Rencontre avec le Réseau Salésien Centre Jean Bosco LYON «VOI COMPIRETE L’OPERA CHE IO INCOMINCIO: IO ABBOZZO, VOI STENDERETE I COLORI» 14 febbraio 2004 Suor Antonia Colombo È per me una grande gioia essere qui, insieme al Rettor Maggiore don Pascual Chávez, in occasione dell’inaugurazione del Centre Juan Bosco. L’evento che oggi ci convoca risponde, mi pare, all’invito-profezia di don Bosco: «Voi compirete l’opera che io incomincio: io abbozzo, voi stenderete i colori. Ora c’è il germe … » (MB XI 309). In questo breve intervento tento di rispondere al tema che mi è stato proposto: L’importance de la formation au charisme salesien aujourd’hui, patrimoine que nous avons reçu et qui nous est donné pour le faire fructifier au service des jeunes. Esplicito solo alcuni elementi del ricco patrimonio di spiritualità, lasciatoci in eredità da don Bosco. Un patrimonio che, per essere conosciuto e attualizzato a servizio dei giovani di oggi, chiama in causa tutti noi che ci riconosciamo nel suo sistema educativo. Conoscere il germe del carisma salesiano Il germe di cui parla don Bosco è costituito dalla sua esperienza educativa. Egli è convinto che per rigenerare la società bisogna partire dai giovani, ossia dall’educazione, concepita come cosa di cuore,1 coinvolgimento vitale di tutta la persona. Si tratta del cuore in senso biblico, luogo in cui l’essere umano decide l’orientamento della sua vita, plasma la propria volontà e opera scelte concrete. Cosa di cuore, cioè questione di relazione, questione di amore. Giovanni Bosco è gradualmente avviato a questa comprensione a partire dal sogno fatto a nove anni in cui intravede la sua missione. Divenuto prete, si adopera per manifestare l’amorevolezza, che è amore reso percepibile mediante relazioni valorizzanti, capaci di generare fiducia, di coinvolgere i giovani nella stessa missione. Don Bosco è fondamentalmente un educatore: propone progetti di vita, commisurandoli alla realtà di ogni giovane e all’ambiente in cui può crescere e maturare. Egli è debitore alla teologia e antropologia dell’epoca, ma la prassi educativa supera il suo tempo. Si radica, da una parte, nella tradizione umanistica di Francesco di Sales; dall’altra, coglie i bisogni emergenti della realtà in cui vive e cerca di rispondervi con la passione per lo sviluppo integrale dei giovani, che mette in moto l’inventiva e moltiplica le energie. Come Francesco di Sales, don Bosco è convinto che la persona umana si realizza nell’amore e deve essere educata all’amore mediante un impegno quotidiano che non allontana dal mondo, ma rende responsabili degli altri nella trama delle relazioni quotidiane, nell’esercizio della propria professione, nella più ampia sfera sociale. L’amore è la passione che spinge don Bosco ad aprirsi alla realtà emergente dei giovani. È convinto che in ogni giovane vi è un punto accessibile al bene e che primo impegno dell’educatore è quello di cercare la corda sensibile del cuore e farla vibrare. 2 Trovatala, inizia una relazione modulata su un processo che va dalla persona al suo ambiente, alle vie di inserimento costruttivo nel sociale, ai mezzi per realizzare i sogni di futuro. 1 BOSCO Giovanni, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883). Una circolare attribuita a don Bosco, a cura di Prellezo José Manuel, in BRAIDO Pietro[ed.], Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, Roma, LAS 1992,332. 2 Cf MB V 367. 2 Nonostante le qualità personali di cui era dotato, don Bosco ritiene fondamentale la creazione di un ambiente educativo, dove i giovani sperimentino di essere personalmente amati, ossia di essere presi sul serio, stimati nel loro intrinseco valore. È consapevole dell’importanza della famiglia per la crescita sana dei ragazzi e decide di riprodurne lo stile. Chiamerà spirito di famiglia il clima che si respira nelle sue case, dove si sperimenta l’armonia tra spontaneità e disciplina, familiarità e rispetto delle regole, gioia e impegno, libertà e dovere. In tale ambiente i giovani trovano condizioni favorevoli per sviluppare le capacità relazionali, espressive e creative, lo spirito solidale del prendersi cura gli uni degli altri. Don Bosco comprende che la missione educativa esige l’apporto differenziato e coordinato di molte persone e cerca consenso anche tra i non credenti che in qualche modo possono riconoscersi nel