Dalle opere Treccani Dalla Enciclopedia delle Scienze Fisiche - Dizionario spèttro [Der. del lat. spectrum "visione, fantasma"] [ . . . ] (a) Nel suo signif. originario, derivante dagli esperimenti di I. Newton sulla dispersione prismatica della luce solare, la figura luminosa (una striscia colorata con tutti i colori dell'iride, dal rosso cupo a un estremo al violetto cupo all'altro estremo) che si forma su uno schermo raccogliente la luce emergente da un dispersore (un prisma o un reticolo) sul quale incida un fascetto di luce bianca: s. luminoso prismatico, ecc. (b) Dal signif. precedente sono derivati, per analogia, quelli, assai simili, in uso in altre discipline (per es., nell'acustica, nell'elettronica e nella matematica); così, come nell'ottica propr. detta, nell'ottica delle radiazioni elettromagnetiche in generale (v. oltre: S. elettromagnetico) e corpuscolari, il termine indica sia le particolari figure visibili, fotografiche o di altro tipo che s'ottengono facendo attraversare alla radiazione in esame un apposito dispositivo disperdente (spettroscopio), sia i diagrammi, ottenuti dalla figure precedenti, che rappresentano la distribuzione delle grandezze caratteristiche (intensità, flusso energetico specifico, ecc.) in funzione della lunghezza d'onda (frequenza, ecc.) o dell'energia (impulso, ecc.): s. di una radioonda modulata, s. di assorbimento dell'aria nell'infrarosso, s. d'emissione di una lampada ultravioletta, s. di emissione di raggi, ecc. [ . . . ] (d) Per ulteriore estensione analogica, intervallo di lunghezze d'onda (o di frequenze) caratterizzato da una qualche pecularietà: per es., s. ultravioletto equivale a campo ultravioletto (come porzione dello s. elettromagnetico: v. oltre). [ . . . ] S. continuo e discontinuo (o discreto o a righe e bande): qualifiche che si danno a s. nei quali, rispettiv., non siano riconoscibili oppure siano riconoscibili intervalli più o meno stretti (righe spettrali e bande spettrali) di valori massimi relativi (in qualche caso, di minimo relativo). [ . . . ] [OTT] S. d'assorbimento: di una sostanza, quello ottenuto misurando l'assorbimento subito nell'attraversamento di uno spessore noto della sostanza da parte di radiazioni di intensità costante e di lunghezza d'onda variabile, quali quelle fornite, per es. nel campo visibile, da una sorgente di luce bianca seguita da un monocromatore. [ . . . ] S. d'emissione: lo s. delle radiazioni emesse da una sostanza portata in condizioni di emettere. [ . . . ] Dalla Enciclopedia delle Scienze Fisiche - Dizionario dualismo [. . .] [MCQ] D. campo-particella od onda-corpuscolo od ondulatorio- corpuscolare: la concezione per la quale la radiazione elettromagnetica e, complementarmente, le particelle possono presentare in certi fenomeni comportamenti principalmente o esclusivam. da onde, in altri fenomeni comportamenti prevalentemente o esclusivam. da corpuscoli e in altri fenomeni, infine, comportamenti che possono essere ascritti con uguale fondatezza all'un tipo o all'altro; per es., gli effetti Compton e fotoelettrico sono tipici fenomeni da comportamento corpuscolare (la radiazione appare costituita da fotoni) e l'interferenza è un fenomeno tipic. ondulatorio (la radiazione appare costituita da onde) [ . . . ] Dalla Enciclopedia delle Scienze Fisiche - Dizionario indeterminazióne [ . . . ] Principio di i., o di Heisenberg: uno dei principi fondamentali della meccanica quantistica, formulato da W. Heisenberg nel 1927; nel suo enunciato generale, afferma che in generale non è possibile determinare con esattezza il valore di due osservabili associate a due operatori tra loro non commutanti; in partic., non è possibile conoscere contemporaneamente e in maniera esatta la posizione e la quantità di moto di una particella: [ . . . ] Il principio, estrapolato al di là dello specifico campo in cui fu enunciato, è stato posto da alcuni alla base di revisioni filosofiche ed epistemologiche del concetto di causalità. In effetti, fin dal loro apparire le descrizioni quantistiche hanno diviso filosofi e