PICCOLO MANUALE DI SOPRAVVIVENZA PER LE INTERROGAZIONI DI GRECO
CLASSIFICAZIONE DELLE LETTERE
Vocali brevi: ε, ο. Vocali lunghe: η, ω. Vocali ancipiti (brevi o lunghe): α, ι, υ
Dittonghi propri (vocale breve α, ε, ο, υ + ι, υ): αι, ει, οι, υι, αυ, ευ, ου
Dittonghi impropri (vocale lunga ᾱ, η, ω + ι sottoscritta, υ): ᾳ, ῃ, ῳ, ᾱυ, ηυ, ωυ
Consonanti mute: quelle che non possono prolungare il suono
1) Velari o gutturali: κ (sorda), γ (sonora), χ (aspirata), ξ (doppia)
2) Labiali: π (sorda), β (sonora), ϕ (aspirata), ψ (doppia)
3) Dentali: τ (sorda), δ (sonora), θ (aspirata), ζ (doppia)
Consonanti continue: quelle che possono prolungare il suono
1) Nasali: μ (labiale), ν (dentale), γ (velare: pronuncia n prima di velare muta)
2) Sibilanti: σ / ς
3) Liquide: λ, ρ
FENOMENI VOCALICI
1) Contrazioni
Regole fondamentali
2 vocali dello stesso timbro = vocale lunga corrispondente (ᾱ, η, ω) fatta eccezione per ε + ε =
ει (e chiusa lunga) ed ο + ο = ου (o chiusa lunga)
Quando il suono e (ε, η) contrae con il suono a (α) ha la meglio il suono che precede:
α+ε=α/ε+α=η
Tutte le contrazioni di vocale con il suono o (o, ω) danno come risultato ω tranne ο + ο = ου
Quando una vocale contrae con un dittongo che inizia per la stessa vocale la prima si
annulla.
Quando una vocale contrae con un dittongo che inizia per vocale diversa, si effettua la
contrazione delle prime due vocali; la ι finale si sottoscrive e la υ si conserva (a meno che il
risultato della contrazione non sia ου).
Contrazioni strane: ο + ει / ῃ = οι
ε + οι=οι
2) Crasi
E’ la contrazione (spesso irregolare) fra due vocali di parole diverse o fra preverbo προ- e
aumento. Il segno caratterizzante è la coronide= spirito dolce dopo consonante.
3) Metatesi
E’ il trasferimento di una vocale o consonante fra due sillabe (τίτκω τίκτω) o o lo scambio
della quantità fra due vocali (metatesi quantitativa. Es: πόληος  πόλεως).
4) Apofonia
E’ la variazione della quantità o qualità di una vocale nella formazione di parole derivanti da
una stessa radice o nella flessione di un nome, aggettivo o verbo.
Si distingue in
a) Quantitativa, fondata sull’alternanza fra un grado normale (detto anche medio o breve =
vocale breve: es. πάτερ), un grado allungato (detto anche forte = vocale lunga: es: πατήρ) e,
talora, un grado zero (detto anche ridotto = assenza di vocale: es. πατρός). Un tipo di apofonia
quantitativa è l’allungamento organico che ricorre nei nominativi singolari maschi e femminili
non sigmatici della III declinazione.
1
b) Qualitativa, fondata sull’alternanza fra un grado normale (detto anche medio = vocale ε: es.
τρέπω), un grado forte (= vocale ο: es: τέτροπα) e, talora, un grado zero (detto anche ridotto =
assenza di vocale, spresso tuttavia corrispondente ad una vocalizzazione in α di una liquida o
nasale: es. ἔτραπον).
5) Allungamento di compenso
E’ l’allungamento di una vocale a seguito della caduta di una consonante continua (che cioè si
prolunga nel tempo, come le liquide, le nasali e le sibilanti) e corrisponde in genere alla
contrazione della vocale con se stessa (α + α = α; ε + ε= ει; ο + o = ου).
Attenzione a non confondere l’allungamento apofonico (che non è legato alla caduta di una
lettera ma alle variazioni naturali di una radice) con quello di compenso.
Vocale
ᾰ
ο
ε
Allungamento organico (apofonico)
ᾱ (se preceduta da ε, ι, ρ)
η (negli altri casi)
ω
η
Allungamento di compenso
ᾱ (=ᾰ + ᾰ)
oυ (o chiusa lunga = ο + ο)
ει (ε chiusa lunga = ε + ε)
talora anche η
ACCENTI
L’accento circonflesso può stare solo sull’ultima o sulla penultima sillaba e solo se la sillaba
ha vocale lunga (o dittongo).
L’accento acuto può stare solo sulle tre ultime sillabe, lunghe o brevi: ma sulla terzultima ci
può stare solo se l’ultima sillaba è breve.
Quando l’accento cade sulla penultima sillaba (e solo se deve cadere proprio lì) si applica la
legge del trocheo finale: se la penultima è lunga e l’ultima breve l’accento sarà circonflesso
(properispomena) altrimenti acuto.
Tendenze fondamentali:
1) Nei sostantivi e aggettivi l’accento tende a restare sulla vocale del nominativo singolare.
2) Nei modi finiti dei verbi, cioè indicativo, congiuntivo, ottativo (escluso quello dei verbi
atematici) e imperativo l’accento tende a retrocedere verso sinistra, ma mai oltre l’aumento
(compreso).
Nella flessione di verbi e nomi, all’interno delle regole precedenti, si verificano spesso queste
due situazioni:
1) spostamento dell’accento acuto dalla terzultima alla penultima quando l’ultima diventa
lunga.
2) mutamento dell’accento sulla penultima da acuto a circonflesso o viceversa secondo la
legge del trocheo finale.
L’accento acuto sull’ultima sillaba diventa grave quando dopo non c’è una parola enclitica o
un segno di interpunzione.
Nelle parole contratte l’accento è in genere quello prima della contrazione (bisogna sempre
partire dalla forma non contratta), ma se cade sulla prima delle due vocali che contraggono
diventa circonflesso.
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TEMPI E ASPETTI
In greco possiamo esprimere il tempo passato solamente nel modo indicativo, dove
distinguiamo fra tempi principali (presente, perfetto, futuro) e tempi storici, caratterizzati
dall’aumento (imperfetto=azione durativa-continuata al passato, aoristo = azione puntualemomentanea al passato, piuccheperfetto=azione compiuta al passato).
Negli altri modi domina il valore aspettuale: presente  azione durativa-continuata; aoristo 
azione puntuale-momentanea; perfetto  azione compiuta.
Solo il futuro mantiene in tutti i modi il concetto di azione posteriore.
AUMENTO E PREVERBO
Caratteristica dei tempi storici è l’aumento, cioè la vocale ε che si inserisce immediatamente
prima del tema verbale (e dopo il preverbo): si parla di aumento sillabico nei temi che iniziano
in consonante, perché la vocale ε resta aggiungendo una sillaba, di aumento temporale nei temi
che iniziano in vocale perché la vocale ε si contrae con la vocale iniziale. Le contrazioni
dell’aumento, storicamente antiche, non rispettano sempre le regole usuali: ε + ε  η anziché ει
(a parte alcuni verbi originariamente in consonante, come ἔχω); ε + ο  ω anziché ου. Un
originario aumento in η si trova in ὁράω, che per metatesi divente ἑώρων, e, a volte, in δύναμαι
(ἡδυνάμην).
Mentre l’aumento temporale non influenza il preverbo, visto che muta solo il tipo di vocale
iniziale del tema, l’aumento sillabico ε
 fa cadere l’ultima vocale dei preverbi che terminano in vocale (διά, κατά, παρά, ὑπό, ἐπί
διε-, κατε- παρε- ecc.), tranne περί (sempre), ἀμϕί (a volte) e πρό (che può avere però una
crasi: προε-  προὐ-)
 riporta alla forma originaria, i preverbi che terminano in consonante modificata di fronte
alla consonante iniziale del tema: ἐκ-, συμ- / συγ- / συλ- / συρ-, ἐμ / ἐγ- / ἐλ- ἐξε-, συνε-,
ἐνε-)
Ricordiamo le principali modifiche dei preverbi
ἐξ diventa ἐκ davanti a consonante
ἐν- diventa ἐμ- davanti a labiale (β, π, ϕ, ψ, μ), ἐγ- davanti a velare (κ, γ, χ, ξ), ἐλ- di fronte a λ,
ἐρ- (a volte) di fronte a ρ.
