LA FIGURA DELLO STRANIERO NELLA BIBBIA
Se apriamo la scrittura in un atteggiamento di vero ascolto, essa ci fa fare questo percorso: dalla
paura alla sapienza: sapienza per gestire il rapporto con la diversità.
La Bibbia testimonia anche la paura, infatti lo straniero non ha sempre portato dei beni al paese.
D'altra parte anche Israele è stato straniero e non sempre è stato un bene per gli altri; ad esempio
non so cosa ne pensassero gli abitanti di Gerico.
La Bibbia contempla questo fenomeno, ma delinea anche un percorso: è questo che è importante;
se invece isoliamo i singoli versetti possiamo trovare chi dice una cosa e un altro che dice quasi
l'opposto. Possiamo seguire due passaggi, che poi sviluppiamo:
- a - come si vive in Israele: la sua esperienza di essere straniero
- b - come Israele ha affrontato il rapporto con lo straniero, soprattutto nell'ambito legislativo.
Non so se tutti gli Israeliti potevano consentire con la Scrittura, perché questa è uno sguardo di
fede, è una scelta di interpretazione della realtà guidata da un'esperienza di fede.
LA DIVERSITA' DI ISRAELE
Israele ha un senso molto forte della sua diversità, della sua originalità: un popolo che con gli
altri lega poco. La scrittura ce ne ricorda tre aspetti: la genealogia, il linguaggio comune, un
territorio proprio.
La genealogia.
Da chi discendi tu; nei primi capitoli di Genesi troviamo tutte le genealogie,
che si richiamano ai padri, anche se Israele non ritiene che la vera genealogia sia quella legata ai
padri, ma alle madri: è Ebreo il figlio di madre Ebrea, e non del padre.
Qual è il senso della genealogia: noi siamo discendenti da Sem, altri da Jafet, altri da Cam:
questo significa che il padre è il principio dell'identità giuridica, quale rappresentante della
legge, della cultura, della religione.
Il fatto interessante è che Israele ha vivissima la percezione della sua profonda diversità
culturale, non legata al colore della pelle: "mio padre era un Arameo errante: (Deut. 26, 5): è il
famoso credo storico, quando si presentano le primizie. Dietro questa idea sta la convinzione che
Israele non è mai legata ad una superiorità genetica, razziale. Nella stirpe di Israele non ci sono
dei semidei. Nella genealogia dei popoli vicini molto spesso questi si vantano di aver avuto dei
semidei come capostipite: Gilgamesh è il rappresentante degli Accadi. I racconti patriarcali, nella
Bibbia, dicono che il nucleo della benedizione passa attraverso la fede, non certamente attraverso
una maggiore intelligenza, o qualità genetica o superiore capacità culturale degli Ebrei. L`Egitto
culturalmente era molto più avanzato di Israele, come lo era la Mesopotamia o Ur dei Caldei,
eccetera; culture che hanno testi scritti, che hanno monumenti che trasmettono la memoria, dove c'è
una compiuta organizzazione cittadina: superiorità in questo senso.
Israele sa bene che è uno degli ultimi arrivati sulla scena: non hanno nulla da insegnare e tutto da
imparare. Quando Salomone ha voluto costruire il suo Tempio ha dovuto servirsi dei Fenici.
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La lingua. L'esperienza della pluralità degli idiomi come è percepita nella Bibbia: da una parte
è un fattore di ricchezza e dall'altra: un problema. La torre di Babele, oltre agli altri, riveste anche
questo aspetto. Da una parte è finito quel sogno delirante di voler costruire un- migdal - una città
fortificata (non è una torre), con cui imporre il potere sugli altri; erano imperi che appiattivano le
differenze e concentravano tutto sotto un unico comando. D'altra parte Israele percepisce la
diversità come problematica: le lingue spesso sono motivo di confusione. E' un negativo avvertito
da Isaia, 33, 19: "quel popolo dalla lingua oscura... lingua barbara che non si capisce" (anche in
Geremia 5, 15). Ci sono però i traduttori ed è possibile che un popolo impari la lingua dell'altro; e
così gli Ebrei mettono un po' da parte l'ebraico per apprendere 1'aramaico, grande lingua di cui
abbiamo molti più testi che in ebraico.
Vi faccio anche notare che la Bibbia non cade mai nell'ingenuo fondamentalismo nel quale,
peraltro, sono caduti anche i cristiani, paradossalmente, più che i Cattolici, i Protestanti con il loro
attaccamento al testo biblico. Fino al '700 la loro tesi fondamentale era che l’ebraico era una lingua
ispirata. Ma la successiva conoscenza delle lingue semitiche ha dimostrato che essa non è ispirata.
