ASSOCIAZIONE CORALE ‘BENEDETTO MARCELLO’ Corso di Studi ‘La Produzione musicale sacra a Roma’ 4° ciclo di conferenze sul tema ‘La musica sacra contemporanea’ 2 3 INDICE Presentazione pag. 5 Prefazione pag. 7 Cultura e musica negli eventi storico sociali del novecento di Maria Teresa Carloni pag. 9 Igor Stravinskij e Lorenzo Perosi: due aspetti della musica sacra del novecento di Maria Teresa Carloni pag. 14 Breve storia della riproduzione dei suoni di Francesco Paradisi Miconi pag. 20 4 5 PRESENTAZIONE Il Corso di Studi ‘LA PRODUZIONE MUSICALE SACRA A ROMA’ è dall’Associazione Corale ‘BENEDETTO MARCELLO’ con lo scopo di l’interesse verso la grande tradizione corale capitolina e di divulgare presso pubblico il patrimonio artistico culturale rappresentato dalla musica corale romana. promosso stimolare un ampio italiana e Il progetto nasce articolato in quattro cicli di conferenze che si sono svoli a cadenza annuale, ciascuno composto da conferenze-concerto, durante le quali l’apporto di eminenti musicologi e musicisti si sono alternati al dibattito e all’esecuzione, da parte della corale polifonica ‘Benedetto Marcello’, di alcuni pezzi musicali attinenti all’argomento dell’incontro. Questa pubblicazione raccoglie il lavoro svolto per il 4 ciclo di conferenze sul tema ‘LA MUSICA SACRA CONTEMPORANEA’ e conclude il ciclo quadriennale di conferenze. Il Presidente Federica Stacchi 6 7 PREFAZIONE Il Corso di Studi ‘La produzione musicale sacra a Roma’ nasce da un disegno culturale divulgativo dell’Associazione corale ‘Benedetto Marcello’. Il progetto, articolato in 4 cicli di conferenze-concerto con cadenza annuale, ha affrontato un tema diverso sulla musica sacra a Roma: 1° ciclo (novembre 1999) ‘Il cinquecento in Italia e a Roma’ 2° ciclo (novembre 2000) ‘Le grandi composizioni sacre per i Giubilei e i compositori operanti nelle cappelle musicali delle basiliche capitoline’ 3° ciclo (novembre 2001) ‘L’orchestra nella musica corale’ 4° ciclo (novembre 2002) ‘La musica sacra contemporanea’ Il quarto ciclo sul tema ‘La musica sacra contemporanea’ vuole analizzare alcuni aspetti della musica corale del novecento attraverso tre interventi dal titolo ‘Cultura e musica negli eventi storico sociali del novecento’, ‘Igor Stravinskij e Lorenzo Perosi: due aspetti della musica sacra del novecento’, e ‘Breve storia della riproduzione dei suoni’. Questa pubblicazione vuole essere un approfondimento degli argomenti trattati attraverso la divulgazione integrale degli interventi dei musicisti partecipanti all’ultimo ciclo del Corso di Studi. Il Direttore Artistico M° Maria Teresa Carloni 8 9 Cultura e musica negli eventi storico sociali del novecento di Maria Teresa Carloni Il novecento è stato un secolo ricco di avvenimenti che hanno modificato l’economia, la politica, le ideologie e la cultura. Non è quindi corretto isolare i fatti artistici dalla realtà storica alla quale appartengono in quanto, per il periodo che stiamo per analizzare brevemente, le vicende musicali partecipano ad una vicenda culturale complessiva a sua volta integrata con la vita politica e sociale di un’epoca. Il passaggio tra l’ottocento ed il novecento fu segnato dal capitalismo non solo nei paesi a più antica tradizione industriale come Francia ed Inghilterra, ma il fenomeno divenne mondiale in quanto interessò potenze industriali più recenti come la Germania, l’Italia, la Russia che si aprì al grande capitalismo Inglese, Stati Uniti e Giappone: caratteri economici simili riguardarono quindi paesi dalle storie passate e recenti radicalmente diverse attraverso un’espansione produttiva impetuosa, e aggressiva nella ricerca dei mercati, che ebbe il suo sbocco più immediato nell’industria degli armamenti. Le potenze europee sono parimenti impegnate all’espansione economica in Africa ed in Asia dove, non più con poche basi costiere, all’interno fanno fiorire imprese minerarie ed agricole. Muoiono quindi antiche civiltà aventi sistemi diversi da quelli occidentali, ossia da sistemi capitalistico-industriali. Sempre in primo piano è in ogni modo presente, per le grandi nazioni industriali, la questione sociale che, in fasi alterne, spingono gli operai ad organizzarsi con precise mete di potere politico. L’esaltazione del capitalismo, della scienza e della tecnica si colorerà nel novecento di aspetti violenti, aggressivi, intolleranti e razzisti. 10 Tra l’ottocento ed il novecento, nella cultura europea, la figura dell’intellettuale modifica la sua natura per mettersi al servizio della marcia inarrestabile del progresso, divulgandone le realizzazioni. Giunge al culmine una cultura ufficiale funzionale alla realtà politico-economica del tempo: essa ha i suoi centri propulsori nelle grandi esposizioni nazionali ed internazionali per esporre le meraviglie della produzione industriale sottolineato da opere l’arte. L’ideologia che guida questo tipo di cultura è ottimistica ed il suo gusto venne espresso attraverso la ‘grandiosità’, immagine artistica centrale di questa cultura ufficiale: un esempio nell’architettura è la grandiosità degli edifici legati alle funzioni pubbliche (palazzi governativi, stazioni ferroviarie, ecc) e nell’arte figurativa connessa a questi edifici. La ‘grandiosità’ sviluppa una vera e propria psicologia delle masse spesso trattate come coronamento della grande opera d’arte. La cultura sociale di questo inizio secolo è dunque pesantemente condizionata dall’esaltazione delle sorti che la scienza e la tecnica riserveranno all’umanità. Il novecento si apre quindi con una situazione politico-sociale basata, per grandi linnee, sulle tematiche precedentemente esposte. Due furono i principali motivi di crisi che attraversarono immediatamente l’inizio del secolo: la minaccia di una guerra incombente e l’acuirsi della questione sociale. Nella prima metà del secolo le grandi dittature, le due guerre mondiali e l’olocausto modificarono completamente tutto ciò che era stato costruito nei secoli precedenti: le economie delle nazioni europee vennero distrutte, insieme alle città, dalla guerra e solo nella seconda metà del secolo, attraverso la ripresa economica data dalla ricostruzione industriale, sono tornate ad essere delle potenze economiche. La società civile visse una delle pagine più tristi di tutta la sua esistenza: l’intolleranza ed il razzismo che portò all’olocausto. In questa parte drammatica del secolo la cultura e l’arte subirono una forte battuta d’arresto. E’ quindi