Dieci tesi su Religioni, Violenza, Nonviolenza

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DIECI TESI su RELIGIONI, VIOLENZA, NONVIOLENZA
Si propongono qui, in forma di appunti, sempre da rimeditare e verificare, dieci
possibili aspetti della relazione tra religioni, violenza e nonviolenza.
1. Le religioni producono sia violenza che nonviolenza.
Le religioni sono tensione, ricerca, relazione con qualche “verità”, o realtà ultima,
che dà significato e coinvolge intensamente tutta la nostra personalità ed esistenza
umana; verità e realtà maggiore delle prime apparenze; oppure sono relazione vitale
con qualche vita più viva della nostra.1 Questi elementi sono colti da chi è religioso
come un assoluto più fermo e più forte della nostra relatività e caducità. Proprio per
questa convinzione forte e profonda, le religioni, specialmente nelle loro forme
istituzionalizzate, possono essere tentate, quale più quale meno, di intransigenza, di
totalitarismo esclusivista, di imposizione violenta.
Eppure, nello stesso tempo, proprio un tale rapporto personale alto e profondo, se
vissuto seriamente e interiormente, con qualche assoluto che ci trascende, ci fa sentire
relativi, dunque ci chiede e ci conduce ad essere umili, miti, rispettosi, nonviolenti,
impegnati nel servizio agli altri. Il significato migliore e più vitale delle religioni
esige che esse si facciano tutte sempre più chiaramente nonviolente.
2. Le religioni acquistino coscienza di questa loro ambiguità.
Se è vero che le religioni hanno questo possibile doppio rapporto con la loro
“verità”, con effetti di violenza o di nonviolenza, allora hanno il compito di lavorare
su se stesse per risolvere tale ambiguità in senso positivo. Questo è nelle loro
possibilità, come dimostra il fatto che, davanti alle violenze potenzialmente finali
presenti nel mondo di oggi, le religioni, ciascuna per sé e nel dialogo tra loro,
cominciano a esaminarsi riguardo alla violenza.
3. Le religioni hanno un riferimento alla verità.
Alcune religioni hanno più forte il senso di una verità ricevuta. In ogni caso, la
verità è sempre da comprendere meglio, e soprattutto da vivere fedelmente. Dunque,
le religioni hanno oggi il compito di comprendere:
- che la verità non è mai posseduta ma sempre cercata, ricevuta, invocata, e sempre
veduta solo parzialmente e imperfettamente;
- che essa, per quanto ci è dato conoscerla, non risiede tanto nelle menti e nelle
definizioni intellettuali (peraltro utili alla vita buona, ma sempre perfezionabili)
quanto negli atti pratici della vita autentica;
- che la verità, comunque la intendiamo, la esprimiamo e la pratichiamo, è sempre
più grande della nostra comprensione e attuazione;
1
Vedi le definizioni di religione date da Giovanni Filoramo e da Joachim Wach, in Armido Rizzi, Il sacro e il senso,
Ed. Elle Di Ci, 1995, pp. 16-17
- che i nostri diversi approcci e interpretazioni della verità devono essere intesi
come in relazione tra loro, pur nelle differenze dialettiche, e non solo in opposizione
escludente;
- che la verità non si può diffondere o inculcare con la forza, elemento estraneo ad
ogni sincera adesione;
- soprattutto, le religioni hanno oggi il compito di comprendere che la verità che
possiamo conoscere non ci può armare mai gli uni contro gli altri (come nella storia
ha fatto chi con arroganza ha pensato di tenerla in pugno e di imporla ad altri come
verità armata), ma proprio ci "disarma", nel senso che ci rende più miti ed umili,
impegnati continuamente ad imparare dall'ascolto reciproco, e a vivere una vita più
giusta. La verità non ci arma, ma proprio ci disarma, per guidarci ad una vita
personale e a relazioni umane più buone e più vere perché più miti. La «forza della
verità» (Gandhi) non è offensiva, ma consiste nell’agire profondamente su di noi, in
quanto la cerchiamo e le siamo fedeli, col renderci più veri, più forti nel resistere al
male e nel vivere il bene.
4. Elezione come in/carico
Le religioni del ceppo di Abramo (ebraismo, cristianesimo, islam), che portano in
sé l'idea di una "elezione", cioè la scelta di un messaggero o di un popolo da parte di
Dio, hanno il dovere e il bisogno, nell'attuale opportunità e necessità di rispetto e
dialogo con le altre religioni:
- di interpretare quella idea e consapevolezza di “elezione” alla luce della
fondamentale unità della famiglia umana e del rispetto dovuto ad ogni tentativo di
vita umana degna e dotata di senso (cioè, alle diverse culture, civiltà, religioni della
storia umana);
- di escludere ogni interpretazione della elezione come un privilegio che conferisca
qualche superiorità, in campo spirituale o addirittura in campo politico-etnicoterritoriale, o in campo legislativo, o qualunque diritto superiore, perché elezione non
può essere selezione;
- di comprendere invece l’elezione come la chiamata ad una responsabilità che
impegna verso tutti, come un in/carico, un dono che è anche un onere, come una
illuminazione ricevuta non per sé ma per essere messa a disposizione, con rispetto e
mitezza, senza arroganza, di chi voglia prestarvi attenzione e vi si riconosca
liberamente.