Tutto questo è estraneo alla Bibbia, che ha nel suo seno altre lingue, come 1'aramaico usato da
Daniele, Neemia, alcuni passi in Geremia. Gli Ebrei di Alessandria d'Egitto, quando la comunità si
è consolidata, hanno tradotto la Bibbia in greco, con i LXX traduttori come a dire: il Signore parla
in ebraico, ma anche in greco: importante è ascoltare Lui.
Però non è tutto così ovvio, ad esempio nei rapporti con l'Islam: la lingua ispirata per loro è
l'arabo. .Quando si fanno particolari incontri di preghiera e si chiede di pregare in italiano, per loro
non è vera preghiera, ma per un vero islamico è solo quella in arabo, anche se chi prega non è un
arabo.
La lingua, dunque, motivo di difficoltà ma anche di ricchezza.
Il territorio. Israele ha avuto ed ha tuttora un rapporto molto complesso con la "terra". Da una
parte c'è la Terra della Promessa, dall'altra Israele non è definito dalla terra; un Ebreo rimane Ebreo
anche fuori dalla sua terra, anche in Diaspora da 2 mila anni. Ciò, però, non significa che non abbia
diritto a vivere su una terra sua, ma questo è un altro problema.
II rapporto con la terra, pur così importante, non è sempre realtà decisiva per identificare Israele,
non risulta indispensabile per la sua definizione. In un certo senso Israele è straniero agli altri popoli
dovunque esso sia.
Diversità e ascolto.
Quando Israele parla della sua diversità, nei rapporti coi popoli,
chiede di essere ascoltato; è l’ebraismo stesso a definirsi come diverso, non siamo noi a definirlo
così. Ad esempio il ghetto non è il meccanismo con cui le società vogliono isolare l'Ebreo: è una
falsità storica, ma è una loro necessità di identità; se poi un popolo vuole ghettizzare il ghetto,
questo è un problema diverso. Il ghetto è una necessità per le loro norme religiose; se vogliamo
vivere la sinagoga insieme dobbiamo stare tutti in un certo territorio, non fare oltre un certo numero
di passi, e così via. Lo straniero invece è consapevole di esserlo nei riguardi di te, Ebreo; ognuno è
portatore della propria identità.
Ci sono stati momenti in cui questa identità ed estraneità è stata molto sottolineata; forse quando
Israele correva il rischio di essere fagocitato. Pensiamo alle "Regole di Santità", anche molto belle
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ma che si traducono in discipline esteriori di vistosa estraneità al mondo e che alla fine non ti
permettono di condividere con gli altri. Se a tavola non posso condividere lo stesso cibo, se non
posso indossare i tuoi abiti perché la tua stoffa non è la mia, e così via, tutto questo mi dà identità,
ma anche separazione da te. Le regole alimentari sono tipiche regole di discriminazione: Gesù,
l'Ebreo, da queste ci ha liberato, pertanto il Cristiano si fa vegetariano coi vegetariani e carnivoro
coi carnivori. Nel Nuovo Testamento agli inizi del Cristianesimo questi erano problemi seri,
presenti anche oggi; certe, regole compattano molto un gruppo, ma anche lo isolano decisamente
dagli altri.
Israele avverte tutto ciò come problema, e vengono evidenziate delle figure di stranieri, portatori di
valori ulteriori. Sono così numerosi e significativi da diventare una sorta di regola; ecco:
Melchisedec, Re di Salem; Rut, la Moabita: un capolavoro; era uno dei popoli con cui Israele non
doveva integrarsi perché i Moabiti e gli Ammoniti non aveva aiutato Israele nel deserto. Rut entra
nel popolo di Dio proclamando una professione di fede altissima (Rut 1, 16) "... il tuo popolo sarà il
mio popolo, il tuo Dio sarà il mio Dio... ". Naaman, il Siro, citato anche da Gesù (Luca 4, 27); la
vedova di Sarepta, (Luca 4, 26); Achior, condottiero ammonita, passato al giudaismo (Giuditta. 14,
5-10); Giobbe, non Ebreo; Ciro, uomo di grande potere, di cui Dio si è servito; permette il ritorno
degli Ebrei dall'esilio e la ricostruzione del Tempio. (Isaia 44, 28 e 45, 1).