συν presenta le stesse variazioni di ἐν, ma diventa anche συσ- davanti a σ + vocale; συ- davanti
a σ + consonante o davanti a ζ.
I preverbi κατά, ἀπό, ἐπί, ὑπό, assumono forma καθ-, ἀϕ-, ἐϕ-, ὑϕ- di fronte a verbi che
iniziano in vocale con spirito aspro, a seguito della caduta della vocale finale.
DESINENZE DEI VERBI
Si distinguono in primarie (indicativo dei tempi principali e congiuntivo) e secondarie
(indicativo dei tempi storici e ottativo). L’imperativo ha desinenze proprie
Differenze principali
attivo
3ª plurale primaria: –ντι (da cui -ουσι); secondaria: –ν/ -εν oppure –σαν
3ª duale primaria: –τον (= 2ª duale); second.: –την
m.passivo
1ª, 2ª e 3ª singolare: primarie: -μαι, -σαι, -ται; secondarie: -μην (con l’eta!!), -σο, -το
3ª plurale: primaria: νται; secondaria: ντο
3
3ª duale primaria: –σθον (= 2ª duale); secondaria: –σθην
CONIUGAZIONE ATEMATICA
Ha le desinenze che si uniscono al tema del presente senza vocale intermedia, fatta eccezione
per congiuntivo e ottativo.
Gruppi fondamentali
1) Verbi radicali (tema del presente =radice) senza raddoppiamento o suffissi: εἰμι, εἶμι,
δύναμαι.
εἰμι (essere) è enclitico all’indicativo presente (tranne 2ª sing) e imperfetto
εἶμι (vado) è tonico, e si usa spesso al posto del futuro.
Il verbo εἶμi (“vado”) presenta la forma con tema εἰ nelle tre prime persone singolari
dell’indicativo e dell’imperfetto, mentre le altre forme si presentano con il grado ridotto ι.
Per non confondere le forme di εἶμi, εἰμι e ἵημι occorre ricordare che nel presente i due primi
verbi hanno spirito dolce, mentre ἵημι ce l’ha aspro. Inoltre nel presente indicativo εἰμι è
enclitico tranne che nella 2ª persona singolare, identica a quella di εἶμi.
Tuttavia nei composti con preverbo εἶμi ed εἰμι ritirano l’accento nell’indicativo presente e
nell’imperativo, con il risultato che alcune forme possono presentarsi identiche (πάρειμι, πάρει,
πάρεισι possono derivare da παρά + εἶμι e παρά + εἰμι).
Altre forme omografe si possono avere con i composti di ἵημι, quando il preverbo non rende
percepibile lo spirito aspro: ad es. παριέναι può essere infinito da παρά + εἶμi e παρά + ἵημι.
2) Verbi con raddoppiamento. I principali sono
τίθημι, “pongo” (tema θε/θη da θι-θη-μι = raddoppiamento-radice-desinenza)
ἵημι “invio “ (tema jε/η da jι-jη-μι con caduta degli iod e spirito aspro)
ἵστημι “faccio stare” (tema σe/ση da σι-στη-μι, con caduta del sigma iniziale e spirito aspro)
δίδωμι “do” (tema δο/δω da δι-δω-μι)
Il tema allungato si presenta
 in tutti questi verbi nelle tre prime persone dell’indicativo presente attivo, nel congiuntivo
(dove contrae);
 in τίθημι e ἵημι anche nella prima persona singolare attiva dell’imperfetto,
 in ἵστημι anche in tutto l’imperfetto attivo singolare e nella 2ª persona dell’imperativo attivo.
3) Verbi con suffisso νυ (preceduto da consonante) o νυ (precἶeduto da vocale)
I verbi in -νυμι presentano sempre la forma allungata del suffisso νυ nelle tre persone singolari
dell’indicativo presente e imperfetto e nella seconda singolare dell’imperativo.
CONGIUNTIVO
Ha sempre la vocale tematica (anche nei verbi atematici) lunga.
OTTATIVO
Ha come caratteristica modale la vocale –ι-. Essa è preceduta dalla vocale tematica –ο- (οι) solo
nei verbi tematici e in εἶμι e nei verbi in –(ν)νυμι.
Le tre prime persone singolari attive presentano desinenze diverse
-μι, -ς, - per i verbi tematici; -ην, -ης, -η per quelli atematici (tranne εἶμι e i verbi in –(ν)νυμι)
e contratti
Nella coniugazione atematica l’accento resta sempre sul suffisso modale ι, anche quando
potrebbe retrocedere (τιθεῖεν, mentre nella tematica abbiamo λύοιεν)
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AGGETTIVI DELLA I CLASSE
Si distinguono in
1. Aggettivi a 3 uscite. Il maschile e il neutro seguono la II declinazione, il femminile la prima
dei temi in α lunga. Nel femminile plurale l’accento si adegua al maschile.
2. Aggettivi a 2 uscite. Si trattai di aggettivi per lo più composti con un prefisso (preposizione,
εὐ-, δυς-, ἀ-) e baritoni (cioè non accentati sull’ultima). Il maschile=femminile e il neutro
seguono la II declinazione.
3. Aggettivi contratti a 3 e a 2 uscite: seguono il modello dei corrispondenti sostantivi contratti
(ma il vocativo singolare maschile è uguale al nominativo). Il femminile esce al singolare in α se
prima delle vocali contratte abbiamo una ρ (alfa pura), altrimenti in η.
DECLINAZIONE ATTICA
E’ una II declinazione con tutte le vocali trasformate in ω, tranne le ι, che si sottoscrivono.
L’accento è sempre quello del nominativo.
III DECLINAZIONE:
Il tema si ricava dal genitivo singolare togliendo la desinenza –ος:
Il nominativo Maschile e Femminile singolare può essere
a) asigmatico con allungamento organico (=apofonico: α  η; ε  η; ο ω ): Es. tema
ποιμεν  ποιμήν.
b) sigmatico (aggiunta della desinenza ς) senza allungamento organico. Ci può però essere
un allungamento di compenso, legato alla caduta di una nasale (α ᾱ; ε  ει; ο ου ):
es. κτένς  κτείς
Il nominativo Neutro è sempre asigmatico senza allungamento=puro tema. Le consonanti
dentali finali cadono sempre: σῶματ-  σῶμα
L’accusativo singolare maschile, che usciva in semiconsonante nasale m, si vocalizza in ᾰ nei
temi in consonante,, mentre diventa in genere consonante -ν nei temi in vocale (tranne
qualche tema in dittongo). Un’eccezione è l’accusativo in -ιν o –υν dei nomi baritoni (cioè non
accentati sull’ultima) in dentale che escono al nomaintivo in -ις e –υς (χάριν da χάρις, χάριτος)
L’accusativo plurale maschile, che usciva in ns, si vocalizza in -ᾰς (breve, a differenza di ᾱς
accusativo plurale della I declinazione!) nei temi in consonante, mentre nei temi in vocale
abbiamo in genere la caduta del n e un allungamento di compenso (πόλεις)
Il vocativo singolare maschile e femminile è in genere uguale al nominativo nei temi in
consonante, esclusi i nomi baritoni in –ντ-, liquida o nasale, che l’hanno uguale al puro tema,
come i sostantivi con tema in vocale e dittongo.
Regola dell’accento propria della III declinazione: nei sostantivi monosillabi al nominativo
singolare l’accento si sposta sulla terminazione nei casi obliqui (accento circonflesso quando
l’ultima è lunga)
Alcune particolarità importanti
I sostantivi πατήρ, μήτερ, θυγάτηρ presentano apofonia con grado lungo (vocale lunga η)
nel N Sing, il grado zero (senza vocale) nei casi obliqui del singolare (πατρός) e nel dativo
plurale (πατράσι, con vocalizzazione del ρ in ρα) e grado normale (vocale breve ε) negli altri
casi (vocativo singolare con accento ritratto: πάτερ). Il sostantivo ἀνήρ estende il grado zero
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(nella forma ἀνδρ, con consonante δ aggiunta=epentesi) a tutti i casi tranne nominativo e
vocativo singolare (ἀνήρ, ἄνερ).
