8B_Epifania - salesiani don Bosco

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Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
EPIFANIA DEL SIGNORE
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Is 60,1-6 - La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal Salmo 71 - Rit.: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della
terra.
Ef 3,2-3a.5-6 - Tutti i popoli sono chiamati, in Cristo Gesù, a
partecipare alla stessa eredità.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Abbiamo visto la sua stella
in oriente e siamo venuti per adorare il Signore. Alleluia.
Mt 2,1-12 - Siamo venuti dall'oriente per adorare il re.
«Abbiamo visto la sua stella
e siamo venuti per adorarlo»
Si potrebbe dire che, in un certo senso, la festa dell’Epifania è un
secondo Natale. Con questa differenza, però: mentre il Natale
accentua di più l’aspetto dell’abbassamento e del misconoscimento
del mistero della nascita del Signore, l’Epifania vuol esserne la
proclamazione al cospetto del mondo, rappresentato qui dai «magi»,
che vengono «dall’oriente» (Mt 2,1) proprio alla sua ricerca.
Cosicché Gesù non è soltanto per gli «Ebrei» che, ad eccezione dei
«pastori» di cui ci parla san Luca (2,8-20), non sembrano neppure
essersi accorti di lui, ma anche per i «pagani» che, con i primi, sono
ormai chiamati a «formare lo stesso corpo», come ci ricorderà tra
poco san Paolo (Ef 3,6). Gesù è veramente il «cuore» del mondo e
tutti gli uomini, senza differenza di razza, di lingua e di cultura,
possono finalmente trovare in lui la salvezza.
In questo senso, l’Epifania dilata e approfondisce la portata teologica
del Natale: quel piccolo fanciullo, che i pastori e i magi «adorano»,
riconoscendolo come Figlio di Dio, è l’atteso non solo di Israele ma di
«tutte le genti». La luminosità e la festosità, di cui la Liturgia odierna
è carica, più di quella stessa di Natale, è il riflesso di questa
dilatazione del mistero della salvezza, che i «magi» portano come a
spalla per il mondo, quale «primizia» delle nazioni.
«Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce»
Settimio Cipriani, Illuminati dalla Parola. Riflessioni biblico-liturgiche • Anno B
Omelie per un anno. Vol. 1/B • Elledici, Leumann 2005
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Proprio su questo «universalismo» della salvezza si intrattiene, con
commozione e lirismo insieme, la prima lettura in cui il Terzo-Isaia
preannuncia lo splendore della futura Gerusalemme, che diventa
come un faro nella notte, polo di attrazione non solo degli Ebrei che
ritornano dal loro forzato esilio, ma anche di tutti i popoli.
«Alzati, rivèstiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore
brilla sopra di te... Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo
splendore del tuo sorgere... Le ricchezze del mare si riverseranno su
di te... Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di
Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso, e proclamando le
glorie del Signore» (Is 60,1-6).
I tesori del «mare» vengono dall’ovest, con le navi fenicie o greche;
le ricchezze dell’Oriente e dell’Egitto vengono invece con le carovane
attraverso i deserti della Siria e del Sinai. Madian, Efa e Saba sono
appunto popoli della penisola arabica.1 Le allusioni alle ricchezze
dell’Oriente e la prospettiva «universalistica» di tutto il brano hanno
indotto la Liturgia ad applicare questo brano al mistero dell’Epifania.
Ma al di là di questo, è soprattutto il tono di «luminosità» che domina
tutto il brano a richiamare la Epifania, che nella Chiesa di Oriente
viene detta appunto «festa dei santi lumi». La «stella», infatti, farà da
protagonista a tutto il racconto dei magi. Più che essere una
indicatrice del viaggio, essa appare una calamita che attira
irresistibilmente questi misteriosi personaggi.
La «luce» di Cristo «splendente sul volto della Chiesa»
Nell’applicazione che la Liturgia fa del brano di Isaia alla festa
dell’Epifania, indubbiamente al centro non sta più Gerusalemme, ma
Gesù in quanto «luce» e, se mai, Betlemme, «infima» fra le città di
Giuda,2 diventata luminosa solo perché in essa è nata la «luce del
mondo», come di fatto egli si chiamerà nel Vangelo. 3 Perciò la
polarizzazione avviene tutta intorno a lui, che però riflette la sua luce
su quelli che a lui si avvicinano, e sulle aggregazioni o istituzioni che
vogliono ispirarsi al suo messaggio.
In questo senso è chiaro che la «nuova» Gerusalemme, che dovrebbe
effondere sino alle estremità della terra la luce di Cristo, è la Chiesa.
Cf Is 45,15; Gn 25,1-4.
Cf Mic 5,2.
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Cf Gv 8,12; 9,5; 12,46.