da dividere in tre parti le fasi culturali del secolo: prima delle due guerre, tra le due guerre e la rinascita dopo la seconda guerra mondiale. All’inizio del secolo ci fu una fase di grande diffusione della musica: i concerti itineranti (le tournèe) iniziarono ad essere una organizzazione su scala mondiale; i conservatori, fino allora utilizzati solo per lo studio della musica, diventano luoghi di esecuzione musicale dove spesso venivano invitati ad insegnare e a tenere concerti famosi musicisti europei. L’editoria musicale ebbe un’espansione a livello mondiale rilevante facilitata dai minori ostacoli linguistici rispetto all’editoria letteraria: come nell’economia ci fu il capitalismo, anche nell’editoria musicale questo avvenne con l’espansione su nuovi mercati di alcune case editrici (ad esempio Ricordi assorbì varie case editrici e si espanse fino agli Stati Uniti e l’Argentina). Nacque il ‘divismo’ dei grandi interpreti: fino allora venivano ricordati i compositori delle opere eseguite con minimi riferimenti agli esecutori, dal novecento in poi iniziarono a prendere il sopravvento l’esecuzione degli interpreti sulla musica eseguita. Nascono le grandi orchestre ed il mito del direttore d’orchestra che mettono in rilievo il culto dell’individuo eccezionale, del capo carismatico, se non addirittura del superuomo (tutte ideologie che oggi ancora persistono nell’ambiente delle grandi orchestre tanto da rendere molto difficile ad una donna direttore d’orchestra di poter emergere!). Nasce inoltre in questo inizio secolo, il culto per il repertorio: nei concerti si iniziò sempre di più ad eseguire musica del passato dando sempre meno spazio alla musica contemporanea, prassi che rimane ancora oggi nei programmi dei concerti o nelle stagioni dei teatri dell’opera. Il valore culturale espresso dal repertorio divenne quindi assimilabile a quello di un museo a cui si affida, nella continuità rassicurante con il passato, la dignità del presente. Positiva fu la concezione ‘sacrale’ del teatro o della sala da concerto: il teatro diventa il ‘tempio della musica’, lo spettacolo il ‘rito’, gli interpreti i ‘celebranti’ e gli spettatori, che ascoltavano muti, degli ‘iniziati’. Questo cerimoniale 11 modificò definitivamente il malcostume di alcuni aspetti della pratica corrente di ascolto in tutti teatri del mondo, dato dagli eccessi chiassosi del pubblico durante l’esibizione degli interpreti: si giunse quindi alla progressiva scomparsa del continuo rumoreggiare durante l’esecuzione che aveva caratterizzato le platee e i palchi per tutti l’ottocento. I concerti e le rappresentazioni teatrali iniziarono ad avere una maggiore accuratezza nelle esecuzioni attraverso la maggiore cura nelle prove e nel numero delle prove stesse, con un maggior coordinamento negli elementi di regia e di coreografia. In tutti questi cambiamenti e, contemporaneamente, del radicamento tra cultura e capitalismo, operarono dei musicisti investiti da qui processi di sradicamento, di emarginazione e autocoscienza della crisi tra rapporto artista-società che andò sotto il nome di avanguardia. La sostanza della crisi tra il compositore contemporaneo di inizio secolo (ossia il musicista che non vede più eseguita la sua musica ma musica di repertorio) ed il pubblico risiede nel linguaggio: il musicista non riesce più ad adeguarsi all’insieme di aspettative che gli provengono dall’esterno: come il pittore non intende più adeguarsi alla riproduzione di una realtà predeterminata, come il letterato non intende più descrivere oggettivamente i meccanismi predeterminati dell’organismo sociale, così il musicista considera obsoleti i modi di linguaggio del sistema tonale, le forme ad esso coerenti, le funzioni universalmente accettate del tempo e dello spazio nell’ascolto musicale. Il distacco tra musicista e pubblico è causa ed insieme effetto della crisi del linguaggio: causa perché la ricerca del linguaggio prescinde dalle possibilità di comprensione di un ascolto ingenuo; effetto perché l’isolamento nei confronti della società e dalla mancanza di una funzione riconoscibile dell’attività artistica, nasce una totale libertà, lucidamente individuata da Stravinskji, come condizione impossibile per la creazione. Tra le due guerre il mondo occidentale ebbe il punto più basso di una crisi politica, economica ed intellettuale: il 1929 è l’anno dell’inizio della ‘grande depressione’, una crisi economica che, partita dall’america, investì tutta l’Europa. Non meno profondi di quelli economici furono gli effetti politici ed istituzionali della crisi: da questa situazione trassero nuovo alimento i movimenti nazionalistici che sfociarono nelle grandi dittature. Profonde ripercussioni si ebbero sulle strutture stesse dell’organizzazione sociale: fenomeni come l’inurbamento di vasti strati contadini, lo sviluppo di una base operaia e piccolo-borghese di massa, la concentrazione del capitale e la nascita di organismi produttivi, subirono un’improvvisa accelerazione in seguito agli interventi di ristrutturazione negli anni successivi alla crisi, sino a sancire il definitivo tramonto del vecchio liberismo. Nel campo della cultura e dell’arte pochi intellettuali dell’epoca ebbero la consapevolezza chiara delle profonde trasformazioni che stavano verificandosi nel mondo occidentale: mentre la prima guerra mondiale era stata una esperienza traumatica per la cultura ed aveva segnato profondamente la produzione artistica degli anni successivi, la crisi degli anni trenta cadde invece in un clima di rassegnata indifferenza, di disorientamento e di disarmo intellettuale. L’impotenza o il silenzio della cultura venne così ad aggiungere un senso di desolazione alla tragedia che si andava consumando. La musica e la produzione musicale seguì due strade come per la politica e l’economia: nei paesi dove i movimenti nazionalistici avevano preso il sopravvento, fino a giungere alle grandi dittature, la musica era ‘di regime’, ossia vincolata e non libera espressione dell’arte; nei paesi liberi la musica rimase sempre un linguaggio di libera espressione dell’artista, ma la produzione musicale risentirà degli eventi bellici. In Italia la politica culturale del fascismo si identificò con la creazione di un apparato burocratico centralizzato che impediva ad intellettuali ed artisti ogni deviazione dal conformismo imposto dal regime. All’ombra di questa cultura incapace d’essere altro 12 che una fabbrica di stereotipi per l’indottrinamento della massa, la vecchia cultura liberale continuava ad essere il vero tessuto della vita intellettuale. Il panorama della vita culturale durante il ventennio fascista fu uguale per tutte le arti. Molti musicisti si piegarono al regime producendo musica come veniva imposto dal regime, molti altri trovarono rifugio nei paesi liberi per esprimere la loro arte. In questo periodo nuovi spazi vennero aperti all’attività compositiva ed esecutiva dall’avvento del film sonoro, della radio e, successivamente, della televisione così come nuove professioni musicali iniziarono ad esistere nell’ambito della musica d’uso come quella dell’arrangiatore. Elemento innovativo sarà la nascita della riproduzione del suono e l’utilizzo di strumenti elettronici nel linguaggio musicale. Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa, ridisegnata dalla pace e dalla ‘guerra fredda’, attraversa il periodo della rinascita economica che farà tornare varie nazioni potenze mondiali. Nella cultura l’avanguardia, in altre parole il ripudio delle forme convenzionali della comunicazione linguistica, si configurò come l’atteggiamento più congeniale alle nuove generazioni di intellettuali ed artisti nel loro rapporto con la realtà contemporanea. Il riferimento ideale e terminologico alla cultura radicale del primo novecento, la petizione di continuità nei confronti di quella che da allora è invalso chiamare ‘avanguardia storica’ venne via via ad avere una rivalutazione nei confronti di temi, opere ed autori anteriori alla guerra. In realtà, se si eccettuano alcuni casi di effettiva persistenza di una tradizione dell’avanguardia che dal primo novecento si trasmette al secondo, è difficile sul piano generale attribuire alla continuità tra vecchia e nuova avanguardia il carattere di un organico sviluppo storico al di là delle presunzioni ideologiche. Se di continuità si vorrà parlare questa andrà ricercata nelle singole opere e nel dibattito teorico che venne sviluppandosi sul tema dell’avanguardia e del suo significato nella società contemporanea. Sostanzialmente ci troviamo di fronte a due vie seguite dai musicisti in tutto il secolo: una via volta alla tradizione del linguaggio musicale strettamente legato alla tonalità, una seconda via di scardinamento della tonalità e ricerca di un nuovo linguaggio espressivo musicale: nella via della tradizione abbiamo molti musicisti e buona parte dei musicisti di regime, nella seconda troviamo tutti i compositori delle due avanguardie. Nella prima via tutto rimane abbastanza invariato rispetto alle forme musicali ed alla prassi esecutiva dell’ottocento. La seconda strada ha invece creato ad una serie di sperimentazioni che vanno dalla musica dodecafonica alla musica seriale. Fulcro di ogni sperimentazione dell’avanguardia è lo scardinamento del sistema tonale, l’utilizzo della melodia non più come elemento determinante nella costruzione del brano musicale, l’utilizzazione non tradizionale degli strumenti musicali e della voce, l’utilizzo maggiore dell’elemento ritmico e degli strumenti a percussione, la ricerca di una nuova forma di notazione musicale, la creazione di nuovi strumenti musicali e la musica elettronica. Nasce quindi un cammino volto alla ricerca delle possibilità espressive e ritmiche degli strumenti fino ad allora utilizzati ed alle nuove possibilità tecniche della voce. Scomparendo la concezione di canto identificato come una melodia, concezione che aveva dominato il panorama musicale per oltre tre secoli, la storia della vocalità è essenzialmente una rassegna delle varie forme in cui si presenta il canto declamato. Si afferma quindi il principio di una vocalità che si esprime quasi esclusivamente in una forma intermedia tra linguaggio parlato e linguaggio cantato, mentre il compito di delineare gli stati d’animo viene affidato all’accompagnamento strumentale. In Italia la declamazione tende a dilatarsi in forme ariose in parte coincidendo con il declamato delle ultime opere veriste. Il fenomeno di maggior interesse e rilievo è però costituito dall’introduzione dello Sprechgesang, una declamazione legata al ritmo e all’altezza 13 degli intervalli melodici in cui la voce accenna appena il suono abbandonandone però subito l’altezza pur tenendo il suono per tutta la durata prescritta. Ad opera dei compositori della avanguardia è legata la nascita della nuova vocalità: si tratta di una concezione della scrittura e dell’ interpretazione delle parti vocali che interessa non solo la possibilità di fonazione, compresi i rumori comunicativi (sospiro, grida, risate, gemiti, singhiozzi, ecc) e le caratteristiche del canto jazzistico e del canto popolare, ma anche l’attività gestuale del cantante, il quale deve saper ballare, recitare, improvvisare, mimare; alla nuova vocalità non sono d’altra parte estranei nemmeno tratti di autentico virtuosismo. Nella musica vocale d’avanguardia la parola, spogliata ormai da un corrispettivo musicale, tende a svincolarsi anche da un rapporto linguistico e a diventare, nella primordiale consistenza materiale di suono e ritmo, comunicazione affettiva diretta i immediata; la generale tendenza, nella seconda parte del secolo, è quella di considerare essenziale la valorizzazione delle sfumature timbriche delle vocali e delle consonanti concepite come una riserva di colori e timbri naturali. Abbiamo composizioni in cui la parola viene frantumata in fonemi naturali non aventi valore semantico preciso, e ricomposti attraverso tecniche seriali particolari: tutti i fonemi risultano separati per sonorità, colore ed accento e adeguati con un sistema di procedimenti combinatori al particolare carattere. Lo sviluppo della musica vocale ha subito una duplice direzione: da un lato proseguendo nel campo autonomo della fonetica musicale, dall’altro invece come descrizione di particolari stati d’animo e come espressione di associazioni e visioni subconscie. Nel primo caso la voce umana continua ad essere considerata principalmente come materia per la costruzione delle complicate strutture seriali, al di fuori delle associazioni espressive. Il secondo ha avuto il suo esordio negli anni ’60 quando, superato l’apice del serialismo strutturale, si andava delineando una radicale dissoluzione della ‘serietà’ seriale. L’attenzione dei compositori e degli interpreti era volta sempre più alla riscoperta del valore di una sfumatura dinamica o di un atteggiamento espressivo nella valorizzazione degli affetti complementari della voce con le sue varie maniere di emissione e di articolazione mimica. Molti compositori hanno sperimentato nuove tecniche compositive legate all’utilizzo diverso degli strumenti a disposizione, mentre molti altri sono rimasti legati alla tradizione ed alla prassi esecutiva del secolo precedente. Questi elementi sopra elencati sugli avvenimenti storico-sociali, culturali e musicali del novecento vogliono essere un breve spunto di riflessione su un secolo ricco di eventi che hanno cambiato profondamente la società, l’economia, la cultura e la musica. 