E' l'esperienza di un Dio che parla e agisce nella storia anche attraverso lo straniero, il non
credente, attraverso i sui piani d'amore.
Oppure c'è un correttivo: è Giona, che dice: - se Dio è fedele alle sue parole non può stare con
Ninive ma dalla nostra parte. Se nonché a Ninive si convertivano anche le mucche, per ordine del
re: "non pascoleranno e non berranno acqua.". L'intenzione del libro di Giona è quella di superare
l'idea esclusivista dell'elezione del popolo Israelita per riconoscere la volontà di Dio tesa alla
salvezza universale.
LA LEGISLAZIONE BIBLICA SULLO STRANIERO
Questo è il punto più importante per la nostra riflessione. Finora ci siamo mossi nell'ambito dei
sentimenti: occorre l'ascolto, il rispetto della diversità, eventuali correttivi per quando la tua identità
è così eccessiva quasi da sopprimere l'altro. La cosa più interessante ora è interpellare la Toràh - che
sono i primi cinque libri dell'Antico Testamento -. Il Nuovo Testamento, badate, non sostituisce la
Toràh, ma la compie (Matteo 5, 17-18).
La Toràh si muove innanzitutto secondo questa necessità: - non dimenticare mai che anche tu sei
stato straniero, che anche tu sei stato un - ger -. Questo ti darà la capacità di capire il bisogno dello
straniero, individualmente, ma anche socialmente. Ecco il grande credo storico di Israele (Dt. 26,
5): "Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi soggiornò come immigrato con poca gente
e vi divenne una nazione grande, forte e numerosa".
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Situazioni problematiche
Gli Ebrei erano consapevoli di essere stati dei - ger-, che non indica solo il nomade, ma è
l'immigrato che arriva in un posto per trovare una dimora stabile. Per questo è molto importante il
rapporto con gli autoctoni: poter vivere su una terra magari non sfruttata da loro, scambiare le
merci, eccetera. Anche in Egitto Israele è stato un - ger -, nella valle di Goschem e ospitato nella
uadi Tumidad; Abramo si era stanziato vicino a Hebròn.
In questo modo viene a crearsi una precisa relazione fra gruppi umani che risiedono nello stesso
territorio. Israele non è una - nokri - che passa in un territorio per scopi commerciali o per una
necessità contingente; Israele è un - ger - che vive accanto a te, che però alle spalle non ha una
nazione; la sua vita dipende dalle possibilità che tu gli dai.
Certamente la Bibbia è consapevole che questa coesistenza crea problemi, e non è così pacifica.
Il facile irenismo, che ignora i problemi, non fa che aumentarli. Vi richiamo alcune storie dei
patriarchi; le loro donne piacevano sempre gli altri: è il caso di Sara (Genesi 12, 1120) e di Rebecca
(Genesi 24, 15 ... ). Altra situazione (Genesi 26, 15-26): Isacco scavava i pozzi e i Filistei li
riempivano di terra:"l'acqua è nostra".
La Bibbia è piena di ricordi di convivenza difficile; si veda il libro di Ester, di Tobia, di Daniele,
è la stessa storia di Giuseppe l'Ebreo, venduto dai fratelli, che alla fine riesce a riabilitarsi.
Malgrado situazioni problematiche Israele è invitato a non dimenticare mai la: - nefesh - la gola,
quello stato d'animo in cui il cibo ti si blocca li, non va né su né giù.
Sapendo questo non basta avere buoni sentimenti o memoria della - nefesh- ma occorre una
legislazione, con dei provvedimenti concreti, che prenda atto della questione dell'immigrato.
Leggi per l'immigrato
Badate che la Bibbia non è la Sharia, il libro del Diritto, ma ci dà solo una direttrice. Questa
direttrice, aperta, mi sembra bella se noi teniamo presenti due testi:
- Deuteronomio 10, 17-19: è uno dei più interessanti su questo tema: " II Signore vostro Dio, il
Dio degli dei, il Signore dei signori, il più grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non
accetta regali, rende giustizia all'orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestiti.
Amate dunque il forestiero, perché anche voi foste forestieri nel paese d'Egitto".
Da una parte la memoria di ciò che tu hai vissuto, dall'altra la tua esperienza di Dio. Qui dice in
che direzione si deve muovere la tua vita: l'amore, che però deve diventare concreto, perché
l'amore-sentimento non è sufficiente.
