Falsi medievali - Università degli Studi di Verona

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STORIE DI FALSI
Falsi ellenistici
In età ellenistica nelle grandi biblioteche di Alessandria e di Pergamo si conservano, si
copiano e si producono libri. I dotti bibliotecari divengono in breve tempo abili
produttori i falsi testi letterari (ottimamente imitati nello stile e nel contenuto) attribuiti
ai più celebri autori (Eschilo, Sofocle, Euripide, Platone, Aristotele, ecc.) e venduti o
fatti copiare a caro prezzo. Si creano così tradizioni basate su apocrifi, molti dei quali
ancor oggi non sono stati individuati.
Delle 130 opere di Plauto in circolazione in età tardo-repubblicana, l’erudito Varrone ne
dichiarò autentiche solo ventuno (e 109 false). A partire dai primi cataloghi di
biblioteche si crea così in canone che distingue opere autentiche (gnesioi) da quelle non
autentiche (notheioi). Può capitare che il “falso d’epoca” sia a sua volta un’opera d’arte.
Il falso di Aristea
La Lettera di Aristea è un componimento in prosa, scritto probabilmente nel II sec. a.
C., che pretende di spiegare l’origine della traduzione in greco del Vecchio Testamento
(la cosiddetta “Versione dei Settanta”).
Demetrio Falereo, bibliotecario di Alessandria sotto Tolomeo Filadelfo (inizio del III
sec. a. C.) compie una ricerca sulle leggi degli ebrei, constatando la povertà di fonti
ebraiche nella biblioteca. Lo scopo è conoscere e governare meglio i popoli dell’Egitto
sottomessi a Tolomeo. Demetrio ottiene il permesso di chiedere al sommo sacerdote
Eleazaro di inviare sei rappresentanti da ciascuna delle dodici tribù di Israele per
predisporre una traduzione ufficiale perfetta, in lingua greca, del Libro della Legge. Il
testo elogia il codice legislativo ebraico e narra come la comunità ebraica d Alessandria
abbia accolto positivamente la nuova traduzione.
La lettera è un falso:
- Demetrio non fu mai bibliotecario ad Alessandria;
- Né fu al servizio di Tolomeo;
- Il testo contiene molte inesattezze sulla storia ebraica di quegli anni;
Il testo è tuttavia confezionato in maniera sapiente, utilizzando gli stessi sistemi
elaborati dai critici alessandrini per correggere testi e smascherare falsi.
- utilizza il metodo dell’esegesi allegorica (Apollodoro) per spiegare le parti più
scialbe del testo;
- impiega la terminologia propria della critica testuale per sottolineare la maggior
accuratezza della “Versione dei Settanta”;
- mostra di citare direttamente il testo di Demetrio (citazione archivistica),
piuttosto che raccontare le trattative fra il bibliotecario e Tolomeo.
Il testo si rivolge al tempo stesso ai greci ed agli ebrei di Alessandria per mostrare: a) ai
greci la superiorità della legge e della tradizione ebraica, mettendone in risalto
(attraverso l’analisi allegorica) i profondi contenuti filosofici ed etici; b) agli ebrei la
superiorità della versione greca della Legge sul vecchio testo in ebraico. L’opera è
redatta al fine di esercitare un’autorità spirituale, ma è una collezione di falsi.
Si creano falsi per dar maggior forza e antichità alla propria religione; i primi cristiani
ne producono a centinaia e così gli ebrei e le sette religiosa dei primi secoli dell’era
cristiana
Testi teologici vengono attribuiti ad Agostino d’Ippona, ma sono dichiarati falsi da altri
teologi (e filologi). La teologia deve applicare l’arte critica per difendersi.
L’Hypomnesticon di Agostino
L’Hypomnesticon, attribuito a sant’Agostino, divenne nel IX secolo oggetto di un’aspra
controversia.
Icmaro di Reims giudicò l’opera autentica.
Prudenzio di Troyes la ritenne invece inattendibile, perché divergente per stile e
contenuto dall’opera agostiniana e perché non compariva nel Commentario redatto
dallo stesso Agostino sulla propria opera, né veniva mai citato da altri autori coevi.
