EDUCAR DANZANDO: STORIA DI UNA UTOPIA REALIZZATA Eugenia Casini Ropa Docente di Storia della Danza all’Università di Bologna Il mio intervento di questa mattina ha per titolo “Educar danzando: storia di un’utopia realizzata”. E’ chiaro che in trenta minuti non possiamo fare davvero la storia di questa utopia, ma possiamo probabilmente dare alcuni punti di riferimento, alcune indicazioni di carattere storico, che possono permettere a chi non è un vero specialista dell’argomento, di considerare l’attuale lavoro formativo all’interno di una prospettiva più ampia. Una prospettiva che in realtà ci riporta di colpo all’inizio di questo secolo ormai alla fine, a un momento di svolta analogo a quello che stiamo vivendo nel passaggio tra questo nostro vecchio secolo - siamo ormai nel “secolo scorso” - e il secolo che verrà, per il quale sta a noi gettare i semi che possano fiorire in futuro. Proprio tra la fine del XIX secolo e l’inizio del Novecento si è verificata una svolta fondamentale, importante ed essenziale per il senso culturale, artistico della danza. Una trasformazione epocale, certo non solo dell’idea della danza, ma del mondo delle idee, del pensiero; del mondo dal punto di vista socio-politico, della filosofia, delle scienze. Dal nostro punto di vista però, dato che non ci è possibile tracciare veramente gli eventi storici che si sono succeduti, credo che vadano sottolineati almeno alcuni elementi. Nella piccola introduzione a questo convegno e all’intero progetto si dice che già in altre epoche della storia, la danza ha avuto una grande importanza educativa, e questo è vero. Non vogliamo risalire fino ai Greci, ma se ci fermiamo proprio per un minuto, per esempio, all’epoca rinascimentale, vediamo chiaramente come l’uomo colto di quei tempi vivesse la danza come una delle modalità educative e formative indispensabili. Nel Rinascimento, coloro che venivano formati appartenevano soltanto all’élite dominante, all’élite colta: erano i Principi, erano i Signori, erano i cortigiani; erano quindi una parte minoritaria, ma prevalente e dominante, della società. Proprio in questo ambito, la danza venne usata come elemento di distinzione. Uso questo termine “distinzione” in senso sociologico, cioè come l’insieme di strategie che permettono di distinguere un certo elemento della cultura e della società e quindi di nobilitarlo rispetto a tutto il resto. Quindi, nel Rinascimento, distinzione non significa soltanto essere distinti, essere ben educati, ma sottolinea l’idea di separazione: distinguere un elemento e quindi renderlo evidente e dominante, dargli importanza rispetto al resto. Certo, i cortigiani e le cortigiane venivano addestrati fin dalla più tenera infanzia dai maestri di ballo nella danza, danza che allora era sociale e artistica insieme. La danza di Corte era un modo di autocelebrare la cultura, l’importanza , la preminenza, la distinzione sociale di quella classe e nello stesso tempo era un modo di fare arte, cioè di iscriversi in quel mondo della festa artistica in cui entravano molti altri elementi come la pittura, l’architettura, la musica, l’oratoria, la drammaturgia, ecc. La festa principesca era allora un grande contenitore culturale, che illustrava l’utopia di una società perfetta, sogno rinascimentale. Al suo interno la danza aveva una posizione preminente. Il cortigiano si formava attraverso la danza, imparava ad avere portamento, ad avere prestanza, ad avere agilità, ad avere senso musicale e ritmico, ad essere in qualche modo armonioso secondo quelli che erano gli stilemi, le proposte culturali della sua classe e della sua epoca. La danza, cioè, era estremamente importante da un punto di vista educativo, ma quale elemento finalizzato a costruire un certo tipo di uomo: una persona adulta che doveva possedere precise caratteristiche, predefinite fin dall’inizio. La danza, in questo senso educativo, è stata dunque ampiamente usata in questo periodo; ha poi perduto di valore pedagogico nei periodi successivi, quando la nobiltà ha perduto il suo fervore utopico. Si insegnava sì a danzare il Minuetto o la Gavotta o qualche altra danza per poter bene figurare in società, ma senza che questo contenesse più in sé forti ideali di formazione. Divenendo poi la danza un’arte teatrale, si è per secoli separata abbastanza nettamente dalla danza sociale, dalla danza praticata da tutti. Così col virtuosismo, coll’istruzione specializzata, ha finito per isolarsi e non avere quasi più alcun rapporto coll’idea di educazione generalizzata degli uomini. Chi andava a studiare danza voleva diventare danzatore e imparare a fare le pirouettes e gli altri virtuosismi. Nel sociale, le classi - sempre abbastanza colte e benestanti - imparavano quel po’ di danza di società necessaria per le feste da ballo. Il popolo, da parte sua, ha sempre danzato e lo ha sempre fatto spontaneamente, imparando e tramandando alcuni passi, alcuni movimenti, alcune possibilità ludiche del corpo collegate a particolari qualità musicali. E’ chiaro, naturalmente, che sto parlando della nostra società occidentale, dell’Europa. Altre civiltà hanno avuto storie diverse. Parlando dell’Europa e di quello che ci è accaduto in quest’ultimo secolo, un elemento fondamentale da tener presente, a mio avviso, è la trasformazione che è avvenuta nel pensiero e nel modo di pensare l’uomo. Questa è stata la grande rivoluzione tra l’Otto e il Novecento: è cambiato il modo di pensare l’”Uomo”. Non si pensava più ad un uomo generico, generalizzato, che dovesse essere educato attraverso modalità didatticamente predefinite per ottenere un modello prestabilito. Si è cominciato a pensare all’uomo come individuo e, più tardi, dalla parola individuo si è passati alla parola persona, che oggi noi usiamo abitualmente. Detta così ci sembra quasi una cosa banale; in realtà è stata una rivoluzione enorme, un cambio di visione epocale fondato su una lunga serie di ragioni che non possiamo enumerare tutte, ma alle quali brevemente possiamo accennare. In primo luogo l’evoluzione delle scienze e soprattutto delle scienze umane, le scienze che riguardano l’uomo. Non solo l’anatomia, la fisiologia, la medicina, cioè tutte le scienze che riguardano effettivamente la conoscenza dell’uomo fisico, come rapporto tra l’ossatura e la muscolatura, come rapporto tra i centri nervosi e il movimento e la parola, il pensiero e il movimento, ecc. ecc. Proprio nell’800 e si è cominciato infatti a ragionare in termini scientifici specifici sulla costituzione dell’uomo e di qui, per esempio, in termini igienici, come di educazione della persona, di pulizia, di esercizio, di liberazione da certi tipi di indumenti assolutamente costrittivi e così via. Ma le scienze che maggiormente hanno dato impulso al mutamento sono state le così dette scienze umane, che si sono ampiamente sviluppate. Con scienze umane intendo da un lato quelle generali come l’antropologia, la conoscenza dell’uomo nelle varie culture, le sue modalità di costituzione degli elementi culturali; la sociologia, i rapporti tra gli uomini e i gruppi; persino la politica, perché è proprio nell’800 che nascono, per esempio, tutte le grandi idee sul socialismo. Quindi la rivalutazione di classi considerate assolutamente escluse da qualunque tipo di cultura (e non parliamo poi dell’arte), e l’inizio di una parificazione, una visione di unità sociale, di uguaglianza sociale degli uomini. Ma soprattutto pensiamo alla psicologia, alla psicanalisi, a quelle discipline che, dopo il corpo, hanno scoperto la psiche, l’intelletto, la mente, l’interiorità dell’essere umano, e scoprendola hanno individuato i rapporti, i legami strettissimi che questa interiorità intratteneva con l’esteriorità, con la parte concreta, la parte materiale dell’uomo. Ecco che, immediatamente, si è cominciato a vedere come ciascuno di noi abbia una parte interiore che viene alla luce proprio attraverso la parte esteriore. Spesso pensiamo in termini di opposizione: anima versus corpo. Questo è stato il dettato per secoli e secoli, tramandato soprattutto da certa filosofia neoplatonica e dalle chiese cristiane. Anima invisibile, immortale, superiore; corpo visibile, materiale, corruttibile, fonte di ogni tentazione e peccato. Questo corpo è un peso inutile che trasciniamo nella valle di lacrime, questo corpo da reprimere, a cui non dare voce, da tenere sottomesso, questo corpo che è solo un peso per l’anima, per questo afflato impalpabile che ci domina e ci nobilita. Ma ecco che a questo punto tutto cambia. Le filosofie come quella di Nietzche ci dicono che Dio è morto, che l’anima così come era intesa non esiste. Le scienze ci propongono che tutti gli elementi misteriosi della nostra interiorità possono essere esplorati e, d’altra parte, non possono esistere senza il corpo, di cui sono funzioni. La persona non esiste se non ha il corpo che rivela la sua anima, se ancora la vogliamochiamare così. Quindi non più anima che vive nonostante il corpo e può vivere senza il corpo, ma anima che non può esistere se non si manifesta attraverso il corpo. Il pensiero, la mente, la volontà, l’emozione, che cosa sono di per sé se non c’è il corpo, col suo movimento, la sua espressione, la sua voce, l’articolazione della parola, che li esprima all’esterno? Quindi esiste il corpo, e nel corpo si rivela tutto ciò che internamente vi si agita. Questo è stato uno sconvolgimento totale del punto di vista e da questo punto di vista fondante discendono una serie di corollari che portano acqua al nostro mulino della danza. Se il corpo è l’unico modo per esprimere l’interiorità, il corpo non solo non è una parte ignobile di noi, ma è una parte almeno altrettanto nobile della nostra parte interiore, e forse addirittura più importante. E ancora: se il corpo e la psiche non sono qualcosa di fisso, di prestabilito, di stampato al momento della nostra nascita, ma sono elementi in evoluzione, che possono essere in qualche modo plasmati e modificati dalle circostanze esterne, allora possiamo agire sul corpo per agire contemporaneamente sull’interiorità. Se interno ed esterno sono una cosa unica, organica - oggi si usa la parola olismo: l’individuo è un tutto, è un’unità inscindibile - possiamo agire su uno degli elementi certi di modificare l’altro, perché si influenzano a vicenda, e quindi influendo sul corpo influiamo sull’interiorità e viceversa. Vi dò come punto di riflessione questo: tra i secoli precedenti e il Novecento cambia il modo di rivolgersi alla qualità della persona, dell’individuo e nasce la parola personalità. Non esisteva, prima. Si parlava di carattere, e per carattere si intendeva qualcosa di dato e immutabile, definito; carattere che nasceva con la persona, veniva sviluppato attraverso un certo tipo di educazione e rimaneva tale: il carattere era qualcosa di stampato, indelebile. Con la nuova visione si passa all’idea di personalità. Personalità è invece qualcosa che può essere plasmato, qualcosa che muta con l’età, con le circostanze, con gli ambienti, che si modifica, che si trasforma, che viene impressionato, che viene manipolato. Questo ci dà l’idea di un continuo lavorio, di una sorta di work in progress dell’essere umano, di un flusso all’interno della sua coscienza, dei suoi modi di esistenza che si elabora e si trasforma durante tutta la vita. E quindi di un’idea di educazione che può creare l’ambiente ideale, gli stimoli, le possibilità per mettere in atto processi pedagogici ed educativi che aiutino la formazione della personalità. Ma, venendo più specificamente alla danza, come da questo mutamento di visione si arriva a pensare alla danza, all’utopia della formazione dell’individuo, dell’essere umano attraverso la danza? Guardandolo dal punto di vista che abbiamo esposto, tutti gli esseri umani sono