14 Igor Stravinskij e Lorenzo Perosi: due aspetti della musica sacra del novecento di Maria Teresa Carloni Nel panorama della musica sacra del novecento compositori come Igor Stravinskij e Lorenzo Perosi possono riassumere i due caratteri che prevalsero in questo secolo: la ricerca verso un nuovo linguaggio musicale, facendo tesoro delle esperienze del passato, e l’esaltazione della tradizione rinnegando ogni forma di modernità. Questo piccolo saggio, attraverso il confronto di due grandi compositori, vuole mostrare due aspetti della musica sacra del novecento. Igor Stravinskij nacque in Russia nel 1882. Sin da bambino avvenne il suo contatto con la musica attraverso il padre, primo basso dell’opera imperiale di Pietroburgo, e successivamente con lo studio del pianoforte. I suoi ricordi musicali della prima infanzia erano legati ai canti dei contadini ascoltati durante i mesi estivi trascorsi in campagna, quelli della prima giovinezza riflettono invece la stupefazione di un ragazzo che assiste per la prima volta ad un’opera e che ascolta per la prima volta un orchestra. Fu solo nel corso della giovinezza che la musica cominciò ad occupare un posto prevalente e sempre più esclusivo fra gli interessi artistici e culturali di Stravinskij. Intraprese lo studio del Diritto, insieme allo studio della musica, e concluse i suoi studi nel 1905. Visse in Russia fino allo scoppio della prima guerra mondiale: successivamente si trasferì prima in Svizzera poi a Parigi; in seguito alla rivoluzione russa, della quale rimase profondamente deluso, decise di non tornare più nel suo paese d’origine. Nel 1939, avvertito l’imminente scoppio della seconda guerra mondiale, si trasferì definitivamente negli Stati Uniti dove morì, quasi novantenne, nel 1971. 15 La sua opera compositiva può essere suddivisa in cinque periodi ben distinti della sua vita: gli anni di apprendistato fino al 1909, gli anni del soggiorno in Svizzera fino al 1919, il periodo parigino fino al 1939, il primo periodo americano e l’ultimo ventennio. Nel periodo di apprendistato notiamo che così come lentamente Stravinskij manifestò le proprie attitudini musicali, così anche il processo di maturazione di un proprio stile personale fu piuttosto lento ad emergere. I primi lavori compositivi furono lavori di apprendistato caratterizzati da un sofferto cimento verso la grande forma o dal ricalco di un modello. E’ verso la fine di questo periodo che Stravinskij, traendo spunto dalla tradizione e dalla spiritualità russa, inizia a far emergere il suo stile: fulcro di questo mutamento è ‘Feu d’artifice’ (1908) dove Stravinskij introduce un nuovo criterio compositivo in cui le cellule melodiche si ricompongono e si scompongono senza posa utilizzando l’intervallo e non tanto un tema come principio strutturale; la dimensione ritmica assume notevole dinamismo e varietà, diventando anch’essa elemento strutturale e di sviluppo contestualmente all’elaborazione intervallare. Nel secondo periodo, quello del soggiorno in Svizzera, scrisse molta musica spaziando nei vari generi musicali. Lo stile compositivo è ormai ben delineato, infatti egli riassume l’intera tradizione russa tardottocentesca della scuola dei cinque ma con evidenti influssi della musica francese: sfruttò dunque questi elementi in modo nuovo che diventeranno caratteristica del suo stile personale attraverso l’uso di spirali cromatiche che identificavano simbolicamente il mondo degli esseri magici dando luogo a sviluppi intervallari invece di sviluppi tematici veri e propri, l’uso del timbro come elemento per definire con nitidezza i vari strati sonori dell’udito orchestrale, l’uso del ritmo che nel decorso tematico orizzontale si complicava in suddivisioni asimmetriche e in quello verticale in episodi poliritmici. Questo periodo compositivo fu molto fecondo infatti ci sono giunte molte opere nei diversi generi musicali. Gli anni del soggiorno in Francia inaugurarono una nuova stagione creativo con il balletto ‘Pulcinella’ che lui stesso definiva “la mia scoperta del passato, l’epifanea attraverso la quale tutto il mio lavoro ulteriore divenne possibili: fu uno sguardo all’indietro naturalmente, la prima di molte avventure in quella direzione, ma fu anche uno sguardo allo specchio”. In questa duplicità dello sguardo creativo, nel passato per attingere modelli e nel presente o passato molto prossimo del proprio stile per ricrearli con la coscienza storica, consiste l’essenza del neoclassicismo che però, nella dimensione stravinskiana, fissa molto più lo sguardo nello specchio del proprio stile di quanto non faccia nei confronti del passato. Naturalmente l’idea di rinnovare l’arte rivolgendosi ai principi e modelli del passato non costituiscono un fatto nuovo, ma il neoclassicismo del secolo ventesimo si presenta con due caratteristiche particolari: la ricerca dei principi ordinatori fuori dal Romanticismo e la consapevolezza della conoscenza approfondita di molti stili del passato; erano dunque ben lontani dalla ripetizione pedissequa ed inutile di ciò che era stato, ma volevano creare “una forza vivente che anima ed informa il presenta”. I temi di compositori precedenti passati al vaglio della rielaborazione e dell’orchestrazione stravinskiana assumono una nuova vitalità ritmica e sonora, oppure accentuano ancor più la loro vena nostalgica e sentimentale in un gioco continuo di scambi e di ribaltamenti fra i due piani: il principio compositivo di cui si avvale è la parodia. Nella musica di ispirazione religiosa, poiché in essa la sincronia tra il tempo ontologico ed il tempo musicale intende infondere nell’ascoltatore un sentimento di euforia e calma dinamica che predispone alla preghiera ed al canto di lode, questi principi trovano la più compiuta e perfetta attuazione. La prima straordinaria opera fu la ‘Sinfonia di salmi’ in cui la scelta dei salmi e dei tempi è