Un altro teologo dimostrò quanto fosse facile attribuire ad Agostino un libro che
sosteneva argomenti a lui cari, attingendo alle sue opere e presentandosi come un
compendio del suo pensiero, ma segnalò l’impiego i stilemi non agostiniani, oltre alla
citazione della Bibbia nella versione di san Girolamo, impensabile in Agostino.
Falsi medievali
Il “falso d’epoca” di poco posteriore all’epoca del documento è un falso “giuridico” (o
politico) con la fabbricazione del quale si intendeva tutelate la posizione di una persona
o di un ente (città, monastero) contro qualche altra persona o ente, oppure si
intendevano legittimare delle pretese di dominio territoriale, di godimento di beni ecc.,
che ad un certo punto della sua esistenza un comune, un principe, un monastero, si
sentiva abbastanza forte per avanzare.
Diversamente dai falsi moderni, che interessano solo per le vicende del falsificatore, i
falsi d’epoca medievale (coeve) sono importanti per la storia dell’epoca e chiariscono
molte ragioni delle dispute successive.
Germania: monaco di Reichenau (monastero sul lago di Costanza)
Atto compilato fra il 1130 e il 1150 allo scopo di richiamare ai potenti miisterali
l’obbligo di partecipare alla spedizione romana dell’imperatore.
Eberardo di Fulda
I falsi cassinesi
Pietro, diacono nell’abbazia di Montecassino, è autore di un Regesto del XII secolo
dove sono raccolti gli atti che riguardano il monastero (nell’ordine: le bolle pontificie, i
diplomi degli imperatori e dei re, dei duchi e dei principi, i documenti privati) molti dei
quali falsi, dettati quasi sempre dal desiderio di aumentare la gloria del monastero e di
sancire con atti ufficiali il suo potere ed i suoi privilegi. Fra i falsi documenti vi è, ad
esempio l’atto con il quale Tertullio dona al monastero dei beni in Sicilia
Falsificazioni di Ravenna (secc. XI-XII):
Risalgono al periodo della lotta per le investiture (1080-1084); si tratta di quattro
documenti prodotti dal partito dell’antipapa Clemente III (Guiberto, già arcivescovo di
Ravenna) allo scopo di contrastare le pretese della Curia Romana e sostenere le
rivendicazioni imperiali.
1- Papa Adriano I, unitamente al clero e al popolo di Roma, concede a Carlo
Magno il diritto di eleggere il papa, la dignità di patrizio romano e l’investitura
degli arcivescovi e dei vescovi.
2- Papa Leone VIII rinnova a Ottone I imperatore il diritto di eleggere il pontefice
e di investire arcivescovi e vescovi.
3- Papa Leone VIII rinnova ancora a Ottone gli stessi diritti.
4- Papa Leone VIII restituisce a Ottone I una serie di donazioni fatte da vari signori
e re anticamente alla Chiesa (tutto lo Stato della Chiesa, l’Italia meridionale).
La Collezione pseudo-isidoriana
Uno dei più noti falsi medievali è la cosiddetta Collezione pseudo-isidoriana, ossia una
raccolta di fonti di diritto canonico (canoni di concili, decretali, ecc.) che circola in
Francia nella seconda metà del IX secolo, attribuita ad uno pseudo-Isidoro mercator.
Papa Nicolò I la dichiara autentica e la collezione gode d un’ampia fortuna per tutto il
medioevo, finché con l’Umanesimo non emergono i primi dubbi (Nicolò da Cusa,
Giovann di Torquemada, Erasmo da Rotterdam); la Collezione viene dichiarata falsa da
F. Blondel nel 1628. Nella collezioni sono contenuti canoni conciliari autentici e
documenti falsi; la maggior parte delle lettere dei papi (dal I al VI secolo) è apocrifa: si
tratta di compilazioni della fine del IX secolo (847-852) che testimoniano le aspirazioni
della chiesa in quegli anni. Lo scopo della falsificazione era sostenere le ragioni del
potere ecclesiastico contro il potere laico.
La falsificazione è evidente se si guarda alle formule usate nei documenti: ad esempio
nelle lettere apocrife anche papi del III e del IV secolo si definiscono con la formula
“servus servorum Dei”, che noi sappiamo avere inizio solo con Gregorio Magno alla
fine del VI secolo.