diversi. Abbiamo detto che non si può pensare più a un unico modello di Uomo da perseguire, perché ogni individuo ha le sue caratteristiche interiori ed esteriori strettamente connesse tra loro; se è così, dunque il corpo è indissolubilmente legato alle emozioni: è lo strumento più immediato per esprimere le nostre emozioni . Esprimere: ho cominciato ad usare questa parola senza neppure accorgermene. Questa è un’altra parola novecentesca: esprimere, cioè ex premere, premere fuori da, premere fuori dall’individuo ciò che ha dentro di sé. Non è possibile spremere cento individui tutti allo stesso modo perchè diano lo stesso oggetto. Espressione diventa la parola d’ordine e non solo in teatro. Ma l’espressione avviene soltanto attraverso il corpo e di qui il passo è breve. Allora, se possiamo educare il corpo, portare il corpo all’armonia, alla bellezza, al ritrovamento di qualità sentite come buone perchè naturali, insite, innate, perchè assecondano le modalità anatomiche del movimento del corpo umano e quelle psicofisiche che legano questo movimento all’espressione, se noi riusciamo a formare la persona con modi che tendano alla bellezza e all’armonia, formeremo, educheremo contemporaneamente al corpo anche il sentimento, l’emozione, il pensiero, la volontà. Tutto è cambiato. Prima si pensava: “Tu ti siedi nel banco e io educo la tua mente”. Pensate ad Alfieri: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli”, legato alla sedia. Il corpo non esisteva, esisteva il cervello, esisteva il pensiero: “Io educo la tua mente, educo la tua morale e quindi il tuo atteggiamento intimo. Ti dico le norme, ti do le regole “Io educo il tuo corpo, formo il tuo corpo, lo libero da tutte le costrizioni, lo faccio ritornare alla sua naturalità intrinseca, alle sue leggi, le leggi naturali che guidano il suo movimento”. E per movimento intendo tutto ciò che dicevo, non solo l’effettivo movimento degli arti, ma l’espressione, l’emissione della voce, della parola: tutte manifestazioni che escono dal nostro corpo e che rivelano il nostro io come unicità. “Se io educo tutto questo, allora anche il tuo spirito verrà educato”. Si prospetta così una nuova visione pedagogica globale, l’utopia di cui parla il mio titolo, l’Educar danzando. E dunque, come può essere educato il movimento perché porti alla bellezza, perché porti a un’armonia organica di tutto l’essere umano? Attraverso qualcosa che è ed era sentito come poesia: che cos’è la danza se non la poesia del movimento? La danza sta al nostro camminare e muovere quotidiano come la poesia sta al nostro parlare quotidiano. E’ una sublimazione, un’elevazione metaforica, una simbolizzazione del nostro movimento. Attraverso il ritmo ci porta oltre, ad un livello che non è più quello della mera quotidianità, quello del piatto utilitarismo, del compiere il massimo lavoro con il minimo sforzo. Non si tratta più di usare il corpo semplicemente a fini lavorativi, tecnici o utilitari, ma di usarlo in maniera espressiva, consapevoli dell’ombra di significazione che porta con sé. Il nostro movimento non è più fine a se stesso; comincia ad esserci in noi la consapevolezza che possiede un’ombra, qualcosa che va al di là, che agisce in una dimensione che non conosciamo e che trasmette a chi guarda qualcosa di più. E’ un fenomeno che tecnicamente è stato chiamato metacinetica o metacinesi, cioè la proprietà del movimento di rimandare all’emozione, al sentimento, al pensiero che l’ha generato. Se intendiamo il movimento del corpo dell’essere umano, inteso come persona nella sua totalità e nella sua completezza, come derivato da questa totalità , ecco che il movimento non è più fine a se stesso, ma porta con sé la totalità, comunica a chi lo vede e suscita in lui l’impulso che l’ha mosso in partenza interiormente. Io sento che un certo movimento che vedo, mi comunica timore, ansia , paura, angoscia, felicità, gioia. Perché? Non è altro che un movimento, non è altro che una persona che si muove. Eppure dietro questo movimento, dietro il movimento espressivo e poetico, dietro il movimento che ha l’ombra in sé, c’è la personalità, c’è la persona, c’è la sua particolare interiorità che in esso viene espressa. Da questa idea nasce da un lato tutta la visione artistica della danza moderna e contemporanea di questo secolo, e dall’altro, nei primi trent’anni del secolo, nasce una consistente corrente pedagogica diffusa soprattutto in Europa nei paesi di lingua tedesca e negli Stati Uniti - di educazione attraverso la danza, attraverso il movimento, attraverso la liberazione del corpo dagli stereotipi, la riacquisizione dei legami potenziali del corpo con l’interiorità e l’armonizzazione di questa unione riscoperta attraverso il ritmo e la danza. Ritmo è un’altra parola d’ordine di inizio secolo. Il ritmo, infatti, viene sentito ora come il legame dell’essere umano con l’Universo, con tutte le cose del mondo nelle quali il ritmo esiste dalle origini: tutto è ritmico intorno a noi, il ciclo delle stagioni, il sole, la luna, le maree, i flussi del nostro corpo, il sangue, il battito del cuore, il respiro, tutto è ritmo. Ricollegarsi a questi ritmi che sono sentiti come originari e quindi come puri, come ambiti da cui poter ricominciare una nuova acculturazione del corpo-mente, è ricostruire l’individuo, l’uomo, la persona su basi antiche e nuove allo stesso tempo. Ridargli la possibilità di gestire il proprio esistere nel mondo in un modo totalmente diverso, cambiare la qualità della vita. Le scuole sono state molte e diverse (qui non abbiamo il tempo di indicare effettivamente gli sviluppi di questi principi generali). Sappiamo che due grandi scuole e due pensieri abbastanza divergenti di educazione su queste basi sono stati quelli di Jaques-Dalcroze e di Rudolf Laban. L’uno fondava sul ritmo musicale - ritmo della musica, quindi ritmo già predisposto attraverso un’arte dell’uomo - la armonizzazione dell’essere umano; l’altro, invece, partiva dai ritmi insiti nell’uomo stesso, il battito del cuore, il respiro, la forma delle membra che determinano certi ritmi corporei, e così via, per raggiungere un analogo fine. Da allora molti hanno perseguito la finalità pedagogica di inserire armoniosamente il bambino, la persona, l’essere umano nel suo spazio fisico (e mentale) attraverso un corpo pensante che abbia riacquistato e usi con sensibilità tutti gli elementi che gli sono propri: il peso, l’energia, la coscienza del tempo e la coscienza dello spazio in cui muoversi e in cui agire. Nei primi trent’anni del secolo si è fondata un’utopia, un’utopia che é stata forse in alcuni momenti realizzata, anche se in brevi sacche, anche se per piccoli gruppi, zone di sperimentazione in cui si è visto come davvero potesse essere fatto crescere un bambino con una qualità diversa della sua vita psicofisica. Oggigiorno siamo di fronte a una nuova svolta. Oggigiorno siamo di fronte a minacce diverse. Se all’inizio del secolo la minaccia era l’industrializzazione, le macchine che spegnevano la poesia nel mondo, oggi è il momento della virtualità, dei computer che impongono sempre maggior lavoro al nostro cervello e immobilizzano il corpo. Ci offrono sensazioni, viaggi, possibilità virtuali, dove cioè il nostro corpo non ha bisogno di agire: le cose ci vengono fatte sentire attraverso la mente. Diventeremo forse dei grandi testoni con dei piccoli corpicini seduti su una sedia e potremo danzare solo attraverso nostri simulacri che si muovono sugli schermi, mossi dalla nostra volontà, dal nostro pensiero? Certo queste sono visioni fantascientifiche e apocalittiche! Noi siamo invece molto equilibrati, ma dobbiamo lavorare perché quel pensiero così forte ottant’anni fa di una educazione, di una formazione attraverso il movimento e attraverso la danza, oggi non vada perduto. Rivisto, ripensato nel nostro tempo, con i nostri nuovi problemi e i nostri nuovi bisogni, va recuperato e messo in pratica con entusiasmo. Se è un utopia, beh, evviva l’utopia. LA DANZA: UNA POETICA Françoise Dupuy Direttrice del Dipartimento Pedagogico al Centro Nazionale della Danza di Parigi Riassumendo le mie idee su quello che avevo voglia di trasmettervi oggi, mi sono resa conto che malgrado i molti anni passati, rimango sempre fedele agli stessi obiettivi, obiettivi che ho seguito sia come danzatrice - per molto tempo - sia come insegnante e coreografa in seguito. Per me la danza non è solamente ludica, non è solamente abilità fisica, non è solamente rieducativa. Ho scelto queste tre parole perché quando ho cominciato ad insegnare, nella mia esperienza ho sentito spesso definire la danza o come ludica o come abilità fisica o come rieducativa, e mi “uscivano gli artigli”, perché non è soltanto questo. Nel 1960 in Francia tutti utilizzavano la danza per questo, ma non la danza per la danza. Allora mi sono posta una domanda, la domanda che tutti ci stiamo ponendo tuttora: perché gli uomini abbiano sempre danzato e perché la danza sia un’espressione innata del bambino, e mi sono ricordata di un proverbio greco: “Chi non sa danzare non sta bene nella propria vita”. Vorrei leggere un breve brano di un testo di Paul Valerie, tratto non da “L’anima e la danza” ma da “La Filosofia della Danza”; solo un piccolo pezzo, ma il brano intero è molto bello e vi consiglio di leggerlo. “La danza non si limita ad essere un esercizio, un divertimento, un’arte ornamentale o talvolta un gioco di società. E’ una cosa seria e per certi aspetti una cosa molto venerabile. In tutte le epoche chi ha capito il corpo umano e chi ha provato il sentimento del mistero dell’ organizzazione del movimento, delle sue risorse, dei suoi limiti, delle sue combinazioni di energia e di sensibilità, ha coltivato e venerato la danza. E’ un’arte fondamentale, come la sua universalità, la sua antichità, l’uso solenne che se ne è fatto, le idee e le riflessioni che ha sempre generato, lo suggeriscono e lo provano. La danza è un’arte che viene tratta dalla vita stessa, che è solo un’azione dell’insieme del corpo umano, ma azione trasportata in un mondo, in uno spazio-tempo che non è esattamente lo stesso di quello della vita pratica di tutti i giorni.” Ecco, per me questa è la definizione della danza. Più oltre Verlaine dice: “Riceviamo troppa energia, troppe sensazioni dal mondo esterno e anche da quello interno che non utilizziamo nella vita di tutti i giorni. Se avessimo la padronanza e se sviluppassimo queste energie, queste sensazioni, potremmo trascendere le regole che sembrano essere l’ordinarietà della vita”. Penso che possiamo capire da questi scritti che la danza è sicuramente un’indispensabile via d’uscita che permette di liberarsi di ciò che abbiamo dentro di noi per lasciare uscire l’accumulazione di forze che sono dentro di noi. Questo è il genere di danza che è stata praticata nei secoli, che ci fa vibrare in comune - è molto importante, in comune... - E’ una forza che ci attraversa: quando vediamo le danze etniche, le danze popolari vediamo che nei corpi delle persone che danzano insieme, ed in ogni corpo, c’è una forza che l’attraversa che per me significa la nostra appartenenza al mondo. Noi siamo presenti nel mondo con questa forza. Attualmente, sfortunatamente, questa forza spesso si riduce a quello che chiamerei un “trépignement solitaire” (calpestio solitario). Non siamo più in presenza di forze positive, bensì negative. Esiste quindi questa qualità di forza, di energia che la danza permette di liberare, ma la danza può essere anche altre cose e dare altre cose. Può rendere leggibile questa rete sensoriale che il movimento prende e libera nello stesso tempo; la danza è un continuo scambio. E allora diventa una appartenenza al mondo, questa volta cosciente, sensibile e deliberata, ma non sempre sfortunatamente dovrebbe