Unicredit - Sindacalmente

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Unicredit, il lato oscuro del maxiaumento
16 gennaio 2012 — pagina 4 sezione: AFFARI FINANZA
Scosse telluriche ai piani alti di Unicredit rischiano di trasmettersi lungo tutto il sistema finanziario
italiano. L' onda è stata alzata dal recente lancio del maxi aumento di capitale del gruppo
creditizio plasmato per un decennio da Alessandro Profumo e oggi guidato da Federico Ghizzoni.
E con le Fondazioni di origine bancaria che, uscite dalla foresta pietrificata degli anni ' 80 e ' 90,
per un decennio hanno beneficiato dei lauti dividendi prodotti dal sistema bancario e oggi loro
malgrado sono costrette a giocare un ruolo via via minore. Dimostrando al mondo che forse non
sono in grado di rappresentare quegli investitori di lungo periodo necessari per la stabilità del
sistema che un paese come l' Italia, a cui mancano i fondi pensione, aveva bisogno come il pane.
Le Fondazioni sono animali strani: hanno bisogno di incassare un dividendo sicuro per poi
effettuare le erogazioni sul territorio di appartenenza gratificando i vari enti e piccole lobby delle
comunità locali. Se il dividendo viene messo a rischio entrano in fibrillazione. E negli ultimi anni,
soprattutto in Unicredit, il dividendo si è rivelato una variabile impazzita: niente per il 2011, tre
centesimi nel 2010, in azioni nel 2009. In compenso dal 2007 a oggi la banca ha effettuato ben
tre aumenti di capitale svuotando le casse esangui delle Fondazioni principali azioniste. Un duro
colpo difficile da digerire aggravato dall' ultima operazione da 7,5 miliardi da cui sono emersi
elementi collaterali che hanno peggiorato la situazione. Il primo è che alcune Fondazioni azioniste
di Unicredit, in primo luogo la CariTorino ma anche la Cassamarca e forse anche Carimonte, si
sono finanziati presso il sistema bancario per ottenere la liquidità necessaria. A garanzia del
finanziamento hanno dovuto dare in pegno le azioni che a loro volta sono state girate a prestito
agli "shortisti", cioè agli operatori interessati a vendere i titoli allo scoperto. E così facendo hanno
amplificato quel movimento al ribasso del titolo Unicredit che è iniziato tre giorni prima della
partenza ufficiale dell' operazione e che ha spinto la quotazione a perdere più del 40% in quattro
sedute. Inoltre, si è cercato di mettere una pezza rivelatasi peggiore del buco. Sempre le stesse
Fondazioni, prevedendo un ribasso del titolo dovuto all' ampiezza dell' aumento rispetto alla
capitalizzazione e all' aggravante del prestito titoli, hanno effettuato contratti derivati per
proteggersi dai ribassi di Borsa. Ma come era facile aspettarsi le banche d' affari che diventano
controparti di queste operazioni a loro volta si devono coprire dal rischio di mercato andando a
vendere preventivamente i titoli sul mercato. E agendo in questo modo il flusso in vendita delle
azioni Unicredit non poteva che diventare una valanga. Dunque le Fondazioni da una parte hanno
accettato di subire forti esborsi per seguire un aumento di capitale molto elevato nell' ammontare
e in un momento a dir poco difficile per i mercati in generale. E dall' altra hanno contribuito ad
amplificare il movimento al ribasso del titolo andando a intaccare il valore patrimoniale del loro
investimento. Ma c' è di più. Per effettuare un aumento di tale ampiezza sul mercato il consorzio di
garanzia capitanato da Mediobanca e Merrill Lynch ha imposto un prezzo di sottoscrizione molto
basso. In questo modo le banche garanti minimizzano la possibilità che le azioni restino invendute
e il loro obbligo a raccoglierle e poi ricollocarle. Purtroppo c' è anche l' altra faccia della medaglia.
Fissando uno "strike price" molto basso si incentivano nuovi soci a entrare poiché la convenienza
aumenta. Unicredit alla fine della seduta di lunedì 9 gennaio era arrivata a valere 5,5 miliardi,
meno della sua controllata in Polonia. Un' assurdità che non a caso può aver attirato investitori
esteri, fondi sovrani, finanzieri di dubbia reputazione. Insomma, un possibile rivolgimento dell'
azionariato difficile da dominare anche se il consorzio di garanzia composto da 26 banche sta
monitorando da vicino la situazione cercando di evitare brutte sorprese. Si vedrà all' assemblea di
aprile se si dovranno registrare modifiche sostanziali nel libro soci della banca di piazza Cordusio
ma le prime voci hanno cominciato a circolare. E parlano di fondi sovrani kazaki o di grossi
investitori russi. Ma potrebbe anche spuntare con un 5% un grosso concorrente come Hsbc,
Santander, Jp Morgan, Bnp Paribas che con un minimo sforzo monetario metterebbe un piede nella
più estesa rete bancaria europea. In attesa di avere notizie più precise al riguardo Ghizzoni e
Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, si stanno reinventando banchieri di sistema. Con una
Intesa Sanpaolo orfana di Corrado Passera, che delle operazioni di sistema ha fatto un credo ora
esportato al Ministero dello Sviluppo, Mediobanca e Unicredit hanno dato il meglio di loro nel
salvataggio del gruppo Ligresti. Ma con vecchi metodi che si sperava fossero ormai dimenticati. La
famiglia di costruttori siciliani, che meritava di essere estromessa per evidente incapacità di
gestione, è stata trattata con i guanti bianchi. Dal canto loro le banche cambiano cavallo, come si
dice in gergo, rientrando dei crediti verso i Ligresti ma esponendosi nuovamente e più
ampiamente con i nuovi azionisti di Unipol. E il mercato la prende in saccoccia da tutte le parti,
senza vedere il becco di un' Opa com' è tradizione da quando i Ligresti calcano il palcoscenico
della finanza e Mediobanca esiste. Il tutto in nome della creazione di un nuovo polo assicurativo
tutto italiano che avrà la leadership nel settore danni in Italia e si collocherà al secondo posto
dietro Generali. In realtà con le mani legate dal vero centro decisionale che ha sede in piazzetta
Cuccia dove in barba all' Antitrust e alla Consob si decidono i destini dei due gruppi assicurativi.
Mediobanca è infatti il primo azionista di Generali con il 14% e sarà il primo stakeholder di
UnipolFonsai essendo esposta verso questo mega gruppo per 1,5 miliardi e in virtù di queste
interessenze potrà manovrare a piacimento anche le partecipazioni sensibili che i Ligresti avevano
accumulato: il 5% della stessa Mediobanca, il 5% di Rcs, il 4,5% di Pirelli, l' 1% di Generali, il 3% di
Gemina. Insomma il tempo passa ma gli incroci perversi del sistema finanziario italiano resistono,
con nuovi protagonisti che hanno imparato la lezione dai loro predecessori. - GIOVANNI PONS
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