volto sociale della sua opera di evangelizzazione. Rigenerare il tessuto della società richiedeva sinergie nell’arte di prendersi cura dei giovani: l’arte preventiva che punta sul positivo, fa leva sulle risorse interiori dei giovani e sull’espansione delle loro potenzialità; li accompagna nell’esperienza quotidiana, nel coinvolgimento a servizio del bene dei compagni e del bene comune. Attualizzare il carisma Il sistema educativo di don Bosco si è affermato in tutto il mondo. Le realizzazioni educative che egli mise in opera rispecchiano però precise esigenze e orientamenti culturali del tempo. Occorre rileggerne l’esperienza per attualizzarla. Propongo alcune indicazioni che, a mio parere, costituiscono i colori della sensibilità attuale per lo sviluppo dell’abbozzo di cui parlava don Bosco. Una visione condivisa Le categorie concettuali che sono alla base del sistema educativo di don Bosco esigono di essere rivisitate alla luce delle mutate situazioni politiche e sociali, della nuova sensibilità antropologica, dell’ecclesiologia di comunione maturata nel Concilio Vaticano II, come pure delle nuove acquisizioni delle scienze umane. Serve una visione condivisa fondata su un quadro teorico di riferimento ampio e articolato che recepisca la riflessione attuale sui rapporti tra ragione e fede, fede e politica; politica e educazione; sulla reciprocità uomo-donna; una progettualità che tenga conto della domanda su cosa significhi essere cristiani e cittadini nel tempo della globalizzazione e dell’interdipendenza, della convivenza di culture, civiltà, religioni; degli interrogativi sul come educare nell’era della comunicazione, della rivoluzione tecnologica, del progresso delle scienze umane con il loro forte appello all’autonomia, alla formazione interculturale in ambito formale e non formale, in ambiente reale e virtuale. È indispensabile che il processo educativo includa oggi apprendimenti identificabili nella progressione: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere3. Tutto questo, nel quadro di una visione che considera la persona creata a immagine di Dio-Trinità, chiamata a vivere la somiglianza con Lui rispondendo al suo appello alla comunione, che è appello alla santità, come autorevolmente richiama il Rettor Maggiore nel commento alla Strenna di quest’anno. Nel segno della reciprocità La cultura contemporanea, fortemente segnata dall’individualismo, cela una forte domanda di relazioni interpersonali che si esprimano non solo come un essere con l’altro o per l’altro, ma anche grazie all’altro. È il principio della reciprocità: ciascuno è chiamato a dare e a ricevere, a costruirsi nella relazione della reciproca donazione, nella libera interdipendenza per amore. Vivere relazioni di reciprocità suppone amare la persona con cui si entra in relazione in modo da metterla in condizione di ricambiare nel dono di sé. 3 Cf Rapporto UNESCO 1996, curato da Delors, che considera tali apprendimenti quali pilastri fondamentali dell’educazione. 3 Sul piano della comunicazione educativa non si tratta di eliminare la differenza di ruoli, di compiti, di esperienze, ma di considerare l’altro alla pari sul piano della dignità e originalità personale. Don Bosco non ha utilizzato il termine reciprocità, ma le sue relazioni sono state una vera scuola di reciprocità. Pur non rinunciando al suo ruolo di adulto educatore e di sacerdote, egli cercava di porsi di fronte ad ogni ragazzo in modo che questi si sentisse rispettato e accolto, capace di ricambiare. Le situazioni diversificate dal punto di vista culturale, etnico, religioso, largamente presenti nel contesto europeo, ci rendono consapevoli che la convivenza plurietnica, pluriculturale, plurireligiosa è una realtà di cui farci carico nella proposta educativa. L’alternativa tra esclusivismo etnico e convivenza plurietnica rappresenta una scelta decisiva per il futuro della civiltà umana. Vivere la reciprocità oggi comporta l’educazione alla differenza, considerata non come minaccia alla propria identità, ma come premessa per il suo sviluppo realistico e come dimensione positiva che arricchisce la convivenza umana. Là dove insorgono competizioni, rivalità, fondamentalismi la sfida di educarci ed educare alla differenza è condizione indispensabile per promuovere un ambiente umano che non emargina, ma include e valorizza. Con l’apporto