esserlo ma non lo è sempre - sono i danzatori che dovrebbero essere portatori di questo, perché sono loro che sono non solo depositari di questa energia vitale, ma anche della poetica della danza, che ci permette di esaltare l’imponderabile. E' il corpo del danzatore, e in questo il bambino e l'artista si incontrano, che esprime questo imponderabile. Come ha detto prima Eugenia, tutto quello che è dentro di noi si esprime attraverso il corpo ed è il corpo il materiale poetico della danza; penso che abbiate capito che non si tratta di aggiungere un'espressione sopra al movimento, ma che è il movimento stesso che è espressione. Se vi parlo di questo è perché su queste basi si è costruita all'inizio la danza contemporanea, come tutte le arti all'inizio di questo secolo. Ve ne parlo perché questo è il mio lavoro ed è la forma di danza che io ho praticato ed è attraverso queste idee che sono arrivata ad una certa pedagogia della danza sia nella scuola di danza sia nella danza nella scuola. La danza contemporanea di cui parlo, che è la mia danza - anche se ci sono altre forme di danza che pur non seguendo lo stesso percorso conducono ugualmente al sublime - ma questo tipo di danza non si può costruire a partire da convenzioni formali; non può e non deve stabilire convenzioni formali che corrisponderebbero ad un'epoca, una civilizzazione precisa, perché si perpetui immutabile e inamovibile: no! Per me non è questa la danza! Non è un insieme di passi, di atteggiamenti e di movimenti prestabiliti; ma deve dare la possibilità di passi, di atteggiamenti, di movimenti in divenire. Si appoggia, quindi, sul piano tecnico, su ciò che sta prima di un passo o di un atteggiamento - soprattutto prima di un passo - e deve conservare nella sua pedagogia il senso di ciò che nell'arte contemporanea era stato chiamato Gestaltung, la messa in forma - non forma, ma messa in forma per arrivare alla forma. Non vado certo ad enumerare tutti i materiali che permettono questa messa in forma. In tutti i casi penso che voi li conosciate: lo spazio, il peso, il tempo, la dinamica, la gravità,la qualità, ecc. Quello che è importante è il modo con cui ci si avvicina a questi materiali primari e si ricerca la loro essenza e l'infinita ricchezza d'uso. Senza mai cedere alla tentazione di fissarli in caselle predefinite. L'insegnante, così come l'allievo, deve essere sempre sul chi va là nel ricercare, nell'ascoltarsi, nello sperimentare, nell'inventare. La danza è uno scambio e la pedagogia è uno scambio. A questo proposito vorrei dire che ci sono diversi punti sul piano pedagogico dei quali vorrei parlare, in particolare dopo l'istituzione in Francia del Diploma di Stato. Penso che sia importante che io spieghi cos'è, perché ha delle implicazioni importanti sul piano pedagogico e dopo parlerò della danza nella scuola. Dopo molte difficoltà, visto che la discussione è cominciata già nel 1965 - questo è per darvi coraggio... - e siamo arrivati al diploma nel 1989, è un diploma obbligatorio per il classico, il jazz ed il contemporaneo. E' stato molto difficile stendere il testo dal punto di vista pedagogico; abbiamo fatto moltissime riunioni tutti insieme per armonizzare i nostri diversi modi di fare. Abbiamo cercato di stendere dei testi - parlo sempre e solo dell'aspetto pedagogico - che indicassero a grandi linee quello che bisognerebbe offrire agli allievi e ottenere da loro , ma il modo di fare, i metodi e le pratiche sono lasciate alle diverse alla personalità e anche alle diverse discipline. Il vantaggio di questa discussione insieme è che ci ha permesso di vedere che quello che faceva un altro era forse più proficuo di ciò che uno faceva da sé. Così , invece di mantenere le separazioni esistenti, abbiamo avviato degli scambi e dei confronti. Nella scuola che dirigo - Centre National de la Danse proponiamo contemporaneamente una formazione di classico, jazz e contemporaneo, insieme e nello stesso tempo. C'è inoltre una comprensione e una conoscenza degli altri molto importante, soprattutto per le discipline applicate dai 4 agli 8 anni , che sono chiamate risveglio (4-6 anni) e iniziazione (6-8) alla danza. Solamente a partire dagli 8 anni si propone la tecnica; resta sottinteso che le età sono indicative. Tutti sapete che ci sono bambini che a 7 anni hanno la maturità degli 8 anni e altri ancora che hanno quella dei 6 anni: i bambini non hanno tutti lo stesso sviluppo, è compito dell'insegnante percepirlo e adeguarvisi. Questo ci ha permesso di lavorare molto a livello risveglio - iniziazione, ma il grosso problema che tutti i danzatori, futuri insegnanti, incontrano con questa fascia d'età, è l'invenzione, poter dirigere un laboratorio, poter proporre delle idee che possano far scatenare nel bambino delle proposte e che scatenino in lui una voglia di danzare e fare lui stesso delle proposte. Saperle cogliere e svilupparle, è la cosa più difficile, anche per i danzatori contemporanei - che dovrebbero essere abituati all'invenzione, ma non è vero, non in Francia, non più adesso.Perché c'è stato un tale bisogno di sviluppo tecnico, una tale proliferazione di corsi tecnici che oggi mi capita di tenere laboratori e nessuno è capace di muoversi da solo. Personalmente, penso che questo problema del laboratorio della capacità di inventare sia nel separare troppo l'aspetto tecnico da quello creativo; no! penso che in tutti i casi durante i primi anni dedicati alla tecnica bisogna che ci siano sempre un po' di proposte e d'invenzione del bambino perché lui conservi la spontaneità della sua danza. Non bisogna assolutamente separarle se non molto più tardi e allora fare dei veri laboratori di composizione, creazione ecc., ma solo più tardi: prima bisogna salvaguardare questa qualità di sapere inventare, inventare e ancora inventare. Il grande rischio del Diploma di Stato è di fare una danza di Stato. Ora vi parlerò della danza nella scuola, della nostra esperienza in Francia. Nell '84, il direttore della Musica e della Danza, Monsieur Maurice Fleuré mi ha chiesto di venire al Ministero per occuparmi sia di introdurre la danza contemporanea in forma ufficiale, sia di avere rapporti con il Ministero dell'Educazione Nazionale. Abbiamo lavorato su due livelli, per la scuola, per l'educazione nazionale, e per l'università. Ci sono state molte discussioni, molto lavoro e credo nel 1988 ci sono stati dei documenti comuni tra i due Ministeri sull'insegnamento artistico nei quali la danza - miracolo - è stata citata. Così abbiamo potuto istituire una Laurea Breve e una Laurea di Danza in modo ufficiale all'università e avevamo uno sviluppo già molto consistente di interventi di danza nella scuola, già dal 1984. La filosofia del nostro intervento nella scuola è di permettere ai danzatori e agli insegnanti di conoscersi, di saper lavorare insieme per creare quelli che in Francia si chiamano Progetti della Scuola. A tutt'oggi non è ancora mai stato affrontato il problema di creare dei professori di danza per la scuola; il problema è di aprire la scuola agli artisti, danzatori o coreografi. E' sottinteso che questi danzatori e coreografi hanno avuto una formazione specifica per poter entrare nella scuola, portare nella scuola la loro competenza, che dev'essere complementare a quella degli insegnanti. Abbiamo cominciato con degli stage nazionali finanziati da entrambi i Ministeri, a livello molto alto con danzatori professionisti di grandi compagnie e dei consiglieri pedagogici di ogni dipartimento e regionali; sono stages di tre settimane, nei quali c'è scambio, lavoro, riflessione, sperimentazione che permettono di chiarirsi e di fare proposte precise su quello che si può fare con i bambini a scuola. Abbiamo avuto anche molti scambi con altri artisti, scultori, pittori, musicisti e l'idea di fondo è che non esiste una danza per la scuola, ma bisogna sapere apprendere, osservare tutte le danze, vedere dove si assomigliano, dove si incontrano e dove si separano, ed ecco perché abbiamo sia classico, sia jazz, contemporaneo, popolare e ora anche hip-hop: non ci sono frontiere, perché abbiamo in Francia bambini che sono in contatto con tante realtà. Cerchiamo di mostrare al bambino che la danza che loro conoscono, quella che vedono per strada o alla televisione o non so, nei loro giochi o a uno spettacolo, è una danza che ha delle qualità che hanno però anche altri tipi di danza e che si può metterle insieme e condividerle: la chiamiamo la danza interculturale. Avviciniamo la danza come una poetica del linguaggio del corpo con i bambini. A scuola impariamo a parlare, leggiamo delle poesie e possiamo anche danzare e saper guardare una danza poetica. Volevo aggiungere che la nostra idea è che debbano essere i danzatori e i coreografi ad entrare nella scuola - e posso citare dei coreografi molto noti: per esempio lo stesso Dominique Bagouet, o dei famosi danzatori de l'Opéra - la nostra idea deriva dal fatto di pensare a delle azioni precise, definite ma forti. Una di queste è che le municipalità e i comuni dovrebbero creare delle scuole di danza in modo tale che il bambino che vuol fare veramente della danza possa andare poi alla scuola municipale. IL CORPO NELLA SCUOLA Joana Lopes Docente di Educazione attraverso la danza all’Università di Campinas - Brasile Ho scelto un titolo per la mia relazione che penso possa esprimere molto bene quello che penso. Evidentemente non parlerò del punto di vista della Scuola: non voglio. La scuola come istituzione, la scuola come qualche cosa di molto concreto con tutte le sue convenzioni. Non è questo punto di vista che devo esplorare. Io voglio esplorare la danza in quanto danza. La visione che ho della danza come vivezza educativa. Per cominciare voglio fare un piccolissimo volo sulla attualità dell’insegnamento della danza in Brasile. Dobbiamo parlare dell’insegnamento della danza in Brasile a tre livelli: ciò che avviene nella scuola per bambini e adolescenti (pubblica e privata); nelle accademie di danza classica (pubbliche e private) e nei laboratori di danza contemporanea (privati sempre); nei corsi universitari di danza (università pubblica) cui io appartengo. Nella educazione infantile (scuola materna), di base (elementare) e media l’insegnamento della danza non aveva spazio nel programma curriculare ufficiale, nonostante alcune scuole, generalmente private, facessero progetti individuali. Quello che esisteva in Brasile in termini di arte nella scuola era una confusa area denominata “educazione artistica” in generale offerta da professori con formazione polivalente (universitaria) con abilitazione in aree specifiche: musica, arti plastiche e arte scenica. Questa realtà era stata prodotta nell’anno 1972 con la legge n°5692, una famosa legge per l’educazione nazionale, sugli orientamenti di base dell’educazione, promulgata dal governo militare, dal governo della dittatura. E’ stato il governo militare che ha introdotto l’arte nella scuola. Questo è un paradosso...Questo governo architettò un triangolo per il proprio sostegno ideologico nella scuola formato da: educazione fisica, educazione artistica e educazione morale e civica. Questo è stato veramente il triangolo ideologico. La realtà di cui parlo si modificò, e si sta modificando, con la pubblicazione della nuova legge per gli orientamenti di base dell’educazione nazionale, che prevede l’insegnamento dell’arte nella scuola, aprendo spazi per le arti sceniche (teatro e danza) a livello di laurea e abilitazione (corsi universitari). L’insegnamento della danza diviene ufficiale fino alla fine dell’insegnamento dell’obbligo. Qual è l’insegnamento della danza previsto? E’ stata formata una commissione per discutere l’inclusione della danza in un più vasto programma di educazione i cui vettori pedagogici sono