patologie del sistema nervoso

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO
FACOLTA’ DI INGEGNERIA
INGEGNERIA DEI MATERIALI
CORSO DI SCIENZA E TECNOLOGIA
DEI METALLI NON FERROSI
Del professor Colombo
A.A. 2004/2005
RISCHI PATOLOGICI LEGATI ALLA TECNOLOGIA
DEI METALLI NON FERROSI
A cura di:
Gottardini Mauro
INTRODUZIONE
Questa ricerca ha lo scopo di analizzare i maggiori rischi patologici inerenti alle
tecnologie dei metalli non ferrosi. In particolare tenterà di non soffermarsi sui
caratteri puramente medici, ma proverà a farne solo una panoramica.
SOMMARIO
VETTORI PATOLOGICI:
POLVERI ............................................................................................................................................. 3
FIBRE .................................................................................................................................................. 5
PRODUZIONE PRIMARIA DI METALLI NON FERROSI:
ALLUMINIO ....................................................................................................................................... 6
RAME .................................................................................................................................................. 8
ZINCO, PIOMBO E CADMIO ........................................................................................................... 9
TECNOLOGIE A RISCHIO:
SALDATURA ................................................................................................................................... 10
TRATTAMENTI SUPERFICIALI PER ELETTRODEPOSIZIONE .............................................. 14
PATOLOGIE:
ASBESTOSI ...................................................................................................................................... 16
PNEUMOPATIA DEI METALLI DURI .......................................................................................... 18
BERILLIOSI ...................................................................................................................................... 19
DERMATITI DA CONTATTO ........................................................................................................ 20
NEFROPATIE CRONICHE .............................................................................................................. 21
PATOLOGIE DEL SISTEMA NERVOSO ...................................................................................... 22
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POLVERI
L’interesse per le polveri è legato principalmente alla prevenzione della silicosi,
malattia polmonare dovuta all’inalazione di polveri contenenti silice libera cristallina.
Non tutte le polveri contengono quarzo, alcune perciò sono definite inerti perché non
lo contengono in quantità rilevanti (<1%). Esempi di materiali che originano inerti
sono: l’allumina, gli alabastri e i basalti, il cemento, la maggior parte dei refrattari.
Mentre sono silicotigene le polveri d’ardesia, argilla, granito, porfido, sabbie di fiume
o di fonderia.
Le lavorazioni a rischio silicosi sono l’industria estrattiva, le lavorazioni per opere
idroelettriche e stradali, le acciaierie e fonderie, l’industria delle mole e degli
abrasivi, dei laterizi, delle ceramiche, del vetro e dei refrattari ed infine tutte le
lavorazioni delle pietre silicee.
Le polveri sono particelle solide sospese in aria con un diametro compreso tra 0.5 e
100 m. Si distinguono dai fumi che hanno dimensioni più piccole 0.001 e 0.1 m.
Per essere visibili ad occhio nudo devono avere un diametro superiore ai 100 m.
Si possono dividere in inerti fastidiosi o tossici. Le polveri tossiche si dividono
ulteriormente in quelle nocive per il polmone e quelle che utilizzano semplicemente il
polmone come tramite per l’organismo, ma che svolgono la loro azione nociva su
altri organi (ad esempio polveri di piombo sul midollo osseo, particolato di fluoruri e
di cadmio rispettivamente su osso e rene).
Le polveri tossiche per l’apparato respiratorio si definiscono sclerogene o asmogene a
seconda che il bersaglio sia l’interstizio polmonare o l’apparato bronchiale.
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Principali malattie dell’apparato respiratorio imputabili all’inalazione delle polveri:
REGIONE
delle vie aeree della testa
tracheo-bronchiale
degli scambi gassosi
MALATTIA
cancro nasale
broncocostrizione
bronchite acuta cronica
cancro bronchiale
polmoniti interstiziali
fibrosi polmonari
ORIGINE
nichel, legni, cuoio.
polveri inerti, fumo, acidi e basi.
amianto
ossidi di cadmio
Il diametro condiziona la deposizione regionale delle polveri nel polmone. Le
modalità di deposizioni sono quattro: intercettazione (incontro di un ostacolo),
impatto inerziale (cambi di direzione di flusso aereo per ragioni anatomiche),
sedimentazione (deposito), diffusione (a livello alveolare).
La misura delle polveri negli ambienti di lavoro avviene tramite un campionamento
su filtri a membrana di porosità variabile. Si utilizzeranno metodi valutativi numerici
(riconoscimento e conta al microscopio. Es: particelle di quarzo e fibre d’amianto), o
gravimetrici (pesa del filtro). La determinazione della frazione totale delle polveri è
limitata a particolari polveri tossiche.