ordinata in modo da tracciare un percorso spirituale che dalla supplica e dalla prostrazione, attraverso la fede e la speranza, giunge alla lode ed al giubilo: un esempio è come al fascio di luce abbagliane che ci folgora il passaggio dal modo minore al 16 maggiore nel Laudate Dominum, alla calma dinamica del Laudate in cui la lode è espressa con un movimento rotatorio che suggerisce l’immagine dell’eternità. Fu in ogni modo molto difficile per il pubblico e la critica comprendere tali trasformazioni. Il periodo americano inizia, nei suoi primi anni di permanenza, con tutta una serie di lavori d’occasione o su commissione quanto mai disparati: tra questi l’elaborazione di un’armonizzazione poco ortodossa dell’inno statunitense che lo porterà a rischiare di venir accusato di vilipendio nei confronti dello stato. Deciso a rimanere negli Stati Uniti, spinto dai problemi economici e dal desiderio di inserirsi in quella nuova realtà, si rese pienamente disponibile nei confronti dei suoi valori, di suoi gusti e del suo mercato musicale. Alcuni lavori di questo periodo risentono di un certo manierismo e si avverte la ripresa di moduli di lavori precedenti, mentre per altri lavori non vale questo discorso: è presente a volte la capacità ricreativa del trasformismo parodistico di Stravinskij e l’uso di una specie di fuga con accompagnamento, in cui fa passare il tema delle diverse voci orchestrali secondo il principio delle risposte della fuga accompagnate da leggere trame contrappuntistiche derivate da ritmi di danza. Il periodo neoclassico ha il suo coronamento con una splendida serie di capolavori nei vari generi: l’altissimo grado di astrazione raggiunto dalla parodia gli permetterà di fare ormai a meno di riferimenti tematici diretti. Il procedimento di sviluppo dei movimenti estremi, in cui una cellula elementare viene elaborata mediante rotazioni e permutazioni, fa presagire una predisposizioni all’impiego di procedimenti seriali veri e propri, che di lì a poco saranno utilizzati per la prima volta in modo esplicito nei ricercari della ‘Cantata’. Per quanto concerne la musica sacra, Stravinskij, intenzionato a scrivere una Messa per il rito cattolico-romano e non una messa da concerto, si attiene in modo rigoroso alla natura delle funzioni liturgiche delle singole parti. Nel Kyrie e nell’Agnus Dei le invocazioni di supplica sono poste in rilievo o da ostinazioni ritmiche oppure mediante cornici strumentali che fungono da interludio agli eventi corali; nel Gloria e nel Sanctus, invece, fa spiccare il carattere di lode e di acclamazione alternando episodi in cui una vocalità melismatica e di ambito intervallare molto ridotto quanto mai suggestiva, ad episodi di esaltazione corale in cui la ripetizione di cellule elementari nelle diverse da voci provoca l’effetto di vere e proprie esplosioni di gioia; il testo del Credo, in accordo con la sua funzione liturgica di professione di fede, è scandito sillabicamente dal coro e suddiviso in sezioni da pause, cadenze, respiri, sottolineature di parole-chiave, secondo un preciso piano formale ed espressivo. Nonostante la severità arcaica della Messa, Stravinskij non impiegò ricalchi parodistici diretti di stile della musica sacra del passato storico: ingloba nel proprio stile, sintetizza procedimenti e linguaggi in astratto. Nell’ultimo ventennio si conclude l’opera compositiva di questo compositore con opere ancora di grande interesse e di maturazione del proprio stile. Manifestò un sempre più spiccato interesse per l’impiego delle permutazioni e delle elaborazioni canoniche della tecnica seriale, senza fare molto uso di serie dodecafonica: ancora una volta è però ancora il suo stile ad inglobare le tecniche seriali ed a piegarle alle proprie esigenze creative. Due sono le opere sacre di grande interesse di questo periodo: ‘Canticum Sacrum’ , del 1955, e ’Requiem Canticles’. Nella prima opera la serialità è ancora impiegata assieme a parti libere da vincoli seriali. Dalla sede per la quale fu composta, la basilica di San Marco a Venezia, trae l’ispirazione per far rivivere la solennità rituale e la magnificenza timbrica degli antichi maestri veneziani in un’aura sonora quasi sospesa e atemporale. La cantata presenta con una struttura simmetrica che colloca al centro una sezione dedicata alla tre virtù teologali (carità, speranza e fede) invocate in una notevole varietà di episodi corali che vanno dal canone, al canto responsoriale, fra loro separati da interludi strumentali. Attorno a questo nucleo centrale si dispongono due episodi, l’uno solistico del tenore solo, accompagnato da effetti 17 strumentali e sonori raffinatissimi, l’altro a responsorio tra baritono e coro che riecheggia le sue parole amplificandole come in un eco. I due movimenti corali estremi sono perfettamente speculari in quanto rappresentano l’esortazione dell’opera di evangelizzazione e il suo compimento. Introduce l’intera opera una dedicatio in forma di bicinium fra tenore e baritono con sostegno strumentale. La perfetta integrazione tra i procedimenti seriali da un lato, i modelli antichi dall’altro, fa della composizione il primo capolavoro sacro di questa stagione compositiva di Stravinskij, e rappresenta una chiara prova del fatto che l’acquisizione della serialità non costituì affatto per il compositore un rifiuto del passato, di quello storico come di quello personale, bensì un altro modo di avvalorarlo. Nell’ultima sua composizione sacra di ispirazione funebre, ’Requiem Canticles’, realizzò forse il momento più alto di sintesi tra il linguaggio seriale e le valenze espressive del proprio stile. Ognuna delle sezioni è un quadro di grande potenza e di grande concisione espressiva illustrato da procedimenti compositivi talora inediti, come la combinazione tra omoritmia corale e parlato, che intensifica in modo impressionante l’effetto di supplica affannosa di una massa orante, o come la chiusa celestiale affidata ad un trio di celesta, campane e vibrafono con laceranti interpunzioni accordali di flauti, pianoforte e arpa. Da questa breve esposizione dei periodi di produzione musicale di Stravinskij, si può vedere il percorso compositivo di questo artisti: assorbita, durante il periodo di apprendistato, la tradizione e dalla spiritualità russa, iniziò un lento distacco già nel corso degli anni svizzeri, quando intrattenne scambi culturali molto intensi con intellettuali e musicisti non russi, ed iniziò a confrontarsi con