Chicco di Senape Gruppo di Venaria Referenti: Ornella e Silvano Milani v. Pavese 39 – 10078 Venaria Reale (TO) tel. 011.4523612 / 335.7669721 e-mail: [email protected] Contesto Questo documento riporta il frutto delle riflessioni effettuate dal gruppo di Venaria che fa riferimento all’iniziativa “Chicco di senape”. Questo gruppo si è costituito espressamente in funzione di questa iniziativa, ed è abbastanza eterogeneo sia per quanto riguarda la fascia di età delle persone che lo compongono sia per le esperienze dalle quali ciascuno dei partecipanti proviene. In maggior parte è formato da persone che condividono o hanno condiviso cammini di crescita e di attività nell’ambito della parrocchia della Natività di Maria di Venaria; altre persone provengono da esperienze di movimenti quali le Equipe Notre Dame o la GiOC. Il contributo è strutturato in più parti: Una parte esperienziale nella quale vengono descritte le tensioni che viviamo Il frutto della riflessione effettuata personalmente ed in gruppo sul Tema 1 (“Ricercare le parole per dire Dio nel nostro tempo”) e sul Tema 2 (“Essere cristiani nel mondo”) Un Allegato che sintetizza alcuni spunti per una “dottrina laica” Un secondo Allegato che riporta alcune considerazioni e riflessioni sulla base dello scritto “Amare la Chiesa” di don Michele Do, scritto che ci è sembrato attinente (e addirittura “profetico”) rispetto alla riflessione che abbiamo fatto 1. La nostra esperienza Sentiamo che il ruolo dei laici è importante e che ci sono molti laici preparati e che potrebbero dare molto; ciononostante dipendiamo ancora molto dai sacerdoti, spesso ci sentiamo insicuri rispetto alla nostra possibilità di avere un ruolo da protagonisti nella chiesa, e d’altra parte sembra che la stessa chiesa non voglia o non sia capace a delegare La chiesa vive comunque (come la società) un momento di crisi, perché i valori e le proposte che andavano bene fino a ieri oggi non sono più condivisi e non hanno più significato. La crisi della chiesa mette in crisi anche coloro che alla chiesa fanno riferimento. Spesso ci si trova più a proprio agio nei movimenti o nelle piccole comunità che nella chiesa “istituzionale”; spesso la comunità di riferimento non è la chiesa dei grandi eventi e delle grandi dichiarazioni che viene vista come molto conservatrice, incapace di stare al passo con il mondo che cambia così velocemente e finisce con lo stare dalla parte dei “forti” per paura di perdere il suo “ruolo” Sentiamo il bisogno di una chiesa che inviti le persone ad interrogarsi, perché di risposte precostituite ce ne sono già troppe, che inviti alla ricerca e non dia dogmi, che non faccia distinzione tra le persone, che ritorni alle radici del vangelo, , che curi i giovani e la formazione cristiana Ci sembra che la chiesa abbia speso le sue energie alla ricerca dei “numeri”, della quantità ad ogni costo sacrificando la “qualità” e la profondità della sua opera Negli ultimi tempi questo disagio nei confronti della “istituzione” ha portato spesso ad esperienze di fede più individuali, nelle quali ciascuno si costruisce un suo percorso personale in base alle esperienze con le quali viene in contatto Spesso anche le parrocchie si sono chiuse su modelli superati. Molte delle persone che le frequentano sono rivestite da un falso perbenismo: la forma è ritenuta importante ma non c’è la sostanza. Nelle comunità parrocchiali si continuano a proporre gli stessi modelli (ad esempio sulla pastorale scramentale); le parrocchie dovrebbero cambiare il loro ruolo, badare meno alla burocrazia ed ai numeri, prestare più attenzione ai bisogni senza giudicare, farsi presenza e “servizio” nei confronti della realtà sociale nella quale sono inserite. Le parrocchie dovrebbero cambiare anche il modello su cui si basano, attualmente improntato su una struttura “verticistica” che non si adatta ad un ruolo di responsabilità per i laici. È possibile riuscire ad intervenire sul modo di operare delle parrocchie, ma ci vogliono molta costanza, molta pazienza e molto spirito di sacrificio per riuscire a vedere qualche frutto; spesso continuiamo a frequentare la chiesa e la comunità parrocchiale “nonostante” la realtà che vi troviamo, a volte litigandoci ma nel tentativo di costruire qualcosa 2. La nostra riflessione Traccia 