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FIBRE
Le fibre possono essere naturali, artificiali, organiche e inorganiche. Delle
inorganiche naturali (fibre minerali) la più importante è l’amianto, la cui torma più
utilizzata è il serpentino o l’amianto d’anfibolo o amianto bianco; il più pericoloso è
l’amianto blu o crocidolite.
La misura delle fibre prevede l’uso di metodi numerici. Sono considerate fibre quelle
di rapporto dimensionale lunghezza/diametro maggiore di 3 e lunghezza superiore a 5
m. Particelle con diametro inferiore a 3 m si comportano come particelle sferiche.
Per l’amianto le fibre più pericolose per il rischio di cancro sono quelle con diametro
compreso tra 1 e 3 m e 10÷50 m di lunghezza. Le lavorazione a rischio di
asbestosi sono l’estrazione da cava o miniera dell’amianto, la manifattura tessile
dell’amianto, l’industria dei freni e frizioni delle autovetture, le lavorazioni di
cantieristica navale e l’industria del cemento/amianto (tetti, condutture, ecc…).
Limiti igienici per polveri e fibre:
Polveri inerti
Polveri silicotigene
Fibre d’amianto
10 mg/m3 (fraz. tot.)
Quarzo 0.1 mg/m3 (fraz. resp.)
Tridimite e cristobalite 0.05 mg/m3 (fraz. resp.)
1 fibra/cc per il crisolito (0.2 per le altre)
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ALLUMINIO
La sua produzione industriale fu resa possibile nel 1886 dalla scoperta del
procedimento di riduzione elettrolitica dell’allumina (Al2O3). La difficoltà di ottenere
industrialmente il metallo era legata al processo che richiedeva la fusione
dell’allumina (circa 2000°C) che rendeva tecnologicamente difficile il processo. Una
notevole riduzione delle difficoltà fu ottenuta utilizzando come solvente un bagno di
criolite (Na2AlF6 a circa 900°C) fusa. Nell’elettrolisi l’Al migra al catodo e 1’O2
all’anodo di carbone. Questo processo, chiamato Hall-Heroult dal nome dei suoi due
inventori, è usato tuttora.
Un’industria di produzione primaria d’alluminio si compone di un reparto di
produzione di allumina dalla bauxite, di un reparto di produzione di anodi
(tecnologia ad anodo precotto) oppure di pasta anodica (tecnologia ad anodo
Soederberg), di un sala forni elettrolitici e di una fonderia.
L’allumina si ottiene dalla bauxite per separazione, in una soluzione acquosa di soda,
degli ossidi di alluminio dai restanti minerali (fanghi rossi). In questa lavorazione i
rischi sono limitati alle lavorazioni a secco della bauxite (estrazione, macinazione,
vagliatura) che può produrre polveri con rischio silicotigeno (% di quarzo nella
bauxite dallo 0 al 10%). Nelle fasi successive di lavorazione i maggiori rischi sono
presenti nella sala forni o delle celle elettrolitiche, e nei reparti di produzione degli
anodi, composti di coke di petrolio misto a pece e catrame di carbone (17-30%).
I principali inquinanti dell’ambiente di lavoro dei reparti forni elettrolitici sono le
polveri di allumina, i fluoruri particolati e gassosi (HF), l’anidride solforosa, l’ossido
di carbonio ed i composti aromatici polinucleari. Durante le operazioni di rifacimento
dei forni sono possibili esposizioni ad amianto, a silice cristallina, a cianuri e ad
ammoniaca. Per quanto riguarda gli agenti fisici in sala elettrolisi sono presenti campi
elettromagnetici stazionari di elevata intensità, microclima caldo e talvolta rumorosità
elevata.
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Nel reparto anodi i rischi di malattie professionali sono legati all’inalazione di polveri
di coke, di petrolio e di fumi di pece e catrame, di carbone ad alto contenuto di
idrocarburi policiclici aromatici.
Contaminanti dell’ambiente di lavoro dell’industria di produzione elettrolitica
dell’alluminio:
SOSTANZA
Acido cloridrico
Allumina (polveri)
Asbesto
Campi magnetici
Catrame e pece
Cianuri
Cloro e cloruri
Coke e carbone (polvere)
Fluoruri
Fumi e polveri di rame
Mercurio
Man-made mineral fibers
Ossido di cadmio
Ossido di carbonio
Policlorobifenili
Silice
SO2
REPARTO
Fonderie
Produzione dalla bauxite - Sala forni elettrici
Isolamento forni
Impianti elettrici - Sala forni elettrici
Sala forni elettrici - Fabbrica anodi
Bagnatura del forno
Operazioni fonderia
Fabbrica anodi
Sala forni elettrici
Aste e raccordi anodici - Connettori elettrici
Rettificatori
Isolamento forni
Saldatura e brasatura dell’argento
Combustione
Impianti elettrici
Macinazione bauxite - Refrattari
Combustione degli anodi
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RAME
Il rame è un metallo malleabile e duttile a grande conducibilità termica ed elettrica.
