“political consumerism”: forma emergente di partecipazione

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Supplemento Notiziario per i soci della Società Italiana di Sociologia n.2 anno VII 2004
Registrazione n.341 del 15.5.1998 c/o Tribunale di Trani
Direttore: Marina Ruggiero
rubrica
PROFESSIONE
SOCIOLOGO
“POLITICAL CONSUMERISM”: FORMA
EMERGENTE DI PARTECIPAZIONE ?
Appunti sull’evoluzione
azione politica
dei
repertori
di
Luigi Ceccarini
LaPolis – Laboratorio di Studi Politici e Sociali
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
1
di
2
1. Introduzione
Il dibattito sul rapporto tra cittadini e sfera politica spesso richiama termini quali
disaffezione, disincanto, distacco, apatia. Talvolta si parla anche di declino evocando così,
anche implicitamente, un passato virtuoso rispetto ad un presente degenerato. Ma è proprio così
a livello generale? Non è questa la sede per scendere, attraverso un’ottica comparativa, a
verificare le differenze, di questa possibile tendenza, nei sistemi politici di diversi paesi
occidentali. Nello specifico di questo contributo, dunque, il quesito di fondo è il seguente: al di
là del possibile declino dell’attivismo politico, la partecipazione sta davvero cambiando alcuni
dei suoi tratti fondamentali (i soggetti promotori, gli obiettivi, le arene, le modalità, i target da
influenzare) così che le categorie utilizzate in passato non permettono di cogliere cosa c’è di
nuovo in questo ambito del rapporto tra società e politica?
Forse sono i nostri occhiali, quelli con cui guardiamo e studiamo la realtà - i paradigmi,
le teorie, i concetti, gli indicatori - che non sono sempre adeguati alla complessità del mondo
reale o aggiornati rispetto alle trasformazioni della società. E’ probabile che queste lenti
interpretative non ci permettano di vedere, o che ci lascino vedere solo in parte, cosa c’è di
nuovo, in questa fase - post-moderna secondo Beck o della modernità radicalizzata per
Giddens oppure liquida per Bauman - sul fronte dei repertori di azione e dell’impegno politico.
Così, con riferimento alle forme di partecipazione politica, è facile leggere e interpretare
la realtà con la categoria del declino poiché, forse, manchiamo di registrare o di dare rilevanza a
fenomeni innovativi, a repertori emergenti, i quali potrebbero rappresentare modi nuovi dei
cittadini di partecipare, di coinvolgersi, di essere e sentirsi parte, ma anche di prendere parte.
Di conseguenza se l’impegno e l’attivismo politico scelgono altri alvei, diversi dai canali
tradizionali (convenzionali e no) e collettivi (o di massa), possiamo non vederli più.
In altri termini è possibile che non riusciamo a vedere ciò che non cerchiamo, perché
determinati fenomeni partecipativi se non sono inseriti in un adeguato quadro concettuale in
pratica non esistono. Al limite se ne ha qualche evidenza empirica attraverso l’osservazione. Ma
se non vengono adeguatamente operazionalizzati né “misurati” o “compresi”, sfuggono ad una
prospettiva interpretativa più ampia e al tempo stesso utile alla ricerca empirica.
Così anche se queste nuove azioni producono un qualche effetto, una qualche influenza,
questo non ci appare visibile. Restano invisibili, anche se effettivamente nella società queste
forme emergenti possono contribuire a diffondere una maggiore consapevolezza e informazione
circa determinate tematiche (dal significato politico) e a costruire l’identità politica di chi, in
prima persona, è coinvolto e le pratica.
In questa sede1 ci concentriamo su un particolare segmento delle forme di partecipazione che
potremmo definire emergenti; faremo cioè riferimento al political consumerism e alle diverse
azioni che possono rientrare in questa categoria (cfr. par.4)
Cercheremo di mettere a fuoco il concetto e le diverse implicazioni più avanti
(cfr. par.3). Al momento, per richiamare anche se in modo sommario l’ambito
intorno al quale ruoteremo, è sufficiente fare riferimento alle azioni di quei
cittadini che usano il consumo come strumento per esprimere una idea politica:
come il boicottaggio di marchi o prodotti oppure il consumo critico. Si tratta di
situazioni in cui le scelte di consumo vengono fatte in base a considerazioni di
tipo politico, etico o ambientalista.
Questo ci pare interessante perché tradizionalmente al mercato vengono associate
motivazioni inerenti la razionalità economica; il calcolo dell’homo oeconomicus. Invece,
nell’ambito del political consumerism, spesso il costo (monetario e non solo) di determinati
prodotti o di queste pratiche (acquisto o boicottaggio) è più elevato rispetto ad altre scelte
possibili per l’attore. Ovviamente tali azioni, anche quando sono costose dal punto di vista
Il presente lavoro è parte del materiale preparato per i corsisti del seminario “Verso nuove
forme di partecipazione”. L’incontro, tenuto dall’autore di questo contributo, era previsto nel
programma del Corso Internazionale di Sociologia politica organizzato dalla SOIS (Società
Italiana di Sociologia) a Ragusa nei giorni 19-22 maggio 2004.
1
3
“razionale” hanno comunque una loro razionalità, nella prospettiva di senso e di significato
attribuito da chi le mette in atto.
Il mercato, in questa esperienza, diventa un’arena di espressione di identità politiche e
un ambito attraverso il quale si tenta di influenzare, fare pressione, cambiare, ribadire significati
etico-politici.
L’attività partecipativa da parte dei cittadini, in questo ambito, è piuttosto estesa - anche
se le varie ricerche non concordano nelle misure delle specifiche iniziative –. Sul piano
organizzativo queste azioni si sviluppano in “ordine sparso”, con una logica di rete diffusa più
che di fronte compatto, in modo individuale e (almeno in una certa misura) dis-organizzato,
poco strutturato. Si muove non in ambiti istituzionali o istituzionalizzati ma personali e
quotidiani. Di conseguenza è anche difficile da cogliere nella sua complessità e da misurare
empiricamente con gli strumenti e le modalità classiche della ricerca, che andrebbero ripensati
nella loro validità circa questo oggetto di indagine. A tal proposito, tuttavia, va detto che a
livello internazionale, politologi e sociologi, hanno cominciato ad occuparsi di queste forme
emergenti di azione politica incardinate nel consumo e nello stile di vita. Il tentativo è quello di
inquadrarlo teoricamente, con la finalità di fornire strumenti utili allo studio empirico.
Altre forme “nuove” di partecipazione vanno tuttavia richiamate. Pensiamo in primo
luogo al ruolo delle nuove tecnologie, la rete Internet, e all’impatto che queste hanno non solo
nell’offrire nuove potenzialità alle forme tradizionali, ma anche allargandole e ridisegnandole
qualitativamente (dalla e-partecipazione, l’Internet activism, alla culture jamming che fa largo
uso della rete, alle nuove forme di contacting – sms, e-mail ecc. - da parte di candidati ecc.).
Volendo poi restare sui media “tradizionali” si pensi invece al fenomeno delle Street Tv,
fatte con poche risorse, da poche persone, ad uso di una comunità fortemente localizzata
all’interno di una stessa città. In Italia il fenomeno sta assumendo misure di rilievo, sono ormai
centinaia le Tv di quartiere, che svolgono un’attività di impegno (dalla forte connotazione
politica in molti casi) nella comunità. Lavorano in un ambito che da un lato estremizza la
dimensione locale - il quartiere, la via, il condominio – ma dall’altro non sono isolate, perché
organizzate in network, grazie anche alla Rete dove le micro realtà, sparse sul territorio
nazionale, diventano i nodi di una più ampia inter-connessione2.