1, Punto 1: Ruolo dei laici: La comunicazione e la diffusione dell’amore di Dio nel nostro tempo è compito se non esclusivo sicuramente preponderante del laico Dalla relazione tenuta da don Carlo Molari alla giornata di settore delle Equipe di Notre Dame di Torino il 10-11-2007: “nell’ambito ecclesiale, dove il termine è nato, il termine laico indica oggi, dopo il concilio Vaticano II e dopo le riflessioni che si sono sviluppate nell’ambito post conciliare (in particolare nel sinodo del 1985 sui laici) il battezzato che consapevolmente assume il compito della missione della chiesa nell’ambito profano. Il termine indica etimologicamente l’ambito che è fuori dal tempio, davanti al tempio, cioè nella vita di ogni giorno, la vita quotidiana” L’avverbio “consapevolmente” indica “che laici non si nasce ma si diventa attraverso una decisione, una scelta, quindi il laico non è il semplice battezzato; … il battezzato può scegliere di diventare prete, religioso, diacono oppure laico” può cioè consapevolmente scegliere di servire la sua missione fuori dell’ambito ecclesiale: “essere laico non è una condizione di stato ma è una scelta” al pari delle altre vocazioni” “(essere laico) è l’impegno di rilevare Dio nella propria vita”... (che vuol dire) …”continuare nella storia la rivelazione di Dio, per mostrare che realmente esiste una forza più grande; che nella nostra esistenza, nella storia umana, c’è una forza più grande di noi, una presenza che ci sovrasta, un amore che contiene ricchezze ancora non manifestate, per cui possiamo realmente pervenire a forme nuove di fraternità, di condivisione, di giustizia” “questo è l’impegno che noi oggi continuamente, dobbiamo svolgere, che oggi innoviamo; ma questa rivelazione oggi dove avviene? Avviene nelle fabbriche, avviene negli stadi, avviene nella vita politica, avviene nelle famiglie, nelle strade. Non avviene più negli ambiti ecclesiastici puri, nei luoghi dove si raduna la comunità ecclesiale, per intenderci nei luoghi dove comandano i preti come prima accadeva.” “… il compito della Chiesa appunto è questo: dimostrare che realmente si può giungere ad una forma di fraternità, ad una pace senza riserve, … Qual è lo spazio di questa diffusione? È la nostra vita di ogni giorno, non sono le Chiese con le loro interiorità, non sono gli spazi clericali, (ma) sono gli ambiti della vita sociale, della vita politica, dell’agricoltura, dell’officina, gli ambiti dove si svolge la vita oggi”. Traccia 1, Punto 2: I cambiamenti e la crisi del nostro tempo nella società e nella Chiesa Sembra che oggi la Chiesa subisca tre ordini di avvenimenti. Un primo ordine è di tipo storico-sociale: la società nel suo complesso e quindi anche la Chiesa (sia nella sua espressione gerarchico istituzionale che come popolo di Dio) sono state segnate negli ultimi decenni da fatti epocali tra cui: il crollo delle ideologie che si contrapponevano muro contro muro e giustificavano gli arroccamenti la crescente industrializzazione con l’abbandono delle campagne da parte di intere masse di popolazione verso le città alveari con il crollo della famiglia patriarcale e la solitudine della famiglia nucleare l’indipendenza economica del singolo e la crescente presunzione di poter far da sé, di non aver bisogno di nessun altro al di fuori delle proprie capacità ed individualità; questo atteggiamento si è trasferito dalla vita economica a quella civile con esaltazione dell’individualismo, del privato, dell’egoismo ed a quella religiosa con l’abbandono di precetti che calavano dall’alto e da un principio di autoritarismo. Anche a fronte di questi avvenimenti la Chiesa sentì il bisogno di indire il Concilio Vaticano II (19621965) che fu immediatamente precedente al famoso ‘68: per chi l’ha vissuto sa quali novità e quali visioni profetiche e messianiche suscitò e quante tuttora ne contiene; continuiamo difatti a richiamarci ai suoi contenuti e ci chiediamo per quali motivi non si è avuto un seguito operativo e pastorale. Alcuni ritengono che i fatti del ’68 spaventarono la gerarchia, al punto da indurli a maggiore prudenza nell’apertura verso i laici; ma oggi il 68 è passato da 40 anni!!! Per recuperare la spinta profetica del Concilio e riscoprire una nuova “originalità” del messaggio evangelico serve discernimento: bisogna essere capaci di tenere distinto ciò che deriva dalla fede da ciò che deriva dalle incrostazioni culturali. Nei secoli la Chiesa ha caricato il messaggio originale di sovrastrutture culturali, ogni periodo storico ha lasciato qualcosa ad appesantire. A differenza di quanto avveniva nel passato, oggi spesso il messaggio del Vangelo deve farsi largo in mezzo a mille altri messaggi, con difficoltà. Bisogna saper trovare situazioni che riescano ad arrivare all'essenza e alla semplicità. Il messaggio del Vangelo è essenziale e semplice e così deve essere tramandato. Nella pratica quotidiana della trasmissione del messaggio evangelico serve un nuovo simbolismo che sappia attualizzare la retorica della Bibbia, bisogna essere in grado di raccontare la parola di Dio con dei miti comprensibili dell'uomo di oggi, oppure essere in grado di rileggere quelli classici, ma forzandosi di attualizzarli, di recuperare il senso profondo che va oltre il racconto. È necessario trovare modi per trasmettere al mondo di oggi concetti come trascendenza o prospettiva escatologica? Sono parole difficili se ne è perso il significato, ma sono alla base del messaggio del Vangelo. Oggi attraverso la televisione, che ha un grande potere semplificatore, riescono a passare anche concetti più difficili, perché sono esposti in modo diretto, quasi con linguaggio pubblicitario. Ma mentre questo tipo di semplicità è artefatto, perché costruito ad arte, ed è basato su analisi profonde e sovrastrutture, la semplicità del Vangelo è una semplicità che toglie piuttosto che aggiungere, che si spoglia di tutto ciò che è inutile, per rivolgersi a tutti anche a chi non afferra concetti più sofisticati. Un secondo ordine di avvenimenti riguarda la crisi della teologia nel dare spiegazioni di Dio e del mondo in sintonia con la mentalità laica per cui la ricerca della verità non deve dipendere dai dettati di questo o quel potere sia esso religioso o politico o sociale o giuridico. In questa ottica sono inquadrabili gli aspetti citati nella seconda parte dello schema. Sulla necessità, oggi, di una teologia laica e di alcune elaborazioni in merito possiamo ricordare: lo sforzo del teologo Vito Mancuso nel suo libro “L’anima ed il suo destino” che prova ad impostare una teologia cosiddetta laica, cioè che non debba ricorrere a dogmatismi e biblismi e che dia risposte agli interrogativi fondamentali dell’uomo moderno e di sempre a riguardo dell’anima, della morte, dell’aldilà e del male le parole di Molari nella già citata conferenza “ …(è necessario) rintracciare le ragioni intrinseche alla vita, per diffondere le dinamiche autentiche dell’evangelo ma non ricorrendo a ciò (perché) l’ha detto Gesù, perché questi argomenti potevano valere in altri secoli ... (ma oggi bisogna riuscire a rendere ragione della fede profonda secondo) … quel principio vivere come se Dio non fosse individuando le ragioni interne della vita e quindi attraverso la ricerca delle leggi di vita così come sono. Questa è la condizione di fondo del credente nei confronti della laicità, perché questa è la condizione di fondo che l’azione creatrice ha espresso nelle dinamiche della storia, della creazione e delle costanti di vita, perché ci sono delle leggi reali di vita che possiamo individuare anche a prescindere da un riferimento esplicito alla nostra fede, assumendo l’impegno di trovare le ragioni interne alla dinamica della storia della creazione ...”. Sempre in relazione alla mentalità laica con la quale dobbiamo forzatamente confrontarci in qualsiasi forma di testimonianza, ci sembra importante approfondire il rapporto fede-scienza. Noi siamo sempre tentati di usare una per giustificare o disprezzare l'altra. Non è solo un problema storico (vedi Galileo), è anche un problema di oggi (vedi le ricerche sugli embrioni, ...). La scienza fa passi in avanti, spinge sempre un po' più in là l'asticella della conoscenza, ma noi dobbiamo imparare che fede e scienza si muovono su strade diverse. Adesso che sappiamo del Big Bang dobbiamo disprezzare il racconto della creazione leggendolo in modo letterale? Il fatto che ci sia stato il Big Bang postula o confuta l'esistenza di Dio? O piuttosto il credere o meno all'esistenza di Dio appartiene alla sfera della fede e non a quella della dimostrazione