femminile Si può affermare che la relazione di reciprocità ha caratterizzato fin dagli inizi il rapporto tra Bosco e le prime Figlie di Maria Ausiliatrice. Fiducioso, in particolare, della capacità di animazione di Maria Domenica Mazzarello, don Bosco raccomandava di lasciarla fare nella traduzione al femminile dello spirito salesiano.4 Riconosceva così l’apporto arricchente di una modalità diversa nella gestione dell’opera educativa del nascente Istituto. Maria Domenica e le prime sorelle, pur riferendosi al modello educativo di don Bosco, l’hanno effettivamente adattato con flessibilità creativa ad una convivenza femminile. In seguito, con il rapido ampliarsi della struttura organizzativa, è prevalso, in alcuni contesti culturali, l’aspetto normativo-disciplinare, talvolta omologato al maschile. L’emergere di una nuova coscienza femminile e l’affermarsi dell’ecclesiologia di comunione hanno risvegliato noi FMA al compito di esprimere, secondo le sfumature femminili proprie delle origini, il sistema preventivo per una proposta educativa che manifesti nella cultura contemporanea la visione dell’antropologia uni-duale. Le categorie dell’affidamento, del prendersi cura, della condivisione e della comunione, strettamente collegate al principio di reciprocità, offrono una base non solo per una traduzione del sistema preventivo sul piano della prassi, ma per avviare una sua interpretazione che lo ravvivi con il colore e le sfumature della sensibilità femminile. L’apporto femminile alla lettura del sistema preventivo mi pare di particolare importanza in riferimento al contributo per una diversa impostazione della convivenza sul pianeta che può offrire l’altra metà dell’umanità, quella delle donne. Nell’ottica della concezione uni-duale della persona, la reciprocità uomo-donna può diventare il paradigma interpretativo di ogni relazione di comunione nella diversità e convertirsi in germe di cambio che si estende alle diverse forme della vita di relazione. …e il contributo dei laici Religiosi/e e laici/che della Famiglia salesiana, membri delle comunità educanti e quanti si interessano all’educazione siamo insieme impegnati ad aprire con fiducia gli spazi del cuore per collaborare alla comune missione. Così ci ha voluti don Bosco. Così oggi vogliamo attuare l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Il cammino realizzato in questi anni come gruppi che si riconoscono nel carisma salesiano, in rete con altri organismi, è notevole. Sempre più la Carta di comunione della Famiglia salesiana e la Carta della missione ispirano le nostre programmazioni, uniscono e moltiplicano le risorse per la missione. 4 Cf MACCONO Ferdinando., Santa Maria D. Mazzarello I Torino, Scuola Tipografica Privata Istituto FMA, 274. 4 Ma perché il servizio alla vita delle/dei giovani porti più frutto occorre che valorizziamo maggiormente le risorse della comunione tra persone che condividono la medesima spiritualità o almeno il progetto educativo salesiano. Molte di queste persone sono battezzate. È importante alimentare la fede comune nel Signore Gesù, sentirci partecipi dell’unica missione della Chiesa; continuare il cammino per un coinvolgimento più attento e differenziato di tutti nell’azione educativa; potenziare il processo che porti gradualmente, a seconda dei contesti, dalla collaborazione alla corresponsabilità, alla reciprocità, nel rispetto dell’autonomia di gruppi e persone; optare per una formazione comune, sistematica al medesimo carisma. L’inaugurazione del Centre Jean Bosco è promettente realizzazione da questo punto di vista. Può essere considerata - qui in Francia - come la casa comune per la formazione al carisma salesiano. La consegna del nostro CG XXI - In comunione su strade di cittadinanza evangelica - è appello a promuovere sinergie con tutte le forze educative disponibili perché il servizio alla vita dei giovani di oggi sia l’attualizzazione del germe proposto da don Bosco. Alcune priorità per educare alla cittadinanza evangelica nel terzo millennio Don Bosco ha una concezione religiosa dell’esistenza e tutto orienta al fine ultimo della salvezza eterna. Considera la vita di grazia come lo svelamento pieno della dignità dei figli di Dio. La sua attenzione però è rivolta ai giovani concreti bisognosi di cibo, istruzione, lavoro, per orientarli a inserirsi nella società in modo onesto