chiamati paradigmi, basato sulla filosofia del costruttivismo nell’educazione. Vale a dire che le scuole hanno autonomia per realizzare i loro programmi secondo gli interessi e le realtà locali. Pertanto non esiste un programma unitario omogeneo di educazione per il Paese, ma la diffusione di quei principi organizzati in un programma minimo che il governo definisce adeguato alle necessità dello sviluppo brasiliano volto al neoliberalismo e alla globalizzazione, ossia a una modificazione radicale della organizzazione del lavoro. La danza, in questo contesto, viene insegnata da professori specialisti a contratto, con studi universitari inerenti, laurea e abilitazione. La laurea in danza esiste nell’Università di Campinas, nell’Università di Rio de Janeiro, nell’Università di Bahia e nell’Università di Paranà. Questi corsi, di durata quadriennale, sono essenzialmente di pratica della danza pur inglobando discipline scientifiche. All’Università di Stato di Campinas il nostro programma comprende le seguenti discipline: anatomia, cinesiologia, psicologia del movimento, metodologia della ricerca, antropologia, storia dell’arte e della danza, studi brasiliani (in passato “educazione morale e civica”). Dall’altro, le discipline specifiche della danza formano un campo di creazione e studio del movimento dividendosi in: tecnica classica, danza brasiliana, danza moderna, tecniche corporali orientali, tecniche circensi, movimento ed espressione, fondamenti della danza I e II, improvvisazione I e II, musica ed elementi di scenografia. L’abilitazione è sotto la responsabilità della Facoltà di Educazione, comprendendo le seguenti discipline: struttura e funzionamento della scuola, psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza, psicologia e apprendimento, didattica applicata all’insegnamento della danza, pratica dell’insegnamento e tirocinio supervisionato I e II. I professori specialisti che escono da questi corsi insegneranno danza nelle scuole, benchè la danza non sia considerata altro che una disciplina in più nel curriculum scolastico. Il programma realizzato dalla commissione che ha studiato l’argomento si rivolge con maggior impegno alla coscienza corporea e meno alla danza come creazione poetica. Così, l’educazione attraverso la danza introduce nella scuola una enfasi sulla psicomotricità, la coscienza corporea, il movimento di gruppo, benchè la danza come tale sia forte e presente nella cultura brasiliana a tutti i livelli sociali, sia nella cultura urbana che in quella rurale. Con tutto ciò speriamo che il programma elaborato dal ministero permetta alla danza di manifestarsi, rispettando l’opzione di ciascuna scuola - e secondo me questo è un punto positivo. Forse una scuola riuscirà a scegliere ed utilizzare questa disciplina danza non esattamente come è stato stabilito dal programma minimo del governo, ma sviluppando più la danza come danza. Indubbiamente in Brasile oggi c’è questa apertura; non è una situazione così chiusa: c’è apertura. Esistono molte giustificazioni per l’esistenza della danza nella scuola. Posso trovare giustificazioni dal punto di vista della storia dell’arte, della pedagogia, della psico pedagogia del movimento, della linguistica, della crescita e dello sviluppo fisico e mentale: tutto questo può stare all’interno dell’atto del danzare e interferire sul corpo che danza. Se parlo di corpo che danza, è necessario che si riconosca il corpo che sta nella scuola. La lettura che faccio del corpo nella scuola mostra un non corpo e, in forma generale, una pedagogia che nega la conoscenza sensibile. Del resto, dal punto di vista disciplinare, talvolta l’elemento più cogente del corpo nella scuola si manifesta anche attraverso richiami a un ordine definito. Ho selezionato alcuni esempi di ciò che ho appena affermato: A voce sempre alta, una professoressa che occupa quasi sempre il centro della scena davanti ai suoi alunni (pubblico permanente) dice: Non voltarti indietro! - Nella danza recuperiamo lo spazio che esiste dietro di noi e poco a poco l’alunno perde la paura dello spazio posteriore - quello che non si vede e però si sente. Non guardare di fianco! - Nella danza il nostro sguardo deve accompagnare il movimento che si inscrive nello spazio e semplicemente tracciare una linea in sviluppo nello spazio. Non nascondere le mani in grembo! Smetti di muovere i piedi! - Per noi, nella danza, mani e piedi sono elementi di percezione del peso e del volume nello spazio e aprono il cammino, disegnano e sono anche elementi per sostenerci come ali. Smetti di girare in tondo! Non correre! Non sbattere nella sedia! Non alzare la voce! Potremmo scrivere pagine e pagine con frasi del genere che rivelano una educazione per un non corpo. Allora, è in questo contesto che si discute la danza. Osserviamo che questo tipo di comportamento istituzionale e scolare produce un risultato contrario. All’inverso: quando gli scolari lasciano l’aula e trovano un piccolo lasso di tempo e uno spazio per muoversi come esseri umani, generalmente si perdono, come succede con un passero imprigionato in una gabbia quando gli si apre la porta e lui si dibatte nello spazio, correndo il rischio di farsi male perché non sa utilizzare la sua capacità di movimento. La danza in questo contesto non avrà solo un carattere psicopedagogico, ma - soprattutto costituirà un’opportunità di introduzione della conoscenza sensibile del corpo in quanto realizzazione di un discorso poetico, perché così è: la danza è un linguaggio. Oggi si capisce che anche la matematica è un linguaggio. Allora, la danza a scuola non è una disciplina minore; è grande come la matematica, come la fisica, come le altre discipline che portano condizioni di lavoro. Allora, anche la danza porta questo: migliori condizioni di vita, migliori condizioni di essere allievo, ma anche di essere maestro. La mia partecipazione alla giornata di studio si riassume nell’affermare alcuni principi senza, per ora, discutere di pratiche didattiche. Questo perché, avendo come pratica la mia esperienza brasiliana, non potrei osare di trasmettere regole normative per l’insegnamento della danza qui. La pedagogia della formazione attraverso l’esperienza insegna che niente sostituisce la danza stessa nella preparazione dell’atto del danzare, conoscenza che si dà attraverso la sensibilità e non attraverso il processo di decodificazione intellettuale. Io ti racconto una storia e tu mi riproduci questa storia. Questo passa per il codice intellettuale stabilito dall’esperienza e dalla sensibilità dell’altro, ma la danza è la possibilità d’invenzione; la danza è la possibilità di aprire ad altre convinzioni e di discutere la propria convinzione. E questo fa paura: perché tutto quello che accade che non è fra le nostre abitudini fa paura. Non c’è niente da fare per questo: bisogna affrontare la paura e scegliere una forma intelligente di dialogo e di discussione con la scuola sull’esistenza della danza, perché la scuola deve riconoscere la danza. Non è che posso far finta di fare la danza per arrivare un giorno ad andare veramente a danza. Debbo affrontare le paure, perché non c’è mezza danza. Quando si dice a una donna:”Ma tu sei incinta?” E lei ti dice:”Più o meno” questo non esiste: o si danza o non si danza; o si sta incinta o non si sta. Così come non posso dire:”Sono più o meno incinta”, non posso dire “Faccio più o meno la danza nella scuola. Un po’ d’esercizi di psicomotricità, un po’ della psicopedagogia del movimento...” Posso dire:”Faccio della danza - non faccio della danza”. Questa è una scelta, non è un obbligo. Così danzare e sperimentare la danza è organizzare lo spazio per il movimento dentro e fuori del corpo; dare al disegno del movimento un ritmo che determinerà un flusso di energia. Abbiamo dei bambini che hanno un flusso di energia così grande, violento, con alti e bassi ed è importante per un maestro capire il flusso di energia del suo bambino per imparare a dialogare con lui. Abbiamo in questa sala una quantità enorme di energie diverse: io guardo la gente, ma non posso guardare la gente nello stesso modo: ognuno di voi ha un viso, esiste come tale, non è una massa , esiste. Invece la maestra, quando guarda la sua classe, forse vede tutta la gente con la stessa forma, è una massa così, grigia. Nella danza c’è questa possibilità, di dare ad un bambino l’occasione di dire.”Signora per favore guardami! Guarda i miei occhi; vedi cosa sto facendo io”. Significa stabilire un dialogo e non un monologo di oppressione. Perché la scuola, non importa di che paese, come istituzione universale , è più o meno uguale in tutto il mondo, finisce sempre col dire:”Io devo formare per il lavoro. Io devo formare la gente per affrontare una professione”. Ma come affrontare questa professione? L’esperienza come fondamento della formazione - l’esperienza diretta non come una parola in più,ma come metodo, veramente come un’attitudine di lavoro. Per me esperienza non è una parola vuota, perché io vengo dall’arte, io vengo dalla danza, io vengo dalla conoscenza sensibile. Così so bene che “esperienza” non è una parola in più: è qualcosa che mi aiuta a vivere, a fare la mia lezione. Allora, l’esperienza come fondamento della formazione vuol dire che diamo agli altri l’opportunità di integrare la conoscenza, riservandoci - come orientatori - soltanto il ruolo di offrire elementi di danza da esplorare. Quel primo livello di cui ha parlato Françoise Dupuy, quel livello che non è tecnico, è dell’esperienza come elemento fondante, l’esperienza con lo spazio, con il movimento, col muoversi, col fare relazioni tra le cose. Questa affermazione ci rimanda al pensiero pedagogico di Paulo Freire, utile non soltanto nel processo di alfabetizzazione della lingua parlata e scritta, ma che è diventato per me, che sono stata al suo fianco per anni anni e anni, come artista, non come pedagogista - è divenuto per me essenziale nella trasmissione degli stimoli didattici per l’atto del danzare, considerando il movimento come contenuto della danza. Il nostro corpo, il corpo del bambino legge il mondo (espressione freyriana) ed è letto da esso,essendo l’atto del danzare un testo impresso nel corpo e dal corpo. Corpo altro, diverso da quello che si muove con uno sforzo quotidiano, però organico come quello: voglio dire, funzioni ampliate degli apparati respiratorio, locomotorio e di sostegno nello spazio. Quando dico leggere il mondo e leggere il corpo, dico anche implicitamente percepirlo nella sua interezza, totalità, perché sarà la totalità con la quale danzerò: non danzo solo con i piedi per terra e le braccia in aria, poiché l’addestramento del corpo nella danza passa attraverso la percezione delle relazioni che esistono tra, per esempio, guardare e camminare - vedere e muoversi - in tutte le direzioni, altezza e profondità; ossia con la percezione non usuale del volume del corpo. La danza cambia, la danza come linguaggio poetico, c’è questa possibilità di dare all’altro una percezione diversa del peso; di lavorare su questo peso. Io posso prendere questo bicchiere, così leggermente per prendere l’acqua nel mio gesto quotidiano, però se faccio una danza questo bicchiere si trasforma in un’altra cosa che devo esprimere. Così il suo peso si altera, e si va ad alterare il mio movimento per prenderlo. Così lo stesso gesto tra virgolette quotidiano acquista un altro peso perché ha acquistato un’altra intenzione. Lo spazio. “Stiamo con lo spazio e non solo nello spazio” dico io agli orientandi, cercando con questo - e riuscendoci a volte - di far percepire loro lo spazio come una massa, invisibile ma presente, che deve essere utilizzata per ottenere qualità differenti di movimento: quindi non sarà semplicemente comprovare l’esistenza della capacità di