scientifica? Ma lo stesso tipo di autonomia fede-scienza deve essere preteso per le ingerenze da entrambe le parti: date a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare. Il terzo ordine di avvenimenti si ha in quello che viene chiamato l’imbarbarimento della società, società che noi vediamo arrivista, dedita al proprio particolare, con scarso o nullo senso dello stato come comunità, edonista, materialista; società che percepiamo come ingiusta nei rapporti tra i ricchi e i poveri, il nord e il sud, la cultura e l'ignoranza, l'integrazione e l'emarginazione. Questa situazione è conseguenza dei primi due punti: noi siamo in questa società, non possiamo chiamarcene fuori e giudicare che gli “altri” sono i barbari; non lo può fare la Chiesa e tanto meno il laico al quale va almeno la scusante di pensare il suo ruolo come pecora del gregge o non come pastore del mondo. Qui bisogna recuperare l'etica dei Salmi, che ci insegna che Dio rende giustizia nel senso più profondo del termine, la logica dei Salmi mette in luce anche le profonde contraddizioni del mondo contemporaneo. Traccia 1, Punto 3 e Traccia 2: Essere cristiani nel mondo Per ricercare e trovare le parole per dire Dio nel nostro tempo e quindi per assolvere il compito di diffondere il messaggio nel mondo tipico del laico abbiamo bisogno: di capire a fondo il ruolo del laico consapevole della sua missione di una teologia che ci aiuti a parlare della relazione Dio mondo in modo più rispettoso dell’uomo moderno, della sua scienza e soprattutto senza doverci appellare all’autorità di nessuno ma anche di un nuovo modo di presentare i VALORI ETICI. La Traccia 2 elenca una serie di tali temi ed altri se ne potranno aggiungere. Per potere ascoltare e dialogare con il mondo a riguardo di tali temi per i quali la Chiesa o i gli stessi cristiani NON hanno l’esclusiva vanno tenuti presenti alcuni aspetti e modalità tra cui: non vanno ricercati pronunciamenti “ex cathedra” ma vanno elaborati, soprattutto da parte dei laici, modalità di ascolto e colloquio deve essere abbandonata la pretesa di trasformare in legge dello stato quelli che per i cristiani sono valori a volte anche eroici nel loro vissuto va fatto nostro l’atteggiamento che fu di Gesù al pozzo di Sichem con la samaritana o in occasione della lapidazione della donna infedele: l’accoglienza e la comprensione dei problemi degli “erranti” deve essere alla base del nostro rapporto perché questo è stato l’atteggiamento di Gesù va abbandonato l’atteggiamento di arroccamento (“Extra Ecclesia nulla salus”: quella che propone la chiesa è la verità morale, e chi non capisce o non è in grado si arrangi). Non si tratta di svilire la dottrina perché “così fan tutti” allo scopo di avere un consenso populista che non interessa, ma si tratta anzi di proporre Valori ed Etica capaci di dare un senso alla vita di ciascuno che altrimenti si perde nell’individualismo e nel consumismo dilagante. per essere sale e lievito va ricercato un equilibrio tra le comunità che sono quasi chiuse in se stesse, che lasciano l’annuncio della buona novella alla testimonianza ed alla santità di vita dei singoli “in attesa che il chicco di frumento cada nella terra e muoia per portare tanto frutto” e le manifestazioni di massa dilaganti con la ricerca del numero e che non sembra che traducano di vita la proposta evangelica di “essere come la lampada sopra il moggio” Nella elaborazione della dottrina sui temi sociali i laici devono avere un ruolo specifico: non possono essere soltanto i portatori nel mondo di una dottrina elaborata nel chiuso della gerarchia; a tale scopo devono discutere e trovare il modo di portare la Buona Novella a riguardo dei temi e dei problemi di oggi. In Allegato 1 vi è un primo elenco di temi e, per ciascuno, quale dovrebbe essere il modo per ascoltare, capire e proporre valori. Sono opinioni di alcuni di noi ma pensiamo che i laici DEBBANO trovare tra di loro le modalità per essere efficaci e validi strumenti di promozione e di buona novella intesa come annuncio che è possibile un altro modo di vivere e risolvere i problemi sociali nella solidarietà e nell’amore. Tali modalità vanno poi confrontate e verificate, alla luce del Vangelo, con la Gerarchia, ma va ribaltata la procedura attuale secondo la quale