IV domenica di Avvento A: come Giuseppe e Maria
(Is 7,10-14; Sal 23; Rm 1,1-7; Mt 1,18-24)
Siamo vicini al Natale: ciascuno di noi ha fatto o sta facendo qualcosa in vista di una festa così
importante. Se siamo abituati ai regali, abbiamo sicuramente già provveduto; se fa parte delle nostre
abitudini, abbiamo già addobbato l’albero; se teniamo ancora alla tradizione del presepe, abbiamo
già completato l’opera, più o meno prolungata, prima di collocare Gesù Bambino nella culla. C’è
anche chi ha programmato una vacanza, più o meno lunga, o chi ha fatto altri programmi. Ognuno
di noi, insomma, vede il Natale dal proprio punto di vista. Questa quarta (e ultima) domenica di
Avvento ci fa invece vedere il Natale secondo lo sguardo dei genitori di Gesù, Giuseppe e Maria.
Fiducia
La prima lettura ha inizio con un invito di Dio rivolto al re di Israele. Questi aveva fatto i suoi
calcoli: accordandosi con gli assiri, avrebbe evitato scontri militari, a costo di perdere l’autonomia,
anche religiosa. Si stava preparando a trasformare una nazione intera da popolo fedele a Dio a
succursale di dominatori esterni. Tutto è ben calcolato, non c’è spazio per la provvidenza divina. A
seguito quindi dell’ultimo invito e dell’ennesimo rifiuto, mascherato da falsa religiosità (non voglio
tentare il Signore Dio), il profeta Isaia prende la parola e annuncia l’ira di Dio, il quale donerà un
segno, l’Emanuele concepito da una ragazza nubile. Un’affermazione del genere poteva coprire di
ridicolo il profeta, anche perché un figlio nato da ragazza nubile non poteva vantare alcun diritto.
Eppure Dio non è nuovo ad affermazioni del genere; nei salmi troviamo la seguente affermazione:
chi si vanta dei carri e dei cavalli, noi siamo forti nel nome del Signore Dio nostro (Sal 19,8). Colui
che è fedele a Dio sa che esistono mezzi per vivere e per lottare, ma sa anche che solo la fiducia
nell’opera di Dio permette di non perdersi e di salvarsi, senza compromessi di comodo.
Servizio
Abbiamo ascoltato l’inizio della lettera ai Romani, il prescritto (o introduzione) più articolato di
tutte le lettere paoline: autore, qualifica, motivazione, destinatari. Interessante è notare anche come
Paolo si definisce dinanzi ai romani, prima di iniziare qualunque discorso: servo. In greco questo
termine (dùlos) si traduce con schiavo, con colui cioè che non può più vantare diritti su e per se
stesso, in quanto tutto ciò che fa è per il suo padrone. Nel caso di Paolo, questi rinnega ogni merito
della sua missione perché sa che tutto proviene dalla grazia di Dio donata in Gesù: è il servizio a
Cristo che da senso alla sua vita, alla sua preghiera, al suo apostolato.
Oggi siamo abituati all’abuso del termine “servizio”, che traduciamo come disponibilità per offrire
una prestazione dietro “giusta” retribuzione. Il servizio è invece per Paolo non vantare diritti per sé,
ma solo per Dio: annunciare, fare discepoli, operare miracoli, fondare comunità, è tutto dono di Dio,
per i quali un servo non è altro che un semplice strumento.
Accoglienza
Il concepimento e la nascita di Gesù è una sfida di Dio per l’umanità. I primi a sperimentarlo sono
Maria e Giuseppe. Matteo concentra l’attenzione su di lui, suoi dubbi, sull’angelo e sulla successiva
accettazione dell’opera di Dio. Non è un semplice racconto, ma l’inizio di un percorso che porterà
Giuseppe a essere non solo un giusto, ma anche e soprattutto un santo di Dio.
Chi celebra il Natale sa che bisogna compiere opere buone, opere di giustizia, ma sa anche – alla
luce di quanto detto – che è chiamato ad accogliere i doni di Dio con fiducia, senza riserve, come i
genitori dell’Emanuele. Dio entra nella nostra storia in un modo tutto nuovo a partire dal Natale:
occorre dargli carta bianca, per vivere la sua nuova presenza accanto a noi: Emanuele, Dio con noi.
Altra omelia
Il Vangelo di Matteo inizia con la complicata genealogia di Gesù. Segue il racconto della nascita:
“ecco come avvenne”. Credo che questo versetto può essere l’incipit (inizio) di come possa
realmente nascere il Natale nei nostri cuori.
Proviamo anzitutto a metterci nei panni di Giuseppe: un tipo pacifico, mai un peccato grave, mai
una sbavatura, una vita irreprensibile, “che era giusto”. A un certo punto della sua vita, si accorge
che Maria è incinta: non può essere, perché non vanno ancora a vivere insieme. Che fare?