spostarsi, ma muoversi con una determinata qualità scelta e dare al corpo autonomia di scelta, di peso, di tempo, velocità, flusso di energia. Ecco alcuni appunti su un utilizzo scolastico della danza come articolatrice di conoscenza conoscenza sensibile, che non va al di là o contro la conoscenza intellettuale, l’operazione astratta più complicata del nostro cervello. Io penso che tutto questo vada insieme. Una volta si utilizza una conoscenza di un tipo, un’altra la conoscenza di altro tipo, però tutto sta all’interno della nostra esperienza, deve essere all’interno di essa. Rudolf Laban costruì un metodo di analisi del movimento lasciandoci una codificazione simbolica con avvicinamento alla realtà fisica, che ci permette di pensare all’insegnamento della danza considerando il movimento come il contenuto della danza, pertanto dandole l’autonomia che può avere, spezzando la dipendenza dalla musica, “questa arte maggiore che sottomette quella, arte minore”. La danza per esistere ha bisogno di una sola cosa: essere un disegno ritmico nello spazio tracciato dal corpo, per il corpo, con tutto il possibile movimento umano. Solo! Ho bisogno di addestrarmi per essa, come fanno anche le persone che partecipano alle danze popolari dalla più tenera età, individuando i movimenti che la compongono sostanzialmente, per poterla colorire, anche se per questo non uso la musica, ma sottolineo il ritmo che esiste nel movimento stesso. Per esempio, quando vedo qualcuno danzare il samba, anche se non sento la musica sento il ritmo dettato dalla armonia del movimento. Non sento la melodia, però posso vedere l’armonia attraverso il movimento. Come altro esempio, posso citare la danzatrice colta Susanne Linke: vedendola in una dimostrazione qui a Bologna durante una giornata di studio de “L’ombra dei maestri”, sentivo con chiarezza la musica interna ai movimenti che eseguiva: a volte delicate sonorità, a volte forti e aggressive vibrazioni sonore: si tratta del corpo come materia poetica. Il discorso corporeo include la danza come linguaggio, è così che la comprendeva Rudolf Laban, che ha ideato un codice di notazione di questo linguaggio, per questo linguaggio, per l’analisi del movimento: una scrittura. Tuttavia, si possono utilizzare forme minori e particolari di notazioni - per esempio abbiamo fatto nel laboratorio un testo di danza con la sua esperienza; questo testo è uscito dall’esperienza del gruppo, è uscito dallo studio della dinamica del gruppo, dall’analisi del movimento, così possiamo vedere le dinamiche diverse. Questa non è Labanotation, è semplicemente una forma minore, perché non è così universale come quella, non è specializzata come la Labanotation, ma è una notazione poetica, la notazione del linguaggio poetico del gruppo (mostra quattro esempi). Io come ballerina posso leggerlo e capire il disegno, il ritmo del disegno. Il movimento come contenuto della danza è la chiave per comprendere la sua funzione educativa nel quadro della formazione generale. L’educazione del movimento nell’atto del danzare deve mobilitare i nostri sforzi pedagogici mirando alla creazione della danza personale ed escludendo la danza di stile e le sue tecniche conseguenti. L’educazione attraverso la danza passa per due versanti pedagogici, due concetti esplorati da Paulo Freire: rivelare e svelare; pertanto l’insegnamento tradizionale si trasformerà nell’aiutare l’altro a rivelare a se stesso il proprio corpo in movimento e a svelare la propria condizione di “creatoreartista”. Veder così l’insegnamento della danza ridefinisce, nel quadro dell’educazione generale, le figure tradizionali dell’alunno e del professore e cioè questo sa e quello no. Questo è un grave problema per la danza nella scuola, perché va a rompere un principio d’autorità stabilita: io lo so, ma tu non sai niente; allora io sono qui per insegnarti, e basta. La danza non è così: tu sai, anche io so. Andiamo a fare un dialogo per percepire qual è questo modo, qual’è la conoscenza sensibile. Si cambia veramente il ruolo di alunno perché invece di alunno, semplicemente alunno, davanti a noi avremo un interlocutore e non soltanto un allievo. Certamente stiamo parlando di un processo di scoperta dell’integrazione delle conoscenze dell’alunno e di trasgressione della norma scolastica tradizionale. La presenza dell’arte nella scuola non può darsi con lo stesso procedimento che Paulo Freire chiama educazione bancaria, ossia la semplice trasmissione di informazioni e la richiesta che l’alunno le ripeta come sono state trasmesse. La danza nella formazione è, a mio vedere, un lavoro di creazione sperimentale, il che non vuol dire conduzione aleatoria e disprezzo per i risultati. No, sperimentare non è questo. La connotazione che do a “sperimentale” riafferma i due concetti di Freire - rivelare e svelare - attraverso la conoscenza sensibile; non sarà parlare della danza, ma fare la danza. Essa non deve, senza dubbio, essere confusa con altre attività corporee, come lo sport, la ginnastica, la terapia motoria, la psicomotricità, l’educazione musicale, poiché possiede una autonomia come linguaggio e pertanto ha la sua sintassi e la sua grammatica, struttura che si definisce in ogni danza realizzata, benché universalmente alcuni principi rivelati dai maestri precursori della danza moderna siano lì come strumenti fondamentali per questa educazione. Parlo di alcune leggi che governano il movimento espressivo avendo come base il principio di opposizione e successione dei movimenti nelle loro caratteristiche statiche o dinamiche.Conoscere queste leggi, interessarsi ad esse, analizzarle,costruire metodi di ricerca, tendere all’applicazione nella coreografia - campo di creatività nella danza - è certamente un impegno per tutti coloro che si dedicano allo studio della danza come campo di conoscenza specifica, articolato con altri campi di conoscenza, per allargare ogni volta di più la presenza della danza nella cultura. QUANDO LA DANZA DIVENTA EDUCATIVA Franca Zagatti Direttrice del Centro di Educazione alla Danza Mousikè di Bologna Queste giornate che Eugenia Casini Ropa ha organizzato in maniera così sensibile, sono state giornate molto intense che mi hanno aiutato a ragionare e riflettere sulla mia esperienza di danza nella scuola italiana. Una danza pensata per i bambini e fatta assieme a bambini e ragazzi in situazioni spesso diverse e con risultati spesso diversi. Quindi sono stata molto indecisa, quasi sino a questa mattina , sul tema da scegliere per la mia relazione, poi ho pensato che, comunque, la nostra esperienza, quella italiana cioè, é un’esperienza che non esiste, o se esiste non é riconosciuta come tale. Perciò sono partita nei miei ragionamenti da questa prima considerazione: almeno per ora, non è la scuola italiana che sta cercando la danza, siamo noi che amiamo e che crediamo nella danza che riteniamo di poter essere utili alla scuola. Partendo da questo presupposto il primo incalzante imperativo al quale noi tutti dobbiamo prestare attenzione riguarda la diffusione di una immagine educativa corretta della danza, riguarda la conoscenza della danza in una veste appropriata e coerente con una visione globale dell’apprendimento. Pochi minuti fa alcune insegnanti di scuola elementare mi hanno fermato per chiedermi che tipo di attività facciamo con i bambini. “ Perché ,sa,” hanno aggiunto “noi non sappiamo cosa intendete per danza educativa”. Questa è la realtà. Oggi perciò ho deciso di raccontarvi un’esperienza che mi è successa di recente e che trovo, a questo punto, illuminante. Circa un mese fa, sono stata invitata a tenere una lezione dimostrativa all’interno di un liceo della provincia di Bologna e ciò solo per introdurre un corso che si sarebbe svolto in seguito. Sapevo che avrei trovato due classi quarte e di avere due ore a disposizione. Prima sorpresa: le due classi erano state unite assieme, quindi mi sono trovata di fronte una quarantina di allievi fra l’altro quasi tutti maschi. Seconda sorpresa: i ragazzi non erano stati avvisati e di conseguenza non sapevano che cosa avrebbero dovuto fare e comunque non avevano scelto di farlo, e per finire eravamo in una di quelle grandi palestre scolastiche dall’ acustica disastrosa... Ho ugualmente iniziato la lezione; inizialmente c’era da parte dei ragazzi una forte tensione e poca disponibilità. Avevo impostato l’incontro sull’uso dello spazio: eplorazione dello spazio individuale e dello spazio generale. Piano piano e con fatica, sono riuscita a coinvolgere e conquistare i ragazzi i quali alla fine della lezione si sono avvicinati e hanno cominciato a pormi alcune domande. “ Ma lei che cosa insegna di solito? Ma lei che cos’è, cosa ha studiato? E’ una psicologa? E’ un’attrice? Ha fatto l’ISEF? ...” Continuavano ad indagare con insistenza sulla mia qualifica professionale: evidentemente il fatto che io all’inizio dell’incontro avessi detto loro che ero un’insegnante di danza, non era stato ritenuto sufficiente, oppure quello che poi avevamo fatto non era stato riconosciuto come danza e di conseguenza io non ero stata riconosciuta come insegnante di danza. Probabilmente per questi ragazzi la danza non veniva e non viene in alcun modo associata ad un tipo di sapere educativo, un sapere preoccupato della formazione e dell’interiorità della persona, ma viene associato con una pratica assolutamente estetica, futile, di divertimento e svago. Durante la lezione, un ragazzo, alla mia richiesta di camminare liberamente nello spazio, trovando percorsi variati, nel tentativo di giustificare oltre al proprio, anche l’imbarazzo dei suoi compagni, mi dice: “Ma senta, per noi sarebbe molto più semplice se lei ci insegnasse dei passi.” quasi a dimostrare che lui sì voleva collaborare, voleva camminare come io gli avevo chiesto, ma non sapeva come fare... insomma io avevo solo chiesto di camminare, non avevo certo preteso niente di strano! “ Ma almeno ci dica come vuole che camminiamo” insisteva “Assolutamente come volete!”confermavo io. Naturalmente non erano i loro passi ad interessarmi, ma il loro movimento e la loro consapevolezza corporea e spaziale. Tornando a casa continuavo a riflettere sull’episodio, che, nonostante le premesse iniziali, si era poi comunque concluso positivamente. Continuavo a ripensare a quei ragazzi e alle loro domande finali, a quel loro investigare su di me e su quello che facevo nella vita.... Ciò da un lato mi confermava l’assenza di riferimenti culturali precisi per la danza (quali insegnanti per quale tipo di danza?) e dall’altro evidenziava quanto la scuola abitui i ragazzi ad un sapere di tipo cognitivo e nozionistico, un sapere che se non è riconosciuto come tale non viene riconosciuto come sapere. Io non sono andata lì dicendo “Questo è un passo, questo è un altro”. Io sono andata lì dicendo che con il corpo si può lavorare, si può comunicare, si può trovare una relazione con gli altri, niente di più. Evidentemente non basta. E allora queste domande io credo dobbiamo iniziare a porcele noi, no? Almeno noi educatori italiani, noi insegnanti di danza e anche insegnanti della scuola. Quindi, da un lato, chi siamo noi che vogliamo entrare con la danza nella scuola e come siamo considerati, e dall’altro, come viene considerata la danza dagli allievi, dagli educatori, dai bambini, dalla cultura italiana in genere? Credo si debba partire da qui. Quando noi del Mousikè andiamo ad incontrare per la prima volta le maestre che hanno richiesto un nostro intervento nella loro scuola, ci troviamo di fronte ad un atteggiamento sempre molto disponibile, c’è tanta curiosità, tanto interesse, ma poca consapevolezza della scelta educativa fatta. In genere si aspettano un laboratorio di psicomotricità, oppure di musica, oppure di teatro. La parola danza è quasi