Capitolo 3
IL MODELLO DI PURO CREDITO DI WICKSELL*
1. Introduzione
Le critiche sviluppate sin dalla fine dell’Ottocento alla teoria neoclassico-walrasiana
mettevano tanto in discussione non tanto la coerenza interna del modello quanto la sua
capacità di cogliere i tratti salienti delle economie di mercato (insomma la “coerenza
esterna” della teoria). In particolare, come si è osservato, le critiche che venivano rivolte al
modello neoclassico concernevano il ruolo delle variabili monetarie e la natura non
conflittuale del processo economico. A ben vedere, le critiche al modello neoclassico si
concentrarono inizialmente sulla teoria monetaria. L’idea che la moneta fosse una merce
particolare, che le banche funzionassero da intermediari finanziari puri e che le variabili
monetarie non giocassero alcun ruolo significativo nelle economie di mercato venne posta
in discussione soprattutto a partire dalla pubblicazione del libro Interesse monetario e
prezzi dei beni dell’economista svedese K. Wicksell. Nel libro di Wicksell, a partire da una
nuova teoria della moneta e della banca, veniva presentata una descrizione del processo
economico e una serie di implicazioni sul piano reale non ascrivibili alla logica neoclassica.
Prima di entrare nell’analisi del modello proposto da Wicksell è opportuno
sottolineare quale sia l’alternativa teorica alla categoria analitica di moneta-merce.
Una volta respinta la tesi della moneta-merce gli economisti si trovarono di fronte a
una alternativa: formulare una teoria della creazione bancaria di moneta o descrivere la
moneta come un certificato di credito emesso direttamente dai singoli agenti. Tuttavia, a
ben vedere, questa seconda possibilità è incompatibile con la definizione di una autentica
economia monetaria.
Per capire questo punto, prendiamo in considerazione un sistema caratterizzato dalla
separazione tra lavoro e strumenti tecnici della produzione. In questo sistema, la prima fase
del processo economico non può che consistere nell’acquisto, da parte delle imprese, dei
servizi del lavoro. La prima necessità delle imprese è dunque una disponibilità di potere di
acquisto, di moneta. Ora, supponiamo che le imprese emettano loro stesse certificati di
credito e con questi paghino i lavoratori. In questo caso, si apre una doppia possibilità: tali
passività o sono mezzi di pagamento definitivi o sono semplicemente delle promesse di
pagamento. Esaminiamo il primo caso. Le imprese pagano i lavoratori per i loro servizi
emettendo passività che vengono accettate dai lavoratori stessi come mezzi di pagamento
*
[Appunti presentati in prima stesura.]
1
definitivi. E' evidente che in questo caso siamo in un economia nella quale questi operatori
godono di diritti di signoraggio. Le imprese, infatti, ottengono i servizi lavorativi cedendo
certificati cartacei privi di valore e restando con ciò esonerati da qualsiasi pagamento
successivo. Saremmo dunque in una economia che garantisce ad alcuni privati dei privilegi
che nega ad altri. Il caso dunque che passività delle imprese diano luogo a dei pagamenti
definitivi va scartato se si è alla ricerca di un modello nel quale tutti i soggetti abbiano pari
diritti e siano assenti poteri di signoraggio. Vediamo il secondo caso. Le imprese comprano
i servizi lavorativi mediante certificati da loro stesse emessi che non danno luogo a
pagamenti definitivi. In questo caso, tali passività sono - in sostanza - delle semplici
promesse di pagamento. Questo tipo di ipotesi ci conduce a descrivere una sorta di
economia creditizia, nella quale i pagamenti in moneta non sciolgono completamente il
pagante ma semplicemente rinviano il pagamento definitivo che deve necessariamente
essere in termini reali. Ma in questo modo, il processo economico torna ad essere una sorta
di grande baratto tra servizi lavorativi e merci.
Dunque, se si vuole descrivere il funzionamento di un sistema caratterizzato dalla
separazione tra lavoro e mezzi di produzione, e quindi un sistema in cui sia presente un
mercato della forza-lavoro, e se al contempo si vuole restare al di fuori di un modello di
baratto, l’unico possibile mezzo di pagamento è costituito da moneta emessa dalle banche.