5. Religioni e poteri
Nel compito di convertirsi alla nonviolenza, le religioni sono aiutate od ostacolate
dalla minore o maggiore potenza delle loro strutture istituzionali e dei loro legami
con le potenze economiche e politiche, e dalla qualità delle loro teologie (quale
immagine di Dio) e dottrine (quale antropologia e filosofia di vita).
Il potere politico-economico-culturale-mediatico-militare, quanto più è sottilmente
violento, tanto più si procura l’avallo fornito dalle religioni, manipolandone e
falsificandone lo spirito. Le religioni, più sono spiritualmente deboli, tanto più si
rendono disponibili a servire il potere in cambio di protezione e favori, allontanandosi
dal coraggio della giustizia e della nonviolenza, giustificando e persino sacralizzando
la violenza.
6. L’etica giudica le religioni
L’etica dell’unità umana, cioè del valore inviolabile dell’umanità riconosciuta e
venerata in ogni essere umano, giudica tutte le culture, le filosofie, le religioni, le
politiche, le economie. Tutte le vie umane sono giudicate dall’etica di pace
nonviolenta, cioè dal «rispetto per la vita»2 , come dal principio universale della
reciprocità di valore e di comportamento (la “regola d’oro”, presente in tutte le
culture).3
È dunque possibile, secondo l’esperienza fatta da ciascuno, che questa etica porti al
dovere di riformare sinceramente – anzitutto nella propria persona - la religione
seguita, della quale si siano constatati tradimenti, errori, sordità, ritardi su questo
punto primario dell’etica di pace, fino al diritto di rifiutare e abbandonare quella
religione. Questo diritto spirituale di seguire, criticare, riformare, cambiare, negare
una religione, appartiene alla dignità di ciascuno ed è inviolabile e incomprimibile da
parte di qualsiasi potere, religioso, educativo, o politico.
7. Coscienza e educazione
Si può fondatamente pensare che la coscienza del «rispetto per la vita» e della
premura per il diritto e il bisogno altrui, riconosciuto dello stesso valore del proprio
(“regola d’oro”), sia un elemento costitutivo della nostra natura umana, in quanto
iscritto nelle “viscere” del Samaritano (tipo dell’uomo umano nel vangelo di Luca,
cap. 10), o nella “umanità” dell’uomo «sensibile all’altrui sofferenza», nella parabola
del bambino e del pozzo, di Mencio.4
Questo elemento può essere rafforzato e stabilizzato ma anche indebolito e spento
nelle persone e nelle società secondo il tipo di educazione, di cultura e di ethos
circostante. Quella coscienza è indebolita e distrutta dalla cultura di guerra, non
poche volte approvata dalle religioni, cultura che mediante la “costruzione del
nemico” degrada l’avversario a livello subumano per renderne possibile, e persino
doverosa e onorevole, l’offesa, la sofferenza, la sottomissione, l’uccisione.
Quella coscienza umana, che in genere è educata e rafforzata dalle religioni, nelle
loro versioni migliori, non dipende essenzialmente da una visione religiosa della vita.
L’identificazione con l’altro, più evidente quando l’altro è in pericolo e ci muove
istintivamente al soccorso, è un fatto originario, la cui interpretazione può essere o
religiosa (appello divino) o razionale (appello della ragione). Ma la diversità di
interpretazione non cambia il dato.5
2
Albert Schweitzer, Rispetto per la vita, Claudiana 1994.
Ne ho raccolte circa trenta formulazioni analoghe rintracciate nelle religioni e nelle sapienze di tutta l’umanità,
pubblicata in parte su il foglio n. 226, Torino, gennaio 1996 (www.ilfoglio.info) e poi in Servitium, Quaderni di ricerca
spirituale, ([email protected]), n.152, marzo/aprile 2004, fascicolo Riconoscimento e disprezzo, pp. 103-108.
4
Vedi Per un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta, a cura di Pier Cesare Bori e Saverio
Marchignoli, Carocci editore, 2003, pp. 58-60.