e attivo, da autentici cristiani. Il pianeta giovani è oggi variegato e complesso. Non è questo il luogo per farne una descrizione, che risulterebbe peraltro approssimativa. Conosciamo tuttavia la fatica dei giovani nel costruire la propria identità personale e nel concepire la vita come progetto. Per molti le condizioni socio-economiche – anche in Europa – scoraggiano ogni serio impegno perché appare votato all’insuccesso. C’è, inoltre, il mondo dei bambini, fanciulli e preadolescenti, spesso privati, per motivi diversi, della presenza di adulti significativi, sia in famiglia come nelle istituzioni educative. La loro maestra è la TV o la strada, a seconda dei contesti culturali. Condivido alcune priorità per educare oggi alla cittadinanza evangelica. Educare al valore della vita Educare al valore della vita appare come missione particolarmente significativa in una realtà in cui la legge del consumo e del piacere, l’etica dell’individualismo impoveriscono il senso della vita. Alcune applicazioni dei progressi della medicina e della biotecnologia orientano la coppia, e la donna in particolare, ad accettare una concezione riduttiva dell’amore e della famiglia, che si ripercuote con evidenti conseguenze sui figli e sulla società. L’azione educativa è terreno fecondo per orientare le giovani generazioni all’accoglienza dell’esperienza umana nella sua globalità; per offrire significati che riscattino dalla banalizzazione del corpo e ne esprimano la bellezza secondo il disegno di Dio; per presentare il valore dell’amore coniugale e della famiglia fondata sul matrimonio a fronte di concezioni alternative che, anche in Europa, vanno affermandosi perché ritenute espressione di progresso culturale. Insieme, religiosi e religiose, laici e laiche possiamo portare avanti progetti a sostegno delle persone e delle famiglie nelle diverse tappe del loro cammino, a partire da una sana educazione dell’affettività negli anni della fanciullezza e adolescenza, fino all’attenzione verso le coppie e le famiglie. Educare al valore della vita diventa anche sollecitudine a sviluppare la dimensione vocazionale intrinseca al processo educativo: la vita è dono ricevuto che si realizza nel divenire a sua volta dono per gli altri. L’orientamento, in questa direzione, suppone guide competenti e autorevoli.5 «La vita viene destata e accesa solo dalla vita. La più potente “forza di educazione” consiste nel fatto che io stesso in prima persona mi protendo in avanti e mi affatico a crescere. [...] È proprio il fatto che io lotti per migliorarmi ciò che dà credibilità alla mia sollecitudine pedagogica per l’altro» (GUARDINI Romano, Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, Brescia, La Scuola 1987, 222). 5 5 L’amore alla vita è una caratteristica tipica della pedagogia salesiana; costituisce il clima favorevole per aiutare i giovani a scoprire il senso della propria esistenza e per promuovere itinerari specifici di evangelizzazione e di educazione alla fede. Educare a vivere insieme La povertà relazionale chiama direttamente in causa l’educazione salesiana, fortemente centrata sulla relazione. Occorre rimotivarla, rifondarla sulla base della reciprocità in vista della comunione. Siamo parte di una società alfabetizzata sul piano logico-formale e tecnico-scientifico, ma a volte sottosviluppata sul piano delle relazioni umane. Costatiamo una overdose di emotività, ma assistiamo a un diffuso analfabetismo dei sentimenti. In assenza di una sana integrazione personale, aumenta la fragilità relazionale che rende incapaci di gestire i conflitti e, in alcuni casi, può condurre a soluzioni drastiche. Educare a vivere insieme rappresenta una sfida per la qualità della vita nel futuro e per la stessa sopravvivenza umana. Occorre ri-assumere la pedagogia del sentirsi amati messa in atto da don Bosco. La scuola, l’oratorio, gli ambienti di vita delle ragazze e dei ragazzi, perfino la strada, possono diventare oggi autentici laboratori per l’apprendimento del vivere insieme. Opportunamente accompagnati, i giovani possono allenarsi alla mutua comprensione, alla gestione e superamento dei conflitti, all’accoglienza della diversità fino al dialogo interculturale che porta a riconoscere i valori e i limiti di ogni cultura, compresa la propria. Una più matura relazione interpersonale migliora la qualità della comunicazione