Il Privilegium maius
Nel 1156 l’imperatore Federico Barbarossa pareva aver concesso ad Enrico II di
Babenberg, duca d’Austria, un privilegio, il Minus, conosciuto però solo attraverso la
cronaca di Ottone di Frisinga. Fra il 1369 e il 1360 le cancellerie ducali di Rodolfo IV
d’Asburgo rendevano noto un altro privilegio, il cosiddetto Maius, concesso dal
medesimo Barbarossa il 17 settembre 1156, con il quale si concedevano ai duchi
d’Austria il titolo di Arciduca palatino, elevandoli così al di sopra degli altri principi
elettori, e la più ampia indipendenza dall’imperatore. L’imperatore Carlo IV di
Lussemburgo (1354-1378) negava validità al privilegio che veniva però
successivamente riconosciuto dall’imperatore Federico III d’Asburgo nel 1453. In realtà
si trattava di un falso composto fra il 1356 e il 1359, teso a sancire con un atto ufficiale
le pretese della casa d’Asburgo nell’ambito dell’impero.
Da cosa si riconosce il falso?
- Nel documento si parla della “marchia a superiori parte fluminis Anasi”, cioè
dell’alta Austria, che sarebbe stata aggregata nel 1156 al ducato d’Austria. Ma
l’alta Austria venne aggregata al ducato solamente nel 1254 e il 1254 diviene
così il termine a quo per la composizione del Privilegium.
- In un altro punto del documento troviamo menzionati i principes electores, ma
questa espressione è ignota ai documenti prima del 1273: ecco un altro termine
a quo.
- In un altro punto ancora il documento proclama che solo al primogenito della
casa d’Austria spetta il dominio, in aperta contraddizione con la legge di
famiglia del duca Alberto II d’Asburgo (1355), che stabilisce invece
l’uguaglianza di tutti i figli.
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Un ulteriore confronto con la “Bolla d’oro” dell’imperatore Carlo IV (25
dicembre 1356) dimostra che il Privilegium non può essere stato redatto se non
dopo la “Bolla” della quale tiene conto. Ecco quindi il termine a quo condotto in
avanti sino al 1356.
Per definire il termine ad quem basta constatare che in un documento del 18
giugno 1359 Rodolfo IV d’Asburgo si fa già chiamare “Palatinus Archidux
Austriae”, riprendendo il titolo coniato dal Privilegium; il Privilegium, inoltre, è
citato, tradotto in tedesco, in un documento 2 settembre 1359.
Falsi umanistici
La cultura umanistica mette in circolazione un’enorme quantità di testi e di epigrafi
relative al mondo romano. In Italia fra XV e XVI secolo e in Europa fra XVI e XVII gli
eruditi e gli antiquari pubblicano i primi grandi repertori di epigrafi e di reperti
archeologici, ignorati dagli intellettuali del medioevo. Ma, come nel caso delle statue
tronche alle quali venivano aggiunte teste e braccia nuove, anche le lapidi lacunose
venivano integrate con aggiunte che “restituivano” un testo falsato. Alcuni antiquari,
mossi da un’insana passione per il mondo antico, produssero e pubblicarono testi
epigrafici falsi (ma spesso abilmente costruiti e perciò credibili) per suffragare le loro
scoperte o le loro ipotesi interpretative, producendo così un devastante inquinamento
dei testi di antiquaria ai quali avrebbero in seguito attinto anche studiosi seri.
Erasmo da Rotterdam e lo pseudo Cipriano1
Anche un intellettuale apparentemente irreprensibile come Erasmo da Rotterdam è
autore di un clamoroso falso, fabbricato per meglio sostenere le proprie tesi.
Fu lui a dimostrare, sulla base di un esame stilistico e filologico, che il preteso
carteggio fra san Paolo e Seneca era costituito in gran parte da lettere false (ma tese ad
avvicinare il filosofo latino al cristianesimo).