Sostantivi in sibilante con sigma elidente in posizione intervocalica.
Il gruppo più importante è quello dei neutri con apofonia qualitativa in ες/ος . La forma ος si
trova nei casi retti del neutro, quella ες nella altre forme ma il sigma cade in posizione
intervocalica con contrazione successiva. Ricordare le omografie con la prima e seconda
declinazione (al singolare i casi retti in –ος e il genitivo in –ους, al plurale i casi retti in η e il
genitivo in -ῶν).
Sempre neutri sono anche i temi in ας, che talora si confondono con quelli in dentale (κέρας,
κέρατος / κέρως) .
Sostantivi in vocale e dittongo: si tratta di originari temi in iod e digamma che si vocalizzano
in ι e υ ma cadono in posizione intervocalica.
Il gruppo più importante è quello dei sostantivi apofonici in ις e υς (πόλις, πέλεκυς), che
hanno la terminazione εως del genitivo dovuta a metatesi (=scambio) quantitativa
(ηjοςεως). L’accento è irregolarmente quello antecedente alla metatesi (πόλεως: i grammatici
lo giustificano come sinizesi).
Stessa terminazione si trova anche nei sostantivi in dittongo –ευς (βασιλέως)
AGGETTIVI DELLA II CLASSE
1. A 3 uscite. Il maschile e il neutro seguono la 3ª declinazione, il femminile il modello in α
breve della I declinazione con suffisso jα.
Gruppi principali:
 participi, con tema in –ντ- e nominativo maschile asigmatico o sigmatico. NB: per il dativo
plurale maschile e neutro occorre guardare al nominativo femminile singolare sostuendo α
con ι
 Aggettivi in -υς, -εῖα, -υ: seguono il modello dei sostantivi in υς (es. πέλεκυς, εως), ma il
genitivo ha vocali brevi (-εος)
2. A 2 uscite. Il maschile è uguale al femminile e differisce dal neutro nei casi retti del
singolare (tranne vocativo) e in quelli del plurale. Nei nomi baritoni (=non accentati
sull’ultima) l’accento si ritrae al neutro (εὐδαίμων, εὔδαιμον). Gruppi principali:
 Aggettivi in ον (nominativo singolare maschile e femminile in ων)
 Aggettivi in ες: estendono al maschile=femminile il modello dei neutri in -ες (ma senza la
variante apofonica -ος)
3. A 1 uscita: Si tratta in genere di sostantivi che vengono anche usati come aggettivi. Il
maschile è uguale al femminile e differisce dal neutro nell’accusativo singolare e nei casi
obliqui del plurale.
Negli aggettivi della II classe (esclusi i participi) il vocativo singolare maschile è quasi sempre
uguale al puro tema, viene quindi a coincidere con i casi retti del neutro. οἱ μὲν
COMPARATIVI E SUPERLATIVI DI MAGGIORANZA
I tipo: comp. -τερος, α, ον; superl. –τατος, η, ον
Si forma a partire dal tema. Gli aggettivi della I classe allungano la vocale tematica ο in ω se la
sillaba precedente è aperta con vocale breve: σοϕώτερος
Gli aggettivi in ων /ον aggiungono il suffisso ες prima della terminazione (= ἐυδαιμονέστερος),
altri il suffisso ισ.
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II tipo: comp. –ιων, ιον; superlativo. -ιστος, -η, -ον
Si forma a partire dalla radice, togliendo i suffissi. E’ proprio degli aggettivi della prima classe
in -ρός, di quelli della seconda classe in –υς e di altri aggettivi, soprattutto politematici. Spesso
la radice corrisponde al tema di un sostantivo neutro in ες, -ος (καλός  καλλίων come il
sostantivo neutro κάλλος).
Il comparativo in –ιων si forma col l’aggiunta del suffisso jον / jοσ (lo iod modifica spesso la
precedente consonante della radice) e segue il modello degli aggettivi a 2 uscite in ων della
seconda classe. Tuttavia nell’accusativo singolare maschile (= femminile) e in tutti i casi retti
del plurale abbiamo anche forme contratte (al posto della ν c’era la variante con il σ
intervocalico che cade). καλλίονα  καλλίω; καλλίονες / καλλίονας  καλλίους
Per realizzare il comparativo di un avverbio si usa l’accusativo neutro singolare dell’aggettivo
al comparativo (ταχέως  θᾶσσον), per realizzare il superlativo di un avverbio si usa
l’accusativo neutro plurale dell’aggettivo al superlativo (ταχέως  τάχιστα).
Il comparativo si rafforza con avverbi, spesso accusativi singolari o dativi neutri di aggettivi:
πολύ, πολλῷ.
Il superlativo si rafforza con ὠς, oppure ὅτι (“il più… possibile)
Il comparativo richiede il secondo termine di paragone che si rende con il genitivo o con ἤ +
il caso del primo termine.
Il superlativo relativo (il più…) richiede il complemento partitivo che si rende con il genitivo
(anche preceduto da ἐξ) o con ἐν + dativo.
PRONOMI DIMOSTRATIVI
I dimostrativi o deittici (da δείκνυμι, mostro) possono essere pronomi o aggettivi.
1. L’articolo ὁ, ἡ, τό, il cui valore originario, presente di regola nella poesia omerica, era quello
di pronome dimostrativo, mantiene nel greco classico funzione di pronome in varie
espressioni
a) Unito alla coppia μέν / δέ, senza sostantivo seguente, esprime una correlazione oppositiva
(“l’uno… l’altro; questo… quello”)
Οἱ μὲν καθεύδουσι, οἱ δὲ ἐσθίουσιν: “gli uni / questi riposano, gli altri / quelli mangiano”
b) Seguito solo da δέ (di rado solo da μέν), senza sostantivo seguente, ha funzione di pronome
personale di III persona.
Ὁ δὲ ἔλεγε: “(Ma / Ed) egli / quello diceva”. 1
c) Al maschile o al femminile singolare seguito dal genitivo indica “figlio/figlia di”
1
NB: Quando ci si trova di fronte a sequenze come Οἱ δὲ ϕεύγοντες, occorre valutare se l’articolo + δέ
ha funzione di pronome, e allora il participio avrà valore verbale (“Ed essi, fuggendo”) oppure se si
tratta di un participio sostantivato, con la particella in semplice funzione oppositiva (“ma coloro che
fuggivano…”). Nel primo caso in greco non si inserisce solitamente una virgola
Οἱ δὲ ϕεύγοντες: “Ed essi, fuggendo…” oppure (in genere prevale la prima soluzione).
Situazione solo in parte diversa è quella di una forma al genitivo come τῶν δὲ ϕευγόντων: in questo
caso l’alternativa sarà fra un genitivo assoluto, con soggetto l’articolo-pronome (“Mentre essi
fuggivano”), oppure un participio sostantivato ( “ma di coloro che fuggivano)”. In questo caso è solo il
contesto a farlo capire.
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Άχιλλεὺς ὁ Πηλέως. “Achille figlio di Peleo”
d) Al neutro singolare seguito dal genitivo indica “il detto di.., il proverbio di”.
Ἔνδοξόν ἐστι τὸ τοῦ Σωκράτους. “E’ famoso il detto di Socrate”
e) Al plurale maschile o femminile seguito da un genitivo, da un altro complemento o da un
avverbio indica genericamente persone: “quelli / quelle (cioè uomini, seguaci, servi, discepoli,
sudditi…) di, con, ecc...”
Οἱ σὺν τῷ βασιλεῖ: “Quelli con il re, i compagni del re”. Οἱ νῦν: “Quelli di adesso, i
contemporanei”. Οἱ πάλαι: “Gli antichi”
f) Al plurale neutro seguito da un genitivo o da un altro complemento o avverbio indica
genericamente cose: “le cose (cioè affari, argomenti, ricchezze, territori..) di, riguardo, contro,
attorno ecc.”
Τὰ περὶ τὸν πόλεμον: “Gli affari della guerra”. Τὰ νῦν: “Le cose di adesso, l’attualità”
g) Puo formare locuzioni avverbiali, anche con un aggettivo sostantivato (πρὸ τοῦ = “prima di
ciò, prima d’ora”; ἐν δὲ τoῖς = “fra l’altro”; τὸ πρῶτον, τά πρῶτα = “inizialmente”; τὸ πολύ, τὰ
πολλά = “per lo più; τὸ πλέον = “maggiormente”, τὸ παλαιόν = “anticamente”; τὸ νῦν, τὰ νῦν
“attualmente”)
2. ὅδε, ἥδε, τόδε indica persona o cosa vicina a chi parla, al pari di hic, haec, hoc e si traduce
con “questo”.