- Levitico 19, 33-34: "Quando un forestiero dimora presso di voi nel vostro paese, non gli farete
torto. Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato tra di voi. Tu lo amerai
come te stesso, perché anche voi siete stati stranieri nel paese d'Egitto”.
Il Pentateuco chiede la compassione verso la povera gente, ma la compassione che prenda
forme più organiche, meno occasionali, e salvi le dignità di colui che è bisognoso.
Ecco perché di norma l'immigrato fa parte della terna con: l'orfano e la vedova.
Le regole sul raccolto: durante la raccolta ciò che cade per terra non è tuo, ma é dei poveri del
paese e degli stranieri; hanno il diritto di racimolare nel vigneto o nell'uliveto altrui e di spigolare
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nel campo altrui. Il settimo anno: ciò che fiuttifica sulle piante in quell'anno è dei poveri e degli
stranieri.
Un secondo tipo di leggi riguarda la distribuzione del reddito.
I1 Deuteronomio, il più attento alla conduzione dei deboli e dell'immigrato, va oltre la disciplina
della condivisione del frutto del raccolto nel momento immediato. Del tuo raccolto non puoi tenere
tutto tu, ma il legislatore interviene per dischiudere piste successive di condivisione.
C'è la legge della decima: dare un decimo del prodotto finale; un anno per i Leviti, un anno per i
poveri. Ecco Tobia (1, 8) che va a portare la decima. Una decima speciale si raccoglie ogni tre anni
per i poveri, che sono i Leviti il forestiero, l’orfano e la vedova.
Ecco la legge delle primizie (Deuteronomio 26, 1-11); l'immigrato povero ha diritto anche lui a
godere delle primizie portate al tempio dall'offerente Ebreo; anche lui ha il diritto di partecipare alla
tua gioia.
Non sappiamo come concretamente funzionasse questo sistema di prelevamento e di ridistribuzione dei beni. Però interessante l'intenzione del legislatore: creare una società più umana,
dove gli svantaggi di alcuni possano essere almeno ridotti e leniti. La Bibbia non è presa dal delirio
di una società di tutti uguali, che poi è utopica, ma porrà dei correttivi perché il divario fra le classi
non aumenti. Comunque c'è sempre spazio per una libera e coraggiosa iniziativa dei singoli
credenti, i quali di fronte al grido dei poveri sono chiamati a condividere i loro averi in uno spirito
di fiduciosa generosità. (Deuteronomio 15, 7-11): "se ci sarà presso di te qualche tuo fratello che sia
bisognoso in una delle tue città, che il Signore tuo Dio ti dà, non indurirai il tuo cuore, non
chiuderai la mano al tuo fratello bisognoso, anzi gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre
alla necessità in cui si trova. Bada bene che non entri nel tuo cuore questo disegno perverso: è
vicino il settimo anno, l'anno della remissione (e quindi uno fa tutti i calcoli per non essere
generoso)... dagli generosamente; il tuo cuore non si rattristi, perché propria per questo il Signore
tuo Dio ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa cui avrai messo mano. Perché i bisognosi non
mancheranno mai nel tuo paese, perciò io ti dò questo comando: Apri generosamente la mano al tuo
fratello povero e al bisogno nel tuo paese".
La partecipazione alle feste: è un altro modo con cui si pensava di provvedere al bisognoso. Le
regole viste non hanno solo una motivazione sociale, ma anche religiosa. II legislatore aggiunge un
collegamento esplicito fra il mondo religioso e il mondo della condivisione: li fa incontrare nel
santuario. Come si può ringraziare concretamente il Signore? Mediante il sacrificio di comunione,
che non è obbligatorio. E' un sacrificio che viene condiviso con i presenti, in particolare i poveri, i
quali frequentavano numerosi i luoghi sacri. (Deuteronomio 12, 12). Il bue sacrificato nel tempio va
mangiato fra i presenti, in modo completo, senza riportare a casa nulla; se c'è qualche avanzo va
bruciato, in un luogo fuori città.
In altre parole: anche la religione deve diventare capacità di condividere; ciò significava invitare
nella parte esterna del Tempio, negli atri, i presenti, in particolare i poveri, anche i non circoncisi, a
mangiare dell'offerta in letizia. II Tempio diventava così anche il luogo della condivisione.
I1 Deuteronomio (16, 17) dice: "il dono di ciascuno sarà in misura della benedizione che il
signore tuo Dio ti avrà data ".