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Omelie per un anno. Vol. 1/B • Elledici, Leumann 2005
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È esattamente quanto leggiamo all’inizio della Costituzione dogmatica
del Concilio Vaticano II sulla Chiesa: «Essendo Cristo la luce delle
genti, questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo,
ardentemente desidera con la luce di lui, splendente sul volto della
Chiesa, illuminare tutti gli uomini, annunciando il Vangelo ad ogni
creatura (cf Mc 16,15)».4
È qui richiamato il compito fondamentale della Chiesa, che è quello di
essere la «epifania» di Cristo al mondo con l’annuncio del Vangelo e
la trasparenza della vita dei suoi membri.
«Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle
precedenti generazioni»
È quanto ci richiama la seconda lettura, in cui san Paolo, dopo aver
illustrato il disegno «misterioso» della salvezza, da sempre presente
al pensiero di Dio (Ef 1,3-14) e consistente nella «ricapitolazione» di
tutte le cose «in Cristo» (v. 10), con l’abbattimento del «muro di
separazione» (2,14) che c’era fra Ebrei e Gentili, presenta se stesso
come «ministro» dell’annuncio di questo «mistero».
«Penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio a
me affidato a vostro beneficio: come per rivelazione mi è stato fatto
conoscere il mistero...: che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo
Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e
ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 3,23.6).
È dunque per mezzo dell’irradiazione del «Vangelo», dall’apostolo
annunciato a tutte le genti, che la «epifania» del Signore si dilata
sempre più e si estende anche ai pagani, i quali sono ormai
«chiamati, in Cristo Gesù», a formare uno «stesso corpo» con gli
Ebrei e a «partecipare» della stessa «promessa» salvifica.
I «magi», rappresentanti dell’immenso mondo pagano, sono entrati di
pieno diritto nella Chiesa, mentre gli Ebrei purtroppo sono rimasti alla
porta, proprio come i sommi sacerdoti e gli scribi di Gerusalemme che
seppero indicare Betlemme come luogo della nascita del Messia, ma
loro non si mossero per andare a rendergli omaggio.
Mentre Gesù «si manifesta» ad alcuni, sembra «nascondersi» ad altri!
Nella luminosità della festa odierna non si dimentichi, perciò, la parte
di dramma e di tensione che essa porta con sé.
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Lumen Gentium n. 1.
Settimio Cipriani, Illuminati dalla Parola. Riflessioni biblico-liturgiche • Anno B
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«Nato Gesù a Betlemme, alcuni magi giunsero da oriente»
E così siamo arrivati al racconto di Matteo (2,1-12), che dà il senso di
fondo alla Liturgia odierna.
Siamo indubbiamente davanti ad una storia, che ha troppo di
prodigioso per essere vera in tutti i suoi dettagli. D’altra parte,
stupisce che Luca la ignori del tutto, data la almeno apparente
clamorosità del fatto secondo la presentazione che ne fa Matteo; il
quale, poi, non sembra avere molte informazioni circa l’identità di
questi personaggi, che chiama genericamente «magi», circa la loro
provenienza, salvo il dirci che vengono «da oriente» (v. 1).
Appartenevano alla casta sacerdotale, nota con questo nome, nel
regno dei Medi e che durante la conquista persiana abbracciarono la
dottrina di Zarathustra, secondo le informazioni che ci fornisce lo
storico greco Erodoto? Oppure erano sapienti babilonesi, dediti allo
studio dell’astronomia e dell’astrologia, come sembra più probabile da
tutto il contesto? Quanti erano? Da quale paese venivano?
San Matteo non sa dirci nulla al riguardo. Eppure è interessatissimo
alla loro storia, che per lui diventa «esemplare» per dirci il diverso
atteggiamento che gli uomini talvolta assumono davanti a Cristo: i
vicini, cioè gli Ebrei, lo ignorano, addirittura gli tendono insidie come
Erode; mentre i lontani, cioè i pagani, sospinti dalla «luce» della fede,
lo cercano, lo riconoscono, pur sotto il segno della povertà e della
umiltà. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e
prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in
dono oro, incenso e mirra» (vv. 11-12).
«Da Giacobbe spunterà una stella»
È indubbio perciò che l’interesse «teologico» ha avuto il sopravvento
su quello storico, che certamente rimane, anche se non riusciamo a
ricostruire la vera entità del fatto. Del resto, anche il preciso
riferimento a Erode il Grande, che fu re della Palestina, pur sotto il
severo controllo di Roma, dal 37 al 4 a.C., depone in favore di una
certa veridicità dell’episodio. In ultima analisi, saremmo davanti a
quello che gli studiosi chiamano «racconto midrashico», dove storia,
poesia, teologia, interesse parenetico si mescolano per trasmettere
un messaggio di «fede», più che un racconto cronachistico.