orientamenti intellettuali diversi da quelli radicati nella tradizione russa; negli anni venti iniziò la virata neoclassica, con le perplessità ed i fraintendimenti che derivarono, inserendolo stabilmente nel gruppo d’avanguardia europea dove egli sentì, sempre più viva, l’esigenza di esporre il proprio pensiero estetico e poetico. Il trasferimento negli Stati Uniti segna un’ulteriore trasformazione nel suo linguaggio musicale: la sua concezione del processo creativo come un lavoro quotidiano artigianale ha come fine la creazione di oggetti musicali, e intende abolire un rapporto psicologico cosciente del compositore. Con l’acquisizione della serialità la poetica musicale sostanzialmente non mutò, ma venne semmai specificando certi punti focalizzandoli meglio con la distanza storica e la successiva evoluzione dell’arte musicale. Di questo straordinario compositore ci sono giunte molte opere nei vari generi musicali. Il secondo compositore oggetto di questo breve saggio sulla musica sacra del novecento è Lorenzo Perosi. Nato a Tortona nel 1872, fu avviato agli studi musicali dal padre, maestro di cappella nel duomo di Tortona e tra i propugnatori della riforma della musica sacra italiana. Dopo aver terminato gli studi nel conservatorio di Roma e di Milano, divenne organista e maestro di canto nell’Abbazia di Montecassino per due anni: successivamente riprese gli studi nel conservatorio di Milano diplomandosi e perfezionandosi successivamente a Ratisbona. Assunse l’incarico di maestro di canto nel seminario di Imola, dirigendo la cappella del duomo, come poi quella di San Marco a Venezia. Consacrato sacerdote ebbe modo di farsi conoscere dirigendo esecuzioni di proprie composizioni oratoriali, e nel 1898 fu posto a capo della Cappella Sistina a Roma e dal 1903 divenne Maestro Perpetuo. Una grave crisi psichiatrica lo costrinse a lasciare l’incarico nel 1915, ma lo riassunse otto anni più tardi. Nel 1930 fu nominato Accademico d’Italia e nel dicembre 1956 morì a Roma. Autore fecondo ed ispirato di musica strettamente liturgica, Perosi esordi nel campo oratoriale nel 1897 a Venezia in occasione di un congresso di musica sacra: l’austerità del linguaggio, l’uso sapiente di spunti gregoriani, il casto ma fervido lirismo della partitura fecero grande impressione, sì che fu istantaneamente promosso a nuovo 18 genio musicale e la sua notorietà, fino ad allora limitata all’ambiente cattolico, si estese in un baleno, provocando nell’opinione pubblica una enorme aspettativa. Gli anni tra la fine dell’ottocento ed i primi del novecento furono quelli di gran successo che stimolarono il giovane compositore ad un frenetico sforzo creativo per placare le esigenze invero smodate del pubblico italiano: ai primi quattro oratori, tre scritti addirittura in un anno, seguirono, a sempre più lunghi intervalli, lavori via via sempre meno pregnanti. Venne acclamato come il nuovo Palestrina mentre soltanto poche voci critiche isolate cercarono di far luce sull’autentica validità dell’opera di questo musicista; purtroppo le successive poco liete vicende fisiche e mentali frammentarono crudelmente l’elaborazione delle sue composizioni, sì che la conoscenza della sua produzione musicale avvenne sempre in modo più incompleto ed occasionale, impedendo un discorso critico continuativo e quindi confinando l’esegesi perosiana al solo primo periodo. Perosi continuò a scrivere musica fino alla fine dei suoi giorni, ma su questa musica non è stata fatta ancora un’adeguata indagine, sì che occorre considerare soltanto la parte nota della sua opera. La sua produzione musicale è divisibile in due parti: gli oratori e le forme affini di musica sacra. La forma oratoriale, che gli procurò immediata fama, fu da lui affrontata quasi per caso, mosso dall’esigenza di fornire un lavoro importante per il congresso eucaristico veneziano: fu il grande successo ottenuto a spingerlo oltre, facendogli concepire il progetto, solo parzialmente realizzato, di musicare in dodici episodi la vita di Cristo. Attraverso le successive tappe, l’oratorio perosiano si configura come animato da nobilissime intenzioni, denso di lirismo quasi costantemente puro e spirituale: musicò direttamente il testo evangelico dando voce ai personaggi in prima persona, movimentando inoltre il ruolo dello storico che risulta sovente suddiviso tra i vari solisti ed il coro. Seguendo l’esempio di Bach fa uso di episodi fugati e di corali variati; ma nell’insieme la materia musicale degli oratori colpisce per lo strano e suggestivo eclettismo col quale egli accosta echi veristici, atteggiamenti wagneriani, costruzioni di tipo barocco ed echi della grande polifonia italiana. Difettava in Perosi un vero e completo corredo di studi: la sua preparazione comtrappuntistica, soprattutto in materia sacra e gregoriana, era solida ma troppo poco egli aveva approfondito la scienza dell’orchestrazione e la dottrina della composizione vera e propria, per questo la realizzazione dei suoi lavori sinfonico-corali risulta sempre inferiore all’invenzione. I momenti migliori vanno perciò ricercati nella fervida intonazione di episodi commuoventi, gioiosi, esultanti, dove le componenti si armonizzano compiutamente formando una sintesi poetico-mistica di schietta ispirazione cattolica che riesce a conseguire un fascino genuino, fatto di ingenuo misticismo espresso da affettuose pennellate sonore. Altro discorso occorre tenere per quanto riguarda la musica liturgica, numerosissima, che scrisse con inesausta spontaneità per tutta la vita. Sono giunti a noi numerosi mottetti e numerose messe che esprimono, nella loro semplicità, la migliore vena compositiva di Perosi, volta a tradurre in suoni le solenni parole dell’azione sacra. Sono tutti brani semplici, in cui la polifonia è trattata con scorrevolezza e posta al servizio di una fresca vena melodica dove, accanto al gregoriano, si trova l’affettuosità tipica di questo compositore. Tra l’innumerevole quantità di musica prodotta dal movimento ceciliano, con severi propositi di restaurare il gusto ed il senso della liturgia, i lavori di Perosi spiccano di gran lunga per genialità creativa sopravanzando i nobili ma sterili parti dei compositori del movimento: Perosi colse interamente lo spirito della riforma della musica sacra scegliendo il linguaggio del suo tempo depurandolo da falsi residui romantici e da ambiziose filiazioni barocche irrimediabilmente vuote di contenuto. I risultati da tale