Viene utilizzato puro o in leghe di cui le più note sono l’ottone (con zinco) e il bronzo
(con stagno).
Il rame è presente in natura sotto forma di minerali a base di solfuri a basso contenuto
dell’elemento (<2%). Perciò gran parte della lavorazione del minerale consiste nella
concentrazione del metallo. In un primo stadio il minerale polverizzato viene
concentrato per flottazione (sospensioni acquose con agenti bagnanti) e in seguito il
materiale concentrato viene arrostito in forni fino ad ottenere, da una miscela di
solfuri, ossidi di rame. La riduzione a metallo avviene in forni convertitori simili a
quelli usati nella produzione dell’acciaio. Il rame cosi ottenuto viene raffinato, con
procedimento elettrolitico, in celle contenenti soluzioni acide di solfato di rame.
L’anodo è costituito dal rame grezzo, il catodo da rame puro. Mano a mano che
procede la elettrolisi l’anodo si consuma e libera le impurità di metalli più nobili del
rame (oro e argento) che saranno recuperati con una successiva lavorazione dei
fanghi anodici.
L’intossicazione cronica da rame si manifesta solamente in quei rari individui che
hanno la malattia di Wilson (accumulo degenerativo nei tessuti) legata ad il carattere
genetico autosomico recessivo, che si evidenzia nella deficienza dei meccanismi di
escrezione del rame dal fegato e nella mancanza di ceruloplasmina (proteina di
trasporto del rame); per l’evidenziarsi della malattia è sufficiente il solo rame
introdotto con la dieta; nelle persone normali sono segnalati solo episodi di irritazione
delle mucose per inalazioni di polveri, fumi o nebbie di composti di rame.
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ZINCO, PIOMBO E CADMIO
Piombo e zinco sono presenti in natura sotto forma di solfuri in due minerali, la
galena (PbS) e la blenda (ZnS) che spesso si trovano nello stesso giacimento assieme
ad altri solfuri metallici, tra i quali sono di interesse industriale quelli di argento e
cadmio. I procedimenti di estrazione di questi minerali sono spesso associati. Dopo
un processo di flottazione del minerale simile a quello che si usa per il rame, i
minerali vengono arrostiti per essere trasformati in ossidi, che in seguito vengono
ridotti a metalli in un piccolo altoforno mediante carbon-coke.
I metalli greggi (Pb e Zn) cosi ottenuti vengono raffinati per elettrolisi. Nel caso
dell’ossido di zinco ottenuto dopo l’arrostimento, si può ottenere il metallo con un
altro processo che prevede una fase di lisciviazione con acido solforico diluito per
eliminare le impurità. Dalla soluzione, essenzialmente composta di solfati di zinco e
di cadmio, viene precipitato il cadmio metallico (che poi sarà recuperato a parte in un
diverso processo elettrolitico) e la soluzione finale è sottoposta ad elettrolisi in vasche
rivestite di piombo tra anodi di piombo-argento e catodi di alluminio. Con tale
procedimento si ottiene Zn metallico purissimo. I rischi nella lavorazione primaria
del rame, zinco, piombo e cadmio sono qui riportati:
AGENTE
Polveri silicotigene e rumore
Oli minerali
CO e SO2, composti arsenicati
H2SO4
Fumi di Zn, Cd e Pb
LAVORAZIONE
Macinazione del minerale
Flottazione
Forni arrostimento e conversione
Elettrolisi
Nella metallurgia della blenda e galena
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SALDATURA
La tecnica della saldatura permette di congiungere attraverso il calore due parti
metalliche. Il calore necessario viene ottenuto o da una fiamma prodotta per
combustione di un gas (il più utilizzato è l’acetilene) con aria o ossigeno, o da un
arco elettrico che scarica tra due elettrodi (di cui uno può essere il pezzo da saldare),
od infine per effetto Joule a causa della resistenza al passaggio della corrente elettrica
offerta dal pezzo da saldare.