Naturalmente il problema della consistenza storica del fatto afferra
anche la «stella», che in realtà è la protagonista di tutto il racconto: è
lei che guida i magi fino a Gerusalemme, poi scompare, poi riappare
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fino a fermarsi precisamente «sopra il luogo dove si trovava il
bambino» (v. 9). Antichi scrittori ecclesiastici, come Origene,
pensarono ad una cometa; scienziati moderni, dopo Keplero,
ricordano la congiunzione di Giove e Saturno nella costellazione dei
Pesci avvenuta esattamente il 7 a.C.
A nostro parere, si tratta di una «stella» simbolo, che vuole
significare due cose; la prima è che solo la «luce» interiore della fede
guida a Cristo: non si può né conoscere né incontrare davvero Gesù
se il Padre, come ci dice san Giovanni, «non ci attira» verso di lui (Gv
6,44). La seconda è che l’evangelista vede realizzato finalmente il
famoso oracolo di Balaam, che preannunciava il Messia sotto il segno
della «stella»: «Io lo vedo, ma non ora; io lo contemplo, ma non da
vicino: una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele»
(Nm 24,17).
In Gesù di Nazaret si realizzano dunque le promesse dell’Antico
Testamento e la sua «luce» ormai s’irradia sul mondo, perché nella
fede egli viene accettato anche dai pagani.
«Al vedere la stella provarono una grandissima gioia»
È significativa l’espressione con cui l’evangelista commenta il
ritrovamento, da parte dei magi, della stella, che si era occultata al
loro arrivo a Gerusalemme: «Al vedere la stella, essi provarono una
grandissima gioia» (v. 10). È un tratto analogo al racconto della
nascita in Luca 2,10 e a quelli della risurrezione.5 Esso sta a dire la
sorpresa dell’uomo davanti a qualcosa di inaspettato e che dà senso
finalmente alla propria vita o ai propri sforzi.
Normalmente la «gioia» non è offerta a poco prezzo: essa è sempre
frutto di grande fatica e viene al termine di lunghe lotte, e talvolta
anche di delusioni. La storia dei magi sta a dimostrare quello che
veniamo dicendo. Ogni esperienza autentica di fede non è mai un
incontro facile con Cristo: egli si mostra e poi scompare e poi si fa
ritrovare, proprio perché il suo «mistero» sta sempre «oltre», ed
anche perché l’uomo non si illuda che il trovare Cristo sia facile.
Perciò la luminosità, in cui viene immersa la festa dell’Epifania, non ci
tragga in inganno: Cristo è «luminoso», ma solo per chi ha il coraggio
di percorrere un lungo e faticoso, talvolta deludente, itinerario per
trovarlo: proprio come è accaduto ai magi.
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Cf Mt 28,8; Lc 24,41.52; Gv 20,20.
Settimio Cipriani, Illuminati dalla Parola. Riflessioni biblico-liturgiche • Anno B
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«Avvertiti in sogno, per un’altra strada fecero ritorno al loro
paese»
I quali, perché docili all’ispirazione di Dio, diventano a loro volta
diffusori di luce. È quanto possiamo intravedere nel versetto, con cui
l’evangelista conclude il suo racconto: «Avvertiti poi in sogno di non
tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (v.
12).
«Ritornare da Erode» significava non soltanto fornire pretesto al
tiranno per uccidere Cristo, ma soprattutto ripiombare nelle tenebre:
a Gerusalemme infatti era scomparsa la stella! Dove c’è ambizione,
lotta per il potere, presuntuosità culturale, sicurezza di sé e delle
proprie idee, strumentalizzazione della «parola di Dio», acquiescenza
a ciò che è abitudinario, non può entrare la «luce» di Cristo. Qualora
vi entrasse, infatti, farebbe crollare tutto, perché svelerebbe i
«pensieri dei cuori».6
Nell’Oriente, invece, che è «il loro paese», possono diffondere la
«luce» di cui ormai è invaso il loro cuore. È interessante questo
muoversi da «Oriente» per ritornare a «Oriente»: è la «luce» che
diventa sempre più intensa!
Anche per noi cristiani deve realizzarsi questo andare di «luce in
luce».7 E questo in una doppia maniera: facendoci illuminare sempre
più profondamente da Cristo, in modo che la nostra vita diventi come
la sua «trasparenza»; e aspirando verso la «rivelazione» definitiva del
Cristo nella «gloria» eterna.
È quanto ci fa supplicare la mirabile colletta, con cui si apre la Liturgia
odierna: «O Dio, che in questo giorno, con la guida della stella, hai
rivelato alle genti il tuo unico Figlio, conduci benigno anche noi, che
già ti abbiamo conosciuto per la fede, a contemplare la grandezza
della tua gloria».
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Cf Lc 2,33.
Cf 2 Cor 3,18.
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