranei. E' stata proposta anche la distinzione tra gruppo primario e gruppo secondario: per gruppo primario si intende un gruppo i cui membri sono legati da forti vincoli emotivi, come la famiglia e un gruppo di amici particolarmente "affiatati" tra loro. Il gruppo secondario, invece, é costituito da persone che hanno scarsi legami emotivi tra loro e che interagiscono per raggiungere obiettivi specifici; in questo caso gli individui sono più importanti per la loro funzione sociale che non come persone. E) ISTITUZIONE. Può essere definita come un complesso di valori, norme e consuetudini che con varia efficacia definiscono e regolano durevolmente i rapporti sociali ed i comportamenti di un determinato gruppo di soggetti, la cui attività è volta a conseguire un fine socialmente rilevante. Le caratteristiche fondamentali di un'istituzione sono le seguenti: estrinsecità, in quanto le istituzioni vengono esperite come se fossero dotate di una realtà esterna all'individuo; obiettività, in quanto indipendenti dalla volontà soggettiva dei singoli individui; potere coercitivo, in quanto limitano la libertà del soggetto indipendentemente dal suo assenso ; autorità morale, in quanto il valore dell'istruzione viene riconusciuto e condiviso dai membri della società; storicità, in quanto le istituzioni mutano col trascorrere del tempo e sotto l'influsso di un'azione collettiva, che può essere repentina o di lunga durata, cioè che va oltre la vita di un singolo individuo o di un numero limitato di generazioni. F) CONTROLLO SOCIALE. Per controllo sociale si intende ogni meccanismo con cui si costringono gli individui ad attenersi alle norme della società o di particolari settori di essa: può essere considerato come un elemento intrinseco di tutte le istituzioni. Il termine, tuttavia, si riferisce di norma solo a quei processi istituzionali cui sono legate sanzioni esplicite e specifiche. Si è soliti distinguere tra contolli esterni e controlli interni. I controlli esterni minacciano l'individuo con punizioni che riguardano la sua vita sociale e possono essere controlli formali, quando sono previsti da norme, leggi, istituzioni, o controlli informali, quando sono il risultato dei fenomeni di riprovazione sociale o di reazioni particolari nei confronti di comportamenti devianti. I controlli interni sono, invece, quelli che non minacciano una persona dall'estero, bensì dall'interno della sua coscienza: i controlli interni dipendono da una socializzazione ben riuscita. Se quest'ultima è stata attuata in modo appropriato, allora l'individuo che commette certe trasgressioni alle regole della società verrà condannato dalla sua stessa coscienza che, in realtà, costituisce l'interiorizzazione dei controlli sociali. Alcuni autori, nell'intento di enfatizzare l'interrelazione con il fenomeno della devianza, hanno definito il controllo sociale nell'ambito di una determinata unità sociale - come l'insieme più o meno organizzato delle reazioni formali e informali, coercitive e persuasive, che sono previste e/o messe in atto nei confronti del comportamento individuale e collettivo ritenuto deviante e dirette a stabilire e mantenere l'ordine in tale unità sociale. 53 G) DEVIANZA. La devianza è generalmente intensa come una condotta che rappresenta una violazione di norme stabilite da una data società o da un gruppo sociale, oppure come un comportamento che viola aspettative istituzionalizzate, cioè aspettative che sono condivise e riconosciute come legittime entro un sistema sociale. Data la relatività spazio-temporale delle concezioni di "normalità" e la variabilità delle leggi e delle aspettative istituzionalizzate, è opportuno sottolineare anche il carattere relativo della devianza. Ciò che è deviante in una determinata società o in una determinata epoca storica può non esserlo più in una'altra società o in un'altra epoca. Pertanto, la devianza esiste in quanto viene definita come tale dalla società: si tratta di una questione di "definizione sociale". Della devianza sono state tentate spiegazioni biologiche, psicologiche, sociologiche e culturali; attualmente quelle più accreditate dagli studiosi fanno riferimento in prevalenza a cause psicologiche, sociologiche e culturali. Esistono vari tipi di devianza: uno di quelli più chiaramente definiti è rappresentato dalla violazione delle leggi, che dà origine alla devianza criminale, nei confronti della quale la società reagisce con controlli formali molto strutturati, messi in atto dall'apparato poliziesco, giudiziario e