Camera dei Deputati – 4-06523 – Interrogazione a risposta scritta presentata dall’On. Romanini (PD) ed altri il 22 ottobre 2014. ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che: dal 1986 opera a Parma l'Associazione Amici della Sierra Leone ONLUS, a cui aderiscono 1.200 volontari impegnati in attività di raccolta fondi per aiutare il futuro del Paese africano. Insieme a tanti benefattori che hanno offerto la loro preziosa solidarietà, negli anni è stato possibile realizzare nelle zone di Makeni, capitale del Nord e Lunsar, iniziative e progetti finalizzati in particolare a favorire l'istruzione e salvaguardare la salute e un pasto a scuola. Fra le varie attività promosse si segnala la costruzione di ponti, scuole, pozzi e di un centro sociale. Il lavoro dell'Associazione è stato inoltre determinate per la creazione dell'università UNIMAK di Makeni. Oltre a ciò, il lavoro umanitario svolto ha anche permesso la ricostruzione di strutture devastate o distrutte dalla lunga guerra civile fra cui l'ospedale di Lunsar; in questi ultimi mesi la diffusione dell'epidemia di ebola sta causando in Africa migliaia di vittime. Nella riunione del 12 ottobre 2014, a Washington, alla presenza dei presidenti dei tre paesi focolaio del virus – Sierra Leone Guinea e Liberia — e al presidente Onu Ban Ki-Moon, il presidente della Banca Mondiale Jim Yong Kim ha informato sui dati: 8 mila persone infettate, 3.800 decedute. Le popolazioni sono affamate, almeno 8 milioni di bambini non possono andare a scuola per rischio di contagio e migliaia sono rimasti orfani. Chiuse le miniere e nei campi non è possibile effettuare i raccolti. L'economia è in ginocchia le perdite stimate da qui alla fine del 2015 sono di circa 32,6 miliardi di dollari; in Sierra Leone i casi di contagio aumentano di giorno in giorno. Le notizie che arrivano all'Associazione dalla capitale e dai villaggi, dove operano da oltre sessant'anni i missionari saveriani ed i padri Giuseppini del Murialdo, rispecchiano la tragedia che si sta consumando: ridotti quasi a zero i contatti aerei con il resto del mondo. Ci sono interi villaggi in quarantena in attesa della morte. Il sistema sanitario è al collasso, manca personale sanitario specializzato, medicinali e disinfettanti, cibo, stivali, guanti e tute di protezione. L'economia sta andando a picco trascinando con sé i semi di speranza cresciuti in questi anni grazie alla solidarietà e alla cooperazione internazionale; a Lunsar, dove i volontari parmensi sono stati per diversi anni, l'ospedale, finanziato anche con le risorse raccolte nel territorio, è chiuso e il medico, Padre Manuel Garcia Viejo, è deceduto qualche settimana fa a Madrid a causa del contagio del virus. Non arrivano aiuti e i soli a restare a fianco di una popolazione stremata e decimata sono i volontari della cooperazione internazionale e i religiosi in missione; le richieste che arrivano all'Associazione Amici della Sierra Leone riguardano, in particolare nella zona di Makeni, la necessità di persone specializzate in malattie infettive che aiutino il personale locale a gestire sia i casi sospetti che quelli confermati positivi. I centri di isolamento aperti infatti vengono descritti più come luoghi di parcheggio, mentre i tre centri di cura sono a minimo 200 chilometri di distanza e spesso non c’è autoambulanza o posti liberi e quindi gli ammalati devono restare nel centro di isolamento senza cure; a ciò si aggiunge il crescente dramma dei bambini orfani, i cui genitori sono morti a causa di ebola, risultati negativi ma in quarantena. Il loro futuro, come denunciato in alcune testimonianze arrivate a Parma, è molto incerto perché non si sa se una volta finito il periodo di osservazione, i parenti li riaccetteranno nella sua esaustiva relazione alla Camera, il 19 ottobre 2014, la Ministra della salute Lorenzin ha informato i deputati sulle misure di prevenzione del virus Ebola e il viceministro degli affari esteri Pistelli ha completato il quadro con le iniziative promosse a livello comunitario di 1 sostegno ai paesi interessati che coinvolgono gli Stati membri e le strutture delle Commissioni, in primis le direzioni generali ECHO (cooperazione umanitaria) e DEVCO (cooperazione e sviluppo) al lavoro per coordinare gli interventi in loco; entrambi gli esponenti del Governo hanno posto l'accento sul fatto che l'impegno italiano e gli interventi promossi nei Paesi colpiti da questa drammatica esperienza, siano «la principale via da percorrere per sostenere i Paesi colpiti dal contrasto all'epidemia e nello sforzo di costruire i sistemi sanitari collassati da quest'emergenza» e sul fatto che «più noi facciamo e più noi spendiamo adesso e con capacità mirata, minore sarà il potenziale impatto successivo. (...) Più facciamo adesso, meno faremo dopo»; nella riunione del 20 ottobre 2014 i Ministri degli esteri dell'Unione europea hanno valutato la continua crescita dell'epidemia in Liberia, Sierra Leone e Guinea con morti nei tre Paesi dell'Africa occidentale che «hanno superato i 4.500». Per questo l'Unione europea conferma la sua «profonda preoccupazione» e ha deciso di intensificare i suoi sforzi finanziari, che andranno a incrementare il mezzo miliardo di euro già stanziato, di prevenzione e umanitari per contenere la diffusione del virus compresa la decisione di istituire un coordinatore unico per far fronte alla crisi sanitaria africana e impedirne la diffusione; in recenti dichiarazioni ai media il Ministro della salute ha spiegato che nella legge di stabilità 2015 ci saranno 50 milioni di euro per l'emergenza Ebola, destinati a rafforzare i controlli in porti e aeroporti e per le dotazioni dell'Istituto Spallanzani di Roma –: se non ritengano, nell'ambito del piano generale degli interventi promossi dall'Italia, mettere in campo una ulteriore azione a supporto degli operatori e missionari italiani in Sierra Leone; se non si ritenga necessario promuovere interventi in loco con ospedali militari e strutture d'igiene pubblica sopperendo alla mancanza di personale sanitario specializzato già insufficiente o deceduto a causa del contagio; se non ritengano necessario utilizzare gli ospedali italiani specializzati in malattie tropicali strutturati per trattare questa pandemia. 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