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Insetti delle paludi non incendiate
Comunità: tutte le specie di insetti qualificanti le paludi ed in particolare i canneti non disturbati dal fuoco
Motivazione della necessità di gestione: come è noto le zone umide ospitano una pluralità di forme di vita e
costituiscono ambienti ad elevatissima biodiversità naturale; nel caso degli invertebrati, il pensiero in genere
viene rivolto soprattutto alle numerosissime specie acquatiche od acquaiole. Non bisogna tuttavia dimenticare
che esistono anche diverse specie igrofile infeudate a tali ambienti anche se prive di stadi francamente
acquatici: si tratta spesso di insetti fitofagi che sono si nutrono esclusivamente o preferibilmente a spese delle
piante dei canneti e dei cariceti: è ad esempio questo il caso degli eterotteri ligeidi Chilacis tiphae ed
Holcocranum saturejae, legati soprattutto a piante del genere Typha, o della bella farfalla Lycaena dispar, le
cui piante nutrici sono da ricercare entro il genere Rumex.
E’ evidente che proprio questa comunità animale è particolarmente sensibile all’incendio delle paludi, dato che
tali specie, non potendo in nessun caso vivere in acqua, non hanno possibilità di scampare al fuoco.
Probabilmente, proprio per questi motivi alcune di queste specie sono rarissime e assai localizzate in
Lombardia, anche se talora le piante ospiti sono presenti in massa; il caso di Chilacis tiphae sotto questo
punto di vista è estremamente significativo: specie a distribuzione europea, catturata per la prima volta in Italia
nel 1976 nel Milanese, venne poi rinvenuta solo in pochissime località del Piemonte e della Lombardia, benché
attivamente ricercata; stupisce la sua estrema rarità, cui corrisponde l’enorme diffusione di Typha latifolia,
pianta sulla quale si svolge l’intero ciclo vitale. Considerazioni analoghe valgono per l’affine Holcocranum
saturejae.
Strategie di conservazione
A - Intervento diretto sulla zoocenosi
B - Intervento diretto sull’habitat
C - Attività di monitoraggio
D - Azione sulla componente sociale
Tipologie di intervento
L’insieme di specie componenti questa comunità è piuttosto eterogeneo, per cui si tratterà di valutare di caso in
caso le priorità e gli interventi maggiormente corrispondenti al quadro faunistico locale ed agli scopi precisi
dell’azione (si veda ad esempio quanto detto nella scheda relativa Lycaena dispar). Nel caso di specie vistose
e/o ambite dai collezionisti possono essere valutati positivamente, almeno nelle aree protette, espliciti divieti
alla cattura a scopo collezionistico o commerciale (A3); secondo le circostanze, anche interventi di
reintroduzione in senso stretto possono essere programmati (A1), ma occorre prima acquisire dati
circostanziati dai quali traspaiano ottime prospettive per la nuova popolazione e la certezza di non indurre
stress sulle popolazioni da cui prelevare gli esemplari: ciò ha evidentemente validità generale, ma si è detto
che in questo caso si opera con colonie spesso al limite della sopravvivenza ed estremamente localizzate a
livello nazionale.
Tra gli interventi principali vanno considerate tutte le azioni volte al mantenimento di praterie igrofile, cariceti e
canneti (Ba7, Ba8), ma anche possibilità di ripristino o anche creazione ex-novo di zone umide adatte, con
importante cintura di vegetazione interrante, quali acquitrini, canneti, stagni con acque basse ed eutrofe ecc.
(Bc2). Il dettaglio tipologico ed operativo di queste azioni va calibrato sulla/e specie oggetto di lavoro: ad
esempio, nel caso dei lepidotteri, la buona estensione di queste aree è un fattore che può essere
determinante, mentre in altri casi (es.: Chilacis typhae) può essere più proficuo realizzare una rete di
microinterventi non necessariamente in diretto collegamento reciproco, quali ad esempio piccole pozze con
acque basse o allargamenti e locali impaludamenti della rete irrigua, anche con soli 100mq di vegetazione
utile.
Almeno in parte, questi interventi possono essere realizzato con il concorso degli agricoltori, opportunamente
incentivati (Bc4); nelle aree agricole, sarebbe importante incentivare pratiche a basso impatto (D8).
Bisogna inoltre considerare che le vegetazioni interranti sono per loro natura destinate ad una rapida
evoluzione e che pertanto prima o poi necessiteranno di manutenzione (Bc10): occorre tuttavia valutare
l’estrema sensibilità di molte delle specie animali di interesse nei confronti di ogni disturbo alle pianti ospiti
(taglio compreso), soprattutto nel caso di oligofagi costantemente presenti su tali piante; in questi casi potrà
essere più opportuno abbandonare alla naturale evoluzione le prime aree di intervento e ricostruire ambienti
più giovani nelle immediate vicinanze.
Evidentemente, nel caso di oligofagia o monofagia delle specie di interesse, non si può prescindere dalla
presenza delle piante nutrici (Bd8), per le quali se necessario si potrà procedere anche mediante riproduzione
ex-situ e successivo trapianto in loco.
E’ forse pleonastico ribadire l’assoluta necessità di evitare l’incendio delle paludi (Bd10) ma, più in generale,
vanno attentamente ponderate tutte le iniziative gestionali successive alla ricostituzione di habitat adatto; non
è invece superfluo evidenziare la necessità di avviare campagne di educazione ambientale e divulgazione sia
1
in ambito locale (D2) che a largo raggio (D3), sia per evitare che le paludi ed i canneti in particolare siano
ancora considerati semplicemente ambienti malsani da bonificare, sia per tamponare l’errore insito in una
promozione e gestione di tali ambienti solo in funzione della componente ornitica.
Molte delle specie che compongono queste comunità, come si è già ripetuto, sono estremamente rare e
localizzate: dovrebbe quindi essere prioritaria l’attivazione di una campagna finalizzata al censimento dei
luoghi potenzialmente ospitali per questi taxa (C9) e, quindi, alla verifica delle presenze reali (C4) a livello
lombardo. In alcuni casi significativi dovrebbero poi essere definite la consistenza, la struttura e l’andamento
stagionale delle popolazioni (C1), oltre che le potenzialità faunistiche delle aree individuate in termini
possibilmente quantitativi (C5). Talora sarà necessario inserire esplicitamente in tali analisi la mappatura delle
popolazioni più consistenti delle piante ospiti (C6). Tutte queste azioni dovrebbero infine portare alla
formulazione di un organico e specifico piano di azione valido di livello regionale o provinciale (C11).
Redazione scheda: M.Villa
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