tabù: più il livello d’età dei bambini si alza e più ci viene consigliato dagli stessi insegnanti di non usarla altrimenti “non lo vogliono più fare perché si vergognano”, e allora si trovano delle perifrasi eufemistiche tipo “attività motorio-musicale”, “teatro gestuale” ... una volta su un registro ho trovato la mia lezione indicata come “teatro psico-motorio”! Questa confusione naturalmente non va imputata agli insegnanti i quali non fanno altro che rispecchiare quella che è una realtà culturale tipicamente italiana: la danza oltre ad essere poco conosciuta e poco popolare come forma di spettacolo, è totalmente,( dobbiamo dircelo), sconosciuta come forma educativa. Io penso che soltanto chiarendo anche a noi stessi il valore e l’essenza educativa della danza e evitando di cedere alla tentazione di confluire ed essere inglobati – a volte soltanto per comodità terminologica – in quegli obiettivi educativi che la danza condivide con altre discipline, e soltanto rivendicando alla danza la sua identità educativa che è anche, ma non solo, motoria o musicale o comunicativa, riusciremo ad essere convincenti e a farci riconoscere ed apprezzare dal mondo della scuola. E’ comunque, in genere, abbastanza chiaro a tutti gli insegnanti con i quali ho avuto nel tempo modo di collaborare, che la danza è un’attività di movimento che utilizza la musica e che serve anche per stimolare la comunicazione. E questo è già un buon punto di partenza, non neghiamolo, però non è sufficiente. Perché se è vero che tutta la danza è movimento, è anche vero che non tutto il movimento è danza. E se è vero che con il nostro corpo possiamo comunicare, è vero anche che non tutta la comunicazione corporea è danza. E se è vero che la musica è un partner privilegiato della danza, è vero anche che si può benissimo danzare senza musica. Deve quindi esistere uno specifico danza che va oltre il fatto di essere un’attività che si fa con il movimento, che serve a comunicare con il corpo e che utilizza la musica. La danza, tutta la danza – quella dei bambini e quella degli adulti – trasforma il movimento in linguaggio senza però usare la parola, trasforma le immagini in forme senza però aderire alla realtà, fa della musica, ma anche del silenzio, un generatore secondario, anche se prezioso, del movimento. Bisogna perciò impegnarsi a diffondere la danza, nella scuola e anche fuori, sin da subito, come forma artistica ed educativa autonoma. Siamo proprio agli inizi e credo che sarebbe un grosso errore accettare di essere definiti in maniera sommaria: un’attività motoria. Io l’ho fatto, ho accettato di non chiamare i laboratori danza, soprattutto nella fascia della scuola media e mediasuperiore, poi mi sono resa conto che è un errore, perché i ragazzi, al contrario, capiscono e apprezzano. Quando si trova quel momento un po’ magico e coinvolgente che loro stessi sentono con stupore come qualcosa di corporeo ma diverso... allora quello è il momento giusto per dire “Guardate ragazzi che questa è danza, non chiamiamola attività motoria, né ginnastica, né psicomotricità o espressione corporea, ma solo danza.” E’ giusto quindi darsi questo imperativo di diffondere nella scuola, ma anche fuori, un’idea di danza che sia espressione naturale di un movimento che trova nel suo organizzarsi e strutturarsi lo spazio adatto alla trasformazione e al racconto delle immagini del pensiero. La danza è una rappresentazione simbolica delle idee, delle sensazioni, delle emozioni attraverso il corpo e come tale va conosciuta e fatta conoscere. Non può essere considerata soltanto un modo originale e divertente di svolgere i programmi di attività motoria, o di ampliare quelli di educazione musicale, ma va vista come una preziosa opportunità per avvicinarsi in maniera naturale al modo di sentire , di conoscere, di raccontare del bambino. Il valore di un incontro con la danza risiede nel fatto che i ragazzi divengono consapevoli di un altro modo di conoscere e sentire e, grazie ad un’esperienza di percezione corporea globale, sviluppano strumenti di trasformazione simbolica del reale. Ed è in questo spazio, quello fra il mondo reale e il mondo immaginato, io credo, che abbia origine la danza in tutte le sue forme, in tutti i suoi stili in tutte le sue rappresentazioni, e quindi anche la danza per la scuola. Anzi, è in questa valenza trasfigurativa, in questa sua capacità di conciliare lo sviluppo motorio con quello espressivo e comunicativo che va individuata la vera essenza educativa della danza. Certamente c’è ancora molto da fare in Italia per vedere la danza al servizio della formazione del bambino, e gli insegnanti, gli artisti, i pedagogisti, debbono collaborare per trovare le forme più idonee e proficue al suo utilizzo scolastico. Dal nostro punto di vista, che è quello della pratica quotidiana nelle scuole a contatto con bambini e maestre, noi del Mousikè, oltre a testimoniare la positiva integrazione della danza all’attività scolastica, ci stiamo sforzando da tempo di integrare la pratica del fare danza con l’esigenza del pensare la danza. Stiamo tentando cioè di organizzare i criteri metodologici ed educativi che hanno generato la nostra pratica attraverso la teorizzazione delle esperienze. Ieri pomeriggio abbiamo visto la scansione a fasi che struttura lo svolgersi dei nostri laboratori, abbiamo esaminato i diversi momenti e gli obiettivi didattici sottesi ad ognuno di questi. Oggi vorrei proporre le finalità generali alle quali la pratica della danza nella scuola dovrebbe essere ispirata. Sono 5 e non vanno considerate come obiettivi a fine corsa di un percorso didattico obbligato, ma vogliono soltanto suggerire delle direttive comuni da perseguire. A queste sicuramente ne possono essere aggiunte delle altre, ma penso che queste cinque finalità debbano esserci , e costituiscano la sintesi ideale dei principi fondamentali ai quali un’educazione alla danza dovrebbe attenersi per garantire una visione unitaria e coerente. Partiamo dalla prima: Associare il movimento con l’osservazione e la percezione del mondo che ci circonda. Per comprendere che il proprio corpo può diventare un mezzo per comunicare al di là della parola. Per sviluppare l’immaginazione e l’identità creativa attraverso l’elaborazione simbolica della realtà e delle esperienze personali in forme espressive di movimento. Usare l’osservazione e la percezione come stimoli per avviare una ricerca sul movimento può apparentemente sembrare un controsenso; in realtà è forse il modo più efficace per avvicinarsi alla vera essenza della danza, che risiede nella capacità di trasformare il reale in forme ed immagini simboliche. L’attenzione si sposta simultaneamente sul sé e sul fuori da sé, associa cioè il mondo reale con la percezione interiore che di esso abbiamo. Osservando, per esempio, il passaggio delle nuvole nel cielo, i bambini saranno motivati a chiedersi: “Come posso trasformare quel movimento e quella sensazione visiva ed emotiva con il mio corpo?” E cioè, con parole ad essi adeguate: “Guardate le nuvole, osservate come si muovono: alcune più in fretta, altre più lentamente. Notate le loro forme, sono tutte diverse e continuano a cambiare il movimento. Provate a sceglierne una, seguitela con lo sguardo per un po’; forse assomiglia a qualcosa o vi ricorda qualcuno... Osservatela con attenzione e cercate di ricordarne i particolari e di memorizzare le vostre sensazioni, perché poi vorrei che provaste a far finta di essere proprio quella nuvola”. Questo gioco del reinventare la realtà col movimento è già danza e il bambino può così essere aiutato a scoprire un diverso modo di conoscere e comunicare attraverso un’esperienza di tipo cinestetico che si preoccuperà di sviluppare in seguito gli strumenti per affinare il movimento. Gli stimoli iniziali possono ricollegarsi al bagaglio percettivo già esperito dal bambino attraverso la pratica corporea, visiva, tattile, uditiva..., oppure partire avviando un’esperienza diretta delle cose. E’ questo un approccio molto libero che piace ai bambini e che permette, è quasi superfluo aggiungerlo, numerosi agganci disciplinari ed inoltre aiuta il bambino ad esprimere se stesso inconsapevolmente e perciò in modo più vero. L’insegnante dovrà perciò riuscire a leggere il significato profondo dei gesti valorizzando con delicatezza e rispetto anche l’interiorità del bambino e aiutandolo così a prenderne coscienza. La seconda finalità: Riconoscere, sperimentare e famigliarizzare con gli elementi di base della danza: movimento, corpo, dinamica, spazio, relazione. Per sperimentare, osservare, selezionare le capacità relative alla costruzione del movimento nella organizzazione spazio-temporale e relazionale e per promuovere una prima alfabetizzazione della danza. La scelta, l’utilizzo e la combinazione degli elementi di base della danza determina la qualità del messaggio corporeo, proprio come la qualità di un testo scritto è da attribuirsi alla scelta delle parole e alla loro posizione nella frase. Ciò è facilitato dalla natura stessa della danza che ricerca l’espressione attraverso il movimento grazie ad un processo di selezione e concatenazione di quei segnali corporei che vengono ritenuti funzionali al messaggio che si vuole comunicare. Esaminare le componenti principali della danza (corpo, spazio, dinamica, movimento, relazione), serve perciò in ambito formativo a preparare e guidare l’avvio di sperimentazioni consapevoli e a costruire un alfabeto di movimento al quale far ricorso nella pratica creativa ed espressiva. Si cercherà perciò di perseguire criteri di pertinenza al solo contesto educativo, evitando lo sconfinamento in ambiti tecnicoartistici o terapeutici. La terza finalità: Imparare a organizzare la progettualità creativa individuale e di gruppo, in forme di danza elaborate consapevolmente. Per acquisire la competenza ad elaborare sequenze di movimento dotate di intenzionalità comunicativa decodificabile. Per sviluppare l’autonomia progettuale e la creatività espressiva rafforzando l’autostima e facilitando il confronto di gruppo. Dare forma alla propria danza significa essere guidati da un preciso progetto creativo che determina e condiziona la trasformazione di un’idea in sequenze organizzate di movimento. Con questa prospettiva tutte le esperienze corporee avviate con i bambini sia quelle di pratica guidata che di libera esplorazione, dovranno essere impostate in maniera tale da sollecitare l’assimilazione e la comprensione di nuovi dati di movimento e la capacità di analizzarli ed associarli per ricostruirli in modi e forme nuovi. Nella scelta delle forme pertinenti il bambino dovrà così procedere ad operazioni di confronto selezionando fra tutti i possibili gesti in suo possesso quelli che meglio sintetizzano e corrispondono alla sua personale idea o immagine. Egli va spronato a riconoscere le proprie scelte compositive che vanno sempre valorizzate e considerate come personali ed originali anche quando si sono limitate a riproporre o ad imitare il movimento di altri. Deve essere chiaro che ciò che si richiede non è “la risposta esatta” o la precisione esecutiva, ma unamotivazione coerente a quanto rappresentato. Soprattutto si dovrà aiutare a costruire l’autonomia e la consapevolezza decisionale che sono alla base di ogni tipo di progetto creativo. Quarta finalità: Utilizzare la danza educativa come ponte di collegamento tra aree disciplinari. Per accrescere le motivazioni all’apprendimento e sviluppare l’intuito, la creatività e il ragionamento. La danza è un’arte sincretica che racchiude in sè molti altri linguaggi: è suono, ritmo, disegno nello spazio, forma, immagine astratta, ma da nessuno di questi è definita e in nessuno di questi si esaurisce. Proprio per questo può diventare il “filo