Si distingue in saldatura autogena ed eterogenea (brasatura). Nella prima viene
effettuata una fusione dei bordi metallici da congiungere e il vano tra i bordi viene
riempito con del metallo fuso simile a quelli del pezzo da saldare. Nella brasatura
invece il materiale da unire viene solo riscaldato e la fusione riguarda solo il metallo
di apporto. In genere il metallo d’apporto è eterogeneo (possibilità della presenza di
cadmio nelle leghe di brasatura) e a più basso punto di fusione e quindi le
temperature coinvolte sono in questo secondo caso decisamente inferiori.
Per ottenere una saldatura resistente e tecnicamente accettabile la zona di fusione
deve essere protetta da fenomeni di ossidazione ed il metallo fuso deve essere
depurato di scorie, in modo che risulti un cordone di saldatura privo di imperfezioni.
Il processo, in piccolo, è simile a quello che si fa per la preparazione della colata
nelle fonderie. Per tale motivo la saldatura deve essere effettuata in atmosfera il più
possibile inerte (priva di ossigeno) e devono essere aggiunte sostanze come borace,
silicati e carbonati, che proteggono e scorificano il bagno di fusione.
Nella saldatura a fiamma ossiacetilenica si produce, nella zona di combustione,
un’atmosfera riducente, mentre la saldatura ad arco viene effettuata nell’atmosfera
prodotta dalla combustione del rivestimento dell’elettrodo o sottoflusso di gas. Il
metallo di apporto può essere in forma di barrette, che vengono avvicinate alla zona
di fusione (saldatura a fiamma e saldatura TIG = tungsten inert gas) o costituire il
vero e proprio elettrodo porta-corrente che si fonde a causa dell’arco elettrico che
esso stesso provoca.
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La sa1datura TIG è una saldatura ad arco indiretto in atmosfera inerte. Una barra di
tungsteno funge da elettrodo provocando la fusione del metallo, ma l’elettrodo, in
questo tipo di saldatura, non si consuma, né costituisce il metallo di apporto, che,
invece, viene ottenuto facendo fondere in vicinanza un’altra bacchetta di metallo
(molto utilizzata nella saldatura dell’alluminio). Nella saldatura ad arco con elettrodo
singolo rivestito a cambio manuale (MMA = manual metal arc), l’anima di metallo
dell’elettrodo si fonde diventando il metallo di apporto della saldatura, mentre il
rivestimento ha la funzione di flussante della corrente elettrica e di scorificante.
A seconda dei materiali da saldare si usano elettrodi al rutile (biossido di titanio),
acidi a base di silice, basici (carbonato e fluoruro di calcio) e cellulosici (a base di
cellulosa che bruciando emette grandi quantità di CO2). Per l’esecuzione rapida di
grandi lavori si utilizzano saldatrici a filo metallico continuo. In questo caso è
necessario proteggere la saldatura con gas inerti fra cui, i più usati, sono l’argon,
l’elio e l’azoto (saldatura MIG = metal inert gas, o MAG=metal active gas se viene
aggiunta nella miscela dell’anidride carbonica). Gli scorificanti acidi o basici possono
essere contenuti nel filo.
I tipi di saldatura MMA e MIG sono attualmente i più utilizzati data la loro versatilità
e il basso costo delle attrezzature necessarie. Per lavorazioni particolari si usano
anche altri tipi di saldatura. Molto diffusa nella grande industria, in quanto
robotizzabile, è la saldatura autogena a resistenza (saldatura a punti) che permette la
connessione di superfici metalliche che si fondono per effetto Joule, senza alcun
metallo di apporto.
Nella saldatura ad arco sommerso il punto di saldatura è protetto da un flusso di
polvere che ricopre interamente l’elettrodo.
La saldatura ad idrogeno atomico è un processo ad arco indiretto in cui, attraverso
l’arco tra due elettrodi di tungsteno, viene fatto passare un flusso di idrogeno, che
brucia a temperature elevatissime (6000°C). Temperature ancora maggiori
(10.000°C) si raggiungono nella saldatura al plasma (gas ionizzato). Esistono sistemi
di saldatura ad induzione elettromagnetica, a bombardamento elettronico e a laser.
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I rischi connessi alla operazione di saldatura possono essere classificati come rischi
da agenti fisici (radiazioni, calore, elettricità, rumore) o rischi legati all’inalazione dei
fumi, vapori e gas che si liberano durante il processo tecnologico a causa delle
elevate temperature.
Il difettoso isolamento dei cavi elettrici e l’operazione di cambio degli elettrodi
possono esporre l’operaio ad elettrocuzione. L’operatore è sottoposto al calore
proveniente dal materiale metallico fuso ed al pericolo derivante dalla proiezione di
particelle incandescenti che provocano ustioni; non è trascurabile nella saldatura
ossiacetilenica il pericolo di esplosioni dovute alla presenza di gas incombusti.