5
Per questo argomento, vedi Armido Rizzi, Crisi e ricostruzione della morale, Società Editrice Internazionale. 1992,
pp. 99-112, e la conferenza Responsabilità etica tra fede e laicità, tenuta nella Facoltà di Filosofia, Università di Torino,
12 gennaio 1996 (di cui possiedo gli appunti).
3
Nonostante le pesanti strutture di violenza impiantate nella storia e nelle culture,
che ci fanno pensare anche che «homo homini lupus», è ben plausibile che noi siamo
fatti gli uni per gli altri,6 quindi per la soluzione nonviolenta dei conflitti, e per il
controllo della nostra distruttività, fino a diventare capaci di escluderla, o di ridurla al
minimo, nei rapporti umani ad ogni livello. Ciò è avvenuto nella storia7 e avviene
oggi, specialmente in società meno numerose, dove i rapporti personali sono meno
anonimi. Tale possibilità è un impegno che accomuna le persone moralmente
sensibili, che siano religiose o non religiose.
8. La pace, mito del nostro tempo
Si può dire con Raimon Panikkar che la pace, nonostante e contro l’impero della
guerra oggi ristabilito, sia «il mito emergente del nostro tempo», un simbolo
universale e fecondo, una specie – per così dire - di nuova religione universale, nuova
fede, nuova morale, nuovo modello di civiltà.8 Questo si può dire purché lo si
intenda nel senso seguente:
- mito, per Panikkar, non significa irrealtà, sogno, favola, e neppure un concetto
razionale o un obiettivo pratico, ma qualcosa di più: l’orizzonte ultimo di
intelligibilità di una cosa, il presupposto che rende comprensibile la comprensione, e
rende ragionevole la ragione;
- l’ideale della pace non assorbe né sostituisce necessariamente le religioni
tradizionali, ma le può unire, nel rispetto pieno delle loro differenze;
- l’ideale della pace costituisce un profondo punto d’incontro fra le persone non
religiose, che lo praticano senza ricollegarlo ad alcuna religione, e le persone
religiose, che in una determinata religione trovano alimento al loro impegno morale
per la pace.
9. Il miracolo morale
L’amore fino ai nemici, il perdono delle offese, il male ricambiato col bene, ciò
può essere considerato il maggiore “miracolo morale”: per i credenti è il segno più
grande che Dio può dare di sé nell’umanità, per i non credenti è il grado più alto di
elevazione dello spirito pratico umano.9 Oggi l’amore fino ai nemici (effettivo, non
necessariamente affettivo) si attua nella nonviolenza attiva e politica, nella cultura
della gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti; si attua, in ogni persona e in ogni
gruppo umano, nell’abbandonare l’idolatria del proprio diritto assoluto, duro e
impositivo, in favore dell’incontro, della trattativa e dell’accordo con l’altro,
rispettato nella sua diversità. Forse in ciò sta la verità che ci salva dal male e dal
dolore, verità che tutte le spiritualità religiose e le spiritualità non religiose cercano a
tentoni, che trovano a pezzi e bocconi, nella fatica e nella gioia che sono la dignità
delle persone umane.
6
Cfr Marco Aurelio, Ricordi, Libro ottavo, n. 59, e vari altri luoghi. Cfr anche Piero P. Giorgi (studioso di neuroscienza
e antropologia, University of Queensland, Australia), La violenza inevitabile: una menzogna moderna, Jaca Book 2008.
7
Cfr in rete la bibliografia storica da me curata Difesa senza guerra.
8
Raimon Panikkar, La torre di Babele, Pace e pluralismo, Ed. Cultura della Pace, Fiesole 1990, p. 173. Sul mito vedi
anche p. 59 e 63.
9
Cfr Umberto Eco, Cinque scritti morali, Bompiani 1997, pp. 90-91.
10. Religioni e pace: contributi e ritardi
Nella cultura di pace e nel movimento per la pace e la nonviolenza, persone
religiose danno un contributo essenziale, condividendo in forma laica, anche con chi
non è religioso, la fede nella verità, la speranza nel bene, l'amore per l'umanità,
l'impegno per la giustizia. Ma, all'interno delle diverse religioni strutturate (quale più,
quale meno), l’impegno di pace, e di pace nonviolenta, è ancora acquisizione di pochi
e non è senza contraddizioni, non è sempre chiaro, nelle espressioni ufficiali. Le
ragioni di ciò, forse specifiche ad ogni religione, e di peso variabile dall’una all’altra,
richiedono di esse indagate in concreto.
(Questo testo è una ulteriore rielaborazione di analoghe tesi proposte in forme
successivamente corrette e integrate in vari articoli e in opere collettive fino dal
2003)
Enrico Peyretti
[email protected]
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti
http://italy.peacelink.org/pace
www.serenoregis.org
www.ilfoglio.info