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TRANSITI
Mimmo Jodice
Tutto passa ma tutto resta; tutto diviene perché tutto è stato. E’ ancora un infinito
presente quello che Mimmo Jodice presenta con questo ciclo per Capodimonte. In un
Museo simbolo, nella sua città. Dentro c’è tutto il suo mondo e la sua sensibilità
formale sedimentata in tante immagini che hanno segnato identità, appartenenze,
interferenze. C’è l’archeologia che ci appartiene come muri, corpi e lacrime; la città
contemporanea con il respiro ampio degli skyline, l’immensità dello spazio per persone
affrettate e talvolta spaesate; la natura screpolata su cui appoggiano spiagge rovi e
mari; le ombre e il silenzio che raccontano alberi e storie. Il ricordo di quelle
immagini ora ritorna all’Uomo, a Napoli, con quella sospensione che si adagia ancora,
come sempre, sull’Inquietudine, su quell’ansia pacata e interrogante di chi guarda e
vede, di chi guarda e non passa.
Nel film “Vita privata di Sherlock Holmes” Billy Wilder fa dire al protagonista una frase
lapidaria, …la mia memoria è come una carta moschicida…
Che non è solo una terribile condanna, è anche una preziosa possibilità. Quella della
Conoscenza. E con questi Transiti Mimmo Jodice ci accompagna in un’esperienza di
conoscenza.
La sua: quella stratificata dell’infanzia alla Sanità e dei viaggi di una vita, quella della
Magna Grecia e della grande pittura, delle avanguardie che ha frequentato e
interiorizzato e dell’iconografia religiosa. Ci sono le processioni e il cinema, il teatro i
suoni e l’architettura: ci sono le contraddizioni, la ricchezza e i conflitti della
modernità.
C’è un viaggio nelle Idee e nelle Strade, nella Vita e nella Storia, restituito con
linguaggio classico, con un’impaginazione rigorosa, secca, che non rinuncia, con i Volti
avvicinati per analogia e recondite associazioni, ad una partecipazione accorata.
Sarà per questo che i passpartout che trattengono le immagini di questa mostra,
frammenti così di poco separati, contengono un grande racconto il cui scenario è
Napoli, ma Napoli è una metafora, la metafora della condizione umana. E sarà anche
per questo che Mimmo Jodice ha voluto mescolare i volti di Artemisia Gentileschi, Luca
Giordano e Ribera, le scene dei santi e l’umanità marginale vera e libera nella
composizione con quell’antropologia che già negli anni ’80, ma con altro segno e altro
atteggiamento, aveva indagato più con spirito di analisi sociologica. Oggi quei volti
napoletani che non si distinguono dai volti della pittura di Capodimonte offrono una
rappresentazione nella quale gli immaginari dell’arte e della vita contemporanea si
sovrappongono e si confondono, si attorcigliano, si scompongono e si fissano in una
dimensione che non è senza Tempo perchè contiene tutto il Tempo. Il bianco e nero
delle fotografie diviene allora icona immobile ma anche grande teatro in movimento,
dinamico, nella fisicità di una rappresentazione laica. Un doppio sguardo sulle cose
del mondo, quello di chi sta dentro e ha conosciuto e visto, ma anche di chi sta fuori
ed è capace di appoggiare lo sguardo, lieve e leggero, su questa Terra.
Scheda progetto
di Cristiana Colli
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