Come aggettivo, si usa sempre in posizione predicativa, prima dell’articolo (da non tradurre)
o dopo il nome.
ϕεῦγε τόνδε τὸν κόλακα (τὸν κόλακα τόνδε). “fuggi questo adulatore!”
3. οὗτος, αὕτη, τοῦτο indica persona o cosa vicina a chi ascolta, al pari di iste, ista, istud, ma
ha un uso assai più ampio e frequente (anche come pronome personale di terza persona). Come
aggettivo si usa sempre in posizione predicativa. I corrispettivi italiani diretti sarebbero
“codesto” (agg. e pronome), “costui, costoro” (pronomi), o, più comunemente “questo” (agg.),
“questo, ciò, egli, essi” (pronomi).
Τούτους τοὺς λόγους ἐπαινέω. “Io lodo queste parole.”
Attenzione: Mentre οὗτος assume spesso valore epanalettico [←], cioè si riferisce a qualche
cosa di già noto o detto, ὅδε può avere valore prolettico [→], cioè anticipa ciò che si dirà, specie
quando segue un discorso diretto:
Μετὰ ταῦτα, ὁ στρατηγὸς τάδε ἔλεγε: «…»
“Dopo queste cose [← già riferite] lo stratega disse ciò [le cose che seguono→]: «…»”.
Però οὗτος si trova frequentemente usato, in genere al neutro, anche con valore prolettico
quando segue una proposizione epesegetica (cioè esplicativa del pronome stesso), infinitiva o
dichiarativa
Toῦτο ὁμολογῶ σοι δεῖν (= ὅτι δεῖ) κολάζειν τοὺς προδότας.
“In questo sono d’accordo con te, che bisogna punire i traditori”.
Da ricordare anche l’espressione colloquiale Ὦ οὗτος. “Ehi, tu!”.
4. ἐκεῖνος, ἐκείνη, ἐκεῖνο indica persona o cosa lontana da chi parla ed ascolta, al pari di ille
e si traduce con “quello” o, quando è pronome, con “egli, lui”. Come aggettivo si usa in
posizione predicativa.
Ἐκείνῃ τῆ ἡμέρᾳ πᾶσα ἡ πόλις ἐταράχθη. “In quel giorno tutta la città fu sconvolta”.
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Come ille latino può anche significare “quel famoso”.
Ἐκεῖνος Σωκράτης: “Il celebre Socrate” (Socrates ille)
5. αὐτός, ή, όν: è un pronome e aggettivo intensivo che può assumere diversi significati
a) Come pronome ha funzione di pronome personale di III persona singolare e plurale,
equivalente al latino is, con valore anaforico (cioè si usa per non ripetere uno stesso nome)
”egli, lui, lo”.
Πολλὰ αὐτῷ ὑπισχνεῖτο: “Gli (a lui) prometteva molte cose”. (Ei multa promittebat)
In particolare al nominativo corrisponde all’uso latino di ipse come pronome.
Αὐτὸς ταῦτα ἔλεγεν. “Egli stesso (in persona) diceva queste cose. (ipse haec dicebat)
Αὐτὸς τοῦτο ἔπραξα. “Io stesso ho fatto ciò” (Ipse hoc feci).
b) In posizione attributiva come aggettivo o pronome ha il valore di idem, cioè “stesso,
medesimo, identico”
Τοὺς αὐτοὺς νόμους ἔχομεν: “Abbiamo le medesime (le stesse) leggi (Habemus easdem leges).
Quando l’articolo termina per vocale si può avere una crasi, che porta di fatto all’annullamento
della vocale dell’articolo: nel nominativo maschile e femminile singolare e plurale resta tuttavia
lo spirito aspro dell’articolo sul dittongo iniziale, mentre quando l’articolo inizia per τ la
consonante resta immutata, e sul dittongo si aggiunge la coronide (in pratica resta immutato lo
spirito dolce del pronome).
ὁ αὐτός  αὑτός ἡ αὐτή αὑτή
οἱ αὐτοί  αὑτοί αἱ αὐταί αὑταί
τοῦ αὐτοῦ  ταὐτοῦ
τῷ αὐτῷ  ταὐτῷ
τῇ αὐτῇ  ταὐτῇ
τὸ αὐτὸ ταὐτό(ν)
τὰ αὐτά  ταὐτά
Per esprimere il concetto di “stesso di…” si usa il dativo sociativo oppure καί + nominativo:
Οἱ Τρῶες τοὺς αὐτοὺς θεοὺς ἐσέβοντο τοῖς Ἀχαιοῖς / καὶ οἱ Ἀχαιοί: “I Troiani veneravano gli
stessi dei degli Achei (Troiani eosdem deos colebant atque Achaei).
c) In posizione predicativa ha il valore dell’aggettivo ipse, ipsa, ipsum, cioè “stesso, in
persona, persino”
Ἐν τῇ μάχῃ αὐτὸς ὁ βασιλεὺς (oppure ὁ βασιλεύς αὐτός) ἔθανεν: “Nella battaglia lo stesso re
(persino il re) morì”. (In pugna rex ipse occĭdit)
d) al genitivo sostituisce l’aggettivo possessivo di III persona quando non è riferito al
soggetto (anche il genitivo degli altri dimostrativi può essere impiegato con analogo valore)
Γιγνώσκω τὸν πατέρα αὐτοῦ: “conosco suo padre (il padre di lui)”.
PRONOMI PERSONALI
I pronomi personali di I e II persona (ἐγώ, σύ, ἡμεῖς, ὑμεῖς) vengono usati raramente al
nominativo, solo quando si vuole marcare particolarmente il soggetto; nel caso del pronome di
prima persona l’io parlante si può rafforzare ulteriomente con la particella enclitica γε nella
forma monolettica ἔγωγε.
Negli altri casi esso si usa per lo più in funzione non riflessiva, cioè quando la persona che
indica non coincide con il soggetto del verbo. Τί εἰς ἐμὲ βλέπεις; “Perché (tu) mi guardi?
Tuttavia si può usare anche con identità di persona, che non viene in tal modo enfatizzata:
Δοκῶ μοι ϕιλεῖν τὴν πατρίδα “Io credo, ritengo (lett. “sembro a me”) di amare la patria”
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Per esprimere il pronome personale di III persona si impiega, solo al nominativo, ὁ δὲ, ἡ δέ,
ecc. oppure αὐτός, soprattutto nei casi diversi dal nominativo, oppure gli altri dimostrativi
(οὗτος, ἐκεῖνος).
Il pronome di terza persona οὗ, οἷ, ἕ nella forma tonica (accentata) si usa nelle subordinate,
specie al dativo singolare e plurale (οἷ, σϕίσιν) con valore di riflessivo indiretto, cioè riferito al
soggetto della reggente, quando è diverso da quello della subordinata, che ne esprime il
pensiero. Le forme atone, piuttosto rare in prosa, si trovano utilizzate con valore non riflessivo.
I pronomi personali riflessivi indicano quasi sempre in modo specifico la persona che è
anche soggetto della frase. Ζημιῶ ἐμαυτὸν: “Punisco me stesso”. Tuttavia quelli di I e II
persona, non creando problemi di identificazione, possono in rari casi essere usati come pure
forme intensive anche se il soggetto non coincide.
Άπὸ σαυτοῦ ἐγώ σε διδάξω (futuro): “Ti istruirò partendo da te stesso”.
La distinzione fra forma non riflessiva e riflessiva è invece molto rigorosa per il pronome di
III persona, in quanto elemento discriminante per il significato della frase.
Φιλεῖ αὐτόν: “Lo ama, ama lui”≠ Φιλεῖ ἑαυτόν (αὑτὸν): “ama se stesso”
Nelle subordinate si può trovare il riflessivo diretto ἑαυτοῦ riferito al soggetto della
subordinata e il riflessivo indiretto οὗ, οἷ, ἕ riferito al soggetto della reggente.