carcerario. In rapporto al soggetto deviante ed alle diverse sequenze temporali del comportamento deviante è stata proposta la distinzione tra devianza primaria e devianza secondaria. La devianza primaria è qualcosa di occasionale e presentata un'implicazione del tutto marginale per le strutture psichiche dell'individuo, senza comportare alcuna riorganizzazione simbolica degli atteggiamenti e dei ruoli, nè il riconoscimento da parte degli "altri" di un preciso comportamento deviante. La devianza secondaria, invece, costituisce l'effettivo comportamento deviante, connesso all'assunzione di precisi ruoli sociali di tipo trasgressivo e può diventare un mezzo di difesa, di attacco o di adattamento ai problemi manifesti o latenti creati dalla reazione societaria alla devianza primaria. Nella devianza secondaria una particolare funzione di sostegno può essere svolta dai gruppi di appartenenza o di riferimento per determinate categorie di devianti, come nel caso dei tossicodipendenti e della criminalità organizzata. H) STRATIFICAZIONE SOCIALE. Può essere definita come la classificazione d'una popolazione d'individui o di collettività in fasce contigue e sovrapposte gerarchicamente, che si distinguono tra loro per il differente grado di ricchezza, di potere, di prestigio o per altre prorietà socialmente rilevanti. La stratificazione sociale può essere analizzata secondo criteri obiettivi proposti dai sociologi, secondo la coscienza soggettiva degli individui o attraverso gli schemi con cui gli individui sono considerati dagli "altri". Esistono, inoltre, diverse interpretazioni della stratificazione sociale. L'approccio che ha fatto più discutere è stato quello di Marx, secondo il quale la classe sociale è determinata dal rapporto degli individui con i mezzi di produzione. Weber, invece, ipotizzò l'esistenza di diversi tipi di stratificazione: in base alla classe,intesa come un gruppo di persone che hanno analoghe possibilità di vita; secondo lo status, inteso come il grado di prestigio sociale attribuito al singolo o ad 54 un gruppo, cui si può ricollegare anche il criterio del ceto; in base al potere politico di cui gli individui o gruppi dispongono. Nella concezione struttural-funzionalista la stratificazione sociale viene intesa come mezzo per il funzionamento della società, in quanto fornisce ai suoi membri motivazioni e ricompense per l'azione sociale. Altre interpretazioni hanno variamente discusso e criticato quelle precedenti, elaborando criteri sempre più complessi e articolati per definire in modo adeguato le disuguaglianze tra individui e gruppi presenti nella società. I) MOBILITA' SOCIALE. Qualsiasi movimento all'interno del sistema di stratificazione sociale può essere definito come un fenomeno di mobilità. E' necessario, tuttavia, distinguere tra mobilità sociale e mobilità territoriale: quest'ultima si riferisce semplicemente ai movimenti della popolazione sul territorio e non comporta, di per sé, particolari relazioni con la mobilità sociale. La mobilità sociale può essere ulteriormente distinta in mobilità orrizzontale, quando avviene all'interno dello stesso strato, o mobilità verticale, quando comporta il cambiamento di strato verso l'alto (ascendente) o verso il basso (discendente). Un maestro che diventa direttore della scuola, oppure un operaio che diventa imprenditore, rappresentano casi di mobilità verticale, ma un insegnante che cambia materia o sede di lavoro, oppure un operaio tessile che diventa operaio meccanico, sono casi di mobilità orizzontale, che non hanno grandi ripercussioni sui livelli occupati negli schemi di stratificazione relativi alle professioni. Secondo alcuni autori, la mobilità territoriale può essere considerata come una forma di mobilità sociale orizzontale. Esistono, inoltre, forme più specifiche di mobilità, come la mobilità generazionale, occupazionale, individuale, di gruppo, ecc. La forma più tipica di mobilità viene comunemente riconosciuta nella mobilità verticale, di cui sono state indagate le cause, per lo più identificate nei seguenti fattori: reddito, istruzione, potere politico, matrimonio. L) POTERE. Weber definisce il potere come la possibilità che una persona o un gruppo riesca a far valere la propria volontà anche di fronte a un'opposizione e distingue tre tipi principali di potere: il potere tradizionale, quello carismatico e quello legale-razionale, ai quali corrispondono altrettanti tipi di autorità. Nel caso del potere tradizionale la legittimità si basa sul fatto che "è sempre