2. Tra società e politica: l’importanza della partecipazione
Dopo questa parte introduttiva e prima di affrontare più nello specifico il tema delle
trasformazioni nel campo della partecipazione politica, è utile richiamare alcune considerazioni
di carattere generale sul rapporto tra cittadini e politica.
L’azione partecipativa, sia nei termini di azione di rappresentanza politica che rispetto
alla dimensione affettiva e identitaria, connette la società civile alle istituzioni della politica e ai
canali dell’impegno. Tale nesso rappresenta un tema centrale nella teoria della democrazia.
L’idea di un cittadino partecipante - per fare riferimento ai lavori classici di Almond e Verba –
presuppone la presenza di un soggetto attento, informato, competente, con un grado elevato di
cultura civica. Ma questo, oltre a costituire un tratto centrale nella rappresentazione idealtipica
(oltre che normativa) della democrazia, permette, in un’ottica comparativa, di comprendere il
profilo di un determinato sistema politico e della cultura politica della sua base societaria.
A tal proposito, osservatori e studiosi guardano con una certa apprensione alla
democrazia dei sistemi democratici, alla qualità della democrazia. In particolare, valutazioni e
preoccupazioni3 circa l’apatia dei cittadini e delle possibili conseguenze sul sistema, traggono
indizi dal declino di alcune delle forme più tradizionali e istituzionalizzate del coinvolgimento
politico e della crisi relativa alle organizzazioni di riferimento.
Le associazioni politiche e il loro ruolo nella comunità politica organizzata sono sempre
state al centro delle riflessioni dei teorici classici: quelli che si sono interessati al funzionamento
del sistema, come Easton, o ai processi di democratizzazione, come Dahl o Rokkan, oppure lo
2
Si vedano i siti www.telestreet.tv; www.indymedia.it
Si fa riferimento al termine preoccupazione visto che parlare di democrazia, e della sua
“qualità”, implica certamente una dimensione normativa e quindi di tipo valutativo.
3
4
stesso Marshall quando definisce il concetto di cittadinanza facendo riferimento ai diritti
politici.
Le organizzazioni, infatti, sono strettamente legate alla idea (e al processo) di
partecipazione, di inclusione nella comunità politica organizzata. Oppure, come talvolta è forse
meglio dire, ai processi di mobilitazione; proprio per la funzione di includere, dall’alto, i
cittadini nel gioco democratico della rappresentanza e dell’esercizio dell’influenza verso chi
detiene il potere di prendere decisioni riguardanti la collettività.
2.1. La partecipazione nei partiti
Le classiche agenzie di socializzazione politica, oggi, sicuramente, soffrono di un minore
consenso sociale rispetto al passato; l’appeal sui cittadini appare meno attraente, più sfocato.
Sanno suscitare meno identificazione, quindi una più debole lealtà rispetto alla sfera dei
comportamenti e un senso di appartenenza meno forte in riguardo alla dimensione affettiva. I
cittadini, di conseguenza, si coinvolgono e partecipano meno anzitutto nei partiti, ma anche nei
sindacati, nelle organizzazioni politiche istituzionalizzate. Evitano di più i luoghi tradizionali,
quelli della partecipazione convenzionale, in primo luogo, appunto, il partito.
Gli studi sulla membership di partito nei paesi democratici ci dicono proprio questo, ed è
facile rendersi conto del distacco crescente tra cittadini e politica [Mair e van Biezen, 2001]. La
stessa tendenza della partecipazione elettorale disegna una parabola parallela a quella del tasso
di iscrizione alle formazioni partitiche.
I partiti hanno cambiato modello organizzativo di riferimento rispetto alle forme
“idealtipiche” del passato e riassumibili in una partecipazione di “massa”. Dapprima sono
diventati “pigliatutti” secondo la nota formula di Kirchheimer. Poi si sono “cartellizzati” [Katz
e Mair 1995] spostandosi sempre più negli apparati dello stato, le cui risorse sono vitali per il
cartel party, a differenza del contributo monetario degli iscritti e del lavoro volontario dei
militanti.
E’ cambiato il modello di relazione con la società locale. L’organizzazione viene
ridisegnata, sia internamente al partito [Panebianco 1982] che verso l’esterno. Il presidio del
territorio, oggi, appare sguarnito rispetto al passato. Il contatto diretto con la società si è
indebolito [Diamanti 2003a], il partito si è “alleggerito”; il rapporto società-partiti è mediato dai
media, che “colonizzano” la politica [Meyer 2002, Mazzoleni 2004, 94-108]. A tal proposito la
<<democrazia dei moderni>>, secondo Manin [1992], cambia forma: da democrazia dei partiti
si è trasformata in democrazia del pubblico.
5
2.2. La partecipazione oltre i partiti
Facciamo un ultimo riferimento, ad un ambito non espressamente legato alla dimensione
della politica istituzionale: l’associazionismo civico. I suoi confini, tuttavia, appaiono
permeabili rispetto alla sfera politica (a seconda se viene utilizzata una concezione estensiva o
meno dell’associazionismo stesso). A tal proposito va ricordato come solo qualche anno fa
Putnam [2000] intitolava un suo lavoro sulla società americana “Bowling alone”. Lo studioso
intendeva rimarcare l’indebolimento delle relazioni sociali e associative quale risorsa
importante per il coinvolgimento dei cittadini oltre la sfera privata: il capitale sociale.
Le attività connesse alla politica, quindi il rapporto tra società e politica, non possono
non cambiare con le trasformazioni che investono la società stessa, gli orientamenti culturali e
la sensibilità dei cittadini. Inglehart [1977], a questo proposito, ha fatto riferimento ad una sorta
di rivoluzione silenziosa che ha trasformato in primo luogo le prospettive valoriali in chiave
generazionale. I giovani, socializzati in una condizione di benessere e prosperità, hanno mutato
silenziosamente (e progressivamente) il loro sistema di valori, le loro prospettive rispetto al
mondo esterno e alla politica. Gli effetti di questo cambiamento si sono poi riverberati anche
sulla sfera partecipativa, sulla gerarchia delle priorità dei bisogni sociali e sulle aspirazioni
personali: in una parola sulla domanda politica e di partecipazione.
L’impronta <<materialista>> del passato ha assunto via via tratti <<post-materialisti>>
in determinate generazioni politiche [Mannheim 1974; Bettin Lattes 1999]. La società evolve,
cambiano le problematiche, le issues, i target verso cui rivolgersi. Conseguentemente cambiano
gli ambiti di azione e le pratiche messe in atto dai cittadini.
Infatti, già dagli anni ’60 e ‘70 si è assistito alla nascita dei Nuovi Movimenti Sociali,
per distinguerli appunto da quelli “vecchi”, come il movimento operaio, il sindacalismo. Questi
nuovi attori dell’azione collettiva hanno insistito su rivendicazioni diverse, nuove appunto, di
segno <<post-materialista>>, che esprimevano rivendicazioni su questioni come l’uguaglianza
di genere (femminismo), il rispetto dell’ambiente (ambientalismo), la generazione (movimenti
giovanili), la libertà sessuale, il rifiuto delle gerarchie, la pace, l’autorealizzazione.