Ὁ βασιλεύς ἐβούλετο πάντας τοὺς πολίτας οἷ (riflessivo indiretto riferito a βασιλεύς)
ἑαυτοὺς (riflessivo diretto riferito a πολίτας) παραδιδόναι (Inf): “Il re voleva che tutti i
cittadini a lui si affidassero”
L’aggettivo possessivo si usa soprattutto nel caso della I e II persona singolare e plurale,
collocato in posizione attributiva e con valore sia riflessivo (cioè riferito al soggetto del verbo)
sia non riflessivo.
Mentre in latino l’aggettivo possessivo, quando è riferito a nomina actionis, ha sempre valore
soggettivo (= da parte mia), giacché il valore oggettivo si esprime con il genitivo del pronome
personale, in greco il possessivo di I e II persona può avere valore sia soggettivo, sia oggettivo.
Ἡ ἐμὴ ϕιλία: “Il mio amore, l’amore da parte mia (=amor meus), l’amore verso di me (amor
mei)”.
Sono poco usati gli aggettivi possessivi di III persona ὅς e σϕέτερος, che hanno sempre valore
riflessivo.
Al posto dell’aggettivo possessivo in posizione attributiva si può usare il genitivo del
pronome personale in posizione predicativa e quello del pronome riflessivo in posizione
attributiva.
In pratica per esprimere il possessivo di I e II persona si può usare:
 l’aggettivo possessivo in posizione attributiva.
 il genitivo del pronome personale in posizione predicativa
 il genitivo del pronome riflessivo in posizione attributiva, solo se riferito al soggetto.
Έπαινῶ τὴν ἐμὴν ἀρετὴν / τὴν ἀρετήν μου / τὴν ἐμαυτοῦ ἀρετὴν: “Lodo la mia virtù”
(riflessivo)
Έπαινῶ τὴν σὴν ἀρετὴν / τὴν ἀρετήν σου: “Lodo la tua virtù” (non riflessivo)
Per esprimere il possessivo di III persona si può usare:
 l’aggettivo possessivo in posizione attributiva (raramente), solo se riferito al soggetto della
frase.
 il genitivo del pronome riflessivo in posizione attributiva, solo se riferito al soggetto della
frase.
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 il genitivo singolare o plurale di αὐτός (o di altro dimostrativo) in posizione predicativa,
solo se non riferito al soggetto della frase
Έπαινοῦσι τὴν σϕετέραν ἀρετὴν / τὴν ἑαυτὼν (αὑτῶν, σϕῶν αὐτῶν) ἀρετὴν: “Lodano la
propria virtù” (riflessivo)
Έπαινοῦσι τὴν ἀρετὴν αὐτῶν (τούτων, ἐκείνων): “Lodano la loro virtù (lett: la virtù di
quelli)” (non riflessivo)
ATTENZIONE: se non è strettamente necessario per la chiarezza del discorso, è da evitare la
traduzione letterale del genitivo del dimostrativo in funzione possessiva, usando invece
l’aggettivo possessivo di cui fa normalmente le veci: quindi ἡ οἰκία αὐτοῦ: “la sua casa” (e non
la casa di lui); ἡ οἰκία αὐτῶν: “la loro casa” (e non “la casa di quelli”).
E’ inoltre improprio aggiungere “stesso” all’aggettivo possessivo per tradurre un genitivo di
pronome riflessivo usato di regola come normale (e non rafforzato) possessivo riferito al
soggetto: τὴν ἑαυτοῦ οἰκίαν = “la sua casa” (e non “la sua stessa casa”: il significato letterale
sarebbe d’altro lato “la casa di lui stesso”)
Se il riflessivo ἑαυτοῦ al plurale richiama per lo più il soggetto collettivo in maniera unitaria, il
pronome riflessivo reciproco ἀλλήλων, che ha solo plurale e duale, implica relazione fra
membri diversi dell’insieme.
Così Έπαινοῦσι αὐτούς: “Lodano quelli”. Έπαινοῦσι ἑαυτούς (αὑτούς): “Lodano se stessi
(in blocco)”
Έπαινοῦσι ἀλλήλους: “Si lodano gli uni gli altri, si lodano tra loro”.
PRONOMI INDEFINITI
τις, τι
τις, τι (enclitico) è un pronome ed aggettivo indefinito generico che può corrispondere a vari
pronomi e aggettivi latini, molto più selettivi nel significato:
quis, quid (pron.) e qui, quae, quod (agg.): persona o cosa che può esistere;
aliquis, aliquid (pron.) o aliqui, aliqua, aliquod (agg.): persona o cosa esistente ma non
individuabile:
quidam, quaedam, quiddam (pron.)/quoddam (agg.): persona o cosa individuata ma non specificata
In italiano si può tradurre con “un, uno, alcuni, qualche, dei, degli” (aggettivo) “qualcuno,
qualcosa, uno, alcuni” (pronome). Spesso corrisponde all’articolo indeterminativo o partitivo.
Ἄνθρωπός τις: “un uomo” (e non “qualche uomo”, che verrebbe ad assumere significato
plurale!) ἄνθρωποί τινες: “degli (=alcuni) uomini”.
Quando è unito ad altri pronomi può talora non essere tradotto.
Οὐ πολλοί τινες: “non molti”. ἄλλος τις: “un (qualcun) altro”
ἄλλοι τινές: “(degli) altri”
Ἕκαστός τις= “ciascuno”
Con indicazioni di durata o quantità significa “circa”
Ὲπτὰ δέ τινες: “Più o meno sette”. Ένιαυτόν τινα: “circa un anno”.
ἕτερος e ἄλλος
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ἕτερος= “l’uno / l’altro tra due (talora anche fra più di due), il secondo”
ἕτεροι μέν… ἕτεροι δέ… = “gli uni … gli altri…”
Ἀπέθανεν καὶ ὁ ἕτερος στρατηγός = “anche uno dei due strateghi morì”.
Con l’articolo può avvenire una forma di crasi, che porta all’aspirazione del τ dell’articolo
ἐπὶ θάτερα (=ἐπὶ τὰ ἕτερα) = “da una / dall’altra parte”
ἄλλος = (un) altro, diverso (fra più di due)
πολλὰ ἄλλα εἶπε = “diceva molte altre (=diverse) cose”
ἄλλοι μέν… ἄλλοι δέ… ἄλλοι δέ… = “alcuni… altri… altri ancora”
ἄλλος e ἕτερος impiegati in due casi diversi nella stessa proposizione possono indicare
a) reciprocità, e in questo caso la alterità oppositiva è fra i due indefiniti (=”uno fa qualcosa
all’altro”)
b) “struttura compendiaria”, e in questo caso l’alterità oppositiva degli indefiniti è rispetto a
quelli di una precedente proposizione dalla identica struttura, ma lasciata sottointesa (“altri
fanno altra cosa”= “alcuni fanno una cosa, altri ne fanno un’altra”)
ὁ ἕτερος τῷ ἑτέρῳ παραγγέλλει: “l’uno riferisce all’altro”
ἄλλοι ἄλλα ἐποίουν = lett.: “altri facevano altre cose” → “alcuni facevano delle cose, altri delle
altre” (=”tutti facevano cose diverse”).
Il discorso è valido anche con avverbi derivati.
ἄλλοι ἄλλοθεν ἐπέρχονται = lett.: “altri giungono da un’altra parte” → “alcuni (=gli uni)
vengono da una parte, (gli) altri da un’altra” (=”tutti vengono da direzioni diverse”).
ἄλλος in posizione attributiva (ὁ ἄλλος = ἅλλος) =l’altro, il restante
ὁ ἄλλος χρόνος = “il tempo rimanente, il resto del tempo”
ἠ ἄλλη χώρα=”il territorio restante, il resto della regione”
locuzioni particolari
τὰ ἄλλα (τἆλλα) (anche avverbiale) = “tutto il resto, per il resto, tra l’altro”
καὶ τἆλλα… καί… = “oltre al resto … anche… “
οἵ τε ἄλλοι … καί… = “gli altri … e in particolare anche…”
NOTA BENE: Occorre tenere presente che in greco ἄλλος indica frequentemente alterità
rispetto a quanto segue e non a quanto precede, spece se unito alla struttura τε… καὶ; un uso
chiaramente estraneo all’italiano, che non ama strutture come “Gli altri e…”. E’ quindi
opportuno nella traduzione o invertire l’ordine degli elementi, quando non compromette la
struttura della frase, oppure ricorrere ad espressioni più libere, anche a costo di sostituire il
concetto di “altro”.