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Ecco un altro testo, (Deuteronomio 12, 12): "gioirete davanti al Signore vostro Dio, voi, i vostri
figli e le vostre figlie, i vostri schiavi e le vostre schiave, il Levita che abiterà nelle vostre città
perché non ha parte né eredità in mezzo voi". Che significa: - gioire -? Fare sacrifici di comunione:
è quanto si prescrive ancora in Deuteronomio 16, 2: "... immolerai la Pasqua al Signore tuo Dio: un
sacrificio di piccolo o di grosso bestiame..."; però va mangiato tatto, eventualmente con altre
famiglie. Questa è la logica: la religione deve diventare motivo di condivisione.
La tutela giuridica.
Per l’immigrato questa tutela prende forma di: normativa sul lavoro e il diritto del forestiero
ad essere tutelato dal giudice. L'immigrato normalmente fa parte della classe dei poveri: non ha
risorse stabili perché non può possedere la terra (e ancora oggi è quanto avviene in Arabia). Inoltre
il lavoro artigianale più remunerativo non era certo lasciato all'immigrato: veniva custodito
gelosamente come segreto di famiglia. Del resto era quanto avveniva fra le nostre corporazioni nel
medioevo e oltre. E contesto interessante in 2° cronache 2, 16: come si concepisce la disciplina sul
lavoro. Si sta costruendo il Tempio: "Salomone censì tutti gli stranieri che erano nel paese di
Israele... ne furono trovati 153 mila 600. Ne prese 70 mila come portatori, 80 mila come scalpellini
perché lavorassero sulle montagne e 3 mila e 600 come sorveglianti perché facessero lavorare
quella gente". Si tratta di una misura amministrativa intelligente che consente di calcolare la forza
lavoro per programmare adeguatamente le opere pubbliche. Questi lavoratori devono essere pagati e
inquadrati in squadre efficienti: va costruita la casa di Dio, Dio anche degli emigrati. (1° Re 8, 4143): "Anche lo straniero, che non appartiene a Israele tuo popolo,... se viene a pregare in questo
Tempio tu ascoltalo dal Cielo... perché tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome...".
Normative sul lavoro significano soprattutto: garanzie sul salario: punto sociale fondamentale;
deve essere dato puntualmente (Deuteronomio 24, 14-15): "e non defrauderai il salario del povero e
del bisognoso... gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è
povero...". E' uno dei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio; la parola - vendetta - significa
- solidale -: Dio si mostrerà solidale col povero oppresso.
Le leggi sul salario sono collegate alle leggi sul diritto al riposo; il che non è del tutto ovvio;
infatti nel nostro occidente fino al `700 questo diritto per i poveri non esisteva, neppure per la
Domenica. Penso al Curato d'Ars che ha lavorato per convincere i tenutari a lasciare un giorno di
riposo, intelligentemente diceva: - se li lasciate veramente riposare per una giornata, poi vi
renderanno di più; fate questo esperimento -.
La tradizione del riposo assoluto del sabato vale anche per l'immigrato (Deuteronomio 5, 14):
"sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non
fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue,
né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo
schiavo e la tua schiava si riposino come te".
Al sabato, di fronte a Dio, siete tutti uguali. Questo diritto al riposo è poi ricordato nel codice
dell'alleanza (Es. 23, 12): "per sei giorni farai i tuoi lavori, ma nel settimo giorno farai riposo,
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perché possano goder quiete il tuo bue, il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il
forestiero".
Sottolineo quel "come te" dove è sancita l'uguaglianza fra padre e figlio, fra padrone e servo, fra
autoctono e straniero.
II diritto difeso in tribunale
La Bibbia sa bene che possono nascere anche delle questioni e dei contrasti: il diritto al salario,
alla libertà di spostamento o di abitazione, al commercio, al matrimonio. Una delle raccomandazioni sistematiche della Scrittura è che il magistrato giudichi con imparzialità, e non mosso
da corruzione e da regali, oppure da principii ideologici (Deuteronomio 1, 16): "Ascoltate le cause
dei vostri fratelli e giudicate con giustizia le questioni che uno può avere col fratello o col forestiero
che sta presso di lui" e così il giudice (versetto 17) ha il dovere di "dare ascolto al piccolo come al
grande", senza temere nessuno, "perché il giudizio appartiene a Dio".
Nella dodecalogo sichemita ci sono sentenze di condanna con un impegno giurato da parte di
tutto Israele, (Deuteronomio 27, 15-26): "maledetto colui che ... e tutto il popolo risponderà: Amen -". Fra l'altro il diritto dell'immigrato: "maledetto colui che lede il diritto del forestiero,
dell'orfano e della vedova! Tutto il popolo dirà: Amen". In una cerimonia solenne viene affidato alla
maledizione divina chi alterasse il diritto dell'immigrato.