saggia e consapevole presa di posizione si notano in alcune messe che vivono di autentica ispirazione, perfettamente equilibrate rispetto all’esigenza 19 liturgica e condotte in modo sapiente nel sobrio dialogo fra voce e organo, e in molti mottetti quasi tutti di breve respiro ma non per questo meno efficaci. Di Perosi ci è giunta una vasta produzione musicale tutta imperniata nelle varie forme della musica sacra. Questo breve lavoro di descrizione ed analisi dell’opera musicale sacra di due compositori vissuti nello stesso periodo storico, mette in evidenza come sia stato frastagliato musicalmente il novecento musicale al punto di avere situazioni totalmente contrapposte. In Stravinskij abbiamo il compositore a contatto con il mondo, con le varie esperienze compositive delineatesi nel periodo in cui viveva, un compositore prolifico nei vari linguaggi musicali sperimentati dall’avanguardia e nei vari generi musicali; in Perosi abbiamo invece il compositore molto legato alla tradizione, ad una continuità con l’ottocento, che respinse ogni forma di sperimentazione nell’ambito dell’avanguardia, e che svolse tutta la sua attività compositiva nell’ambito della musica sacra. Voler fare un parallelo tra questi due artisti non è possibile per la diversità di formazione e di spessore musicale, ma è interessante vedere come potevano coesistere due realtà così diverse nell’ambito dello stesso periodo storico. 20 Breve storia della riproduzione dei suoni di Francesco Paradisi Miconi Forse non tutti sanno che i primi tentativi di imprigionare i suoni in un supporto che ne potesse consentire il riascolto in un tempo successivo risalgono ad oltre centoventi anni addietro. Fu infatti lo statunitense Thomas Edison (il famoso inventore della lampadina elettrica, nonché titolare di un numero incredibile di brevetti) a realizzare nell’anno 1877 il primo rudimentale fonografo. Egli, per la prima volta nella storia, servendosi di un cilindro che ruotava a velocità costante e che si spostava lateralmente per mezzo di una vite senza fine, riuscì ad imprimere – sia pure in modo molto approssimativo – i suoni di una filastrocca cantata da sua figlia: sul cilindro veniva avvolto un foglio di stagno ed i suoni, raccolti per mezzo di una specie di imbuto che trasmetteva le relative vibrazioni ad una punta, venivano incisi mediante quest’ultima sul foglio di stagno. La particolarità di questo fonografo primitivo era costituita dal tipo di incisione che era modulata verticalmente e cioè in profondità anziché lateralmente. Dieci anni dopo, nel 1887, fu il tedesco E. Berliner ad inventare la registrazione laterale mediante la realizzazione di un solco inciso su un disco anziché su di un cilindro. Questa è stata l’invenzione fondamentale che, sviluppata e perfezionata nei decenni successivi, ha consentito la immensa produzione e diffusione in tutto il mondo della musica registrata mediante incisione su disco, sistema che è stato superato solo recentemente dalla tecnologia digitale – di cui si dirà appresso – in contrapposizione a quella fino ad allora universalmente in uso detta analogica. 21 All’inizio del 1900 vennero commercializzati i primi dischi ed i primi sistemi per il loro ascolto, senonchè la qualità del suono riprodotto era molto scadente e questo per vari ovvi motivi. Infatti nella fase di incisione i suoni venivano raccolti da una specie di tromba rovesciata che trasmetteva le vibrazioni ad una membrana la quale a sua volta era collegata ad una punta metallica: questa incideva un solco sul disco descrivendo una aspirale che partiva dall’esterno e finiva verso il centro. Occorre poi considerare che i suoni registrabili erano limitatissimi in intensità perché il sistema tromba-membrana, avendo una efficienza acustico-meccanica molto bassa, doveva essere posto nelle immediate vicinanze di chi parlava, suonava o cantava. Un esempio pratico, ben noto a molti, si può avere ascoltando i dischi registrati agli inizi del ventesimo secolo dal celebre tenore Enrico Caruso: in essi, mentre la voce solista veniva captata discretamente perché molto vicina alla tromba del fonografo incisore, l’accompagnamento da parte dell’orchestra o anche del solo pianoforte risultava assolutamente ridicola per intensità e timbro. Si deve inoltre considerare che, per una serie di motivi che ovviamente esulano dalla presente elementare esposizione, la banda di frequenze riproducibile con tale sistema era estremamente limitata e praticamente si riduceva ad una parte assai ristretta delle sole frequenze medie, così determinando alterazioni e colorazioni timbriche oggi inammissibili. Si aggiunga a questo che il rapporto tra il livello del suono riducibile ed il rumore determinato dallo sfregamento della puntina metallica nel solco inciso era molto scadente contribuendo ulteriormente a peggiorare una qualità di ascolto già piena di limiti e difetti. Eppure, per quei tempi, si restava stupefatti perché mai sino ad allora si era avuta una possibilità di riascoltare un brano di musica in un tempo successivo a quello in cui era stato eseguito. Questo sistema di incisione – detto meccanico perché erano in gioco soltanto principi di meccanica-acustica – venne soppiantato attorno all’anno 1928 quando fu introdotta la registrazione elettrica. Si trattò di una vera rivoluzione tecnologica perché, al posto di una membrana collegata alla famosa “tromba” che raccoglieva i suoni, veniva usato un sistema elettromagnetico in cui era incorporata una punta tagliente per l’incisione del discomaster. A questo dispositivo arrivavano i segnali elettronici provenienti da un sistema elettronico di amplificazione al quale facevano poi capo dei microfoni e cioè dei trasduttori che trasformavano l’energia acustica in energia elettrica. Da questa innovazione si ottennero notevoli vantaggi sul piano dell’ascolto perché da un lato la gamma di frequenze riproducibili si estendeva sia verso l’alto e sia verso il basso consentendo così una timbrica migliore e dall’altro, mediante l’uso di più microfoni, era possibile avvicinarsi ai musicisti per ottenere un suono complessivo che potesse comprendere tutti gli esecutori o almeno una gran parte di essi. Certo restavano ancora parecchi problemi da risolvere come ad esempio il fastidioso rumore di fondo provocato dallo sfregamento della puntina sul solco ed il tempo di riproduzione limitato a 4/5 minuti per ogni facciata del disco, cosa che costringeva l’ascoltatore ad alzarsi