la Gerarchia si pronuncia ed i laici si arrabattano. Oltre alla dottrina e ad un modo efficace di proporre Valori ed Etica sono necessari le opere ed i movimenti in cui, tra l’altro,è forte ed operativa l’azione dei laici sia come volontariato che come gestione ed elaborazione delle linee guida di azione: “Non che dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli ma chi fa la volontà del Padre mio”. In questo contesto acquista una importanza fondamentale il modo in cui viviamo la nostra fede e le nostre convinzioni e la testimonianza che ne diamo, testimonianza che è efficace solo se stimola a farsi delle domande, a sentirsi chiamati in causa, a suscitare il desiderio di condivisione dell'esperienza perchè altrimenti serve solo a se stessi. Per essere efficace non deve essere portata al bavero come una spilla, ma deve essere umile e deve partire dai problemi e non dalla volontà di imporre il nostro punto di vista. Si può dire che opere e movimenti sono stati e sono vera espressione di amore e di carità verso il prossimo nonché strumento di formazione per molti cristiani. Il mondo, la società fa quasi una distinzione tra le opere per le quali nutre ammirazione e rispetto e la dottrina per la quale si sente estraneo e non di propria pertinenza: semplicemente la dottrina della Chiesa non lo riguarda, non è di sua competenza. Allegato 1: Spunti per una dottrina laica a riguardo non si dica ma si dica dei giovani in perenne precariato dell’80% dell’umanità al di sotto dei livelli di povertà flebilmente che il sistema deve cambiare con forza che è una profonda ingiustizia e denunci ove occorra il peccato dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo dei rapporti sessuali che si possono avere solo dopo e nel matrimonio dell’aborto dell’eutanasia non condanni senza remissione del divorzio dei cristiani separati Di volere il dialogo ribadendo la propria che i partner considerino se vi è stato un rapporto di amore e di donazione tra di loro, se vi è stata prevaricazione dell’uno sull’altro, se lo si è vissuto con profondità o banalmente come un atto tra gli altri e dica ancora che tale esame va esteso anche ai rapporti tra i coniugi che il dolore ed il dramma dei protagonisti è compreso e capito dalla chiesa che li continua ad accogliere nel suo seno anche se e comunque ribadisce, senza pretendere leggi dello stato, la sacralità della vita e richieda che per essa si possano e si debbano fare delle rinunce personali che chieda con fermezza ai coniugi di esaminare le colpe reciproche, di riconoscere il peccato nel dolore provocato; di riaccogliere nella comunità ecclesiale il pentito e perdonato e là dove c’è volontà riprendere un cammino anche di servizio ribadendo comunque, senza pretendere leggi dello stato, che il matrimonio richiede alla coppia il superamento degli egoismi personali e che tale impegno è stato preso, per il matrimonio religioso, davanti e per la comunità ecclesiale di riconoscere l’unico Cristo comune relegando alla tradizione storica la formazione delle religioni superiorità delle altre religioni Che sono nell’errore di riconoscere gli elementi positivi contenuti in ciascuna avviando un dialogo fondato sul rispetto dei buoni sentimenti e della buona volontà Allegato 2: Una riflessione sul testo “Amare la chiesa” di d. Michele Do LA CHIESA: CON AMORE E PER AMORE OLTRE DON PRIMO? Don Michele Do L’intervento si articola in tre parti: 1- La Chiesa di ieri (giovinezza di Don Primo e Don Michele) 2- L’incontro con Don Primo 3- E’ possibile un’immagine più evangelicamente pura della Chiesa? (per una immagine da amare) 1- La Chiesa di ieri Chiesa = società perfetta, realtà mediatrice che “sta” tra Cristo e l’uomo. Schema: Dio Gesù Cristo La Chiesa il mondo ( Catechismo di PioX) Clima antimodernista, grettezza sospettosa e oppressiva che creava disagio e divideva il cuore. - L’umano era sospetto, il sentimento di fondo era il senso del proibito, la paura, sopra tutte la paura di Dio, un ascetismo duro e disumanizzante che calunniava la vita e la bellezza, solo pochi uomini o poche pagine che parlavano un linguaggio diverso e accendevano piccole luci. - L’intelligenza era sospetta, come anche la coscienza. La Chiesa era portata a sostituirsi puramente e semplicemente alla coscienza ed alla