Oggi i movimenti riflettono i tratti della società attuale, segnata dalla globalizzazione,
quindi dai processi di modernizzazione della contemporaneità [della Porta 2003, 23-64]. Si
sviluppano in una fase in cui vengono ridefinite le prerogative degli stati-nazionali; i luoghi del
processo decisionale si spostano verso livelli sopranazionali. Il sistema della comunicazione sta
cambiando diventando progressivamente più sofisticato e tecnologico, coinvolgendo la società,
gli stili di vita e di consumo dei cittadini.
I movimenti incorporano quelle che sono le issues globali (es. differenza Nord Sud del
Mondo), identificano come target le organizzazioni della società globale (FMI, BM, G8, WTO,
le multinazionali…), fanno un uso attento degli strumenti del “villaggio globale”, la rete
Internet e i network mediatici. Ma si collocano anche in una posizione di contiguità rispetto alle
forme emergenti di partecipazione, dentro arene politiche differenti e per certi aspetti
innovative come il political consumerism.
3. Political consumerism: quali elementi di novità ?
Come anticipato nel primo paragrafo, prenderemo in esame una dimensione particolare
dell’impegno che riteniamo essere “emergente”: quello che viene definito come political
consumerism4. A questo proposito la definizione fornita da Micheletti lo identifica nel modo
seguente:
<< […] consumer choice of producers and products with the goal of changing
objectionable institutional or market practices. It is based on attitudes and values
4
Preferiamo utilizzare la definizione del concetto in lingua, in quanto non riteniamo la
traduzione letterale (consumerismo politico) adeguata a descrivere questa tematica. Una
probabile definizione potrebbe essere quella di “consumo etico”, dove l’attributo “etico”
racchiude, al tempo stesso, i diversi significati legati a questo tipo di consumo (cfr. il par.4)
6
regarding issues of justice, fairness, or non economic issues that concern personal
and family well-being and ethical or political assessment of favourable and
unfavourable business and government practice. Regardless of whether political
consumers act individually or collectively, their market choices reflect an
understanding of material products as embedded in a complex social and normative
context which may be called politics behind products. >> [Micheletti 2003, 5]
Prima di approfondire i tratti di questa forma emergente di impegno, che una letteratura
altrettanto nuova ci mette a disposizione, è interessante notare come anche in Italia, con sempre
maggiore frequenza, una determinata pratica di consumo viene associata ad attributi come
consapevole, critico, alternativo, equo e solidale.
Sono queste, in altri termini, le azioni che richiamano l’idea del political consumerism.
Si tratta di pratiche individuali svolte nella sfera della quotidianità dei cittadini, che possono
assumere significato politico, sia nel senso attribuito da chi le compie, sia in relazione agli
effetti che possono produrre a livello istituzionale.
Il richiamo a riferimenti valoriali specifici è insito negli aggettivi associati a questo tipo
di consumo, appunto, etico, critico, equo…, rimandando, così, ad un preciso sistema di
solidarietà e di identità (collettiva).
7
3.1 Il mercato come arena politica
Questa forma di azione partecipativa si manifesta nello spazio dello scambio economico, ma
non si basa su ragioni di tipo utilitaristico, di convenienza personale o riferita alla categoria
sociale di appartenenza; il mercato diventa l’ambito nel quale agire per colpire specifiche (o
supposte) responsabilità politiche. Attraverso un uso particolare delle scelte di consumo - e
quindi del potere dei consumatori - vengono espresse idee e valori politici, etici o di natura
ambientalista.
Questo avviene mediante azioni di positive political consumerism, cioè scegliere di
acquistare un prodotto o una marca sulla base di considerazioni di tipo valoriale: è il cosiddetto
buycotting.
Ma vengono praticate anche forme di negative political consumerism, cioè il non
scegliere determinati prodotti sulla base delle stesse considerazioni: è il boicottaggio, il
boycotting.
Micheletti, che ha definito queste due principali categorie, ne individua anche una terza,
quella discorsiva; il discorsive political consumerism [Micheletti 2004]. Questa forma non
implica lo scambio monetario, premiando o penalizzando specifiche marche/prodotti/produttori
(o l’economia di determinati paesi), ma sfrutta la centralità dell’azione comunicativa nella
società dell’informazione e dell’immagine. Più che la dimensione economica viene coinvolta la
comunicazione e i meccanismi di formazione delle opinioni rispetto a determinati attori del
mercato. Attaccarne la reputazione e il consenso sociale diventa la strategia dell’azione
discorsiva del political consumerism.
Il target di riferimento principale è generalmente riconducibile alle multinazionali, le
quali divengono l’obiettivo di queste azioni per ragioni simboliche o perché vengono ritenute
responsabili di pratiche censurabili in ambiti delicati, come i diritti sociali o del lavoro; ad
esempio nel caso dello sfruttamento lavorativo dei bambini o per non rispettare l’ambiente o
determinati principi etici (come sollecitare l’uso del latte in polvere rispetto a quello materno da
parte di aziende produttrici).
3.2 Azioni nuove o un nuovo contesto ?
Va premesso che è forse azzardato definire nuove le azioni che possiamo far rientrare in questa
categoria. Infatti, se facciamo riferimento ad esempio al boicottaggio di prodotti, si tratta di una
azione che non rappresenta certo una novità di questi ultimi anni. Già nel 1899 venne fondata
negli Usa la National Consumer League, un movimento che incitava i suoi aderenti a boicottare
i prodotti delle industrie nelle quali gli operai erano eccessivamente sfruttati. Lo stesso Melucci
[1977, 150] fa riferimento al consumerismo per definire le caratteristiche strutturali e ai
repertori di azione dei Nuovi Movimenti Sociali.
Crediamo invece sia importante riconoscere che tali azioni vengano inserite in quadro
contestuale nuovo, segnato da un lato dalle spinte globalizzanti e neoliberiste, e dall’altro dai
processi di individualizzazione, quale conseguenza della perdita dei riferimenti socioculturali
tradizionali Beck et al. 1999, 31).
Certe pratiche individuali di consumo (o non consumo, come il boicottaggio) diventano
così, per un numero crescente di attivisti, un momento importante del proprio essere cittadini
impegnati e attivi politicamente.
Queste azioni si caricano di valenza politica e si inseriscono all’interno di un nuovo
sistema di solidarietà, di identità collettiva. E’ una fase nuova del coinvolgimento dei cittadini
nella politica: meno collettiva e più “individualizzata”5; dove pesa meno una logica di
costruzione delle identità politiche determinata dalle strutture sociali di appartenenza e più il
processo di scelta individuale [Kaase e Newton 1995, 155-158].
5
Si veda più avanti, par. 3.4, il concetto di individualized collectivistic action fornito da
Micheletti
8
Nel nostro caso il consumo, lo stile di consumo individuale o familiare, costituisce un
ambito particolarmente coerente con l’idea di scelta operata dall’attore sociale nella sua
quotidianità.
Sicuramente la globalizzazione, per quanto rappresenti una categoria controversa e
dibattuta6, costituisce lo scenario nel quale si sviluppano le nuove forme di mobilitazione e di
coinvolgimento collettivo. Al tempo stesso, i processi di globalizzazione diventano un fattore di
particolare importanza che stimola questi nuovi fenomeni partecipativi. Infatti, la critica che
proviene da vari settori della società - preoccupati degli effetti sociali della globalizzazione
neoliberista - è strettamente contigua alle pratiche di political consumerism [Guadagnucci e
Gavelli 2004, 38-41; della Porta 2003, 88].