Nel 1530 Erasmo pubblicò la sua quarta edizione delle opere di san Cipriano, cui era
stata inclusa, all’ultimo momento, un ulteriore trattato – fino ad allora sconosciuto – De
duplice martyrio. Il trattato elogiava le virtù dei martiri intesi nel senso tradizionale del
termine, coloro che erano morti per essere stati testimoni di verità; esso però proseguiva
elogiando anche altre forme di vita cristiana equivalenti, per merito, al martirio: quella
di quanti erano pronti a morire, ma non erano chiamati a farlo; quello della vergine che
lotta per non cadere in peccato
È noto che Ersamo aveva sempre disprezzato il genere di cristianesimo di chi
equiparava la sofferenza alla virtù, preferendo di gran lunga l’immagine di Cristo uomo
che spera di evitare la morte nel Getsemani. Il testo di san Cipriano rispecchiava
dunque alcuni elementi chiave del pensiero di Erasmo, in quegli anni in polemica sia
con l’ortodossia cattolica, sia con Lutero. Il testo è inoltre scritto un una splendido
latino, ma appesantito da citazioni bibliche e patristiche, poco consuete in autori antichi.
Questi elementi ed altri vezzi letterari rendono l’opera riconoscibile come farina del
sacco del grande umanista fiammingo. Con quel falso egli cercava di dimostrare
l’assenso della chiesa delle origini alla propria visione della teologia.
S. Seidel Menchi, Un’opera misconosciuta di Erasmo? Il trattato pseudo-ciprianico “De duplice
martyrio”, in «Rivista Storica Italiana», XC (1978), pp. 709-743
1
Le false tombe della figlia di Cicerone
Nel 1485 venne rinvenuto sulla via Appia il sepolcro di una fanciulla di età romana il
cui corpo si presentava in ottimo stato di conservazione. Accanto ad esso un epitaffio in
latino recitava: “A Tulliola, sua sola figlia, che mai peccò se non nel morire, questo
monumento funebre è fatto innalzare dal suo sventurato padre Cicerone”. La notizia
della scoperta del sepolcro della figlia del grande oratore fece scalpore negli ambienti
umanistici ed attirò folle di “pellegrini” per oltre un secolo, ma presto si rivelò essere un
falso, non solo perché riproduceva testualmente un passo ciceroniano autentico, ma
anche perché altre tombe di Tulliola furono scoperte in luoghi distanti da Roma, come
Firenze e Malta.
Carlo Sigonio e la falsa Consolatio ciceroniana
Uno dei maggiori storici e filologi classici del Cinquecento: Carlo Sigonio, conosceva a
tal punto l’opera ciceroniana da saperne imitare alla perfezione lo stile.
Intorno al 1580 egli pubblicò un nuovo testo – consegnatogli a quanto pare da uno
stampatore – testo che sarebbe stato scritto da Cicerone in morte della figlia Tullia. Di
quest’opera si aveva notizia solo attraverso frammenti o citazioni di altri autori classici.
L’abilità di Sigonio consistette nell’inframmezzare elementi già noti (e quindi
inconfutabili) a brani inventati di sana pianta. Il testo fu subito incriminato da
Robortello in quanto appariva zeppo di italianismi, di espressioni latine tradotte
dall’italiano rinascimentale ecc. Sigonio non ne usciva certo bene, neppure come
latinista. Ma che cosa lo aveva spinto a produrre il falso? Una semplice esercitazione
retorica? Una beffa nei confronti degli eruditi? Oppure qualche fine truffaldino?
Neppure Grafton non fornisce una spiegazione plausibile.
Alfonso Ceccarelli
Costruttore di “genealogie impossibili” tese a dimostrare l’antichità e la nobiltà dei suoi
amici e committenti, riuscì a produrre un intero cartolario notarile medievale che
ricollegava le famiglie di amici e mecenati all’antica storia di Luni. Scrisse anche un
libro (ora perduto): l’Anti-Catones, da lui attribuito a Giulio Cesare.
Falsi moderni
Tanto minore è la quantità delle fonti, tanto maggiore la possibilità di essere ingannati
da un falso (e tanto maggiore l’importanza dei falsi per lo storico). In età moderna
aumentando il numero dei documenti disponibili i falsi sono più rari (e più difficili da
fabbricare). Ma non è sempre vero…
Il testamento politico di Richelieu
Nel 1688 viene pubblicato il cosiddetto Testament politique del cardinale Richelieu,
presentato come autentico. Tra il 1737 e il 1749 Voltaire sostiene la non autenticità del
testo. Nel 1880 G. Hanotaux (Maximes d’Etat et fragments politiques du cardinal de
Richelieu) dimostra che il Testament è in realtà composto con frammenti di lettere e con
appunti autentici di Richelieu, estrapolati e ricomposti dai suoi collaboratori: i pensieri
sarebbero dunque autentici, ma la redazione del testamento falsa. La tesi è ripresa da R.