Es.: οἱ ἄλλοι Ἕλληνες καὶ οἱ Ἀθηναῖοι παρῆσαν=”gli altri Greci e gli Ateniesi erano
presenti” “gli Ateniesi e gli altri Greci erano presenti” =”oltre agli (tra gli) altri Greci anche
gli Ateniesi erano presenti” “erano presenti tutti i Greci compresi gli Ateniesi” ecc..
Καί με τά τε ἄλλα ἐτίμησε καὶ… = “E mi onorò in ogni altra cosa (=in tutto), e per giunta…”
“Fra i vari onori che mi tributò …”
Un valore più strettamente oppositivo si ha con l’impiego di μέν + ἄλλος correlato ad un
successivo δέ: in questo caso si può ottenere un’adeguata traduzione italiana attraverso
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l’impiego di un’avversativa, che giustifica la presenza anticipata di “altro” rispetto al
riferimento.
Τῶν μὲν ἄλλων ἀγαθῶν οἱ ἄνθρωποι ἐπιμέλονται, περὶ δὲ τῆς σοϕίας ἀμελοῦνται. “Mentre
gli uomini si curano degli altri beni, della sapienza non si curano”.
ἄλλος con altri indefiniti e interrogativi
εἴ τις ἄλλος, εἴ τις καὶ ἄλλος, ὡς εἴ τις καὶ ἄλλος= “quant’altri mai, più di ogni altro” (in
genere con aggettivi”).
Es.. Δυστυχέστατος εἴ τις ἄλλος εἰμί: “sono sventurato (lett.: sventuratissimo) quant’altri mai.”
ἕτερος e ἄλλος possono reggere il II termine di paragone in genitivo o con ἤ + il caso del I
termine
τίς ἄλλος ἤ;= “chi altri se non…?”
τίς ἄλλος ἢ ὁ βασιλεύς πλούσιός ἐστι; =”chi altri se non il re è ricco?”
οὐδὲν ἄλλο ἤ =”nient’altro che…”
Es.: οὐδὲν ἄλλο ἢ τὴν νίκην βούλομαι= “non voglio altro che la vittoria.”
PRONOMI RELATIVI
Anche in greco la subordinata relativa è introdotta da un pronome relativo che si riferisce ad un
antecedente, cioè a un nome o a un pronome della proposizione reggente, su cui la relativa
stessa fornisce informazioni. L’antecedente e il relativo devono condividere ordinariamente
numero e genere, ma non il caso, dal momento che ognuno dei due ha una funzione logica
distinta nella proposizione di cui fa parte.
ELLISSI DEL DIMOSTRATIVO
In greco l’antecedente se è un pronome dimostrativo indicante genericamente persone o cose
si può del tutto eliminare, soprattutto (ma non esclusivamente) se l’ antecedente e il relativo
sono entrambi in casi retti oppure nello stesso caso obliquo. Nella traduzione italiana il
dimostrativo sarà da ripristinare oppure si potrà sintetizzare il pronome dimostrativo e il
relativo con un unico pronome misto italiano (chi, quanto, quanti).
Οὑ θαυμάζω ταῦτα ἃ λέγεις.
“Non ammiro queste cose (ciò) che dici” = “Non ammiro quanto dici”
Οὐ δεῖ ἐξαπατᾶν ἐκείνους οὺς ϕιλοῦμεν.
“Non bisogna ingannare quelli che amiamo.” = “Non bisogna ingannare chi amiamo”.
PROLESSI DEL RELATIVO
E’ l’anticipazione della subordinata relativa rispetto alla reggente. Mentre in italiano il
pronome relativo deve sempre essere preceduto dall’antecedente, in greco può essere invece
elemento iniziale di periodo.
Quando l’antecedente è un pronome indicante genericamente persone o cose esso può essere
posto dopo la subordinata relativa – si parla allora di funzione epanalettica, cioè di ripresa di
un concetto – oppure sottointeso (ellissi del dimostrativo). Nella traduzione italiana occorre di
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regola ripristinare l’antecedente prima della relativa, eventualmente riportando tutta la
reggente prima della relativa.
Οἳ τοὺς γονέας οὐ στέργουσιν, τούτοις μὴ ἀκολούθει.
Lett.: “I quali non amano i genitori, a questi (dimostrativo epanalettico) non accompagnarti”
→ “Non andare assieme a quelli che non rispettano i genitori.”
Quando l’antecedente è rappresentato da un sostantivo, esso può venire assorbito, cioè
inglobato all’interno della relativa, senza articolo. Il pronome relativo in tal modo diventerà di
fatto un aggettivo relativo. In questi casi può comunque essere sempre presente nella reggente
un dimostrativo con funzione epanalettica che in genere non andrà tradotto.
Οὓς ϕίλους ἔχεις, (τούτους) οὐ γιγνώσκομεν
Lett.: “I quali amici hai, (questi) non conosciamo” → “non conosciamo gli amici che hai”
ATTRAZIONE DIRETTA DEL RELATIVO
Quando l’antecedente è in caso obliquo (genitivo o dativo) e il pronome relativo ha funzione
di complemento oggetto e quindi dovrebbe essere in caso accusativo, quest’ultimo può
assumere il caso dell’antecedente, per attrazione diretta, cioè passiva, del relativo (che
subisce l’attrazione). E’ facimente riconoscibile perché il caso del relativo non è giustificabile in
base alla reggenza del verbo da cui dipende. Occorre quindi idealmente ripristinare il caso
corretto.
Οἱ παλαιοὶ ἀγάλματα ἐποίουν τοῖς θεοῖς οἷς (= οὓς) ἑσέβοντο.
“Gli antichi facevano statue agli dei che (lett. “ai quali”) veneravano.” (Il dativo οἷς non è in
alcun modo giustificabile sulla base della reggenza del verbo σέβομαι, che è transitivo e quindi
regge l’accusativo: in questo caso l’antecendente τοῖς θεοῖς è responsabile dell’attrazione in
dativo del relativo.)
Anche in questo caso si può avere lo spostamento del sostantivo antecedente all’interno della
relativa, senza articolo: la traduzione non cambierà.
Οἱ παλαιοὶ ἀγάλματα ἐποίουν οἷς ἑσέβοντο θεοῖς.
ATTRAZIONE INVERSA DEL RELATIVO (piuttosto rara)
Più rara è l’attrazione inversa (cioè attiva) del relativo, che attrae nel suo caso l’antecedente.
Τὸν οἶνον ὃν πεπώκαμεν γλυκύς ἐστιν (= Ὁ οἶνος ὃν πεπώκαμεν γλυκύς ἐστιν).
“Il vino che abbiamo bevuto è dolce” (L’accusativo τὸν οἶνον non è in alcun modo conciliabile
con il predicato nominale γλυκύς ἐστιν, che vuole un soggetto in nominativo: in questo caso il
relativo ὃν, oggetto del verbo πεπώκαμεν, è responsabile del passaggio dal nominativo
all’accusativo del sostantivo antecedente.)
L’attrazione inversa si può combinare con la prolessi del relativo e l’assorbimento
dell’antecedente nella relativa, sempre senza articolo.
Ὃν οἶνον πεπώκαμεν γλυκύς ἐστιν
Lett. “Il quale vino abbiamo bevuto è dolce” → “il vino che abbiamo bevuto è dolce”
NESSO RELATIVO
Talora periodi o semiperiodi preceduti da un segno forte di interpunzione (punto, punto e
virgola, punto in alto), possono iniziare con un pronome relativo che ha il suo antecedente nel
periodo o semiperiodo precedente. In questo caso la presenza del segno forte di interpunzione
impedisce di considerare la proposizione seguente realmente subordinata alla prima: in pratica
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il relativo si considererà e tradurrà in italiano come se fosse un dimostrativo, rendendo di
fatto la proposizione che introduce autonoma rispetto alla precedente. A volte, in italiano, per
sottolineare il legame concettuale forte che persiste comunque fra le due proprosizioni può
essere opportuno introdurre la seconda con una congiunzione copulativa (e) o avversativa (ma,
tuttavia, però), tale da dare il senso della continuazione del discorso.