scienziati in due opposte correnti: la prima (N. Bohr, W. Heitler e la scuola di Copenaghen) sosteneva che, in forza del principio di complementarità prima e di quello d'i. poi, non fosse più possibile una descrizione della realtà rigidamente ancorata ai dettami del determinismo e della causalità classica, mentre la seconda (facente capo a A. Einstein) sosteneva che la meccanica quantistica è una teoria incompleta e comunque incapace di mettere in crisi il principio di causalità. Queste due posizioni sono andate progressivamente perdendo la loro irriducibilità; una corretta impostazione epistemologica della questione sembra essere quella, fatta proprio dallo stesso Heisenberg, che sconsiglia l'estrapolazione del principio d'i. dal campo della meccanica quantistica per farne la base di una metateoria di tipo filosofico. [ . . . ] Dalla Enciclopedia delle Scienze Fisiche – Dizionario complementarità [ . . . ] Nozione introdotta nella fisica da N. Bohr quando, nel 1928, enunciò il suo principio di c.: i fotoni e i quanti in genere, nonché le particelle elementari, danno luogo a fenomeni di duplice aspetto, corpuscolare e ondulatorio, con contraddizione solo apparente, dal momento che i due aspetti non si manifestano mai simultaneamente, ma appaiono piuttosto come complementari l'uno all'altro. Un esempio di ciò è costituito dal dualismo e dalla c. degli schemi ondulatorio e corpuscolare con cui un fenomeno atomico è sempre descrivibile: così, il funzionamento di un tubo a raggi catodici trova una spiegazione considerando l'aspetto corpuscolare degli elettroni, mentre un'esperienza di diffrazione di un fascio elettronico può essere compresa soltanto analizzando l'aspetto ondulatorio di tali particelle. Analogamente può dirsi per la radiazione elettromagnetica, che può essere compresa soltanto in termini corpuscolari (schema a fotoni), per es., nell'effetto fotoelettrico e soltanto in termini ondulatori in un esperimento d'interferenza a bassa intensità. Dal principio di c. segue, fra l'altro, che non è possibile ideare un esperimento atto a porre in evidenza, insieme, ambedue gli aspetti complementari, e cioè corpuscolare e ondulatorio, con cui si manifesta una particella o la radiazione elettromagnetica. [ . . . ] Da La Piccola Treccani - Supplemento entanglement s. ingl. [der. di to entangle "impigliare, intricare"], usato in it. al masch. - In fisica, il legame di natura fondamentale esistente tra le particelle costituenti un sistema quantistico. Tale legame, implicito nella funzione d'onda del sistema, si mantiene anche quando le particelle sono separate da distanze enormi. Infatti, è una conseguenza diretta dei principi della meccanica quantistica che la misurazione (intesa in senso quantistico) delle proprietà di una particella influenzi anche quelle dell'altra. I moderni esperimenti di laboratorio hanno mostrato inequivocabilmente la realtà del fenomeno dell'e. che è oggi alla base di importanti indagini sia teoriche sia applicative al fine della realizzazione di elaboratori quantistici. [ . . . ] Anche se l'idea sembra essere fantascientifica, la possibilità di sfruttare l'e. di un sistema quantistico potrebbe essere la chiave per la realizzazione del teletrasporto [ . . . ] di informazioni, ossia per la ricostruzione di informazioni contenute in un sistema quantistico in base a misure effettuate su una parte del sistema. Le moderne idee connesse alla possibilità di realizzare il teletrasporto anche di oggetti sono basate sul fenomeno dell'entanglement. Esso fu molto discusso agli albori della meccanica quantistica per la sua mancanza di intuitività e per l'apparente violazione del principio di causalità relativistico che esso comporta. A questo riguardo, furono congegnati famosi esperimenti concettuali (come il paradosso di Einstein, Podolsky e Rosen: v. Einstein, Albert) per criticare i fondamenti della meccanica quantistica che sono alla base del fenomeno dell'entanglement. In realtà l'e. è una manifestazione molto poco intuitiva della notevole carica innovativa della logica quantistica.