intelligenza dell’uomo. L’esperienza religiosa non era una appassionata ricerca ed esperienza di verità, ma come “obbedienza”, accettazione passiva e non interiorizzata di formule dogmatiche e morali. L’ossessione dell’ortodossia induceva alla disonestà intellettuale. Il primato dell’ortodossia prevaleva sul primato della verità. - Nessuna salvezza al di fuori della Chiesa. Il battesimo non più inteso come segno positivo dell’amore universale di Dio per ogni creatura ma come segno selettivo e discriminante, segno che esclude e crea il più empio di tutti i privilegi, quello religioso. - Perché una Chiesa? Non ci basta l’Evangelo? Domanda che si sono fatti in molti. L’Evangelo trova un consenso profondo nel cuore dell’uomo, anche non credente; quando il Cristianesimo si fa Chiesa insorgono resistenze, riserve…Molti conducono una vita di ispirazione cristiana ai margini della Chiesa sentendola più come ostacolo che aiuto nel loro cammino spirituale. 2- L’incontro con Don Primo Pochi hanno amato la Chiesa quanto don Primo, ma anche pochi hanno sofferto come lui “pour et par l’Eglise”. Oggi lo si esalta ma nessuno mai gli ha chiesto perdono. Si è inserito in questa realtà della Chiesa come in quella della sua parrocchia: L’HA ASSUNTA, L’HA LETTA, L’HA INTERPRETATA NELLE SUE ATTESE PIU’ VERE E PIU’ PROFONDE, HA CERCATO DI FARLA LIEVITARE PURIFICANDOLA, DILATANDOLA E TRASFIGURANDOLA, SU MISURA DEL PROPRIO SOGNO EVANGELICO. Far crescere l’anima dentro la vecchia struttura: creare realtà nuove nelle strutture antiche. Non l’ha messa in discussione l’istituzione: è corteccia, involucro, ostensorio… non è l’essenziale! Non l’ha messa in discussione ma l’ha relativizzata. Profeta obbediente? Obbedienza è termine ambiguo. Lui fu uomo di fede e di fedeltà: così come la pianta è fedele alle radici. L’amore lo rendeva critico ed esigente: chi ama grida e don Primo gridava anche tacendo. Certi silenzi non furono conniventi ma piuttosto sdegnosi, che nascevano da un fondo di grande fierezza. Ci sono silenzi ed obbedienze più scomode delle rivolte e delle parole. L’anima di don Primo era nelle “cose di Dio” che la Chiesa custodisce anche se indegna. “Cosa di Dio” prima e sopra di ogni altra cosa sono Cristo e il suo Vangelo, sono la sostanza viva della Chiesa. “Cosa di Dio” è il cuore dell’uomo, testo sacro costituito da Dio “a sua immagine e somiglianza”. Il Vangelo resta una astrazione e non ha risonanza se non è accostato attraverso una esperienza di vita e l’esperienza dell’uomo rimane un mistero se l’Evangelo non la illumina. Negli ultimi tempi avvertiva con sofferenza l’avvicinarsi dell’impoverimento dell’umano nell’uomo, l’inaridirsi di quelle profondità umane dove solo può accendersi la domanda religiosa. “Cosa di Dio”erano i poveri, i semplici, l’umile gente della sua parrocchia, in loro riscopriva il volto divinamente umano ed amabile della sua Chiesa. “Cosa di Dio”erano la terra e le dolci cose della terra. Compito della Chiesa è di prenderle in mano e portarle in alto, come in un immenso offertorio. Il Concilio allora è stata l’eco di cose già sentite con forza e passione da lui: il primato della coscienza, i poveri, il dialogo, la pace, l’ecumenismo, il rapporto Chiesa-mondo… Nel cuore di Don Primo ci si ritrovava sempre e ci si ritrovava tutti. La Chiesa riprendeva un posto nel nostro cuore. Anche la Chiesa era “cosa di Dio e cosa dell’uomo”. 3- Per una immagine da amare La Chiesa è segno e simbolo di cose più grandi di lei. Non è l’indegnità dei cristiani e neppure l’infedeltà della Chiesa all’Evangelo che fa ostacolo a tanti; è piuttosto l’immagine che della Chiesa ci viene proposta, la sua insufficienza evangelica a creare in noi resistenza. Ogni grande esperienza religiosa si riassume e si esprime in una immagine. Se l’immagine rimane pura e creativa, pura e creatrice sarà la vita spirituale che ne scaturisce. La secolarizzazione, pur con tutta la sofferenza e la devastazione che vi è connessa, non potrebbe essere come una grande scossa tellurica dello Spirito Santo che spoglia la Chiesa di tutto il “soperchio” e la restituisce alla pura essenzialità della sua verità divina? Povera e libera, lietamente povera e libera e perciò creativa come alle origini? Alcuni interrogativi: a) Istituzione o esperienza? Dalle