DAL SEMINARIO AL REGNO DI DIO Prefazione al Volume su Don Bruno Mascellani Ferrara, 12 Novembre 2008 Questo volume che viene posto nel nostre mani è un testo di storia, di spiritualità, di ecclesiologia, di umanità, di psicologia, di fede. È uno spaccato di vita vissuta. In qualche misura è un reperto "archeologico" di tempi che si allontanano; ma è anche motivo di non poca nostalgia per i valori che andiamo perdendo. E mi spiego. * * * Gesù è calato a Nazaret, dove ha conosciuto la vita: la famiglia, il paese, la società umana, le debolezze degli uomini, la natura, la morte, l'odio, l'amore, il lavoro, l'ingiustizia, le speranze, le delusioni. Poi ha deciso di dar corso alla sua "ora", cioè di salvare gli uomini donando la sua vita, e di riplasmare la terra, irrorando il Regno di Dio nel mondo. Ha voluto che, per un progetto tanto colossale e al limite dell'utopia,12 uomini vivessero con lui, imparassero da lui, vedessero lui nella gloria, nella lotta e nella apparente disfatta. Li ha educati con una pedagogia di tenerezza e di severità; di austerità e di gioia; di gradualità e di paradossalità. Ha cercato di farli “uomini” mentre apriva loro un mondo sovrumano. In una parola ha chiesto loro di essere nel mondo, ma non del mondo. * * * Il tal modo Gesù ha posto nella storia del suo Regno un legge: chi è chiamato ad essere apostolo deve essere educato “evangelicamente”, cioè secondo la regola, lo stile, i valori, le rinunce, l’impegnatività, il coraggio, la paradossalità perseguiti da Gesù per i suoi “dodici”, improntati nel vangelo: “apostolica vivendi forma”, così da divenire personalità apostoliche. * * * Cinque secoli or sono, ci si rese conto che gli apostoli della Chiesa – i Sacerdoti – erano assai regrediti nella loro formazione e poco avevano dei lineamenti che Gesù voleva imprimere negli apostoli. Mancava quasi del tutto la formazione culturale: si passava dall’analfabetismo al pulpito e all’altare. Mancava la formazione spirituale: se non c’era un maestro, tutto restava improvvisato. La vita ecclesiastica si risolveva spesso in adempimenti giuridici e pastorali, senza troppa preoccupazione di “adorare Dio in spirito e verità”. Con un colpo di genialità pedagogica e di saggezza chiaroveggente, il 15 luglio 1563, il Concilio di Trento concepì l’Istituzione, la più realizzatrice possibile, di ciò che Gesù visse con i dodici apostoli: IL SEMINARIO: “un semenzaio perpetuo nel quale il Vescovo potesse allevare ed educare religiosamente e formare nelle discipline sacre quei giovani destinati ad attendere al Sacro Ministero” (Sessione XXIII, cap.18). * * * Da allora, la Chiesa Cattolica ha sprigionato un compendio di veri capolavori pedagogici. E’ iniziata la stagione della più solida formazione sacerdotale, fatta di accesso alla Parola di Dio; di riscatto da rozze esistenze amorfe; di intelligenze coltivate e colte; di spiritualità collaudata dall’ascesi graduale ed esigente; di spirito missionario votato alla causa. E’ stata la stagione dei”Seminari”. Si è venuta creando una comunità di vita, non solo una scuola; si è prefigurata la situazione sacerdotale, non tanto per simularla, quanto per anticiparne le esigenze; si è preposto alla formazione teologica un impianto grammaticale, culturale, filosofico capace di dare un ottimo inquadramento mentale, prima di addentrarsi nell’immenso bagaglio della Santa Scrittura, della Tradizione cristiana, dei dogmi e delle esigenze della fede. Si è poi istradato il futuro pastore d’anime nelle attività che lo attendevano e nell’esemplarità di vita esigita da Gesù dai suoi luogotenenti. La mentalità moderna, piuttosto libertaria ed edonista; più istintuale che ponderata; più sganciata da schemi che metodica, ha snobbato la pedagogia del Seminario, alla quale – fra l’altro – si ispiravano altre agenzie educative-laiche, e ha criticato e svalutato la proposta educativa del Seminario. Ma è sotto gli occhi di tutti la frammentarietà, la labilità e la improvvisazione di certe pseudo-formazioni della gioventù contemporanea, cresciuta spesso senza basi culturali, senza stile, senza garbo, e senza rigore professionale. Anche i Seminari, purtroppo, ne hanno subito il contraccolpo: la disciplina si è annacquata nello spontaneismo; la cultura rigorosa ha ceduto il passo a isolate monografie; l’austerità di vita ha aperto le porte a indulgenti comodità; la grande idealità evangelizzatrice si stempera in amicalità. I Seminari restano ancora un fiore all’occhiello della formazione impartita dalla Chiesa, ma non sono ancora ritornati alla genuinità archetipa che li ha concepiti e