3.3 La (sub)politica, oltre lo stato nazione
Alcuni studiosi, pur non limitandosi alle azioni riconducibili al political consumerism, ma
riflettendo in modo più ampio sull’evoluzione della partecipazione associativa, hanno fatto
riferimento a categorie come il <<“volontariato personale” e “di vita quotidiana”>> [Diamanti
2003b, 13]. L’intento era quello di sottolineare gli elementi di novità nella pratica della
partecipazione sociale connessa ad una rinnovata domanda di coinvolgimento e partecipazione
politica.
Si tratta dunque di un impegno individuale in arene non tradizionalmente, né
formalmente, appartenenti alla sfera politica, che stanno “al di sotto” – ma non per questo sono
meno importanti - dei luoghi della politica intesa in senso tradizionale. Si registra, cioè, una
sorta di slittamento verso arene nuove e al di fuori dalla politica istituzionale. Luoghi che
“appartengono” alla società, che in conseguenza alla apertura di “finestre di opportunità”, si
politicizzano. Per dirla con Ulrich Beck si sub-politicizzano nel quadro della modernizzazione
riflessiva [Beck et al. 1999, Beck 2001].
La politica, cioè, ridefinisce i suoi confini espandendosi verso ambiti diversi, talvolta
“assegnati” alla sfera privata, che oggi, in una certa misura, vanno ri-pensati, ri-categorizzati
anche alla luce dei nuovi scenari. Non è più soltanto la connessione con le istituzioni della
politica che definisce politica una determinata questione. In altri termini è l’idea e la categoria
dell’essere politico che probabilmente cambia, riconoscendo come ambito di riferimento
principale la società prima delle istituzioni formali della politica stessa; ad esempio il
volontariato prima della militanza partitica o politicamente istituzionalizzata. Anthony Giddens
[1997] fa riferimento all’idea di life-politics per indicare una politica dello stile di vita.
Sicuramente le nuove problematiche della società globale, della società del rischio e
dell’incertezza [Bauman 2000] - con le emergenze ambientali (effetto serra), alimentari (mucca
pazza), sanitarie (Sars); i rischi del commercio e della finanza mondiale (dai bond argentini al
caso Parmalat), l’insicurezza per l’incolumità personale, le differenze tra Nord e Sud del
mondo, tanto per citarne alcune - sfidano il tradizionale ruolo politico dello stato-nazione. Ne
mettono in crisi la capacità di fare rappresentanza attraverso le sue istituzioni, nazionali, le quali
vengono condizionate da logiche transnazionali.
Questo si lega anche allo spostamento dei luoghi decisionali verso livelli sopranazionali.
Il numero crescente delle Organizzazioni non governative (Ong), che sono ormai decine di
migliaia, e la posizione di rilievo che hanno acquisito, testimonia sicuramente la ridefinizione
delle prerogative dello stato nazionale e il ruolo delle sue istituzioni.
Dunque, ci pare che la globalizzazione e l’individualizzazione siano fenomeni sociali
intrecciati, e presentino un nesso stretto con le nuove forme di coinvolgimento quale, appunto,
il political consumerism.
3.4 Individuale e collettivo
6
Si veda a questo proposito la rassegna delle prospettive dei principali studiosi proposta da
Renzo Guolo [2003]
9
Al fine di una migliore comprensione dei tratti che distinguono queste nuove forme di
partecipazione politica va ripresa una coppia di concetti opposti, che appartiene al vocabolario
tradizionale delle scienze sociali: individuale e collettivo.
Questo permette di definire in modo adeguato le azioni legate al political consumerism.
A questo fine la categoria da richiamare è quella del individualized collective action definita da
Micheletti [2003] sulla scorta delle riflessioni di Beck. L’idea racchiusa in questo concetto
rimanda al passaggio dalla società della prima modernità - la società industriale e dello statonazione, e le relative forme di partecipazione - a quella della seconda modernità - della
modernità riflessiva, con i cambiamenti che si riverberano anche, ovviamente, sull’azione
politica, oltre che su altri ambiti sociali -.
Collectivistic collective action
Individualized collective action
In passato la partecipazione politica si configurava come un’azione di tipo “collettivo”
(collectivistic collective action), perché in larga misura era incardinata nelle identità
ideologiche tradizionali, legata alla collocazione delle persone nella struttura sociale ed
economica (classe sociale e posizione economica ad esempio), connessa alla politica
istituzionalizzata (membership di partito, gruppi di pressione, associazioni formali).
La partecipazione risentiva di questa “organizzazione”, che si basava sulla lealtà nei
confronti dell’apparato istituzionale, dove il peso della delega di responsabilità a rappresentanti
eletti o a determinati referenti politici costituiva un elemento centrale. I costi della
partecipazione erano anch’essi elevati, in termini di tempo, socializzazione, rapporto con
l’organizzazione e le sue attività collaterali.
Nella fase attuale, di una modernità segnata dai processi di globalizzazione, per l’azione
politica si aprono altri spazi, che in parte ne ridefiniscono la forma. La partecipazione assume
anche i tratti della individualized collective action: individualizzata ma collettiva. E’ una pratica
che recepisce i cambiamenti avvenuti nella sfera sociale e politica, che si riflettono sul tipo di
coinvolgimento dei cittadini, dando forma alle azioni partecipative emergenti. Micheletti
propone questa definizione:
<< Individualized collective action is the practice of responsibility-taking for
common well-being through the creation of concrete, everyday arenas on the part of
citizens alone or together with other to deal with problems which they believe are
affecting what they identify as the good life. Individualized collective action involves
a variety of different methods for practicing responsibility-taking including
traditional and unconventional political tools. >> [Micheletti 2003, 16]
.
Questa forma individualizzata di azione collettiva, nella quale possiamo fare rientrare il
political consumerism, mette in luce alcuni aspetti richiamati anche precedentemente, e che
ritroviamo nella definizione stessa.
I cittadini, una parte di essi, scelgono di agire politicamente investendo di questo la loro
vita quotidiana e quindi la sfera del loro privato. Rispetto all’azione politica, il confine tra
dimensione pubblica e privata si indebolisce fino quasi a sparire 7; si apre così lo spazio per una
sorta di partecipazione “personale e quotidiana”, dove l’azione di rappresentanza politica trova
– tra gli altri – anche un canale individuale di espressione. Individuale ma non individualistico,
con fini collettivi e non particolaristici.
Si tratta di farsi carico, in via personale, di una responsabilità politica; senza ricorrere
ad una delega formale verso soggetti altri, eletti, professionisti della politica, leader.
Una presa di responsabilità che tiene insieme “sfera pubblica” (intesa come bene comune
e spazio collettivo) e “sfera privata” (impegno individualizzato nella quotidianità).
La fine della “separazione tra pubblico e privato” (si ricordi slogan quali “il privato è
politico”) era già stata indicata come caratteristica dei nuovi movimenti sociali [Melucci 1977,
152 e seg.], ma con riferimento alla dimensione della identità e all’oggetto del conflitto e della
mobilitazione.
7
10
Questi cittadini impegnati possono agire anche in modo individuale, frammentato, ma
non “solitario”; sanno di non essere soli né isolati. Sono coscienti di essere un nodo, tra gli altri,
di un network più ampio. Questa nuova tendenza e forma della partecipazione - i cui attivisti
restano comunque coinvolti nelle classiche modalità convenzionali e non convenzionali [Forno
e Ceccarini 2003] – sono in larga misura supportate dalle nuove tecnologie dell’informazione;
la rete Internet svolge un ruolo rilevante di connessione, di trasmissione di informazioni, crea
una sorta di “tensione unitiva” tra i soggetti più impegnati, dotati di risorse, attivi, anche se
distanti fisicamente.