Πολλοὶ οἱ παρὰ τῶν ἀνθρώπων δόλοι εἱσίν· οὓς (=τούτους) προορῶν, σώϕρων ἴσθι.
“Molti sono gli inganni degli uomini: prevedendoli, sii saggio”.
Spesso l’antecedente di un relativo neutro è costituito non da un termine delle proposizione
precedente, ma dalla proposizione stessa.
Ἃ ἐὰν σπεύδῃς, εὐδαίμων ἔσῃ.
“Se ricercherai queste cose (lett. “le quali cose qualora tu ricerchi), sarai felice” (da notare che il
relativo usato come dimostrativo dipende qui dalla protasi del periodo ipotetico e non dalla
reggente)
IN SOSTANZA: quando immediatamente dopo un segno forte di interpunzione troviamo un
pronome relativo, abbiamo due alternative:
a) Si tratta di una prolessi, ma in questo caso devono seguire almeno due predicati, quello della
relativa e quello della reggente (ovviamente non saranno mai uniti da una congiunzione
coordinante!)
b) Si tratta di un nesso relativo, e in questo caso il relativo avrà funzione di dimostrativo,
dipendente dalla proposizione reggente o anche da una sua subordinata.
LOCUZIONI CON I RELATIVI
εἰσὶν οἵ = ci sono alcuni che =alcuni (= τινες)
ἔστιν οἵ = ci sono (lett.: c’è) alcuni che =alcuni (= τινες)
ἔστιν οὗ = c’è qualcuno di cui=di qualcuno (= τινος)
ἔστιν ᾧ = c’è qualcuno a cui=a qualcuno (= τινι)
ἔστιν ὧν= ci sono (lett. “c’è”) alcuni di cui = di alcuni (=τινων)
ἔστιν οἷς= ci sono (lett. “c’è”) alcuni a cui = ad alcuni (= τισι)
ἔστιν ὅτε = c’è quando = talora (= ἐνίοτε)
ἔστιν οὗ = c’è dove = in qualche luogo (= που)
οὐκ ἔστιν ὅπου = non c’è dove = in nessun luogo (= οὐδαμῇ, οὐδαμοῦ)
οὐκ ἔστιν ὅπως = non c’è come = in nessun modo (= οὐδαμῶς)
ἔστιν ὅπως; = c’è modo di? = è possibile che?
οὐκ ἔστιν ὅστις= non c’è chi
οὐδεὶς ἔστιν ὅστις = non c’è nessuno che
οὐδεὶς ἔστιν ὅστις οὐ = non c’è nessuno che non = tutti
οὐκ ἔστιν ὅτῳ =non c’è nessuno a cui
Alcuni pronomi relativi preceduti da preposizione hanno di fatto funzione di congiunzione
subordinante
ἑϕ’ ᾧ, ἑϕ’ ᾧτε (+ infinito)= a condizione che, purché (introduce una limitativa)
ἀϕ’ οὗ, ἐξ οὗ = da quando, da che (introduce una temporale)
ἐν ᾧ = mentre, nel tempo in cui (introduce una temporale)
ἄχρι /μέχρι οὗ, εἰς ὅ = finché, fino a che (introduce una temporale)
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ἀνθ’ ὧν = in cambio di, perché (introduce una causale o interrogativa indiretta)
SUBORDINATE
1. Finali: ὡς, ἵνα, ὅπως + congiuntivo (ma anche ottativo se la reggente ha un tempo storico).
NB in italiano usiamo la costruzione implicita (per + infinito) solo se c’è identità di soggetto
con la reggente, altrimenti usiamo quella esplicita (perché, affinché + cong.)
2. Consecutive: ὡς, ὡστε + indicativo → conseguenza reale (“così che” + indicativo; “da” +
infinito) o ὡς, ὡστε + infinito (con soggetto in accusativo se diverso da quello della
reggente) → conseguenza immaginata, talora con sfumatura finale (“in modo che” +
indicativo o congiuntivo; “da” + infinito). NB in italiano usiamo la costruzione implicita (da
+ infinito) solo se c’è identità di soggetto con la reggente.
3. Causali: ὅτι, ἑπεί, ἐπειδή, ὡς + indicativo (o ottativo obliquo): “poiché, perché +
indicativo”
4. Temporali: ὅτε, ὡς (=quando), ἑπεί (=dopo che), πρίν (=prima) + indicativo; ὅταν, ἐπάν,
ἐπειδάν + congiuntivo eventuale ( “quando, dopo che, ecc. ” + indicativo)
5. Ipotetiche: distinguiamo una PROTASI (“Se…” subordinata) e una APODOSI (reggente)
I tipo: realtà: PR: εἰ + indicativo; AP: indicativo o altro modo indipendente.
In italiano: PR: “se + indicativo, AP: indicativo o altro modo corrispondente al testo greco
II tipo: eventualità: PR: ἐάν (ἄν, ἤν) + cong. eventuale; AP: indicativo o altro modo
indipendente.
In italiano: PR “qualora, nel caso che” + congiuntivo presente (o anche “se + futuro”) AP:
tempo presente (talora anche futuro), nel modo corrispondente al testo greco.
III tipo: possibilità: PR: εἰ + ottativo obliquo; AP: ἄν + ottativo potenziale.
In italiano: PR “Se” + cong. imperfetto” AP: Condizionale presente
IV tipo irrealtà: PR: εἰ + indicativo dei tempi storici; AP: ἄν + indicativo dei tempi storici.
In italiano: PR “Se” + cong. imperfetto (o anche trapassato se in greco c’è un aoristo) AP:
Condizionale presente (o anche passato se in greco c’è un aoristo).
VALORI FONDAMENTALI DEL CONGIUNTIVO
Indipendente:
1. volitivo (esortativo o proibitivo + μή): = in italiano congiuntivo o imperativo presente
italiano
2. desiderativo: in proposizioni interrogative=in italiano devo/dovrei, posso/ potrei + infinito
Dipendente:
1. eventuale, sempre con ἄν (talora fuso con altre congiunzioni ἑάν/ἄν/ἤν, ὅταν)= in italiano
“qualora, nel caso che, tutte le volte che” + congiuntivo, talora anche indicativo.
2. finale, preceduto da ὡς, ἵνα, ὅπως “affinché, perché, in modo che” + congiuntivo
VALORI FONDAMENTALI DELL’OTTATIVO
Indipendente:
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1. desiderativo (esortativo o proibitivo, con μη): = in italiano (ah) se /magari (+ cong.
imperfetto)|
2. potenziale, sempre con ἄν=in italiano “posso/potrei” + infinito oppure direttamente il verbo
al condizionale
Dipendente:
1. obliquo, sempre in dipendenza da tempi storici o da un altro ottativo nelle proposizioni
dichiarative, finali, causali, ipotetiche= in italiano indicativo o congiuntivo imperfetto (o forma
implicita con l’infinito nelle finali con identità di soggetto)
TRADUZIONE DEL PARTICIPIO
1) Participio preceduto immediatamente dall’articolo:
a) se è espresso anche il sostantivo riferito si tratterà di participio attributivo, da tradurre in
genere con una relativa o (a volte) con art. + sostantivo + participio italiano o aggettivo (οἱ
ἐργαζόμενοι πολῖται “i cittadini che lavorano, i cittadini lavoratori”).
b) se il sostantivo è sottointeso si tratterà di un participio sostantivato, da tradurre in genere
con un pronome o sostantivo generico + relativa (“quelli che, gli uomini, le persone che, ciò
che”; se è neutro evitare “le cose che”, preferendo “le questioni, gli eventi, le situazioni, gli
argomenti, i beni, ecc.”) o anche (se possibile) con art. + participio italiano o sostantivo (οἱ
ἐργαζόμενοι “quelli che lavorano, i lavoranti, i lavoratori”).