spesso per cambiare il disco, interrompendo e disturbando così la tensione psicologica connessa all’ascolto di un brano musicale di una certa durata. Va comunque aggiunto che i dischi di quell’epoca (si sta parlando dei pesanti 78 giri che peraltro avevano una vita limitata perché soggetti al logorio dei solchi da parte della puntina di lettura) avevano ancora una banda di frequenze molto tagliata sia verso il basso e sia verso l’alto. 22 La successiva rivoluzione è avvenuta all’inizio degli anni cinquanta con la riproduzione del cosiddetto microsolco. Questo nuovo tipo di disco aveva i seguenti vantaggi: 1- il materiale con il quale era realizzato, non solo era molto più leggero, ma consentiva un notevole abbassamento del rumore di fondo rispetto a quello del 78 giri; 2- la durata di ogni facciata arrivava ad oltre 20 minuti; 3- la banda di frequenza riproducibili si estendeva enormemente consentendo un ascolto molto più musicale e realistico; 4- con la drastica riduzione del peso della testina di lettura veniva ridotta l’usura del solchi e garantita una durata nel tempo molto maggiore. Quasi contemporaneamente stava cominciando ad affermarsi un altro miglioramento – una vera innovazione senza precedenti nella sua applicazione commerciale – conosciuto comunemente con il nome di stereofonia. Mentre prima di allora il suono riprodotto in una normale casa di abitazione proveniva unicamente da un altoparlante (pensiamo alla radio ed al vecchio grammofono) creando una sorgente sonora estremamente localizzata e delimitata nello spazio, con la stereofonia si è cercato, mediante l’uso di due distanziati diffusori acustici collegati a due separati sistemi di amplificazione, di ottenere un fronte sonoro più largo ed ampio e comunque maggiormente paragonabile a quello musicale. C’è però da dire subito che di questa nuova tecnologia non sempre è stato fatto un uso razionale e corrispondente alle vere esigenze della musica: molto spesso si è assistito ad una separazione dei suoni artificiosa, ridicola e falsa, con effetti a prima vista strabilianti ma che non rendevano certo giustizia alla musica. C’è comunque da osservare che, nonostante tutti i miglioramenti di cui s’è parlato, la qualità finale di un disco microsolco stereofonico presentava ancora forti limitazioni: pochi sanno che dalla incisione della lacca vergine al disco venduto nei negozi vi era una serie incredibilmente lunga e tecnologicamente complessa e sofisticata di passaggi intermedi per poter arrivare alla fine alla realizzazione di un disco maschio in metalli (detto stamper) dal quale poi si ottenevano per stampaggio le singole copie destinate al commercio. E’ inutile dire che ognuno di questi passaggi comportava un suo degrado che poteva consistere sia in perdite delle informazioni originali e sia in deformazioni delle stesse. Occorre poi considerare, tanto per chiudere questo breve sommario sulla cosiddetta era analogica della riproduzione dei suoni, che nel frattempo era stata raffinata la tecnica della registrazione magnetica, realizzata dapprima su filo metallico e poi – con risultati molto superiori – su nastro. Questa è stata un’altra grande rivoluzione tecnologica perché, oltre ad assicurare una qualità musicale finora mai raggiunta, consentiva di immagazzinare su un nastro magnetico – detto master – le sedute di registrazione in cui contenuto, con tutta la calma e con la possibilità anche di apportare successivamente in studio modifiche o correzioni, veniva poi riversato, anche a notevole distanza di tempo, sulla macchina di incisione dei dischi. Basti pensare che, prima della scoperta della registrazione magnetica, l’evento musicale veniva trasferito direttamente su disco per mezzo della macchina di incisione e conseguentemente ogni errore od imprecisione sul piano musicale ed estetico costringeva a gettare via l’intero master e rincominciare da capo. Tutto ciò inoltre con notevole aumento dei costi di produzione in quanto, a prescindere dagli aspetti puramente tecnici, gli esecutori restavano impegnati per tempi molto lunghi negli studi di registrazione o nelle sale da concerto. Tutta questa tecnologia – chiamata in gergo analogica – ha dominato la scena mondiale fino all’anno 1979 quando è stata introdotta la cosiddetta tecnica digitale. 23 Questa volta il salto di qualità, almeno sul piano concettuale e potenziale, è stato veramente senza precedenti. La musica registrata veniva trasferita su un supporto molto piccolo e leggero al quale era stato dato il nome di compact disc. Le peculiarità più importanti erano: 1- durata nel tempo del supporto pressoché illimitata; 2- durata ininterrotta del tempo di ascolto di circa 75 minuti; 3- totale assenza di ogni rumore di fondo, tranne i casi in cui veniva trasferito su compact disc un vecchio master analogico; 4- gamma di frequenze riproducibili praticamente estesa a tutti i suoni udibili dall’orecchio umano; 5- gamma dinamica (rapporto tra suono più debole e quello più forte) di oltre 90 decibel e quindi molto prossima alla realtà; 6- livello di distorsione bassissimo. A questo si aggiunga il non trascurabile vantaggio pratico della possibilità di formarsi una discoteca usando spazi materiali alquanto ridotti. Si è accennato prima al fatto che con l’avvento del digitale la qualità musicale raggiungibile poteva essere teoricamente altissima, ma nella realtà poi ciò non si è verificato. Infatti, per motivi puramente commerciali, si è deciso di creare uno standard (quello del compact disc) già limitato in partenza perché prevedeva all’origine una perdita di informazioni e ciò ad ovvio discapito della qualità del suono. Oggi però, dopo oltre venti anni di successo popolare del CD, si sta pensando, dietro le pressanti richieste di un pubblico musicalmente più esigente e di una larga fascia di tecnici che non accettano di vedere penalizzate, per motivi di lucro da parte delle industria, le loro ricerche e le loro realizzazioni più avanzate, di rivedere lo standard del digitale e speriamo che questa volta sui meschini interessi commerciali possa prevalere la musica: Aspettiamo fiduciosi. 24 A.C.B.M. 005 25 Finito di stampare nel giugno 2003 dall’Associazione Corale ‘BENEDETTO MARCELLO’ sede legale L.go N.S. di Coromoto, 2 00151 Roma 26 © 2003 Associazione Corale ‘BENEDETTO MARCELLO’ sede legale L.go N.S. di Coromoto, 2 00151 Roma tutti i diritti riservati a termine di legge – All rigth reserved – International copiright secured