Queste azioni riconducibili al political consumerism sono forme di partecipazione che
allargano i repertori stessi e innovano alcuni dei caratteri tradizionali dell’azione politica. La
partecipazione in questo modo perde il tratto territoriale, si de-territorializza, non necessita
della presenza fisica di altri attivisti o di strutture specifiche. L’azione sub-politica, al di “sotto”
dei luoghi istituzionali della politica, si esplicita nella quotidianità della dimensione locale per
mezzo di istituzioni non-politiche; comperando ad esempio alla bottega del commercio equo e
solidale, o boicottando un certo prodotto, oppure, per allargare ad Internet, partecipando ad un
forum o firmando una petizione on-line. Sempre che tali azioni vengano supportate da una
motivazione coerente con un significato etico-politico.
4. Azioni e motivazioni del political consumerism
Abbiamo già accennato alle azioni principali del political consumerism, che, se consideriamo il
solo aspetto della transazione economica8, sono riconducibili in primo luogo a due forme
specifiche: il boycotting e il buycotting. La prima è un’azione “negativa”; depriva di risorse un
determinato attore economico (e talvolta politico-istituzionale). La seconda è “positiva” perché
riconosce e premia determinati soggetti presenti sulla scena.
4.1. Il boycotting
Si boicottano i prodotti talvolta sottolineando la dimensione simbolica; per contestare il
sistema di valori e la cultura di cui sono portatori. Talvolta si mira a danneggiare una realtà
istituzionale, un paese, che ha operato determinate scelte politiche (es. Boicottaggio dei
formaggi e dei vini francesi da parte dei consumatori americani per non avere appoggiato gli
Usa nella guerra in Irak). Ma si boicotta anche per colpire paesi in conflitto con minoranze
etniche (es. la campagna Boicotta l’economia di guerra Israeliana). Oppure, l’azione si rivolge
contro multinazionali perché accusate di comportamento non etico (es. campagna Boicottaggio
Nestlè). Oppure ancora per le pratiche di mercato sfavorevoli ai produttori e lavoratori dei paesi
poveri o per non garantire una libera attività sindacale. In altri casi, invece, viene stigmatizzato
il ricorso al lavoro minorile, dove determinati prodotti e marchi vengono accusati di essere
direttamente coinvolti nello sfruttamento dei bambini (es. Nike). Ma si boicotta anche per
ragioni politiche diverse e legate a vicende politiche “nostrane”, come, ad esempio, la
campagna di boicottaggio lanciata contro i prodotti pubblicizzati dai canali Mediaset.
Le campagne più diffuse sono quelle contro multinazionali come Nike, Nestlè,
McDonald’s, Del Monte, oppure la Coca Cola o la Microsoft. Le compagnie petrolifere, Esso e
Shell. Anche altri brand sono coinvolti, diventando oggetto e comunicazione di boicottaggio:
Levi’s, American Express. Molti dei casi riportati sopra richiamano direttamente, pur essendo
delle multinazionali, gli Usa e quindi in una certa misura il sentimento antiamericano.
4.2 Il buycotting
Ricordo che la dimensione discorsiva del political consumerism fa riferimento all’aspetto
comunicativo: incide sulla formazione delle opinioni e dell’immagine di attori (“target”)
coinvolti nelle campagne di “naming and shaming”.
8
11
Oltre al boicottaggio vi è tutta un’altra serie di azioni, di scelte di consumo consapevole,
etico, alternativo9. Hanno una valenza politica a volte neanche troppo velata, come vedremo, a
detta degli stessi soggetti che vi prendono parte, che siano consumatori, volontari oppure
organizzatori istituzionali di queste attività.
Il commercio equo e solidale, ad esempio, consiste nella scelta di acquisto - da parte di
un individuo o di una famiglia - di prodotti di uso quotidiano perché garantiscono l’equità delle
condizioni economiche e sociali in cui vengono ottenuti.
Questo commercio ha conosciuto negli ultimi anni in Italia una crescita considerevole sia
sotto il profilo del fatturato10 (entrando, recentemente, anche nella grande distribuzione, Coop,
Esselunga, Conad), che rispetto alla presenza delle botteghe sul territorio. Sono aumentati
anche i soggetti i quali prestano attività volontaria e, ovviamente, il numero dei consumatori. Si
stima che quasi un cittadino su tre sia la componente degli italiani che abbia acquistato, almeno
una volta nel corso dell’ultimo anno, prodotti del commercio equo e solidale11.
La valenza politica data a questa pratica commerciale è riconosciuta, pur con accezioni
differenti, sia dalle istituzioni che la organizzano, che dai volontari che gestiscono le botteghe,
sia dai consumatori finali.
Se prendiamo ad esempio CTM Altromercato, una delle organizzazioni più importanti in
Italia (detiene il 65% della quota di mercato) ha recentemente pubblicato (aprile 2004) sul
proprio sito internet12 il primo numero del Bollettino dell’azione politica. Ne riportiamo alcune
righe:
<< […] CTM Altromercato è una realtà complessa e multiforme, che coniuga aspetti
etici, commerciali e politici […]. Se è fondamentale, nella quotidianità del nostro
lavoro, la creazione di valore per i produttori svantaggiati nel Sud del mondo,
nondimeno le nostre attività sono la dimostrazione concreta di un’importante
proposta politica: la realizzazione di un modello economico alternativo e sostenibile,
basato sulla solidarietà e la giustizia sociale. Il semplice far parte del mondo del
commercio equo e solidale è di per sé un atto politico […] >>. [Bollettino dell’azione
politica n.1, CTM Altromercato]
Il bollettino continua facendo riferimento alle proposte di azione politico-sociale svolte
dal CTM nei Social Forum, e alle azioni di partecipazione cui ha preso parte ufficialmente
come organizzazione, da Seattle nel 1999 a Mumbai nei mesi scorsi 13. Gli stessi volontari e
attivisti che lavorano nelle botteghe dell’ <<equo>>, come vengono colloquialmente definite
dagli intervistati, mostrano, in non pochi casi, motivazioni di tipo politico. Quanto emerge è,
tuttavia, un’idea di politica diversa da quella tradizionale, che viene invece ritenuta poco
attraente:
Si veda l’ 8° rapporto Iref che presenta una serie di dati sulla diffusione di queste pratiche. In
particolare il saggio di Federica Volpi [2003, 101-147]. Si veda anche il paper di Francesca
Forno e Luigi Ceccarini [2004] che si basa sul file dati della ricerca Iref presentato e discusso
alla 2004 ECPR Workshop Joint Sessions di Uppsala (Svezia), vedi nota n.19.
10
A questo proposito, sulle problematiche inerenti la crescita del commercio equo e solidale si
veda il volume di [Guadagnucci e Gavelli 2004]
11
Il dato si riferisce alla quarta rilevazione (maggio 2004) dell’Osservatorio sul Capitale sociale
degli italiani ancora in corso. L’indagine è condotta per conto della Coop da Demos in
collaborazione con LaPolis. I principali risultati dell’indagine verranno pubblicati nei dossier
del quotidiano la Repubblica il 28 maggio 2004. Al momento della stesura di questo materiale
per i corsisti Sois l’indagine non è ancora stata pubblicata e sarà reperibile attraverso il sito
www.uniurb.it/lapolis
12
Si consulti il sito www.altromercato.it
13
Per le connessioni tra commercio equo e solidale e il movimento “new globale” si veda
anche Guadagnucci e Gavelli 2004, 38-39.
