Inaugurazione sabato 18 novembre con il vescovo mons. Monari Restaurata la chiesa di S.Antonio a Trebbia Domani, 18 novembre, alle ore 16.30, il Vescovo Luciano Monari celebra una messa solenne in occasione dell’inaugurazione ufficiale della restaurata chiesa di Sant’Antonio a Trebbia. Per ricordare l’evento verrà emessa una cartolina celebrativa con annullo (non filatelico) speciale datato, appunto, 18 novembre 2006 e sarà proiettato un DVD-documentario sulla storia della chiesa e sui lavori di restauro effettuati. Per riportare la loro chiesa agli antichi splendori i parrocchiani di Sant’Antonio a Trebbia si sono rivolti ad una “figlia d’arte”: Roberta Morisi. Fin dal 1700 la sua famiglia si occupa di restauri e decorazioni di edifici sacri e nobiliari e lei, giovane architetto piacentino autrice anche di alcune pubblicazioni sui monumenti ed i giardini più belli della nostra città, proprio non poteva dire di no alla richiesta di don Giuseppe Segalini e della sua comunità. All’inizio era un lazzaretto Ha una lunga storia alle spalle, infatti, Sant’Antonio. La sua fondazione risale addirittura al 1172. Allora, però, era più che altro un lazzaretto, ovvero un ricovero per ammalati di peste. Non per nulla il Poggiali ed il Campi, due storici studiosi d’arte piacentina, la chiamavano la Chiesa-Ospedale. A reggerla erano i Frati Antonini o Frati del Tau (da uno dei simboli più conosciuti di Sant’Antonio Abate) i quali, oltre a dire messa, facevano pure gl’infermieri, prendendosi cura di quei poveri lebbrosi che venivano cacciati dalla città e, troppo spesso, lasciati morire per strada. Nel tempo, poi, la chiesa si è trasformata, anche se lazzaretto lo è rimasta ancora per molti decenni, fino quasi alla metà del 1700. Solo dopo l’edificio si è allargato, arrivando ad includere nella chiesa anche i locali del vecchio Ospitale. Dai Frati Antonini la chiesa è succeduta a quelli Francescani, passando per le forche caudine di Napoleone che, per anni, ne ha soppresso il convento includendolo, con tutte le sue strutture architettoniche al Demanio Nazionale. Solo dal 1839 Sant’Antonio è ritornata ad essere parrocchia con tanto di prevosto. Molti i restauri, pochi quelli veramente utili In tanti secoli di storia inevitabili sono stati i lavori di restauro della chiesa anche se alcuni, bisogna dirlo, sono stati un po’ maldestri. “Nel 1926, ad esempio, – dice l’architetto Morisi – volendo ridipingere le pareti interne dell’edificio sacro, sono andati persi meravigliosi affreschi del 1400. Oggi una cosa del genere, con le moderne tecniche di restauro, non sarebbe mai accaduta ma allora quello che importava era ridare luce alla chiesa e forse gli affreschi preesistenti, ispessiti dall’umidità, erano diventati irriconoscibili e quindi solo brutti a vedersi”. Effettivamente una delle maggiori preoccupazioni dello stesso architetto Morisi al momento d’accettare l’incarico per i restauri di Sant’Antonio, sono state proprio le infiltrazioni d’umidità, soprattutto quelle provenienti dal versante nord-ovest dell’edificio (lato Via Emilia, per intenderci). “Occorreva, prima di tutto, ricostruire le grondaie creando tubi esterni di scolo resistenti e capaci d’incanalare l’acqua piovana facendola arrivare direttamente alle fogne senza imbibire i muri della chiesa, quindi bisognava passare all’interno sostituendo il vecchio intonaco igroscopico con uno nuovo deumidificante ed anti-sale”. La ricerca dei colori giusti Un lavoro incredibile, durato mesi (i lavori sono iniziati in primavera) e portato avanti da uno staff di muratori, elettricisti (ditta La Luce s.a.s.), tinteggiatori (Mario Stocchi) e decoratori, anzi, decoratrici: Michela Favari e Daniela Ridetti. Importante, però, era rendere luminosa la chiesa cercando per quanto possibile di ricalcare i vecchi colori di Sant’Antonio: “Non era facile scoprire le tinte originarie dell’edificio – sottolinea Roberta Morisi – soprattutto perché i rimaneggiamenti, nei secoli, erano stati tanti e sovrapposti gli uni agli altri”. Per fortuna, in aiuto a Roberta, è venuto suo padre che da scenografo e decoratore qual è, è riuscito a definire una gamma di tinte (dal giallo all’azzurro chiaro) capaci di ridare non solo luce alla chiesa, ma anche maggiore respiro a tutto l’edificio. “Le stesse lesene - continua Roberta -, ovvero le colonne portanti dell’edificio, sono state tutte sabbiate e liberate dal vecchio intonaco rosso che le copriva, riportando in luce i bei mattoni a vista di un tempo”. Riecco la “bella chiesa di Sant’Antonio” “... pulchra Ecclesia S. Antonii…”, la bella chiesa di Sant’Antonio: così la definiva il Campi secoli fa e così la definisce entusiasta anche oggi, a lavori finiti, il suo parroco don Giuseppe Segalini: “Mi auguro che il restauro della nostra chiesa non riempia solo i nostri occhi, ma faciliti anche i nostri incontri con Dio, siano essi individuali, familiari o comunitari”. Manuela Rocca