È segnalato il rischio da rumore nella saldatura al plasma.
Costante il pericolo di radiazioni da raggi infrarossi nella saldatura ossiacetilenica e
da raggi ultravioletti, oltre agli infrarossi, in tutte le saldature ad arco. La
decomposizione di sgrassanti, lubrificanti e vernici presenti sui pezzi da saldare
(importante norma preventiva è che i pezzi da saldare siano perfettamente puliti) può
dare origine a monossido di carbonio e ammoniaca (lubrificanti), fosgene (idrocarburi
clorurati), fumi di piombo, cromo e zinco (dalle vernici antiruggine, febbre da fumi
metallici).
I gas che si sviluppano nelle operazioni di saldatura provengono dalla combustione
dell’acetilene, dai rivestimenti degli elettrodi e dalle modificazioni che si verificano a
carico dell’ossigeno e dell’azoto atmosferico durante il processo. Determinanti per il
rischio respiratorio degli addetti alle operazioni di saldatura (polmone del saldatore)
sono gli ossidi di azoto, che si formano per ossidazione dell’azoto atmosferico e di
cui il principale è il perossido di azoto (NO2), e l’ozono, che si forma per azione dei
raggi ultravioletti sull’ossigeno atmosferico. Lo sviluppo di questo gas irritante è in
rapporto preciso con l’intensità della corrente di saldatura. La formazione di
monossido di carbonio è maggiore nella saldatura MAG al CO 2. Le operazioni di
saldatura in ambienti ristretti (cisterne, stive delle navi ecc.) senza adeguata
ventilazione possono comportare il rischio di intossicazione acuta da questi gas.
I fumi di saldatura sono costituiti da vapori metallici che si liberano dalla zona di
fusione; la presenza di fumi è più elevata nella saldatura ad arco elettrico. I fumi sono
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composti in prevalenza da ferro e suoi ossidi (fino all’80% in peso sul totale) in caso
di saldatura di acciai comuni, ma contengono anche notevoli quantità di cromo,
nichel e manganese se si opera su acciai speciali. Dai rivestimenti degli elettrodi si
sviluppano fumi di biossido di silicio amorfo, e silicati, biossido di titanio e fluoruri
(elettrodi basici). Nella saldatura TIG dell’alluminio sia sviluppano notevoli quantità
di ossidi di questo metallo.
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TRATTAMENTI SUPERFICIALI PER
ELETTRODEPOSIZIONE
Oltre con la verniciatura e con la porcellanatura una superficie metallica può essere
protetta e nobilitata attraverso la deposizione su di essa di rivestimenti metallici. I
principali processi dell’industria galvanica utilizzano la elettrodeposizione di un
metallo sul pezzo che deve avere la caratteristica di essere un conduttore elettrico.
Due elettrodi, immersi in un bagno elettrolitico, sono collegati esternamente con un
generatore di corrente continua. I cationi dell’elettrolita caricati positivamente,
nell’esempio Cu2+, migrano verso il catodo negativo, che è costituito dall’oggetto da
ramare. Lì i cationi sono ridotti a Cu metallico (Cu2+ + 2e-  Cu). Il metallo si
deposita così sul catodo in uno strato di 1÷30 µm e la quantità depositata per unità di
tempo dipende dall’intensità della corrente che passa attraverso il circuito. Dalla parte
dell’anodo, che è fatto di rame, il metallo passa in soluzione allo stato ossidato
cedendo 2 elettroni e ripristinando così la concentrazione nel bagno degli ioni Cu 2+,
sotto l’ipotesi di rendimento di corrente unitario.
I principali processi galvanici sono la nichelatura e zincatura e l’anodizzazione
dell’alluminio (in quest’ultimo caso il metallo si ricopre di uno strato di ossido, o si
passiva proteggendosi da un’ulteriore ossidazione) a scopo anticorrosivo, la
cromatura, principalmente per aumentare la durezza della superficie del metallo
rivestito, la doratura e argentatura per ovvi fattori estetici o in particolari applicazioni
dove è richiesta una alta conducibilità elettrica (industria dei computer).
Il ciclo del processo comporta le seguenti fasi: pulizia meccanica del pezzo con mole
o spazzole, sgrassatura con vapori di solventi organici e decapaggio con acidi o basi
forti, lavaggio e elettrodeposizione e infine asciugatura.
I pezzi che devono essere sottoposti ad elettrodeposizione galvanica devono essere
perfettamente puliti e lucidati per permettere un omogeneo passaggio della corrente e
quindi un’uniforme deposizione dello strato di metallo.