9
12
<< […] credo in quello che faccio e credo che questa sia una manifestazione politica,
più pura, meno contaminata. Una politica che vuole solo aiutare persone più
sfortunate cercando di ridimensionare il nostro benessere o di pilotarlo verso
qualcosa di più puro.>> [Volontaria Bottega Equo e Solidale, prov. di Modena]
Facendo riferimento ai boicottaggi di prodotti la stessa volontaria richiama non solo il
nesso tra le due azioni, buycotting e boycotting, e del viaggio in paesi poveri come elemento
centrale e ricorrente in molte interviste, ma anche la dimensione della quotidianità e
dell’impegno, e dice:
<< […] si qualche prodotto non lo compro, tipo Nike e altri. Dopo essere stata in
Brasile voglio veramente cercare di fare qualcosa nel mio piccolo per lo sfruttamento
minorile, è questa l’unica soluzione>>. [Volontaria Bottega Equo e Solidale, prov. di
Modena]
Anche sul fronte dei consumatori riecheggiano, oltre all’individuazione di specifici
target da “toccare” attraverso l’azione di consumo, motivazioni etiche e di solidarietà
intrecciate, ma solo in seconda istanza, ad un significato politico:
<< […] Vengo qui a comprare, naturalmente, per il fine di queste botteghe.
Sappiamo che promuovono un mercato senza intermediazioni varie […]. Evitano di
sfruttare […] è giusto comprare qui ogni tanto. Comprare è un atto di solidarietà. Un
volontariato che non fa sudare, posso dire così […] Certo lancia un messaggio etico,
sicuramente è in parte politico, ma poco. Spero più che altro che il crescere di questo
fenomeno […] diventi un campanello di allarme per i governanti del mondo>>.
[Consumatrice, Bottega Equo e Solidale, prov. di Modena]
Da questa intervista, come da altre raccolte nella stessa iniziativa di ricerca 14, emerge
l’attribuzione - in modo pacato e, se vogliamo, poco “militante” - di un significato politico alle
azioni svolte. Pare, infatti, vi sia una certa resistenza, quasi per pudore, nell’associare il
significato politico a queste azioni. L’intento sembra essere quello di voler preservare l’atto di
consumo nella sua “purezza” originaria; evitando di farlo scadere nell’ambito della politica,
percepita in modo negativo dalla rispondente.
Meno diffuse rispetto all’equo e solidale, ma egualmente importanti, sono le pratiche di
consumo che possiamo definire critico. Si tratta di scelte di consumo che garantiscono forme
di produzione corrette in relazione all’ambiente, ai diritti sociali e alla sfera etica. Si
acquistano beni e servizi da imprese attente alla responsabilità sociale, che rispettano il divieto
di sfruttare il lavoro minorile, rispettano i diritti dei lavoratori, non inquinano l’ambiente,
devolvono una parte dei guadagni a fini di beneficenza.
Oltre ad aziende che producono beni possiamo ricordare anche la fornitura di servizi,
offerti ad esempio dalla Banca Etica. Consumare, infatti, significa anche risparmiare in modo
“critico”, tenendo in considerazione la responsabilità sociale delle imprese nella gestione e
nell’investimento delle risorse monetarie raccolte presso i clienti.
Gli stessi GAS, gruppi di acquisto solidale, si basano su una sensibilità sociale,
ecologica e quindi critica nei confronti del modello di sviluppo più diffuso. Consiste in una
forma di consumo (critico), che richiama la logica delle tradizionali cooperative di consumo.
Al centro, tuttavia, non vi è tanto l’aspetto utilitarista, il vantaggio del risparmio materiale a
favore dei soci.
14
Gli stralci di intervista sono tratti dalla tesi di laurea in Sociologia di Valentina Ferraboschi,
di cui l’autore di questo contributo è relatore. Si coglie l’occasione per ringraziare la laureanda
per avere messo a disposizione la trascrizione delle interviste realizzate per la sua tesi di laurea
ancor prima della discussione prevista nella sessione del luglio prossimo.
13
L’azione viene invece inquadrata in una dimensione etica, di salvaguardia
dell’ambiente e dei diritti sociali, guardando a forme di sviluppo sostenibile. Così, ad esempio,
vengono privilegiati i prodotti biologici, nel rispetto della relazione uomo-ambiente, con
un’attenzione particolare al coinvolgimento dei produttori locali.
Altre forme investono in modo più diretto uno stile di vita permanente, basato sulla
sobrietà dei consumi; come nel caso di acquisti di beni facendo attenzione al consumo
energetico e al fatto che producano pochi rifiuti, compatibili, quindi, con il rispetto
dell’ambiente.
Davvero poco diffuso, ma di grande rilevanza per la connessione con l’idea della
globalizzazione – la compressione degli spazi, l’estensione dei confini, l’allargamento delle
relazioni con mondi lontani - è il turismo responsabile: l’acquisto, cioè, di pacchetti turistici
che si propongono di limitare il turismo nei paesi non democratici, di far entrare il turista in
contatto con gli usi e i costumi dei paesi poveri, di far conoscere l’attività delle cooperative del
Commercio Equo e Solidale.
Le motivazioni fornite da questi consumatori si riallacciano ai principi di solidarietà, di
giustizia sociale (globale), di attenzione ai paesi poveri. E’ ovviamente forte la critica nei
confronti della globalizzazione. Il coinvolgimento e le azioni si esprimono su base locale, nelle
pratiche della quotidianità, con la consapevolezza di muoversi, però, all’interno della cornice
internazionale dei problemi globali.
Emerge, inoltre, l’idea che i target delle azioni vadano individuati oltre le istituzioni
dello stato-nazione: sono i governanti del mondo, le multinazionali, le organizzazioni
dell’economia globale ad essere visti, in primo luogo, come i destinatari delle azioni.
5. Scelte di consumo e influenza politica: quali effetti ?
E’ difficile misurare gli effetti diretti di una determinata azione di political consumerism. Da
una parte proprio per la “diffusione” e la
“dis-organizzazione” delle iniziative
di questo genere è difficile conoscere quali e quante sono in atto e quali sono, inoltre, gli effetti
direttamente riconducibili ad una specifica campagna. Si potrebbero analizzare singole
iniziative, degli “studi di caso”, e vi sono certamente dei casi emblematici. Ad esempio quando
le stesse organizzazioni che avevano lanciato una campagna di boicottaggio contro un
determinato soggetto ne decretano pubblicamente (nella Rete anzitutto) la fine perché sono
venute meno le ragioni iniziali, e gli obiettivi prefissati dalla mobilitazione sono stati raggiunti
(es. il caso Del Monte).
E’ più facile, per avere una qualche idea degli effetti, coglierli di riflesso, in base a dati
di livello “macro”, che riguardano nell’assieme alcuni dei soggetti coinvolti come target di
campagne di political consumerism. Tali iniziative, infatti, oltre a voler danneggiare
direttamente determinate realtà multinazionali sotto il profilo economico 15, hanno come
obiettivo anche quello di creare un clima di opinione sfavorevole, che poi si può riflettere sul
fatturato stesso. E’ certo, infatti, che in economia il successo commerciale di una impresa e del
suo marchio è legato alla immagine e alla dimensione del consenso sociale.