stato così": esiste, cioè, una legittimazione dell'autorità in base a una consuetudine storica, come nel caso della successione dinastica per la monarchia. La autorità carismatica, al contrario, si avvale delle doti eccezionali dell'individuo che la esercita: in virtù di queste caratteristiche di eccerzionalità i capi carismatici esercitano il potere, abrogando o modificando la tradizione. L'autorità legale-razionale, infine, si basa sulla legge e su procedure razionalmente efficaci: a differenza dei primi due tipi, questa forma di potere non si ammanta di mistero ed è legittimata da specifici provvedimenti di legge che, almeno in linea di principio, possono essere spiegati razionalmente, assieme alle finalità sociali che ne stanno alla base. Questo tipo di autorità è il più comune nel mondo moderno e la forma amministrativa che gli si addice è la burocrazia. Altri autori, oltre a Weber, hanno elaborato interpretazioni 55 sociociologiche del potere, come Pareto, con la sua teoria della circolarità delle élite, Mosca, con la sua "legge ferrea dell'oligarchia", Michels e Wright Mills, che - a differenza dei precedenti - ha elaborato una concezione democratico-partecipativa del potere. In particolare, Pareto distingue due tipi di élite che egli chiama, sulle orme di Machiavelli, élite dei "leoni" ed élite delle "volpi", caratterizzandole con motivazioni e attitudini psicologiche diverse. L'élite dei leoni è caratterizzata da un impulso fondamentalmente conservatore, assuefatto all'uso della forza e non troppo versato per la riflessione. Per contrasto, l'élite delle volpi è meno rigida dal punto di vista intellettuale, più innovatrice e riflessiva, ma molto meno portata per l'azione decisa. Entrambi i tipi di élite, alla fine, non riescono ad affrontare certe situazioni che si possono verificare in un dato tempo: viene a mancare la presa sul potere e si lascia aperta la strada a un'élite dell'altro tipo. Tale circolazione delle élite può attenuarsi se un'élite assorbe individui che hanno le caratteristiche dell'élite contrapposta. Questo espediente dà luogo a una circolazione "controllata", che consente la mobilità di alcuni individui, senza che si renda necessario cambiare l'intera élite al potere. M) BUROCRAZIA. Si tratta di un fenomeno che è assai difficile compendiare in una breve definizione. I sociologi hanno per lo più cercato di descrivere i vari elementi che sembrano essere parte intrinseca della burocrazia. Come nel caso del potere, la definizione classica è quella formulata da Max Weber, che ne delinea le seguenti caratteristiche, fondamentali e rilevanti: - la burocrazia è caratterizzata da un'organizzazione distinta, con un personale che svolge esclusivamente tale attività, in base a rigidi principi di divisione del lavoro; - nelle organizzazioni burocratiche il lavoro viene distribuito secondo aree di giurisdizione prestabilite, che sono fissate da un'apposita regolamentazione; - la burocrazia è organizzata secondo principi gerarchici ordinati e stabili, ai quali è connesso un sistema di supervisione: ogni burocrate, dai livelli più elevati a quelli più bassi dell'organizzazione, è responsabile verso un altro burocrate che sovraintende al suo lavoro. I rapporti tra i vari organi gerarchici sono retti da regolamenti ben precisi; - ogni organizzazione burocratica prevede un sistema razionale di capacità professionali che ne consenta il funzionamento in modo ottimale; in altri termini, ogni organizzazione burocratica dovrebbe prevedere un sistema razionale per valutare le competenze tecniche di ciascun suo componente e per selezionarlo e addestrarlo in base alla particolare posizione che dovrebbe ricoprire nello schema organizzativo; - l'etica dell'obiettività dovrebbe presiedere all'esercizio del lavoro burocratico: ogni "caso" dovrebbe essere trattato con criteri uguali, secondo le norme vigenti, indipendentemente dai sentimenti o dagli interessi personali del burocrate. Weber ha visto nella burocrazia uno degli aspetti fondamentali della tendenza alla razionalizzazione del mondo moderno, indicando nel fenomeno della burocratizzazione la diffusione di forme impersonali di amministrazione nei principali settori istituzionali della società contemporanea. 