Supponiamo infatti che le imprese ricorrano al credito bancario per finanziare la
produzione. Le banche creano moneta nel momento in cui decidono di concedere il credito
alle imprese. La creazione di moneta avviene mediante semplici scritture contabili nei
registri delle banche. Le banche scriveranno nell’attivo dei loro bilanci il credito verso le
imprese e nel passivo il volume di depositi creati. Successivamente, le imprese utilizzano i
loro depositi per pagare i lavoratori. Le banche allora accreditano i depositi dei lavoratori
addebitando quelli degli imprenditori. Nella nuova situazione le imprese restano indebitate
verso le banche, i lavoratori sono creditori delle banche stesse, e queste ultime hanno al
loro attivo il credito verso le imprese e al passivo il debito verso i lavoratori. Il credito delle
banche ha funzionato da mezzo di pagamento definitivo per le imprese in quanto queste si
sono effettivamente liberate di ogni rapporto con i lavoratori. In una economia senza
baratto l'unico mezzo di pagamento possibile la promessa di pagamento di un terzo agente:
la banca. In questo senso il mezzo di pagamento assume una natura triangolare (Graziani
1988)1.
2. Il modello di puro credito
Lo scopo esplicito del modello di puro credito, presentato da Wicksell nel capitolo 9
del suo libro, è superare la disputa dell’epoca su monometallismo-bimetallismo e
soprattutto la teoria quantitativa della moneta. Secondo Wicksell la teoria quantitativa non
1
La teoria della moneta segno sarà approfondita nel capitolo dedicato a Keynes.
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riusciva a dare risposta all'interrogativo di fondo per il quale essa stata formulata: spiegare
le variazioni del livello generale dei prezzi. L’opinione di Wicksell non poteva essere più
critica: la teoria quantitativa non serve perché ciò che essa afferma “avverrebbe realmente
se in generale non esistessero né credito, né banche”. Wicksell, dunque, si propone di
costruire una teoria monetaria alternativa. Il modello di puro credito è un rovesciamento
dell’impostazione neoclassica di teoria monetaria: la moneta è un puro segno, le banche
sono gli agenti che creano moneta, la quantità di moneta in circolazione non è esogena ma
dipendente dalla domanda di finanziamenti effettuati dalle imprese. Tuttavia, nel tentativo
di costruire una teoria monetaria nuova, lo studiosi svedese finì per andare molto oltre
l’obiettivo che si era preposto.
Cominciamo col definire le ipotesi del modello. Per quanto concerne la struttura
degli operatori, Wicksell ipotizza la presenza di quattro macro-agenti funzionalmente
distinti:
le banche, che creano moneta attraverso la concessione di crediti alle imprese;
le imprese, che hanno il compito di dirigere il processo produttivo;
i lavoratori, che erogano i servizi lavorativi;
i capitalisti-risparmiatori, che mediante il loro risparmio consentono le anticipazioni
di salario reale.
La definizione dell’agente banca ci permette di sottolineare che, nel modello in
esame, la moneta non è una merce ma un puro segno: un certificato emesso dalla banca
attraverso una concessione di credito alla impresa. La banca non più un semplice
intermediario di crediti ma si presenta come il soggetto che crea moneta.
La definizione dell’agente capitalisti-risparmiatori ci consente di sottolineare un
altro aspetto. Wicksell propone un modello con fondo-salari. La teoria del fondo-salari –
cavallo di battaglia degli economisti classici – sostiene che i salari reali dei lavoratori in un
dato periodo t sono anticipati (cioé pagati prima del termine del processo produttivo)
mediante un fondo (stock) di merci non consumate nel periodo precedente t-1 e accumulate
per essere destinate al consumo dei lavoratori nel periodo successivo. I capitalistirisparmiatori sono gli agenti che svolgono la funzione di risparmiare e accumulare le il
fondo di merci per il consumo dei lavoratori. In particolare, Wicksell ipotizza che al
termine del periodo precedente (il periodo t-1) i capitalisti risparmiatori abbiano
accumulato un fondo di merci sufficiente per il sostentamento dei lavoratori del periodo
successivo.
Wicksell effettua inoltre alcune ipotesi sui tassi di interessi. In primo luogo propone
la distinzione tra il tasso di interesse monetario e il tasso di interesse naturale. Il tasso di
interesse monetario – di seguito indicato con i – è il tasso praticato dalle banche su crediti e
debiti; Wicksell ipotizza che il tasso monetario attivo (quello che le banche praticano ai
debitori) sia uguale al tasso monetario passivo (quello che le banche concedono ai
creditori). Il tasso di interesse naturale – di seguito indicato con n – mostra il rendimento
dei processi produttivi: è una misura in cui l’output in termini fisici eccede l’input in
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termini fisici.