pagine evangeliche Gesù nega valore assoluto ad ogni istituzione, afferma il primato assoluto dell’esperienza spirituale “adorazione in spirito e verità” Questa esperienza religiosa, che è roccia, fondamento, sostanza viva della sua Chiesa trova in Pietro la sua concretizzazione visibile. I cristiani non sono gli uomini di un’istituzione ma sono istituzionalmente gli uomini dell’Evangelo. L’esperienza di fede è alla base della Chiesa e la costituisce come tale. La Chiesa non è e non vive se non sul fondamento posto da chi come Pietro e come gli Apostoli fa proprio il cammino di Gesù. Non quindi pietre a anonime e senza di un edificio al di fuori di loro ma pietre vive: è a questa Chiesa che Gesù promette la capacità di resistere alle forze oscure degli inferi. Coloro che vivono e fanno questa esperienza entrano già fin d’ora in una dimensione di esistenza con visione divina delle cose. Questa esperienza ha bisogno di sacramentalità: struttura visibile. Gesù ha assunto alcuni semplici segni, senza inventarli e li ha arricchiti di un nuovo significato e di una nuova presenza. Nelle cose religiose, come in ogni cosa, c’è l’essenziale e c’è il necessario. L’essenziale è l’evento interiore, il necessario sono le forme che lo esprimono e lo traducono. In sé le strutture non hanno un valore né essenziale, né assoluto. Non ci identificheremo mai del tutto con la Chiesa. Qualcosa di noi sfugge e sfuggirà sempre. Qualcosa di noi, e qualcosa di molto profondo è prima ed è oltre. L’uomo è un mistero inesauribile e insondabile perché ha in sé il mistero inesauribile e insondabile di Dio. b) Salvezza o trasfigurazione? Al centro dell’esperienza religiosa non è la mediazione di una Chiesa che amministra la salvezza . Cuore e centro dell’esperienza religiosa è la Presenza creativa e trasformante dello Spirito che fa accedere la creatura, che lo accoglie ad uno modo divino di essere e di vivere. Lo Spirito è tutto nell’esperienza religiosa. E’ lo Spirito che è all’opera in Gesù di Nazareth. Gesù è il grande sacramento: rende presente e visibile la realtà di Dio. Questo è l’essenziale del mistero di Gesù. Lo stesso Spirito è all’opera nel cuore dei Discepoli. L’esperienza di Cristo deve diventare una loro esperienza personale. Senza questa interiorizzazione non c’e salvezza. La Chiesa non è mediatrice di una salvezza estrinseca, ma è lo spazio dove si consuma l’esperienza trasfigurante dello Spirito. Là dove lo Spirito è presente con la sua forza creativa, lì è la Chiesa, là dove questa trasfigurazione non c’è ci sarà soltanto un cadavere di Chiesa. Lo Spirito creatore rende creativi ma rende anche personali. Non c’è il ripetitivo ma non c’è neppure l’anonimato. Ogni creatura è un sogno unico e inedito di Dio. Una varietà che non divide e non lacera, ma che armonicamente compone e arricchisce. C’è una trascendenza dello Spirito di fronte ad ogni incarnazione storica e culturale ed è perciò vano sognare impossibili restaurazioni. In questa prospettiva Chiesa e mondo non sono due realtà contrapposte: la Chiesa è il mondo che diventa Regno. “La Chiesa è il mondo trasfigurato nella bellezza” (Berdaiev) Entrare nella Chiesa non è entrare a far parte di una istituzione ma è entrare in questo cammino ascensionale, responsabilmente e creativamente, sapendo che il Regno di Dio è come il pane che è dono di Dio ed è fatica dell’uomo. c) Quale potere? Potere giuridico di cui è depositaria la gerarchia, conferito dall’esterno. Questo potere si pone allo stesso livello dei poteri umani e come ogni potere umano può corrompersi e cadere in quelle degenerazioni da cui Gesù mette in guardia i suoi discepoli: potere che umilia e mortifica l’uomo. Oppure Potere luminoso, realtà spirituale che è al cuore del mistero stesso Divino. E’ un potere che viene dall’alto ed emana da una pienezza interiore: “a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio”. L’uomo dello Spirito diventa capace di agire come Dio, capace di “fare cose che solo Dio può fare”, cose divine, impossibili all’uomo. Non è potere giuridico, è potere del miracolo, religioso non magico! Non è la materializzazione dello Spirito, è la spiritualizzazione della materia, in cammino anch’essa verso la manifestazione e la libertà dei figli di Dio. Com’è possibile tutto questo? Impossibile