d’Arianna”che riconduce alla persona, attraverso l’esperienza diretta della percezione corporea, qualsiasi tipo di conoscenza astratta. Per mezzo della danza è possibile riconnettere attività verbali e non verbali, logica ed emozione, conoscenza ed esperienza. Qualsiasi concetto può essere indagato a partire dal movimento oppure riconsiderato attraverso il movimento. Basterà scegliere una diversa porta di accesso all’indagine e percorrere la strada che essa ci aprirà: si arriverà sempre a scoprire che non esiste un solo modo di conoscere, vedere ed intendere la realtà che ci circonda e che è sempre possibile ricostruirla, trasformarla, modificarla, attraverso l’invenzione del pensiero del corpo. L’ultima finalità: Riconoscere nella danza una forma di espressione della cultura di un popolo. Per trasmettere il rispetto e l’attenzione per le diversità artistiche e culturali rafforzando il lavoro di gruppo e il senso estetico Come tutte le arti la danza trasmette e rispecchia i gusti, lo spirito, i conflitti e le speranze del tempo in cui è stata prodotta. Da sempre accompagna la celebrazione degli eventi importanti della vita: nascite, matrimoni, eventi naturali, morti. Perciò sia come forma artistica che come espressione collettiva e popolare tramanda i valori culturali e sociali di un’epoca così come di una particolare etnia. Per questo già nella scuola primaria la danza andrebbe affrontata con un approccio che tenga conto oltre che della percezione corporea individuale e contemporanea, anche di un orientamento storico-antropologico. Tale prospettiva non deve certo sostituirsi all’esperienza soggettiva, ma integrarla e rafforzarla attraverso un arricchimento sia delle radici culturali comuni, che del senso estetico e critico. Eseguire o conoscere le danze di altri popoli o di altre epoche significa entrare in contatto con diversi modi di intendere e celebrare gli eventi che accompagnano l’esistenza di un gruppo di persone. Vedere o studiare le opere di grandi coreografi serve a costruire una prospettiva estetica di riferimento al progetto educativo e ad acquisire capacità interpretative e critiche. Se nel primo caso ci troviamo di fronte ad una delle poche pratiche coreutiche adottate nella scuola e cioè alla diffusione delle danze popolari e folcloristiche, nel secondo caso dobbiamo ammettere di essere ben lontani da una didattica attualmente in uso. In Italia i bambini e i ragazzi non solo praticano poco la danza sia come fatto educativo che artistico o di divertimento, ma soprattutto non la vedono né dal vivo né riprodotta in video. A questo proposito... vediamo le immagini che ho preparato. (parte il video) UNO SGUARDO VIVO SULL’INFANZIA Marina Cinieri Pedagogista del Comune di Genova . Lavoro ormai da vent’anni nel Comune di Genova coordinando tutte le scuole dell’infanzia del Comune. La mia esperienza però, prima di entrare nell’Istituzione, era quella di persona che si occupava di storia da una parte, e che dall’altra si occupava di teatro e faceva danza, e quindi sono entrata nelle istituzioni con l’idea di guardare i bambini. Non c’è niente di più difficile: continuare ad avere uno sguardo vivo sull’infanzia quando tutta l’organizzazione tende a non vederli più. E allora il mio lavoro è stato quello di una trasformazione dei processi culturali, per dare occhi alle insegnanti e gioia nello stare coi bambini e per dare occhi alle famiglie e via via vedere quali processi culturali andavano ad immettersi nella città, e negli ultimi anni il tema dell’intercultura è stato un momento determinante nella trasformazione dei progetti, tanto che abbiamo creato un laboratorio interculturale che dipende dalle scuole dell’infanzia, ma che si amplia a tutta la scuola media. Quindi questa è la mia ottica: di chi è all’interno dell’istituzione ma vuol guardare i bambini sempre un po’ dall’esterno. In quegli anni in cui passavo dalla ricerca storica all’amore per l’infanzia - perché è stato questo - mi sono resa conto di quante cose non si vedevano. Per esempio: i bambini, quando nascono, hanno dei movimenti delle dita per cui dormono con le mani così, oppure così (mostra con i gesti); cioè hanno già tutti i movimenti delle articolazioni e fanno delle danze delle mani che sono straordinarie!... che poi forse solo nel mondo indiano viene valorizzato come elemento culturale. Hanno delle posizioni yoga, a volte addirittura con le gambe dietro così. I bambini piccolissimi hanno una flessibilità del corpo incredibile. Hanno tutti la respirazione diaframmatica che poi si perde. Quando iniziano a camminare hanno una creatività straordinaria, bisognerebe passare ore ad osservare tutto il loro lavoro sulle camminate. A volte non camminano se non con un cucchiaio in mano e in punta di piedi, poi se lasciano il cucchiaio sono fritti e cadono. Oppure provano a camminare guardando con la testa in giù per guardare il mondo dietro. Hanno perciò delle abilità di ricerca, che noi incanaliamo poi culturalmente, ma anche giustamente, che però non tutte le culture inquadrano nello stesso modo. Il lavoro sulla respirazione, per esempio: può darsi che in paesi diversi dal nostro venga maggiormente sviluppato, perché fa parte della cultura degli adulti. Chi conosce i bambini sa quanto sia importante l’imitazione della natura che abbiamo visto stamattina: è un’imitazione spontanea quella dei bambini. I bambini che amano i cagnolini fanno i cagnolini. I bambini che sono affascinati dalle piante si mettono in posizione e guardano le piante come se dovessero entrarci dentro. Imitano il vento e imitano anche, da bambini metropolitani , tutti i movimenti e i sussulti degli autobus e delle macchine, per cui se portate un bambino su un autobus, lui comincia a fare una danza sull’autobus, sente il movimento. Allora, tutto questo patrimonio, ma non solo di danza, è veramente la nascita dell’intelligenza, un’intelligenza che deve però confrontarsi con dei modelli. Sta alla cultura adulta saper cogliere queste cose: non bisogna imparare la danza perchè così si impara qualcosa, ma per il piacere di danzare. La formazione che noi abbiamo fatto per le insegnanti aveva questo tipo di deficit, in quanto proponevamo alle insegnanti una serie di corsi anche molto affascinanti, che poi però non erano sostenuti dalla cultura tradizionale. Anche le esperienze di stamattina, molto più legate alla ricerca dell’energia del movimento spontaneo,risentono della mancanza di sostegno culturale: o la danza diventa cultura di massa o comunque cultura generalizzata, oppure risulta veramente difficile inserire dei piccoli elementi in un mondo che va da tutt’altra parte. Allora, senza un’attenzione a quello che vivono i bambini nella quotidianità, è difficle capire quali sono i modelli culturali che volenti o non volenti loro stessi assorbono. Nelle ultime ricerche del Ministero della Sanità il 20% dei bambini ha problemi di respirazione, di allergie, di sonno, di alimentazione. Io mi occupo molto anche del disagio infantile e in questo momento stiamo vedendo che anche in zone dove c’è una stabilità economica e dove c’è un nucleo famigliare compatto, ci sono il 20% dei bambini che non ce la fanno. Cosa significa? Se la fanno addosso a 5 anni, tremano, non parlano con gli altri e questo a 3, 4, 5 anni. Allora c’è un disagio del corpo molto forte che i bambini, essendo portatori del nostro patrimonio biologico, esprimono con una sofferenza tale che è un allarme per tutti noi. Credo che il lavoro di promozione della danza, possa essere veramente un aiuto anche in questo senso; io mi collegherei con le persone che si occupano del benessere dei bambini, anche al di là della visione scolastica, con i medici, ad esempio, sapendo che questo aspetto non è soltanto una questione d’espressione, ma una questione di vita. I bambini anche in questo senso sono promotori di cultura del corpo perché tutta questa loro ricerca andrebbe incanalata in modelli possibili, e questo loro disagio è una spia rispetto a un problema di tutti. Perciò la danza non è soltanto una questione di tempo libero come non lo è l’arte. Però mi sembra che in questo momento le cose stiano così: da una parte persone attente a una visione più complessiva dell’educazione, dall’altra una spinta molto forte a pensare che il mondo vada con la meccanizzazione, con i computer, con l’inglese, con i viaggi, con livelli separati di classi sociali. Allora quello che era un lavoro - 20 anni fa - di guida, di promozione, di rinnovamento, di futuro, diventa una lavoro di conservazione. D’altronde credo che la scuola da sempre si trovi in questa condizione: è l’unico polo in cui ancora si potrebbe, (non che si faccia sempre), preservare la capacità dell’uomo di rimanere completo. Ciò è più vero nelle scuole dove ci sono i bambini piccoli ed è molto meno vero là dove cominciano le discipline, le valutazioni, le divisioni d’orario, le stanchezze delle insegnanti, la difficoltà a sentirsi al passo con i tempi e stranamente, in un mondo tutto femminile, una cultura femminile non riesce ancora a realizzarsi. In questi anni una nostra precisa preoccupazione è stata quella di precisare la professionalità insegnante; l’insegnante non può fare sempre e solo l’insegnante di classe: deve avere dei momenti in cui articola le proprie occasioni. E quindi sono state create le insegnanti di attività di laboratorio le quali possono fare un lavoro che va dalla grafica al teatro, alla danza, secondo le proprie competenze. Questa articolazione della professionalità diventa molto importante, perché elimina parecchie stanchezze, rinnova, dà l’occasione di formarsi, di mettere a frutto le competenze più alte che sono state fatte e di farle diventare una forma di maternage verso le giovani che entrano nella scuola e verso le persone che hanno più difficoltà e tempi più lunghi nell’affrontare il cambiamento. Inoltre con la possibilità di lavorare individualmente a piccolo gruppo, consentono una conoscenza dei bambini molto più alta e una reale possibilità di sperimentazione. Quello dell’accesso alla cultura mi sembra un nodo centrale attorno al quale, infatti, stiamo lavorando maggiormente, perchè si coniuga molto bene sull’ascolto dell’infanzia. Abbiamo organizzato laboratori sull’arte moderna per far capire gli scarabocchi dei bambini e poi mostre; abbiamo fatto laboratori di musica - ci teniamo molto ad essere nel nostro secolo: sembra che la scuola si fermi all’ 800 - e quindi adesso stiamo preparando, per esempio, l’ascolto a concerti della musica del ‘900 facendo un lavoro con insegnanti e genitori e facendo dei pacchetti di ascolto musicale a basso prezzo per le famiglie, 3000 lire per concerto.Va sottolineato che è tutto lavoro che non è costoso, perché i teatri e i concerti e gli spettacoli di danza sono spesso vuoti perché non c’è il pubblico. Allora la creazione del pubblico può nascere già nelle famiglie giovani che hanno bambini piccoli. Le loro capacità di dire e di pensare sono straordinarie: io ora sto raccogliendo conversazioni dei bambini sulle differenze, sul razzismo - e l’ultima che mi è capitata tra le mani è bellissima:”Gli uomini sono tutti diversi perché fanno lavori diversi. Poi ce n’è di pelle gialla e di pelle nera, ma tutti hanno gli occhi per vedere il cielo che è dello stesso colore”. Notate, una bambina di 4 anni dice una cosa del genere. Allora veramente io frequento gente intelligente stando con i bambini, e questo mi consente di pormi continuamente domande. Allora una domanda è: come fare accedere alla cultura anche quei genitori che hanno alle spalle situazioni di analfabetismo e di lavoro? Noi abbiamo un’ Italia che è stata povera fino solo a 40 anni fa (l’immigrazione è finita negli anni ’60, se pure è finita allora), che aveva una cultura contadina e operaia