Piton che conferma la falsa redazione (e quindi l’utilizzo politico di essa) sulla base di
manoscritti d’autore2.
Pfaff e i falsi frammenti di sant’Ireneo
Il tologo tedesco Cehristoph Matthäus Pfaff, dell’Università di Tubinga, all’inizio dl
Settecento sostenne di aver scoperto nella biblioteca ducale di Torino quattro frammenti
attribuibili a sant’Ireneo dai quali venivano confermate le tesi pietiste secondo cui il
fulcro del cristianesimo era costituito dal semplice verbo di Cristo, mentre le dispute
dogmatiche non sarebbero state che il frutto di mentesi. Poco tempo dopo l’erudito
veronese Scipione Maffei, trattenutosi per ragioni di studio a Torino, dimostrò
l’inesistenza dei frammenti di sant’Ireneo, accusando Pfaff di falsificazione, sebbene il
teologo tedesco difendesse ad oltranza la sua “scoperta”.
Mcpherson e il falso Ossian
Nel XVIII secolo Thomas Chatterton e James Mcpherson ricorsero ai mezzi tradizionali
(utilizzo di caratteri e grafia arcaica) per suffragare la loro affermazione di aver
trascritto un poema epico da manoscritti originali e inaccessibili e da una lingua
sconosciuta. In tal modo, con i Canti di Ossian, essi reinventarono una tradizione
medievale e “gotica” che ebbe uno straordinario successo non solo in Inghilterra.
Thomas Chatterton e il medioevo ricostruito
Contempoaneo di Mcpherson e suo collaboratore in diverse occasioni, Thomas
Chatterton (1752-1770) è una delle più interessanti figure di falsari del Settecento
britannco. Nel corso della sua brevissima vita (morì suicida a soli diciott’anni) produsse
una quantità incredibile di documenti, poemi, trattati, cronache che egli pretendeva di
ascrivere alla Bristol tardomedievale. L’amore per la sua città e la passione per il
medioevo fecero di lui un fabbricatore indefesso di falsi storici, quasi sempre
abbastanza ben collocati nel loro ambiente. Chatterton si inventò di sana pianta
un’intera città con le sue enormi porte, l’imponente cinta muraria, le sontuose cattedrali,
dando a ciascuna di queste strutture una precisa connotazione fisica mediante una serie
di bozzetti (di suo pungo) e accompagnandone la storia con appropriati documenti (di
sua produzione) a suo dire tratti dall’archivio di un’antica chiesa abbandonata.Parte dei
documenti furono scritti su pergamena ed “invecchiati” con bagni d thè. Il poema che lo
rese celebre, pubblicato sotto il nome di Thomas Rowley, preteso monaco del
Quattrocento, è una caso di imitazione quasi perfetta del linguaggio, dell’ortografia, dei
caratteri dell’inglese tardomedievale. Non è un caso che l’editore delle sue opere
postume (E. Tyrwhitt, 1777) abbia inserito nel volume anche la riproduzione del testo
di una lirica “medievale” di Rowley-Chatterton così abilmente contraffatta nei caratteri
e negli stemmi da apparire un vero reperto archeologico.
L’opera di Chatterton è sicuramente da collegare con il rigoglioso sviluppo degli studi
di storia medievale nell’Inghilterra di metà Settecento, studi che abbracciavano ora
anche la storia della vita quotidiana e non più solamante la storia di pricipi e sovrani. La
stessa maggio raffinatezza dei falsi di Chatterton è conseguenza della maggior
raffinatezza delle critica storica.