Ripudiarla? Significava la lapidazione. Meglio allora “licenziarla in segreto”, cioè non addossarle
alcuna colpa, nonostante l’amarezza. Pensiamo a noi: siamo a volte come Giuseppe: abbiamo una
posizione, un patrimonio magari economico e culturale, siamo rispettati, ci ritengono brave persone.
Dinanzi a noi abbiamo persone come Maria, simbolo delle persone indifese, senza diritti, magari
allontanate da tutti perché accusate dai pregiudizi dalla società. Anche noi, posti su un gradino
superiore, possiamo fare la nostra scelta: ripudiare, cioè allontanare, condividere il disprezzo per
persone del genere, trattarle con indifferenza. Forse è a questo punto che si vede quanto siamo
giusti. Possiamo prendere come esempio lo stesso Giuseppe: licenziare in segreto, cioè non
emettere giudizi, consapevoli che l’unico e veritiero giudizio proviene da Dio, che conosce i cuori
prima di valutare le azioni.
Pensiamo ora all’altra figura che il Vangelo mette in evidenza: l’angelo. Un sogno permette a
Giuseppe di comprendere l’agire di Dio, tramite l’intervento di un suo messaggero che gli spiega di
non temere l’opera dello Spirito Santo. Chi è l’angelo nella nostra vita? Può essere l’angelo custode
che preghiamo, ma può anche essere un amico, un confidente, il padre spirituale: qualcuno che ci
aiuta e ci illumina per poter fare la volontà di Dio, secondo la sua giustizia e non secondo la nostra.
Forse Dio non ci apparirà in sogno o in visione per illuminare il nostro cammino, ma ci porrà
accanto delle persone che sapranno consigliarci, anche dicendoci cose che a volte non possono
piacerci (e ci piace sempre ciò che Dio ci chiede?), quel “vero tesoro” come ci ricordano i libri
sapienziali dell’Antico Testamento. Questo angelo può essere infine la stessa Parola di Dio, se
siamo capaci di farla oggetto di meditazione quotidiana per la nostra vita: la riflessione sulla Parola
di Dio ci interroga, ci pone interrogativi, ci stimola a uscire dal nostro guscio, ci prepara a vivere
ogni giorno l’esperienza di Dio. Quale angelo migliore? Dio stesso che parla al nostro cuore.
Un’ultima annotazione: l’evangelista fa riferimento alla profezia di Isaia e conclude con
l’accettazione di Maria e di Gesù da parte di Giuseppe. Anche noi possiamo trovare motivazione
dalla Parola del Vangelo, anche noi possiamo trarre dalle parole di Gesù la forza necessaria per
accogliere Dio e accoglierci reciprocamente. L’Emanuele, il Dio con noi, non è solo il bel bimbo
che appare sulla culla; è soprattutto una scommessa che Dio stesso fa con noi: anche la nostra vita
può essere santa, totalmente rivolta a Lui, se tutta la nostra vita è un camminare con la certezza che
Dio non è solo sopra di noi ma anche accanto a noi.
La giustizia di Giuseppe ci aiuti a essere fedeli a Dio; la sua docilità ci renda capaci di accogliere
quella debolezza di Dio, nascosta in Gesù e in Maria, per rafforzare i nostri passi e – come ama
definirsi Paolo nella seconda lettura – renderci autentici servi del Signore.
Dialogando con i piccoli
Iniziamo a porre domande sul Vangelo: in che stato si trova Maria? È incinta.
Giuseppe cosa fa? La licenzia in segreto = non fa sapere a nessuno che la moglie è incinta.
Cosa succede poi? Un angelo gli appare in sogno.
Cosa gli dice? Di prendere in sposa Maria, perché il bimbo è opera di Dio.
Avete notato come si chiamerà il bambino? Gesù.
E invece la profezia quale nome riporta? Emanuele.
Proviamo a spiegare perché. Una volta mi è capitato di parlare con un anziano, il quale mi ha
detto che lo chiamavano “il forestiero”, nonostante si trovasse da quarant’anni nello stesso paese:
quel soprannome che gli era stato dato per distinguerne la provenienza era diventato il modo per
capire chi fosse. Allo stesso modo, Matteo ci dice che il bambino sarà Emanuele, cioè Dio con noi.
Sembra un soprannome di Gesù, in un certo senso lo è.
Il figlio di Maria e di Giuseppe è Gesù = Dio salva, ma è anche l’Emanuele = Dio con noi. Qual è la
differenza? Dio salva … lo sappiamo, è il suo compito; Dio con noi … Dio viene fra noi, non glielo
ha chiesto nessuno. Siamo capaci di capirlo? Capiremo allora il Natale, un pochino di più.