fatta di danze e di canti che sono scomparsi. Negli anni ’50, l’80% degli italiani erano contadini e operai, attualmente lo è solo il 33% di cui solo il 7% contadino.Quindi immaginate che scomparsa di humus culturale c’è stato dal punto di vista popolare senza per questo essere stato rimpiazzato da nient’altro. Un’altra cultura che consentisse un’accesso a quanto di meglio la nostra società aveva espresso attraverso i ceti privilegiati e nello stesso tempo tenesse conto ed elaborasse l’arrivo e l’infiltrazione di altre culture nella nostra. Pensiamo a quello che è successo nella musica e anche nella danza, quanto di Africa è passato attraverso le Americhe, e se le nostre danze sono scomparse, cosa abbiamo avuto al loro posto? Partendo da queste considerazioni, noi in città facciamo corsi di danza con le famiglie, usando le risorse che ci sono e anche i gusti delle persone. Per cui c’è un ragazzo che fa danza moderna, che insegna il tip-tap a operai di una zona di immigrazione meridionale i quali a loro volta fanno poi le loro danze per i bambini. Una cosa discutibile dal punto di vista estetico, però fondamentale per l’attivazione di gusti nuovi: questa gente va a ballare insieme il sabato e inoltre capisce di più il lavoro di movimento, di danza naturale, che fanno i bambini. In un’ altra zona abbiamo una scuola molto bella con un salone del ‘500 con un gruppo che fa danza rinascimentale con le famiglie. Perciò ben venga anche la danza rinascimentale, poiché comunque è un pezzo di storia e perché comunque la gente sta insieme a ballare. Da lì nascono genitori più attenti anche a forme di danza diverse. Per quanto riguarda la tematica multiculturale, abbiamo un altro ragazzo, un brasiliano, molto competente, che ha proposto un lavoro di danza-lotta in Brasile: la capoera che è una danza venuta dagli africani dell’Angola che veniva utilizzata anche come danza di difesa, era una specie di arte marziale. In una scuola dove il direttore didattico è stato particolarmente sensibile, oltre a far questa danza, è stato istituito anche il rituale del corteggiamento con ballo finale tipo college - un miscuglio interculturale un po’ kitsch, secondo me, che però ha consentito ai bambini maschi che utilizzavano la lotta come amicizia fra loro e come forma di tentativo di far paura alle bambine - quando gli piaceva una bambina gli davano uno spintone, sembravano orsacchiotti, di riprendere il garbo del corteggiamento per cui se tu vuoi stare con una bambina le chiedi di danzare. Quello che ho descritto può apprire un insieme senza un’unica visione della danza, ma quello che è necessario nella trasformazione culturale, a mio avviso, è la commistione di più elementi, è il considerare la danza, in questo caso, come uno degli elementi fondanti della trasformazione culturale. GLI SPAZI PROGETTUALI NELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA Anna Bonora Turba Rappresentante IRSSAE Emilia e Romagna Il mio intervento vuole gettare uno sguardo panoramico sugli spazi possibili della progettualità, ora e nella scuola del futuro. In questi anni ho fatto un’azione di monitoraggio su alcune esperienze molto avanzate di tempo flessibile potenziato nella regione Emilia-Romagna e quindi accennerò nella mia breve relazione a queste esperienze che vengono fatte sul territorio, perché mi paiono estremamente significative sotto il profilo dell’organizzazione delle attività didattiche integrative e disciplinari. Concordo completamente con la relazione precedente quando la dottoressa diceva che nella scuola ci devono essere degli spazi consistenti per la danza. Parafrasando Roland Barthes direi che ci devono essere degli spazi infiniti per la danza, e spazi infiniti possono essere trovati nella scuola dell’autonomia. Vorrei un attimo soffermarmi su quello che sarà il futuro scenario dell’autonomia: voi sapete che il quadro legislativo di riferimento è in evoluzione, ci sono dei punti fermi, e cioè la legge Bassanini che dice che le scuole diventeranno autonome sotto il profilo amministrativo, organizzativo e didattico; c’è il decreto ministeriale ultimo il 765 del novembre 1997, un decreto accompagnato da relativa circolare che da’ uno spazio alle scuole che vogliano sperimentare, spazi di organizzazione didattica e temporale flessibile. Che cosa sigifica scuola dell’autonomia e scuola della flessibilità? Significa che la scuola dovrebbe essere capace di darsi una propria organizzazione flessibile per quello che riguarda la didattica, per quello che riguarda l’organizzazione comunicativa, e per quello che riguarda la capacità di progettazione. Flessibilità di spazi educativi e di conseguenza flessibilità di tempi-scuola. Noi sappiamo che la flessibilità dei tempi-scuola si fonda su chiari partiti pedagogici che ritengono sia opportuno dare ad ogni bambino un proprio curriculum, un proprio percorso di formazione. Ora, la scuola dell’autonomia è proprio quella scuola in cui accanto ad un curriculum consolidato, stabilito a livello nazionale, è possibile coniugare un curriculo locale, che tiene conto delle risorse esistenti al proprio interno e di quelle dell’ambiente esterno. La scuola dell’ autonomia è una scuola che sa organizzarsi, che sa progettare e che sa fare delle scelte pedagogiche di fondo, e sa incanalarle in percorsi didattici a carattere interdisciplinare di potenziamento e di sostegno, di attività integrative. La scuola dell’ autonomia è però anche una scuola che tiene conto della storia della scuola, delle storie pregresse di ogni scuola. Io ho fatto un’azione di monitoraggio su scuole che attivano questo tempo flessibile da due anni a questa parte e ho visto delle scuole che sono estremamente portate alla riflessione sulla propria identità di scuola, riflessione che riguarda il loro passato, sono scuole che sono ricchissime di esperienza pregressa; che hanno avuto alle loro spalle tanti input, tante attività; sono scuole che hanno avuto la vocazione a dare una possibilità di percorsi formativi estremamente varia. La scuola dell’autonomia sarà però una scuola che dovrà condurre a una logica organizzativa, a un pensiero coerente tutte le attività che propone. Si è visto nelle esperienze passate che le attività integrative sono state poste così, spesso come attività date tanto per essere date; si tendeva ad un groviglio, ad un coacervo, si tendeva a dare troppo. Ecco, la scuola dell’autonomia dovrebbe essere una scuola capace invece di scelte di fondo ben precise, capace cioè di connotarsi in un certo modo: se io scelgo di fare la danza al mio interno è perché credo veramente che la danza sia un linguaggio che favorisce l’acquisizione della maturità del bambino in tutti i sensi; il suo benessere, lo stare insieme. Faccio delle scelte di fondo, scelte politiche fondamentali e mi organizzo in tal senso. La scuola oggi, in base al decreto ultimo Berlinguer del dicembre, può, se vuole, fare esperienza di flessibilizzazione del curricolo, per cui la danza può trovare spazi infiniti. A dire il vero esistevano già a livello di legislazione precedente, degli spazi di flessibilità didattica. In realtà, come diceva la dottoressa, è mancato il substrato culturale, non c’è stata la cultura della proposizione della danza. Io sono stata insegnante trent’anni fa delle libere attività: insegnavo cinema, insegnavo teatro: mancava, mi ricordo, a quell’epoca la cultura della proposizione della danza nella scuola. Alla danza venivano riservati degli spazi di specializzazione. Oggi vorrei esporre molto brevemente alcune esperienze pilota di alcune scuole medie. L’intervento che mi ha preceduto ha molto ben evidenziato l’importanza ad esempio di un inserimento precoce della danza a livello di scuola materna, a livello di scuola elementare, ma io vorrei sollecitare la vostra attenzione sugli spazi che si possono attivare anche a livello di scuola media. A questo punto vorrei illustrare un modello molto avanzato, il modello di tempo flessibile potenziato, che è un modello che è nato a Torino. Ha preso l’avvio nell’anno ’90/91 ed è interessante perché prevede un curricolo di base obbligatorio di 32-33 ore, poi c’è una fascia facoltativa fino a 36 ore ed oltre. Che cosa c’è di particolare? C’è che abbiamo un curricolo obbligatorio disciplinare di base di 28 ore a cui sono esposti tutti i bambini; poi comincia un percorso differenziato nella obbligatorietà, cioè dalle 28 ore alle 32/33 ore i percorsi si differenziano e ci sono varie offerte. Attenzione è proprio in questa fascia - dalle 28 alle 33 ore - che la scuola può dare una propria identità particolare, la propria organizzazione didattica, perché in questa fascia che è obbligatoria ma che diventa facoltativa nella scelta di fondo, si possono pensare a degli spazi molto interessanti. Per esempio nell’area di facoltatività posso attivare dei laboratori, degli atelier di danza che mi durano 4 mesi oppure durano tutto un anno. Anche qui la scelta deve essere molto ponderata: andrò a ricavare degli spazi possibili a seconda di cosa voglio ottenere. Quindi anche la scelta della facoltatività sotto il profilo organizzativo non è una scelta neutra, è una scelta fondamentale: se io un laboratorio di danza lo faccio durare 4 mesi perché voglio dare la possibilità a tutti i bambini di frequentarlo è un conto; se io invece la facoltatività la faccio durare un anno ha già un altro sapore. In realtà la scuola ha sempre avuto degli spazi di flessilità che non ha saputo spesso utilizzare e prendersi. L’interessante di questo modello è che permette ad ogni bambino di seguire dei propri tempi scuola e questo non è di poco conto in un momento come quello della scuola media dove si innesta veramente il problema delle diversità: i bambini a livello di scuola media sono bambini diversi, scoppia la diversità, ognuno incomincia ad avere dei propri interessi. Quindi se è effettivamente importante che nella fascia precedente siano i bambini esposti a tutte le esperienze possibili, si può ipotizzare invece l’idea che si possono trovare anche degli spazi di orientamento più particolare in seguito. I bambini a livello di scolarità media cominciano ad avere delle proprie predisposizioni e vogliono acquisire spazi per percorsi sempre più specializzati. Nella nostra regione sono tre le scuole ad aver adottato un modello di tempo flessibile: una a Bologna e due a Piacenza. Nella nostra realtà tutta la parte delle attività integrative obbligatorie, cioè quella fascia d’obbligo 32-33 ore, sono di fatto attività di potenziamento disciplinare. In questa fascia ho visto che le scuole hanno potenziato i laboratori di matematica, di ed.linguistica, raramente hanno potenziato,o messo attività integrative; c’è invece una grande gamma , nella nostra regione, di attività facoltative, quelle proprio non contrattate. Non so se sono riuscita a farvi capire che immettere nel tessuto didattico la danza, nel tessuto organizzativo della scuola è una possibilità dagli infiniti spazi operativi che dipende dalla capacità di progettare della scuola. Sicuramente ci sono spazi infiniti adesso per l’area facoltativa-integrativa; per esempio per la scuola media e superiore l’ l’area di progetto viene finanziata, quindi le scuole devono presentare progetti. Ecco io dico siamo in una fase in cui bisogna muoversi, bisogna presentare progetti. La scuola che è più attiva è una scuola che occupa degli spazi, perché sicuramente i futuri stanziamenti terranno conto del fatto che ci sono scuole che sapranno meglio organizzarsi sotto il profilo della progettualità, e scuole che invece non chiedono, che non fanno progetti. A quel punto rimarranno indietro, il problema è quindi di attivarsi e occupare degli spazi, tutti gli spazi che l’ odierno inquadramento legislativo ci permette di occupare. .