2
R. Mousnier, Le testament politique de Richelieu, in «Revue Historique», CCI (1949), pp. 55 sgg. ; R.
Piton, A propos d Testament politique de Rchelieu, in «Revue suisse d’Histoire», VI (1956), 2, pp. *** ;
E. Esmonin, Observations sur le Testament politique de Richelieu, in «Bulletin de la Société d’Histoire
Moderne», serie X, nn. 25-26 (1951-1952)
Francesco Meyranesio e le false omelie di san Massimo
Il sacerdote piemontese Francesco Meyranesio, autore di un’apprezzabile Storia di
Cuneo, contribuì alla grande edizione romana delle opere di san Massimo, vescovo di
Torino, pubblicata nel 1784 e dedicata a Pio VI. Meyranesio fece inserire nell’edizione
24 nuovi testi inediti. Stranamente gli originali scomparvero poco dopo nella valigia di
un lord inglese di passaggio. In realtà si trattava di falsi, tutti inventati dal sacerdote
cuneese nella speranza di ottenere onori nel mondo delle lettere.
Le false correzioni shakespeariane e a doppia frode di Collier e Madden (di come
il falsario finì falsato)
John Payne Collier è un intellettuale di umili origini che inizia la sua carriera come
giornalista e critico teatrale agli inizi del XIX secolo; diviene quindi un’autorità sulla
storia delle origini del teatro inglese; vive infine gli ultimi anni della sua vita in
completa disgrazia, dopo che alcuni dei suoi rivali avevano lo avevano smascherato
come falsario, rivelando che gran parte dei documenti citati nelle sue opere erano
inventati. Il suo falso più celebre è l’ in-folio di Shakespeare commentato dal cosiddetto
“Vecchio correttore”, ossia un commentatore cinquecentesco le cui correzioni al testo
shakespeariano furono ritenute autentiche da Collier ed inserite nelle sue pubblicazioni.
Gli avversari di Collier dimostrarono che il “Vecchio correttore” era un testo che
presentava pochi commenti e correzioni d’epoca, cui Collier aveva aggiunto moltissima
note di suo pugno (prima a matita, poi a inchiostro), imitando quasi alla perfezione la
grafia antica. Collier ammise di aver falsificato, in passato, alcuni testi, ma negò di
essere l’autore delle correzioni e si difese invano accusando altri di aver ingannato la
sua buona fede. In realtà è assai probabile che in questo caso Collier fosse innocente e
che il palinsesto del “Vecchio correttore” sia stato confezionato per distruggere la
reputazione di Collier da uno dei suoi principali nemici: l’illustre bibliotecario ed
erudito sir Frederick Madden, conservatore della sezione manoscritti del British
Museum. Madden odiava Coller per vari motivi e lo disprezzava; inoltre aveva libero
accesso al manoscritto da lui conservato; la sua preparazione in campo paleografico era
nota (e la sua grafia più simile a quella del “Vecchio correttore” rispetto a quella di
Collier).
K. B. Hase e il falso Toparcha
Karl Benedikt Hase è uno dei tanti emigrati tedeschi nella Parigi del primo Ottocento.
Uomo di profonda cultura classica, ma tutt’altro che irreprensibile, egli rappresenta il
prototipo del mistificatore “romantico”. Intellettuale bohèmien e frequentatore di
postriboli e osterie dei bassifondi, fu anche autore di volumi, commenti e traduzioni dal
latino e dal greco antico, curatore di testi bizantini; collaboratore dell’editore Firmin
Didot, per conto del quale curò, insieme ai fratelli Dindorf, l’edizione aggiornata del
monumentale Thesaurus linguae Grecae del filologo cinquecentesco Henri Estienne. In
particolare egli pubblicò con un dotto commento ed una più accessibile traduzione in
latino, un antico testo greco, il Toparcha Gothicus, che sosteneva di aver scoperto in
una biblioteca parigina e che egli sostenne essere la più antica cronaca esistente della
storia russa, addirittura di alcuni secoli più antica di qualunque altra versione
conosciuta. Il testo del Toparcha tenne testa per un secolo ad esami accurati da parte di
filologi e storici del mondo slavo
In realtà si trattava di una sua geniale invenzione.