L'accoglienza religiosa
L'autore biblico sa che si può fare un passo ulteriore verso l'immigrato: l'accoglienza religiosa.
Israele non ha una religione missionaria, non cerca adepti; è vero che il fariseismo ha fatto anche
del proselitismo, ma sempre in modo diluito. Se nel primo secolo d.C. c'è un grande movimento di
gentili che entrano nell'ebraismo, ciò è legato alla stima che questi aveva suscitato su di sé. Sono i
cosiddetti: - timorati di Dio -, i - proseliti - affascinati, durante la crisi dell'Impero, da questa
religione monolitica, con le sue certezze.
Un dato biblico interessante è questo: alla Pasqua tu puoi far partecipare anche il non Ebreo,
purché sia circonciso; si tratta di una possibilità, non di un obbligo.
Lo stesso Deuteronomio al capitolo 23 detta alcune regole per l'incorporazione dello straniero
nella comunità religiosa. Ci saranno dei popoli esclusi, perché non hanno praticato la accoglienza:
gli Ammoniti e i Moabiti, perché hanno rifiutato di soccorrere Israele, nel deserto (versetti 4 - 5).
Ma poi la Bibbia corregge la durezza di queste esclusioni: Rut, la Moabita, diventa la nonna di
Davide; Isaia dice di portare acqua e pane ai Moabiti fuggiaschi, incalzati dall'esercito nemico: non
si deve guardare chi sono, ma si tratta sempre di persone imsere, che hanno fame e vanno protette.
In sintesi: nella Bibbia si direbbe che può essere integrato nella comunità religiosa chi fa
dell'accoglienza il principio normativo della Toràh. Lo strumento di comunione per Israele è la
Torah, la sua legge, umana, giusta, saggia, anche se la stessa legge potrà diventare principio di
separatismo, con una fortissima identità culturale.
Domanda. Poiché l'Israelita aveva un senso assoluto circa la proprietà della terra, l'immigrato
veniva ad essere sempre un subordinato, cittadino di seconda o terza classe.
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Risposta. Questo è vero, però di fatto c'erano delle regole di integrazione, come abbiamo visto.
Comunque la terra non era vendibile neppure per te: non potevi né cumulare né dividere: sulla terra
tu sei solo un affittuario. In Israele è tuttora così: ogni bene che viene costruito sulla terra al
centesimo anno diventa dello stato. La legge sulla inalienabilità della terra, come tutte le leggi
giuridiche, obiettivamente in certi momenti potrebbe anche essere problematica. I Profeti teorizzano
la inalienabilità conto il latifondo, che poteva continuare a espandersi, approfittando del bisogno
altrui: "guai a coloro che aggiungono campi su campi e casa su casa ". Giuseppe l'Ebreo, venduto
dai fratelli, in Egitto organizza un modo di produzione che consente di superare i momenti di crisi,
non superabili se ognuno avesse curato per conto proprio il suo pezzetto. In quel momento era
necessario un modo diverso di organizzare la produzione agricola. D'altra parte Israele conserverà
sempre l'amore per la terra; è stata anche la forza della sionismo in anni non lontani: terra
continuamente comprata dai proprietari Arabi, dissodata e irrigata con tecnologie sofisticate.
Ovviamente da tutto ciò non si può avviare un corto circuito da cui trarre una soluzione per l’attuale
problema ebraico - palestinese, estremamente complesso.
L'amore della terra da parte dell'Israelita si condensa così: - io non voglio vivere del lavoro degli
altri, ma vivere del mio lavoro, sulla mia terra. -. E non è una cosa ovvia, infatti per i Greci il sogno
era: - i signori non lavorano; per lavorare ci sono gli schiavi -. Per loro ciò che ha a che fare col
corpo è tutto negativo, pertanto la - epistème: la scienza, non deve tradursi in: tèkne. Nel campo
tecnico essi erano più avanzati dei Romani, ma non lo applicavano personalmente: c'erano gli
schiavi.
Vi ricordate Paolo, predicatore Ebreo: di giorno operava e si rovinava le mani nella lavorazione
delle tende e alla sera e al sabato predicava e insegnava.
(Relatore: Prof. Don Patrizio Rota Scalabrini: biblista
Il testo non è stato da lui revisionato)
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