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I rischi relativi alle prime fasi di lavorazione sono legati alla possibilità di inalazione
sia di polveri di metalli (Fe, Al o altri), di solventi organici clorurati (nel passato, in
questa lavorazione, si sono verificati casi mortali di intossicazioni da tetracloruro di
carbonio, attualmente sono utilizzati i meno tossici trielina e clorotene) che di nebbie
di HCl, H2SO4, NaOH, ecc. Una diversa soluzione impiantistica prevede la
sostituzione dei solventi con un impianto di lavaggio ad ultrasuoni.
Durante il processo di deposizione galvanica i rischi lavorativi dipendono dalla
composizione dei bagni elettrolitici. A causa della movimentazione (introduzione ed
estrazione) dei pezzi vi è la possibilità della formazione di nebbie tossiche. Sono
utilizzati bagni acidi, alcalini e cianoalcalini. Questi ultimi espongono potenzialmente
anche al rischio da cianuri, anche se lo ione CN- è in genere complessato con i
metalli. Non è possibile la formazione di vapori di HCN a meno di una acidificazione
accidentale del bagno.
Nella cromatura e nella passivazione anodica dell’alluminio è da segnalare un rischio
di nebbie di anidride cromica (Cr esavalente), forte ossidante, che causa severe
ustioni cutanee e delle mucose (perforazione del setto nasale). Vi è una possibile
esposizione a sali di nichel nella nichelatura. Cr+6 e Ni sono noti agenti cancerogeni e
sensibilizzanti.
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ASBESTOSI
L’asbestosi è una fibrosi polmonare interstiziale (ispessimento delle membrane
alveolari), causata dall’esposizione a polveri contenenti asbesto (amianto).
L’amianto è costituito da silicati di magnesio e di ferro a struttura fibrosa. Le fibre
possiedono un elevato rapporto lunghezza-diametro. Si distinguono le seguenti
varietà:
- gruppo del serpentino: crisolito (asbesto bianco);
- gruppo degli anfiboli: crocidolite (asbesto blu), amosite (asbesto bruno),
antofillite, tremolite, actinolite.
La varietà di gran lunga più utilizzata è il crisolito (circa i1 97% del materiale
impiegato) di cui esistono in Italia alcuni giacimenti in Piemonte. L’amosite trova
talora impiego in lavori di coibentatura. In passato si è avuto un largo impiego di
crocidolite.
Caratteristica delle fibre di crisotilo è di essere relativamente corte e ricurve, per
cui
difficilmente
raggiungono le vie aeree distali; gli anfiboli sono invece
rettilinei, con un rapporto lunghezza-diametro particolarmente elevato e
possiedono quindi caratteristiche di alta percorribilità che consente loro di
giungere fino alla pleura.
L’impiego di asbesto era estremamente diffuso date le sue caratteristiche di
resistenza ad agenti fisici, chimici e meccanici. Le principali lavorazioni che
espongono al rischio sono:
- estrazione di minerale;
- industria tessile (tessuti e cordame ignifugo);
- produzione di cartoni ignifughi;
- produzione di manufatti in cemento-amianto;
- freni e frizioni di veicoli;
- coibentazione acustica e termica nell’edilizia;
- coibentazione termica di carrozze ferroviarie ed imbarcazioni.
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Studi hanno evidenziato che la reazione pneumoconiotica (fibrosi polmonare) è
condizionata dalla lunghezza delle fibre e, più che dal numero di fibre per grammo
di tessuto polmonare, dall’area di queste per grammo di tessuto. Si può affermare
che nella patogenesi dell’asbestosi entrano in gioco sia meccanismi citotossici
(nocivi per le cellule) che immunologici (anticorpali). Anche se non è un agente
mutageno, la sua attività cancerogena è legata alla sua struttura fibrosa, alle sue
dimensioni e alla capacità di permanere a lungo nel tessuto polmonare.
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PNEUMOPATIA DEI METALLI DURI
La pneumopatia da metalli duri è una patologia relativamente rara con quadri
clinici polimorfi, a patogenesi non ancora ben definita.
Vengono definiti duri quei metalli o leghe che servono alla fabbricazione di
manufatti metallo-ceramici di durezza simile o poco inferiore a quella del
diamante. Essi comprendono alcune leghe costituite da cobalto, cromo, tungsteno,
carbonio e ferro in proporzioni variabili ed i carburi di fusione e di sinterizzazione
di
tungsteno,
molibdeno,
cobalto,
titanio
e
tantalio.