56 N) MUTAMENTO SOCIALE E CULTURALE. La questione del mutamento sociale può essere considerata come l'oggetto principale della indagine sociologica, dal momento che la sociologia si è sviluppata come reazione intellettuale a una serie di profondi mutamenti sociali. In Europa nacque come reazione agli sconvolgimenti provocati dalla rivoluzione francese, dalla rivoluzione industriale e dalle loro conseguenze, in America come reazione alle grandi e rapide trasformazioni che fecero seguito alla guerra civile e al diffondersi dell'industrializzazione. In entrambi i casi la sociologia è stata qualcosa di più che non un semplice tentativo di capire questi cambiamenti, infatti il desiderio di "capire" nascondeva anche l'esigenza di contenere i cambiamenti entro certi limiti - che si credevano ragionevoli - o di assumerne la direzione allo scopo di incanalarli in una direzione voluta. Il primo tipo di motivazione è caratteristico dei sociologi che hanno delle tendenze conservatrici, mentre il secondo è più sentito dai sociologi con un orientamento innovatore. Il mutamento sociale appare comunque problematico da un duplice punto di vista: è un problema intellettuale in quanto costituisce una sfida alla possibilità di comprenderlo ed è anche un problema politico poichè richiede degli interventi concreti. A secondo di come concepivano la natura della propria disciplina, i sociologi hanno collegato il problema politico a quello intellettuale in modo diverso: mentre per chi era di orientamento marxista - e credeva nell'unità tra teoria e prassi il rapporto era assai stretto, per chi, come Weber, credeva fermamente che la comprensione sociologica dovesse essere distinta dai giudizi di valore, il rapporto tra questi due problemi era solo di natura indiretta. Comunque è importante osservare che anche i sociologi, che ritengono che lo scienziato debba affrontare questi problemi con un atteggiamento distaccato dall'azione pratica, posseggono dei concetti e delle interpretazioni che hanno conseguenze politiche, se non proprio per se stessi, certo per gli altri. Tra le interpretazioni più famose del mutamento sociale vale la pena citare quelle di Comte, Spencer, Marx, Durkheim, Tonnies, Weber, Sorokin e Parsons. Il sociologo americano William Ogburn approfondì il problema del mutamento culturale attraverso il concetto di ritardo culturale. Tale concetto si riferisce ad una situazione in cui vi è un certo scarto tra i vari processi di mutamento, in particolare tra la cultura materiale, che comprende tutti gli oggetti materiali, le invenzioni, i cambiamenti tecnologici e la cultura adattiva, che comprende le istituzioni sociali (come la famiglia, la scuola, i tribunali, ecc.), i sistemi di valore (come le leggi, le religioni, le tradizioni, i costumi), le istituzioni politiche (come i governi, le amministrazioni locali, i partiti). Con questa teoria Ogburn intendeva sottolineare la complessità dei processi di mutamento, nei quali non tutti i settori della vita sociale cambiano nello stesso modo e con gli stessi tempi. E' opportuno ricordare, infine, che la sociologia - in rapporto ad alcuni dei problemi elencati e ad altri settori d'indagine - si è articolata in specifici campi disciplinari, quali la sociologia della famiglia, la sociologia dei gruppi sociali e delle istituzioni, la sociologia dell'educazione, la sociologia del lavoro e dell'industria, la sociologia dell'organizzazione, la sociologia urbana e rurale, la sociologia della religione, la sociologia dell'arte, la sociologia dei processi culturali, la sociologia 57 economica, la sociologia politica, la sociologia sanitaria o della salute, la sociologia delle catastrofi, ecc. INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE A) Testi introduttivi - Berger P.L. - Berger B., Sociologia. La dimensione sociale della vita quotidiana, Il Mulino, Bologna 1977 - Horkeimer M. - Adorno T.W., Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino 1966 - G. Morra, Perchè la sociologia, La Scuola, Brescia 1980 B) Testi più complessi - Aron R., Le tappe del pensiero sociologico, Mondadori, Milano 1965 - Bailey K.D., Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1985 - Collins R., Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna 1988 - Coser L.A., I maestri del pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna 1984 - Crespi F., Le vie della sociologia, Il Mulino, Bologna 1985 - Izzo A., Il pensiero sociologico, Il Mulino, Bologna 1976, 3 voll. - Rocher G., introduzione alla sociologia generale, Sugarco, Milano 1986 - Smelser N.J., Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna 1984 58 C) Dizionari - Demarchi F. - Ellena A. - Cattarinussi B. (a cura di), Dizionario di sociologia, Ed. S. Paolo, Milano 1987 - Gallino L., Dizionario di sociologia, UTET, Torino 1978 59