a livello profondo, rende più critici e propositivi, capaci di valorizzare le opportunità offerte dai moderni mezzi di comunicazione e anche di produrre messaggi e proposte umanizzanti. In questo senso, educare a vivere insieme richiede una mediazione tra educazione e comunicazione. Sono molti oggi a sostenere che insegnanti ed educatori debbano diventare educomunicatori. L’educomunicazione è un sistema aperto di comunicazione, con una precisa intenzionalità educativa che fa leva su una vasta rete dei rapporti e configura una pedagogia d’ambiente (reale e virtuale). Può diventare perciò una nuova via per attualizzare il sistema preventivo. Educare alla solidarietà e al servizio Il fenomeno della globalizzazione, mentre veicola potenti risorse, crea drammatici disagi. Educare alla solidarietà sollecita a rendere coscienti della responsabilità per la vita di tutti, considerati fratelli e sorelle di un’unica grande famiglia, la famiglia dei figli di Dio, e perciò a guardare l’altro come colui che mi appartiene e di cui devo prendermi cura. Le/i giovani, se bene orientati, entrano facilmente in questa visione evitando di cadere nella rete di rinascenti nazionalismi e fondamentalismi, intenti a catturare il loro interesse e la loro dedizione. Un’educazione in linea con il metodo di don Bosco sa scoprire nei giovani le enormi potenzialità di bene e orientarle verso mete di comunione e di condivisione, partendo dalla conoscenza reale dei problemi su scala mondiale, come il progressivo impoverimento del pianeta e il dominio di alcune reti comunicative. L’attrazione per il volontariato è forse segno che un altro volto di giovani sta emergendo: quello solidale, per cui essi si considerano cittadini del mondo, consapevoli del valore politico delle loro scelte quotidiane. Avendo trovato un perché esistenziale riescono più agevolmente a sopportare quasi tutti i come, a collegare più facilmente il locale e il globale, a vivere la vita come servizio. «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi sarei disposto a dare la vita». 6 In questa dichiarazione di don Bosco ai giovani troviamo la radice della perenne attualità del sistema preventivo: una grande passione per l’educazione dei giovani. Il fine religioso dell’educazione si salda con le istanze di vita dei giovani, con il loro inserimento di cittadini attivi nella società. Una passione che don Bosco contagiava ai suoi collaboratori, spesso giovani, investendoli di fiducia e di responsabilità. 6 RUFFINO Domenico., Cronache dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in Archivio Salesiano Centrale, quad. 5, 10. 6 Stendere i colori, come auspicava don Bosco, per noi educatori ed educatrici del XXI secolo può dunque voler dire: - condividere una visione, una progettualità educativa, in rete con quanti sul territorio hanno a cuore l’educazione e sono disposti a donare tempo, energie, fantasia per essere presenti in modo propositivo là dove si decidono le politiche giovanili; - avere a cuore la nostra formazione permanente, ispirata alla spiritualità del sistema preventivo e in dialogo con le istanze dell’oggi; - abitare il mondo dei giovani, tornando ad occuparci e non solo a preoccuparci di loro; stare in mezzo ad essi servendo il loro bisogno di vita e di gioia, offrendo motivi di speranza, promuovendo opportunità di formazione alla cittadinanza evangelica e orientando verso vie di effettivo coinvolgimento; - essere educatori/trici della fede dei giovani mediante la testimonianza di una comunità credente e la proposta di itinerari specifici di accompagnamento; - puntare sulla ricchezza di interscambio generazionale, proprio a partire dai giovani: il sistema preventivo, infatti, trasformando i rapporti con i giovani, riplasma le relazioni con le famiglie e le autorità civili e religiose, fino a caratterizzare un nuovo stile di convivenza e interazione sociale.7 Maria Ausiliatrice, ispiratrice del metodo educativo di don Bosco, sempre presente nella sua vita come sostegno e guida, aiuti anche noi oggi a riesprimere il sistema preventivo. Risvegli la passione educativa e l’audacia di don Bosco e di Maria Domenica Mazzarello così che possiamo contribuire a generare vita e speranza nel cuore di molti giovani e della società. 7 Cf BRAIDO Pietro, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà II Roma, LAS 2003, 674-675.