Sono
esposti
professionalmente a metalli duri soprattutto gli addetti alla fabbricazione dei
manufatti, gli affilatori con mole diamantate di utensili contenenti metalli duri i
pulitori di diamanti.
Studi epidemiologici e sperimentali hanno dimostrato che l’agente causale è
rappresentato dal cobalto che viene utilizzato come legante, e non dal tungsteno
come si riteneva un tempo; il tungsteno, aumentando la solubilità del cobalto,
probabilmente ne aumenta le proprietà citotossiche.
L’inalazione di polvere di cobalto può determinare due diversi quadri patologici:
asma bronchiale e alveolite fibrosante a lenta evoluzione (polmone da cobalto)
che, in alcuni casi, possono coesistere nello stesso soggetto.
La scarsa frequenza di patologia, il variabile periodo di latenza dall’inizio
dell’esposizione, l’evoluzione clinica, i dati funzionati e di laboratorio
suggeriscono una patogenesi immunoallergica per cui il cobalto, analogamente a
quanto avviene nella dermatite allergica da contatto, agisce come aptene
(sostanza allergizzante); non viene comunque escluso anche il contemporaneo
intervento di un meccanismo di tipo citotossico.
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BERILLIOSI
La berilliosi è una patologia multisistemica di raro riscontro, causata
dall’esposizione a berillio metallico o a suoi composti. Le manifestazioni cliniche
più rilevanti sono a livello polmonare, o come malattia cronica che coinvolge
anche altri organi ed apparati.
Il berillio e i suoi composti trovano impiego nell’industria elettronica, aeronautica
e aerospaziale, nella fabbricazione di tubi radiogeni, nei tubi laser, nella
produzione di ceramiche refrattarie e metalliche, nei reattori nucleari e in generale
in numerosi settori ad elevata tecnologia. Un gran numero di casi di intossicazione
da berillio si sono verificati in passato, soprattutto negli Stati Uniti, nei lavoratori
addetti alla produzione di lampade fluorescenti. Dopo il 1950 l’abbandono
dell’uso dei silicati di berillio hanno ridotto i casi di malattia.
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DERMATITI DA CONTATTO
Rientrano in questo gruppo situazioni patologiche quali l’eczema da contatto,
l’orticaria da contatto e il granuloma da corpo estraneo (azione delle cellule per
circoscrivere il corpo estraneo).
Il termine dermatite da contatto viene utilizzato per definire una situazione clinica
conseguente ad un’azione infiammatoria della cute a stimoli esterni di natura
chimica-fisica.
Le sedi più colpite sono quelle che vengono a diretto contatto con gli agenti lesivi:
le mani, i polsi, il volto, gli arti inferiori.
Le principali lavorazioni a rischio di dermatite da contatto sono:
LAVORAZIONE
MATERIALI
Edilizia
Cemento, mezzi di protezione
Pulizia
Detersivi, detergenti
Metalmeccanica
Oli minerali, mezzi di protezione
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APTENI
Cromo, cobalto, tiuramici
Nichel, cromo, cobalto
Cromo, cobalto, tiuramici, nichel
NEFROPATIE CRONICHE
L’alterazione renale è conseguenza di assorbimento cronicamente protratto di
piccole quantità della sostanza, quale appunto si realizza in genere
nell’esposizione professionale.
Vi sono alcune poche intossicazioni che, innescando meccanismi fisiopatologici
particolari, possono dare origine a nefropatie tossiche croniche con caratteri
relativamente peculiari da permettere di individuarne una da piombo, una da
mercurio, una da cadmio.
PIOMBO:
Il quadro classico della nefropatia da intossicazione cronica è quello di una
nefroangiosclerosi (fibrosi del tessuto renale) diffusa, ben descritto in passato col
termine morfologicamente appropriato di “rene grinzo saturnino”. Esso venne
osservato soprattutto in lavoratori con protratta e notevole esposizione, la cui
storia clinica era punteggiata da ripetuti episodi di saturnismo florido con colica
addominale.
CADMIO:
Il cadmio si accumula nel rene senza apparenti danni biologici fino ad una certo
livello, provocando un danno cellulare. La lesione renale come ben si capisce se si
considera il meccanismo di saturazione che ne è alla base, compare in genere solo
dopo 10-20 anni di esposizione. Con la sospensione del rischio di assorbimento di
cadmio non si ottiene in genere la riduzione o scomparsa dei segni di disfunzione
renale.
MERCURIO:
L’assorbimento cronico professionale mercurio inorganico o vapore non produce
grave danno renale che producono invece dosi elevate di HgCl 2, danno noto col
nome di “rene da sublimato”.