NB: Si può anche avere un participio attributivo e sostantivato senza articolo: in questo caso si
tratterà di concetti meno determinati (“persone che, cose che”)
2) Participio non preceduto immediatamente dall’articolo
a) Se è in caso genitivo (il soggetto in genitivo con cui è concordato il participio è quasi sempre
espresso accanto e non separato da una virgola) può essere un GENITIVO ASSOLUTO, da tradurre
con una subordinata avverbiale (temporale, causale, avversativa, concessiva, ipotetica: poiché,
mentre, perché, se, benché…). La traduzione (grammaticamente possibile anche se brutta) con
gerundio + sostantivo, o quella (possibile solo con i participi passati, quando il testo greco lo
consente) participio + nome devono rigorosamente rispettare quest’ordine (προσερχομένων
τῶν πολεμίων= “quando / poiché vengono i nemici, venendo i nemici” e non “i nemici
venendo”).
b) Se è in caso nominativo o accusativo e non separato da virgola rispetto al verbo può essere
PARTICIPIO PREDICATIVO DEL SOGGETTO O DELL’OGGETTO: per accertarselo bisogna vedere se il
verbo rientra fra quelli che reggono il predicativo.
Principali verbi: verbi di percezione (ὀράω, αἰσθάνομαι, ἀκούω, μανθάνω. NB: con ἀκούω il
participio predicativo è in genitivo=percezione fisica!), verbi di inizio e fine e continuazione
(ἄρχομαι, παύομαι, διατελέω), verbi di eccellenza o di inferiorità (διαϕέρω, νικάω, ἡττάομαι),
verbi dimostrativi (δείκνυμι, ϕαίνω), più alcuni verbi o locuzioni come τυγχάνω (“sono per
caso”, quindi “faccio qualcosa per caso, mi trovo a…”), ϕθάνω (“prevengo”, quindi “faccio
qualcosa prima di”), λανθάνω (“mi nascondo” quindi “faccio qualcosa di nascosto”), δῆλός /
ϕανερός εἰμι “sono evidente” quindi “è evidente che faccio qualcosa”)
c) Se il participio è in caso nominativo o accusativo – raramente al genitivo e dativo - e
concordato con un nome in genere già esplicitato nel testo (anche se separato da una virgola),
può essere PARTICIPIO CONGIUNTO (è bene comunque prima escludere che sia predicativo).
Il PARTICIPIO CONGIUNTO, dal valore verbale, è da tradurre con una subordinata avverbiale
(temporale, causale, avversativa, concessiva, ipotetica: poiché, mentre, perché, se, benché…) o
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anche con una relativa accessoria (separata da virgola). La comune traduzione con il gerundio
si può usare solamente se il soggetto è lo stesso del verbo della reggente. Nei verbi intransitivi
e nei passivi si può anche tradurre con il participio passato, se il rapporto temporale è
giustificato dal contesto. (Es.: “Il comandante, poiché era ferito dalla spada, che era ferito dalla
spada, essendo ferito dalla spada, ferito dalla spada”).
Attenzione: quando troviamo la sequenza articolo + μέν/ δέ + participio non concordato con
un nome, l’articolo
a) può avere funzione di pronome, e quindi il participio seguente sarà congiunto (o
eventualmente predicativo del verbo della reggente, se esso lo richiede).
b) oppure può sostantivare il participio.
Ad esempio la frase
οἰ μὲν ἀνδρείως πολεμοῦντες τὸν ἑαυτῶν βίον ἔσῳζον, οἰ δὲ φεύγοντες ἐσφάζοντο
può avere due traduzioni distinte, corrispondenti a queste possibili scansioni
a) οἰ μὲν // ἀνδρείως πολεμοῦντες…
b) οἰ μὲν ἀνδρείως πολεμοῦντες…
a) “Gli uni (Alcuni, I primi), combattendo valorosamente, salvavano la loro vita, gli altri (i
secondi), mentre fuggivano, venivano uccisi”
b) “Quelli che combattevano valorosamente salvavano la loro vita, quelli che fuggivano
venivano uccisi”
Ugualmente la frase οἱ δὲ βλέποντες τοὺς πολεμίους οὐκ ἐταράσσοντο si potrà rendere
1) “Ed essi vedendo i nemici non erano spaventati.
2) Quelli che vedevano i nemici non erano spaventati
Chiaramente il contesto indirizzerà alla scelta di una delle due formule, visto che non sono
affatto interscambiabili. Purtroppo in greco la grafia abituale non prevede l’impiego delle
virgole per separare dal soggetto un participio congiunto e distinguerlo così da quello
sostantivato.
Un participio congiunto o genitivo assoluto preceduto da ὡς ha valore di causale implicita
soggettiva (“perché, ritenendo che, come se….”) o, in genere con il participio futuro, finale
(“per, con l’intenzione di” + infinito).
Se invece è preceduto da ἅτε ha valore di causale oggettiva: “poiché, per il fatto che”.
3) Accusativo assoluto: è un accusativo neutro che regge una soggettiva e si regge solo con
alcune formule e ha significato causale o, spesso concessivo: ἐξόν, παρόν, “(pur) essendo
possibile, benché fosse possibile”; προσῆκον “(pur) essendo conveniente”.
ALCUNE IMPORTANTI STRUTTURE
Genitivo + χάριν o ἕνεκα: complemento di fine o causa finale (= in latino genitivo + causa o
gratia)
Un accusativo non retto da un verbo transitivo può essere accusativo di relazione, con funzione
di complemento di limitazione (ὀ Ἀλέξανδρος ἦν καλὸς τὸ πρόσωπον. “Alessandro era bello
di aspetto”).
ALCUNE PARTICOLARITÀ VERBALI
ἀκούω + genitivo = sento, percepisco (percezione fisica)
ἀκούω + accusativo (percezione intellettuale)= sento (dire)
τυγχάνω + genitivo = “ottengo”
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βασιλεύω / ἄρχω (e altri verbi di comando) + genitivo = regno (su), domino, comando
χράομαι (χρῶμαι) + dativo = “uso, mi servo di”
ἔχω + avverbio = “sto, mi trovo”
ἥκω “Sono arrivato” si traduce al presente con un pass. prossimo, all’imperfetto con un
trapassato.
Complementi in posizione attributiva
Quando un aggettivo o un complemento (anche preceduto da articolo) si colloca fra l’articolo e
il nome a cui si riferisce si parla di posizione attributiva.
Es.: ἡ τῆς κόρης οἰκία: la casa della ragazza (lett. “la della ragazza casa”)
ἡ καλὴ κόρη: la bella fanciulla
La posizione attributiva si può anche realizzare ripetendo l’articolo del nome reggente e
collocando subito dopo l’aggettivo o il complemento
Es.: ἡ οἰκία ἡ τῆς κόρης: la casa della ragazza (lett. “la casa, quella della ragazza”)
ἡ κόρη ἡ καλή: la bella fanciulla (lett. la fanciulla, quella bella)
La posizione attributiva sottolinea la stretta dipendenza del complemento rispetto al nome
reggente, da mantenere anche nella traduzione.
Ad esempio “Αἱ ἐν τῇ οἰκίᾳ κόραι (o anche Αἱ κόραι αἱ ἐν τῇ οἰκίᾳ) καθεύδουσιν” non si
dovrà tradurre “Le ragazze dormono nella casa” ma “Le ragazze (che sono) nella casa
dormono”.
Quando invece l’aggettivo o il complemento non seguono l’articolo si ha la posizione
predicativa.
USO DELLE PARTICELLE
La particella enclitica τε, se è seguita da καί, in genere non si traduce, oppure (meno bene) si
rende come “sia… sia, non solo… ma anche”.
Le particelle μέν e δέ vengono a rapportare o opporre (in maniera per lo più lieve) due
proposizioni o due elementi di esse. Esse sono fondamentali per comprendere la struttura del
periodo, ma non sono da tradurre necessariamente. Nel caso che il contesto consigli la loro
esplicitazione (ma spesso si può non tradurle affatto) sono da evitare forme pesanti come
“non solo… ma anche; da una parte… dall’altra” optando piuttoso per un semplice “mentre”
(nella prima parte o nella seconda”), o un “invece” (nel secondo membro, facendolo precedere
preferibilmente da un punto e virgola).
Quando queste due particelle ricorrono dopo un articolo esprimono il senso pronominale
dell’articolo stesso: “l’uno… l’altro; gli uni… gli altri; questi e quelli”.
Se vi è un articolo + δέ isolato all’inizio di periodo non avra significato oppositivo, ma al
massimo lievemente avversativo “ed egli / ella / essi (o anche “ma egli”)”
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