COLLETTA DEL VENERDÌ DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA Da, quæsumus, Domine, fidelibus tuis observationi paschali convenienter aptari, ut suscepta sollemniter castigatio coporalis cunctis ad fructum proficiat animarum. Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Origine Il testo originale della colletta deriva dal sacramentario veronense e fu usata nell’anniversario di una ordinazione episcopale che cadeva in tempo di digiuno. È interessante notare che l’evento festoso celebrato entrava e non interrompeva il ciclo proprio del tempo liturgico. L’anno liturgico era davvero l’anno di vita della Chiesa e tutto si adeguava ai tempi da esso scanditi. Fonti La locuzione fructum animarum richiama i Commenti ai Salmi di Cassiodoro. Spunti di riflessione 1) «fidelibus, sollemniter, cunctis»: il soggetto è la Chiesa. Guardando la traduzione italiana della colletta e raffrontandola al testo latino, si noterà come il traduttore abbia dato una giusta interpretazione ecclesiologica al testo originale. Fedelibus è tradotto con Chiesa; sollemniter, riferendosi alla penitenza corporale iniziata solennemente nel mercoledì delle ceneri, ci rimanda a quella celebrazione e a quella colletta che parlava del popolo-milizia e sottolineava l’aspetto comunitario della quaresima (comune impegno); cunctis, mentre nel messale francese è stato tradotto con un individualista chacun (ciascuno), nel messale italiano è più opportunamente tradotto con a tutti noi. L’esodo quaresimale è sempre stato interpretato alla luce dell’esodo israelitico: lì, nel deserto, Israele è veramente diventato un popolo per il dono delle tavole e per l’ingresso nella terra promessa. Noi, popolo della Chiesa, siamo in cammino verso la nostra terra promessa che è anche la fonte della nostra identità: la Pasqua di Gesù. In questo modo comprendiamo, dalla catechesi liturgica di queste parole, che siamo Chiesa non in quanto condividiamo un ideale ma perché in mezzo a noi c’è Gesù risorto che ci unisce a Lui ed in Lui. 2) «Observationi paschali»: centro dell’anno liturgico e della vita della Chiesa è la Pasqua di Cristo. La nostra preghiera sembra anticipare i tempi: parla non più di digiuno o pratiche quaresimali ma di osservanza pasquale. Sta cioè proiettando lo sguardo al fine. Non è difficile capirlo dopo ciò che abbiamo detto nel punto precedente sull’identità della Chiesa, comunità pasquale. Tutto ciò che viviamo in quaresima ci sospinge alla meta, al compimento di tutto che è la Pasqua di Cristo. Inoltre, la nostra preghiera parla di osservanza pasquale facendo riferimento alla castigatio coporalis. La penitenza corporale è, quindi, interpretata come un morire in attesa della risurrezione: le penitenze quaresimali sono pertanto un anticipo della vittoria pasquale di Gesù sul peccato e sulla morte. Quando, nella vita penitenziale, io rinuncio a qualcosa di legittimo sto dilatando in me gli spazi della vittoria di Cristo, il quale ha liberamente rinunciato al diritto della propria vita per farne un dono. Come il suo sacrificio oblativo è pienezza di vita per Lui ed è fonte di vita per noi, così ogni rinunzia per amore porta con sé lo stesso dinamismo pasquale. 3) «convenienter aptari»: offrite voi stessi come un sacrificio santo, vivente a Dio gradito (cf Rm 12, 1-2). L’espressione convenienter aptari di per sé significa prepararsi in modo adeguato. Essa si trova anche nella preghiera sulle offerte della prima domenica di quaresima, che è stata tradotta così: la nostra vita si ispiri più al sacrificio che santifica l’inizio della quaresima. Ci troviamo, cioè, al’interno di un linguaggio sacrificale. Era detta conveniente l’offerta, la vittima sacrificale che corrispondeva ai dettami della purità rituale e che pertanto sarebbe stata gradita a Dio, cioè una vittima degna del suo Destinatario. Se nell’Antico Testamento la vittima era un’animale, nel Nuovo Testamento anzitutto Gesù è la vittima per la nostra salvezza, è l’Agnello senza difetti, Colui che nel suo sangue riconcilia l’umanità col Padre. Però, uniti a Lui, anche i credenti offrono se stessi come un soave profumo, come un sacrificio spirituale. Le opere quaresimali, allora, pur facendoci vivere l’asperità del sacrificio, molto di più ci trasmettono la gioia di essere graditi a Dio, perché fanno brillare in noi la luce della Pasqua del Suo Agnello immolato e risorto. ____________________________________ COLLETTA DEL SABATO DELLA I SETTIMANA DI QUARESIMA Ad te corda nostra, Pater æterne, converte, ut nos, unum necessarium semper quærentes et opera caritatis exercentes, tuo cultui præstes esse dicatus. O Dio, Padre di eterna misericordia, fa’ che si convertano a te i nostri cuori, perché nella ricerca dell’unico bene necessario e nelle opere di carità fraterna siamo sempre consacrati alla tua lode. Origine La colletta originaria deriva dal sacramentario veronense (561-574) ed era utilizzata in apertura del digiuno del decimo mese. L’attuale testo è frutto di numerosi rimaneggiamenti. Fonti La richiesta converte ad te corda nostra richiama l’invocazione di Lam 5,1; ma il tema dell’unum necessarium ci rimanda immediatamente all’opera lucana e alle scuole eremitiche, cenobitiche e monastiche che hanno interpretato la parte migliore (nell’elogio di Gesù alla sorella di Lazzaro: porro unum est necessarium: Lc 10,42) come l’opus Dei, la preghiera. Spunti di riflessione 1) «Unum est necessarium»: l’esempio della sorella di Lazzaro (cf Lc 10,42). Cos’è questa parte migliore, quest’unica cosa davvero necessaria? Probabilmente ce lo dice il contesto: la preghiera chiede anzitutto a Dio che ci faccia rivolgere verso di Lui. Poiché le antiche chiese erano rivolte ad Oriente – luogo simbolico della risurrezione e della gloria di Dio – fisicamente il sacerdote, guardando verso l’abside, simulava liturgicamente il guardare verso Dio. L’orante sta faccia a faccia con Dio. Il verbo quærentes vuole dire sia ricercare, ma anche chiedere, implorare. È verbo tipico di chi cerca Dio nella preghiera implorante: mostrami il tuo volto! In ultimo, va sottolineato che il fine di questa preghiera è quello di far sì che i cristiani siano consacrati alla gloria (culto) di Dio stesso. È evidente, allora, che qui l’unum necessarium è senza equivoci la preghiera. 2 Essa era definita opus Dei per eccellenza, l’opera di Dio, che ci rende di Dio, che piace a Dio più di tutte le altre. «Chi ha Dio, nulla gli manca. Solo Dio basta!» avrebbe detto Teresa la Grande. Nella preghiera vissuta come unione mistica con Dio, infatti, c’è il senso di tutto: in Lui e per Lui tutto esiste. Chi vuol conoscere il mondo nel fondo della sua verità, nel profondo del suo mistero, deve entrare in Dio, deve dimorare in Lui. Solo il Creatore conosce la profondità delle creature. Solo il Signore della storia conosce il significato dei tempi. Solo Dio incarnato ci svela il senso dell’uomo. La preghiera, quindi, è l’unica cosa necessaria che ci permette di guardare Dio e di guardare con lo sguardo di Dio. C’è, infine, l’avverbio semper: in questo cammino di progressivo ingresso nel cuore di Dio non possiamo mai dirci arrivati: o abisso di carità! 2) «Unum necessarium semper quærentes et opera caritatis exercentes»: due facce di un’unica medaglia. La costruzione della frase è ritmata in due tempi uguali con elementi che si corrispondono (unum necessarium-opera caritatis; semper quærentes-exercentes). Preghiera e carità vanno insieme. Ma come? Una accanto all’altra? Una come verifica dell’altra? Una come completamento dell’altra? No! Un cuore infiammato dall’abisso della carità di Dio, amato al di sopra di ogni cosa, non può che amare Dio in ogni cosa e, soprattutto, in ogni uomo. È quello che Gesù dice quando afferma che il comandamento è uno: amare Dio con tutto se stessi e il prossimo come se stessi. Solo un mistico è un vero testimone; solo un mistico è un uomo di grande e fattiva attività; solo chi ama Dio sopra tutto è capace di vero amore verso l’altro. Agostino diceva una cosa simile nelle Confessioni: «Signore, ti ama di meno chi amata qualcosa con te, ma non la ama per causa tua» (10,29,40). Solo chi ama Dio e ama in Dio e per Dio dona vero e pieno Amore. La quaresima mette insieme la preghiera e la carità perché sono due fiamme che compongono un unico fuoco. 3) «tuo cultui dicatos»: tempio vivente dello Spirito. Il fine della colletta è chiedere che il Signore ci attiri a Sé e faccia in modo che noi ci dedichiamo alla preghiera e alla carità per essere dedicati, cioè unicamente consacrati al suo culto. Dicatum è aggettivo usato dalla liturgia per i luoghi sacri, consacrati: il tempio è dicatum, dedicato, di esclusiva proprietà di Dio. Il luogo sacro appartiene a Dio, ma è anche il luogo dell’incontro con Dio. Dio non consacra un luogo per tenerlo gelosamente per Sé, ma lo consacra perché lì l’uomo possa incontrarLo. La nostra colletta sta usando lo stesso linguaggio verso di noi, pietre vive edificate in tempio spirituale sul fondamento di Cristo, che è la pietra angolare. Noi, vivendo di preghiera e di carità (due fuochi d’amore, accesi dalla Fiamma divina dello Spirito), diventiamo come un tempio: proprietà unica ed esclusiva di Dio, ma anche spazio aperto attraverso il quale gli uomini possa incontrarlo. Chi vede voi, vede me; chi ascolta voi, ascolta me. 3