Nell’aprile scorso, nelle pagine di “USA Today”, veniva riportata una notizia che
faceva riferimento alla decisione di dieci ristoranti di Amburgo di bandire il consumo di CocaCola, Marlboro e di non accettare la carta di credito American Express. E’ evidente come
questa vicenda abbia un carattere particolare e richiami, nello specifico, il sentimento
antiamericano. Tuttavia ci pare utile considerarlo poiché questo atteggiamento si riflette sui
prodotti simbolo di quel determinato paese e della sua cultura. Sicuramente, come esempio,
non è del tutto riconducibile alla complessa tematica del political consumerism, pur essendone
certamente parte, ed è un episodio interessante.
15
Alcune organizzazioni di attivisti indicano nel 2-5% di calo del fatturato un successo
considerevole della campagna di boicottaggio.
14
A partire da questo articolo sul quotidiano statunitense16 si è aperto un dibattito sul calo
delle vendite di prodotti americani nel mondo e sul declino dell’immagine di questi marchi (e
degli Usa). Il nesso tra consumo e politica in generale e, nello specifico, sul fenomeno
dell’anti-americanismo legato alle scelte di politica estera americana non appare del tutto fuori
luogo, come alcune recenti ricerche hanno messo in evidenza [Bordignon e Ceccarini 2004].
Keith Reinhard, il presidente di una importante multinazionale della pubblicità, la DDB
Worldwide, mostra tutta la sua preoccupazione sul calo delle vendite dei prodotti americani:
<< L’America sta perdendo amici in giro per il mondo ad un ritmo allarmante e
questo impedisce ai marchi Usa di crescere con successo […] se non corriamo ai
ripari le multinazionali Usa risentiranno pesantemente di questa tendenza […] >>
[Intervista a L’Espresso del 20/05/2004]
Il presidente della DDB Worldwide ha creato un’organizzazione nonprofit, la
Business for Diplomatic Action17. Tale organizzazione - studiando il mercato in riferimento ai
marchi e ai prodotti americani per fini istituzionali e diplomatici - ha scoperto che tra il 2002 e
il 2003 si è verificata, a livello mondiale, una tendenza di perdita di immagine e di gradimento
presso i consumatori. Nike e Levi’s rispettivamente –14 e –8%. Un calo più elevato colpisce
Microsoft (–18%) e McDonald’s (–21%). Un po’ meno Disney e Mtv (–5%). Su dodici
importanti multinazionali considerate solo la Ford aumenta il grado di consenso sociale: il suo
“power brand”. Restano stabili, invece, Coca-Cola e American Express.
Parallelamente, sono in ascesa marchi di altri paesi quali Sony, Bmw, Toyota,
Samsung e Ikea. E’ difficile stabilire relazioni causali e dirette, ma molti dei marchi
considerati sono oggetto di campagne, basate sulla logica del naming and shaming (nominare
e svergognare), del culture jamming18 e delle azioni di boicottaggio.
Un pò in tutto il mondo sta crescendo l’avversione al marchio Usa. Lo stesso
Reinhard dice che in Indonesia tale atteggiamento è cresciuto del 46%, in Brasile del 18%, in
Italia del 10%, anche in Gran Bretagna, paese tradizionalmente vicino agli Usa, la percezione
positiva è scesa (5%).
L’immagine si riflette sulle vendite: tra il 2002 e il 2003 in Germania, Francia, Hong
Kong, Taiwan, Russia e Cina è calato in modo sostanziale il numero di persone che
possiedono prodotti della Nike. McDonald’s, altra multinazionale simbolo, è oggetto di azioni
di political consumerism e accusa un calo delle vendite in undici paesi: Egitto in particolare,
ma anche in quelli europei: Svezia e Germania in primo luogo. La Svezia, peraltro, è uno di
quei paesi dove le azioni di political consumerism sono non solo più diffuse a livello sociale
[Ferrer Fons 2004] ma vantano anche una lunga tradizione rispetto ad altri paesi.
Da parte del governo Usa vi sono ingenti investimenti finalizzati a migliorare
l’immagine dell’America nel mondo - campagne di comunicazione, studi e sondaggi,
pubblicazioni in vari paesi (specie in quelli arabi), attività diplomatica – ma il problema
secondo Reinhard è la <<personalità collettiva>> come la definisce egli stesso; è la
reputazione, la cultura stessa degli americani e come viene percepita nel mondo. Chiude
l’intervista dicendo:
Si veda l’articolo su L’Espresso del 20 maggio 2004, dal titolo <<Made in Usa go home>> di
Andrea Visconti
17
I soci di questa organizzazione sono agenzie di pubblicità, aziende, istituzioni.
18
Tali azioni consistono, in primo luogo, nel ricontestualizzare, attraverso parodie, i messaggi
istituzionali, i loghi e i simboli di un determinato marchio in modo critico e sarcastico. Il fine è
quello di danneggiarne l’immagine e stimolare la presa di coscienza del pubblico rispetto a
specifiche pratiche per cui alcune multinazionali vengono accusate (ad esempio in relazione alla
Nike, che è una della multinazionali più colpite a queste azioni, lo slogan <<Just do it>> viene
reinserito in una immagine dove bambini vengono utilizzati per la lavorazione delle scarpe). Le
opportunità offerte dalla rete Internet vengono anzitutto utilizzate per diffondere queste
iniziative, ma talvolta si usano semplici cartoline, manifesti, ecc.
16
15
<< Dobbiamo reimparare una lezione che ci siamo dimenticati: in diplomazia non
esiste lo stile senza contenuti. >> [Intervista a L’Espresso del 20/05/2004]
Ci pare interessante che un esperto del mercato e delle pubbliche relazioni proponga
l’idea di modificare determinate prassi politiche - i <<contenuti>> - e non solo di
promuoverne l’immagine. Anche perché dietro questa idea vi è la percezione del nesso forte
tra politica e mercato. Inoltre il fatto che il Governo e il Dipartimento di Stato americani
investano milioni di dollari per migliorare l’immagine americana nel mondo, può darci un
qualche indizio sul ruolo dei consumatori (in questo caso globali) negli equilibri politici, nelle
scelte e nei possibili effetti sulle decisioni di un grande paese.
Gli organizzatori di azioni di political consumerism sembrano puntare proprio al centro
di questa logica; invitano i “consumatori politici” a portare il mercato e la dimensione della
quotidianità al centro di una azione politica individualizzata, mediante le scelte di consumo
quotidiano:
<< Ogni giorno facciamo la spesa pensando che sia un atto insignificante che
riguarda solo la nostra vita, i nostri gusti, i nostri soldi. Viviamo come addormentati
perché non ci rendiamo conto che con questo semplice gesto diventiamo complici di
un sistema mondiale basato su un enorme squilibrio tra Nord e Sud del Mondo. […]
Se è vero che i nostri consumi incidono in modo decisivo sui problemi che
riguardano l’intero pianeta è anche vero che possono essere utilizzati in modo
costruttivo. Ognuno di noi, in quanto consumatore, ha un potere enorme che, se
organizzato, è in grado di condizionare i comportamenti delle imprese >>. [dal sito di
un’organizzazione di attivisti, www.adsum.it]
16
6. Alcune linee di cambiamento della partecipazione politica
Chiudiamo il percorso intrapreso tentando di fare il punto sulle principali trasformazioni che
sembrano segnare l’evoluzione della partecipazione e le forme emergenti di impegno politico.