avviati. * * * Ora, con la breve storia di don Bruno Mascellani, e, soprattutto, con il lungo diario, le sue lettere e le schiette testimonianze, noi riusciamo a toccare con mano - cosa sia una vocazione sacerdotale; - quale sia la genialità educativa del Seminario; - cosa diventa un giovane plasmato dall’ideale del Sacerdozio. Intuiamo una prima essenziale cosa: la premessa per la vocazione è un’anima grande; cioè la non mediocrità di visuale, la non meschinità della vita, bensì gli “spazi dilatati” dell’amore di Dio. Don Bruno scrive: “Se sapessimo guardare la vita con gli occhi di Dio…” e ancora “guardare la terra con gli occhi di Cristo” (1964) e aggiunge “per temperamento sono un massimalista: o tutto o niente” (4.III.1965). In secondo luogo ci rendiamo conto del cumulo di dottrina, di orientamenti, di suggerimenti, di influssi spirituali, il Seminario fa traboccare dinanzi a chi comincia a viverlo. Si direbbe che la mente e l’anima del Seminarista è investita da un uragano. Un po’ come gli Apostoli che videro Gesù trasfigurato oppure ascoltarono il suo discorso sul pane. Così è stato di Bruno. Dal luglio 1960 al 1965 egli è stato come una carta assorbente o come un radar. Tutti i messaggi teologici, spirituali, pastorali lo hanno impregnato. Così è stato nella tradizione della Chiesa. “Le cose che hai udito, trasmettile ad uomini capaci di insegnarle ad altri” disse S.Paolo a Timoteo (2Tim. 2). E Bruno dice di sé: “Ho bisogno di una base di studio che certamente non posso realizzare con l’attuale disordine, per prepararmi ad essere strumento adatto nelle mani di Dio” (4.III.1965). In terzo luogo, Bruno Mascellani solleva un poco la cortina di ciò che avviene nell’animo del “chiamato”, nel fondo del suo animo, mentre lo Spirito Santo sta improntando in lui l’immagine di Cristo pastore. Gioia e dolore, luce vivida e notte oscura, stupore per la bellezza della castità e timore di non farcela. Propositi grandi e piccolezze meschine; amore e avversione; obbedienza e autonomia; oblio di sé e orgoglio risorgente; aspirazione alla povertà con docilità di un bimbo e istinto di godere fiducia e ammirazione. E’ il travaglio dell’ “uomo vecchio” che deve retrocedere, per lasciare spazio all’”uomo nuovo” verso cui tendere. I giorni e le ore; la preghiera e la vita comunitaria; i colloqui educativi e gli autoesami di coscienza; tutto concorre a questo paziente lavorio che approda poi al giorno dell’Ordinazione, nel quale viene rivolta la fatidica domanda: “Sai se questo seminarista sia degno?” Fa impressione leggere le seguenti parole di Bruno: “la mia prima Messa devo incominciare oggi a celebrarla, se voglio domani, nel sacerdozio, viverla pienamente” (4.I.1966). Ecco cos’è la formazione del Seminario: partire dalla “chiamata”; trasfigurarsi in vista della “consacrazione”; consegnarsi alla “missione”. Ecco ciò che si compie tra le mura del Seminario, sul binario di una esistenza giovanile espressa in forme molto leggibili quali lo studio, la liturgia, il gioco, la conversazione, l’allegria, la mensa, il silenzio, le burle…; ma, nella segreta profondità dell’anima, avviene ciò che Gesù ha detto e fatto con gli apostoli: “Padre quelli che mi hai dato li ho custoditi; che conoscano Te vero Dio e colui che hai mandato; consacrali nella verità. Li ho mandati nel mondo; e il mondo sappia che li hai amati. Padre voglio che siano con me” (cfr. Gv. 17). E’ singolare questo brano del Diario di Bruno Mascellani: “E’ necessario che mi affretti… chi mi assicura che diventerò sacerdote o piuttosto dirmi quando morirò? Può darsi fra poco, come può darsi un’ora prima di ricevere la santa Ordinazione. E allora? Da capo, senza patemi d’animo o scrupoli per fare dell’attimo presente ciò che il Signore mi chiede” (4.I.1966). Sembra di sentire le parole di S. Pietro: “quali dovete essere voi nella santità della condotta e nella pietà, attendendo e affrettando la venuta del giorno di Dio” (2Pt. 3,11). Durante l’ordinazione del Suddiaconato c’era un rito quanto mai significativo: il Vescovo diceva con parole ferme: “Se volete perseverare nella decisione VENITE AVANTI: HUC ACCEDITE”. Nella fotografia del Suddiaconato, scattata il 27 maggio 1967, si intravvede il passo deciso di Bruno Mascellani. Si è affrettato! “E’ necessario che io mi affretti”, scriveva un anno prima. E si è affrettato anche il Signore. Bruno Mascellani, preparato dal Seminario è approdato al Regno di Dio: due traguardi di un’unica avventura: chiamato da Dio, consacrato a Dio, ritornato a Dio. Che sia questa la vera grande avventura dei sacerdoti ferraresi! Paolo Rabitti