all’uomo ma possibile a Dio perché Dio è Signore dell’impossibile. Maria è il simbolo vivente ed altissimo di questo “potere divino di fare”. “Potere divino di fare” che non è astratta e sterile contemplazione, fuga, ma è il duro impegno, la quotidiana fatica di incarnare il segno divino in una pur piccola realtà. E’ la forza creatrice di realtà nuove e più alte, capace di far sorgere anche nei deserti umani zolle di Regno di Dio. E’ il potere creativo di Bellezza. La Bellezza è nota costitutiva della Chiesa di Gesù, è un suo momento essenziale. Dove non c’è bellezza non c’è Chiesa. A volte passaggi ambigui dall’uno all’altro potere, es. sacramento della penitenza dove può esserci contaminazione evidente: sacerdote/giudice o sacerdote/umana trasparenza della misericordia di Dio? d) Quale mediazione? Qual è il significato della mediazione della Chiesa e del sacerdozio? E’ un segno: Il segno religioso per essere vero e pieno deve avere la sua forza di segno, deve avere una trasparenza, come nell’opera d’arte. Se no, non è un segno. Non vive e non dice, è un segno morto, senza voce. Questa trasparenza è legata essenzialmente all’interiore trasfigurazione dell’essere. Non si rende presente Dio attraverso un processo magico, è l’essere stesso dell’uomo che diventa “sacramento di Dio”. Torna l’immagine del fiore! Per questo Gesù è il Grande Mediatore, il grande sommo Sacerdote, il grande Sacramento di Dio perché è l’assoluta trasparenza di Dio. “Chi vede me vede il Padre” Questa è l’essenza del sacerdozio di Gesù ed è anche l’essenza dell’eterno ed universale sacerdozio cristiano. Ogni battezzato nello Spirito è mediatore e sacerdote nella misura della sua trasfigurazione interiore. L’essenziale del sacerdozio non è nel potere di amministrare e distribuire sacramenti, ma nel diventare sacramento. Se così è, non è il sacerdozio universale dei battezzati che è all’interno del sacerdozio ministeriale, ma è il sacerdozio ministeriale che è all’interno del sacerdozio universale, da cui trae la sua linfa e le sue motivazioni profonde. Abbiamo tutti la grande dignità di un servizio. Tutto questo non significa sminuire il sacerdozio ministeriale, al contrario. Restituito alla sua verità evangelica, al di fuori di dubbie sacralizzazioni ritrova il suo fascino. Se al contrario il segno della mediazione religiosa è del tutto estrinseco e non lascia trasparire la realtà santa insorgono inevitabilmente antiche tentazioni: La tentazione del mercato quando nel segno si perde la sostanza religiosa La tentazione del potere quando il potere si illude di supplire il vuoto dell’esperienza spirituale La tentazione della magia quando i sacramenti diventano segni magici dotati di poteri automaticamente deificanti La tentazione dell’idolatria quando il segno sostituisce la Presenza e diventa idolo Martirio Non si giunge a trasfigurazione se non attraverso il martirio. a Non è ascetismo negativo e morboso ma positiva ed alta ascesi. Nessun Papa mi ha mai reso impossibile il Vangelo, nessun Papa me lo ha mai reso facile. Gaudio e tormento sono nell’Evangelo stesso. La verità è la nostra croce e il nostro martirio. Dio nella nostra vita lo si genera sempre nel dolore. Non c’è spazio per estetismi ed esteti i quali cantano alla fiamma senza bruciarsi mai. Sofferenza La Chiesa, mistero e sacramento, è sempre il povero sacramento di una Realtà troppo grande: il Mistero di Dio non vi traspare mai nella sua luminosa bellezza e nella sua forza di realtà unica ed assoluta. Questa povertà di segno e di trasparenza è il suo tormento perenne. Lo deve essere. E’ la cristiana tristezza, essenziale alla Chiesa come lo è il martirio e sua nota costitutiva. Tristezza che la salva da molte tentazioni, a cominciare da quella di sentirsi Chiesa di Puri. Una Chiesa umile e povera, che mangia ogni giorno il suo pane nelle mani di Dio. Queste riflessioni possono annodarsi attorno alle tre parole che sono state novità nel Concilio: Comunione, mistero, sacramento. E’ dall’approfondimento di queste tre realtà che può emergere una immagine pura di Chiesa da poter amare nel segno della bellezza. Una bellezza parziale perché nella storia, abbiamo soltanto delle prefigurazioni e delle anticipazioni frammentarie in cui si riflette qualcosa della Bellezza assoluta.