La tavola 1 riporta in via schematica gli aspetti più rilevanti che abbiamo toccato nei
punti precedenti. Si tratta di uno schema prodotto, anche se ripreso con qualche minimo
adattamento, nel corso della discussione finale al workshop19 sulle nuove forme di
partecipazione politica tenuto ad Uppsala (Svezia) in occasione della 2004 Ecpr Joint Sessions.
A livello generale le forme tradizionali di partecipazione lasciano progressivamente uno
spazio maggiore a modalità nuove, emergenti, incalzate dalla spinta di processi specifici.
Queste trasformazioni sono indotte da fenomeni ampi come la globalizzazione e
l’individualizzazione che “inquadrano” cambiamenti più specifici nell’ambito dell’azione
politica, nelle strutture della politica e nelle modalità della partecipazione.
- La crisi delle grandi narrazioni ideologiche che assicuravano identità ampie e specifiche
visioni del mondo, lasciano spazio ad identità più frammentate, individualizzate; distaccate
dalle “bussole” e dai significati che le strutture sociali e le appartenenze tradizionali erano in
grado di fornire. La partecipazione privilegia questioni singole (single issue), la logica del “qui
ed ora”, senza pretesa di un approccio di ampio raggio e omnicompresivo. A tale proposito va
però segnalato come questa tendenza sembra ri-orientarsi verso una presa di coscienza più
ampia (da una identità frammentata a una identità globale; da single a multiple issue), ma non
nel senso di un ritorno alle grandi narrazioni ideologiche. In particolare, oggi, si parla di società
civile globale, di opinione pubblica mondiale, di identità globale. Sul fronte delle issue
considerate dai political consumers si fa riferimento in primo luogo alla (in)giustizia sociale
globale. Forse si sta movendo qualcosa nel senso della costruzione della identità globale, ma il
dibattito e gli esiti paiono ancora aperti e problematici da inquadrare teoricamente [Backer
2002].
- La ridefinizione delle organizzazioni e della organizzazione della politica tradizionale e
istituzionalizzata costituisce una lettura ormai largamente condivisa negli studi politici. Nel
nostro discorso la tendenza pare essere quella orientata verso una diffusione puntiforme, a rete,
come si vuole in un mondo segnato dai processi di sviluppo della comunicazione tecnologica.
Ma il passaggio da una logica e da una struttura gerarchica, piramidale, ad una di tipo diffuso
implica il cambiamento dei luoghi della politica. Luoghi visti in precedenza come impolitici
assumono, conseguentemente ad un processo di sub-politicizzazione della sfera privata e
personale, una valenza politica. Lo stile di vita, la dimensione personale e quotidiana si
caricano di valore politico nel momento in cui si operano specifiche scelte, come nel consumo.
La presa di responsabilità diventa individuale, personale, quotidiana: più diretta e meno
delegata.
- Cambiano, o meglio si estendono, i destinatari dell’azione politica, i soggetti da influenzare.
La crisi dello stato nazionale e lo spostamento dei luoghi decisionali verso ambiti
sopranazionali, implicano la ridefinizione dei target. Il mercato e i suoi attori, ad esempio,
diventano obiettivi importanti. Le multinazionali vengono prese di mira per il carico simbolico
di cui sono portatrici, ma anche per precise pratiche di comportamenti non etici, non ecologici,
Il workshop, che si è tenuto presso l’Università di Uppsala (Svezia) nel periodo 13-18 aprile
2004, è il n.24; titolo:Emerging Repertories of Political Action: Toward a Systematic Study of
Postconvnetional Forms of Participation, al quale l’autore di questo contributo ha presentato
con Francesca Forno (Univ. di Urbino) un paper scritto insieme dal titolo <<From the Street to
the Shops: The Rise of New Forms of Political Action in Italy (?)>> . Lo schema di Tavola 1 è
stato compilato dai direttori del Workshop, Dietlind Stolle (McGill University) e March
Hooghe (University of Leuven) sulla base degli elementi emersi nel corso della presentazione
dei lavori e delle discussioni seguite.
19
17
politicamente non accettabili, per cui vengono accusate; perché si ritiene che alimentino una
condizione di inequità sociale globale.
- Le azioni di political consumerism rispondono e rientrano all’interno di questa cornice.
Appaiono come forma emergente di partecipazione che, tuttavia, non confligge con altri
repertori, convenzionali o non convenzionali, né tanto meno con azioni visibili o invisibili: si
tratta infatti di una sorta di “mobilitazione silenziosa”, latente e poco rumorosa nel momento in
cui si esplicita. Ma allarga i repertori di azione, con strumenti nuovi, trasferendo anche nella
quotidianità l’impegno politico. E’ interessante, a questo proposito, riportare l’affermazione
raccolta presso una partecipante alla manifestazione pacifista di Roma dello scorso 21 marzo
2004, organizzata in occasione del primo anniversario della guerra in Irak. E’ facile
riconoscervi, oltre alle motivazioni, l’intreccio tra presa di responsabilità individuale nella
quotidianità e nella sfera privata da un lato e l’importanza attribuita a forme di partecipazione e
di azione pubblica dall’altro:
<< […] certo, bisogna manifestare, fare sentire la propria voce
pubblicamente. Ma è almeno altrettanto importante impegnarsi
nella nostra vita di ogni giorno. Insomma questo squilibrio tra
paesi ricchi e paesi poveri non è più possibile. >> [Partecipante a
manifestazione contro la guerra, Roma, 21/03/2004]20
Va infine ricordato come l’allargamento degli strumenti di partecipazione vede nella rete
Internet una opportunità di rilievo. Lo scambio di informazioni, il prendere parte alle modalità
di e-partecipazione o a forme di attivismo on-line anch’esse convenzionali e no, sono strumenti
emergenti di azione politica. Ma sono importanti anche per riconoscersi e sentirsi parte di un
network più ampio, appunto, come un nodo, individualizzato ma non isolato.
La contiguità del political consumerism con il complesso ed eterogeneo movimento new
global è palese. Sia per le motivazioni che stanno dietro la decisione di operare scelte di
consumo etico; sia sotto il profilo della pratica: oltre sei su dieci degli attivisti del Social Forum
Europeo hanno praticato azioni di boicottaggio di prodotti [della Porta, 2003, 88] e
probabilmente ancor di più hanno scelto di acquistare una marca o un bene in modo critico.
20
Il brano è tratto dal quotidiano <<la Repubblica>> del 21 marzo 2004, pag. 7; titolo articolo:
<<No global, preti, immmigrati il pacifismo torna in piazza>> di Ferruccio Sansa
18
Tavola 1 - Linee generali di trasformazione della partecipazione politica
FORME TRADIZIONALI
Processo
(Caratteri principali)
CONTESTO
Grandi narrazioni ideologiche
(Identità ampie, visione del mondo)
(Caratteri principali)
Single-issue (identità frammentate, individualizzate)
Crisi delle ideologie
Issue multiple
(identità globale)
Organizzazione e gerarchia
Diffusione
Governo nazionale come target
Spostamento del potere
STRUMENTI
FORME EMERGENTI
Elezioni, contatti personali, membership,
manifestazioni, sit-in….
Auto–organizzazione (diffusa, rete, personale, nella
quotidianità, stile di vita)
Target: locale, mercato e mult inazionali, governi,
organizzazioni internazionali, UE…
Internet activism, e-partecipazione,
Allargamento
political consumerism, culture jamming, etc…
(….rispetto alle forme di
partecipazione convenzionale
e non convenzionale)
19
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I paper presentati alle ECPR JOINT SESSIONS sono disponibili sul sito www.ecprnet.org
20
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