La “scoperta” dell’antico Libro di Mormon e l’orgine della Chiesa Mormone
Il topos dell’improvviso e fortuito ritrovamento di un manoscritto dimenticato e
rivelatore è anche alla base di una religione del nostro tempo, abbastanza diffusa negli
Stati Uniti: la “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni”, più nota come
Chiesa Mormone, fondata nel 1830 dal “profeta” americano Joseph Smith (1805-1838),
un semplice pioniere, sulla base di alcune “visioni” e del ritrovamento del Libro di
Mormon, un antico testo profetico, inciso in caratteri sconosciuti (l’alfabeto del deserto)
su di una cinquantina di sottili tavolette dorate, rimasto sepolto per 1400 anni. Due
professori di New York – Charles Anthon e Samuel I. Mitchell – ai quali fu sottoposta
una trascizione del testo interpretarono i caratteri con i quali esso era inciso come una
variante del fenicio, con aggiunti caratteri geroglifici sul modello egizio. Ma nessuno
era in grado di leggerlo e tradurlo. Fu così che il “profeta” Smith si accinse da solo alla
traduzione, ispirato direttaente da Dio. Trascritto in inglese il testo si componeva di
quasi 500 pagine dalle quale emergeva un nuovoo libro della Legge ed un appello
divino a rifondare la Chiesa di Cristo. La Chiesa Cristiana, corrotta e divisa in Europa,
sarebbe dunque rinata nel Nuovo Mondo per poi riprendere l’opera di evangelizzazione
mssionaria in Europa e in America.. Questo il contenuto del Libro di Mormon:
Circa seicento anni prima di Cristo alcuni ebrei, avvertiti dell’imminente distruzione di
Gerusalemme, si rifugiarono sul continente americano, attraversando l’Oceano con una
barchetta. Qui svilupparono una civiltà dividendosi presto in due gruoppi: i Nephiti, di pelle
bianca, pacifici e fedeli alle Sacre Scritture ebraiche, ed i Lamaniti, di pelle scura, ribelli,
bellicosi e maledetti da Dio. I due popoli erano sovente in guerra fra loro. Quattrocento anni
dopo il loro arrivo in America i Nephiti scoprirono i resti di un antico popolo, anch’esso di
origine ebraica, sfuggito alla distruzione di Babele e rifugiato come loro in America. I Nephiti
credevano fermamente in un Messia che sarebbe venuto a Gerusalemme ed i loro profeti
avevano stabilito anche la data precisa della sua veuta e della sua morte. Al momento della
Crocifissione un cataclisma distrusse gran parte delle città dei Nephiti, ma al momento della
Resurrezione Cristo comparve ai superstiti, in terra americana, annunciando loro la sua parola e
scegliendo fra loro dodici discepoli che avrebbero ristabilito la sua Chiesa sulla terra. Iniziò così
un’era di prosperità e di pace fra i Nephiti che durò duecento anni. Ai duecento anni di pace
segurono duecento anni di terribili guerre, scatenate dai Lamaniti, che distrussero la civiltà dei
Nephiti e li dispersero. Poco prima della distruzione il generale e profeta nephita Mormon dettò
gli annali del suo popolo che furono conservati da suo figlio Moroni fino all’anno 420 d.C.,
quando furono nascosti in un luogo segreto, per essere ritrovati 400 anni dopo da Joseph Smith.
Pubblicata nel 1830, la traduzione del Libro di Mormon ebbe una rapida diffusione fra i
pionieri americani e divenne la regola della nuova Chiesa fondata da Smith,
successivamente costituitasi in comunità nel libero Stato dello Utah, sul territorio
bonificato del Grande Lago Salato.
Il Memorandum della cancelleria prussiana in risposta a Giuseppe Mazzini
Studiosi autorevoli del XIX secolo hanno attribuito a Giuseppe Mazzini una sorta di
Memorandum spedito nell’aprile 1866 dalla cancelleria prussiana all’ambasciatore
prussiano a Firenze, conte di Usedon. Nel 1866 il patriota genovese era stato
risolutamente contrario all’alleanza dell’Italia con la Prussica, ma aveva cambiato
opinione in seguito alla guerra vittoriosa, dopo che Bismarck aveva “riso in faccia” a
Napoleone III. Nell’autunno 1867 (nel periodo di Mentana) Mazzini aveva quindi
voluto entrare in rapporto con la cancelleria prussiana per chiedere aiuti finanziari e
militari (un milione di franchi e duemila fucili) allo scopo di combattere qualsiasi
possibilità di alleanza franco-italiana. Da Berlino si sarebbe risposto con un
Memorandum segreto diretto allo stesso Mazzini nel quale si motivavano le ragioni
dell’alleanza italo-prussiana. Il Memorandum, considerato autentico da alcuni storici, è
in realtà un evidente falso propagandistico
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