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PATOLOGIE DEL SISTEMA NERVOSO
Esposizioni professionali ed effetti sul sistema nervoso:
METALLI
Piombo
Piombo tetraetile
Mercurio
Mercurio metile
Manganese
Stagno organico
Alluminio
EFFETTO
Encefalite,
polineuropatia,
sclerosi
Psicosi, encefalite
Sindrome
extrapiramidale
(simile al Parkinson), sclerosi
USI FREQUENTI
Vernici, materie plastiche,
batterie per auto
Antidetonanti delle benzine
Impianti clorosoda, materiali
elettrici e dentari, industria
fotografica
Sindrome
piramidale,
e Fungicidi
cerebellare
(disturbi
del
movimento ed equilibrio),
alterazioni visive
Psicosi,
sindrome Estrazione acciai, saldature,
extrapiramidale
vetro e ceramica
Edema
cerebrale Catalizzatori,
fungicidi,
(rigonfiamento della massa polimeri
cerebrale)
Malattia di Alzheimer
Ingestioni
per
scopi
terapeutici,
ambiente
professionale (non provato)
FREQUENZA
Valore storico
Valore storico
Rara
Molto rara
Molto rara
Molto rara
Rara
Minamata 1932
Acque reflue contenenti mercurio sono rilasciate tramite gli impianti chimici di Chisso
nella baia di Minimata in Giappone. Il mercurio si accumula nelle creature marine,
portando alla fine all'avvelenamento della popolazione da parte del mercurio.
Sindrome di Minamata 1952
Nel 1952, nella popolazione della baia di Minimata in Giappone compaiono i primi casi di
avvelenamento da mercurio, causato dal consumo dei pesci inquinati con mercurio,
provocando oltre 500 infortuni mortali. Da allora, il Giappone ha le leggi ambientali più
rigorose nel mondo industrializzato.
Sandoz 1986
L'acqua usata per estinguere un imponente fuoco trasporta il 30 t di un fungicida che
contiene il mercurio nel Reno superiore. I pesci muoiono su una lunghezza di 100
chilometri. Lo shock promuove molti progetti FEA. Si veda inoltre "l'inquinamento del
Reno a Basilea/Sandoz".
Riserva naturale spagnola contaminata a seguito di un disastro ambientale 1998
I prodotti chimici tossici contenuti nell'acqua contaminano dalla crepa di una diga
appartenente ad una miniera la riserva naturale di Coto de Donana nel sud della Spagna. 5
milioni m. di fango contenente zolfo, piombo, rame, zinco e cadmio fluiscono lungo il Rio
Guadimar. Gli esperti stimano che il più grande santuario di uccelli d'Europa, come pure
l'agricoltura spagnola e le industrie della pesca, subiranno danni permanenti
dall'inquinamento.
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MERCURIO:
L’intossicazione professionale da vapori di mercurio elementare determina una
sindrome neurologica conosciuta come micromercurialismo. Ha sintomi quali
insonnia, anoressia ed ipersudorazione ed è poi dominata dal tremore, segno
caratteristico dell’intossicazione. Negli anni '50, un grave versamento industriale
di mercurio nella Baia del Minimata, in Giappone, uccise centinaia di persone
lasciando una tragica testimonianza epidemiologica del terribile potenziale
neurotossicologico contenuto nel mercurio. I bambini nati dopo l'incidente
soffrivano di paralisi cerebrale, ritardo mentale e seri problemi al sistema nervoso
centrale, mentre tra gli adulti emersero vari tipi di disordini neurologici, tremori,
paralisi, perdita della vista e dell'udito. Più di recente i ricercatori hanno trovato
che quando l'esposizione al metil-mercurio (anche a bassi dosaggi) riguarda alcuni
momenti chiave dello sviluppo pre- e post-embrionale, possono verificarsi ritardi
significativi dello sviluppo cerebrale e deficit cognitivi.
PIOMBO:
L’intossicazione acuta da piombo metallico appartiene alla storia delle malattie
professionali. Il quadro dei sintomi è caratterizzato essenzialmente da una
encefalopatia acuta.
Dimostrare l'associazione fra produzione di agenti tossici e insorgenza di
patologie umane non è cosa semplice; ma è certo che la riduzione dell'esposizione
al piombo – un potente agente neurotossico – ha ripagato in termini di salute. Dal
1976 i livelli di piombo nel sangue degli americani adulti sono scesi mediamente
di oltre il 75% (l'85% nel sangue dei bambini). Questo significa che, in media, i
neonati americani di oggi hanno guadagnato 5 punti di quoziente intellettivo (QI)
rispetto a quelli di una generazione fa.
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