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Il circuito di puro credito di Wicksell
4-deposito
Capitalistirisparmiatori
banche
5-prelievo
7-rimborso
3-spesa per
6-spesa
consumi
capitalisti
debito
lavoratori
imprese
2-monte salari
monetario
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1- finanziamento
Wicksell ipotizza inoltre di piena occupazione, data tecnologia, la produzione di un bene
omogeneo. Per semplicità, seguiamo ancora Wicksell nell’ipotizzare che il processo
produttivo abbia durata di un anno e che ciascuna categoria di agenti si muova all’unisono.
Date le ipotesi, Wicksell descrive il funzionamento del sistema economico come un
processo sequenziale, distinto in fasi logicamente e temporalmente successive. Tali fasi
sono individuate attraverso i flussi monetari, il fluire della moneta da un operatore all’altro.
Tali flussi monetari descrivono un vero e proprio circuito monetario. Il processo economico
si apre con l’introduzione della moneta nell’economia (creazione di moneta) e si chiude con
il deflusso della moneta dall’economia (distruzione di moneta).
Nella sua analisi Wicksell distingue rigorosamento il caso del circuito in equilibrio
dal caso del circuito in squilibrio.
3. Il circuito in equilibrio
Cominciamo esaminando il caso del circuito in equilibrio. Assumiamo che il tasso
di interesse monetario sia uguale al tasso di interesse naturale.
E’ del tutto chiaro che affinché il processo produttivo possa prendere avvio le
imprese devono acquistare servizi lavorativi. Il circuito si mette in moto allorché il primo
giorno dell’anno le imprese chiedono e ottengono dalle banche un finanziamento pari a K,
supposto pari al valore delle merci risparmiate dai capitalisti-risparmiatori nel periodo
precedente computate ai prezzi del periodo precedente. Ciò significa che K è pari al moneta
salari in termini monetari. Le banche nel concedere il credito K alle imprese creano,
attraverso semplici scritture contabili, una quantità di moneta pari a K. Si assiste dunque a
un primo flusso monetario, dalle banche alle imprese.
Ottenuto il finanziamento K, le imprese sono in grado di pagare i salari monetari
(ivi compresa la frazione corrispondente ai salari imprenditoriali). Si assiste dunque a un
secondo flusso monetario: dalle imprese ai lavoratori.
A questo punto i lavoratori potranno acquistare le merci-salario dell’anno in
questione, detenute dai capitalisti-risparmiatori. Supposta pari a zero la propensione al
risparmio dei lavoratori, la moneta K passerà dai lavoratori ai capitalisti-risparmiatori.
Questi ultimi si troveranno pertanto, al termine della prima giornata dell’anno, in
possesso della moneta K (o meglio: il loro deposito bancario risulterà essere accreditato di
tale importo). I capitalisti-risparmiatori terranno tali scorte liquide sino al termine del
processo produttivo.
Una volta acquistati i servizi lavorativi, le imprese sono in grado di mettere in moto
il processo produttivo. Al termine dell’anno la produzione è conclusa e le imprese si
trovano in possesso dell’ouput. Considerato pari a K il valore monetario dell’input (i servizi
lavorativi) e considerato il tasso di accrescimento dell’input ovvero il tasso naturale di
interesse, le imprese si troveranno in possesso di un output pari a K(1+n); che poi, avendo
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assunto n = i, può essere anche indicato come segue: K(1+i).
D’altra parte al termine dell’anno il valore del deposito bancario dei capitalistirisparmiatori sarà accresciuto del tasso di interesse monetario; esso sarà pari a K(1+i). Ora
poiché, da un lato, gli imprenditori hanno bisogno di vendere le merci per saldare il debito
con le banche, e, dall’altro, i capitalisti-risparmiatori hanno bisogno di comprare le merci
per accedere ai loro consumi personali e ricostituire il fondo salari, nel mercato si
confronteranno i seguenti valori della offerta e della domanda:
Om=K(1+n)=K(1+i),
Dm=K(1+i).
Data l’evidente equivalenza tra il valore delle merci offerte e il potere di acquisto
della moneta (ai prezzi del periodo trascorso), gli scambi avvengono senza variazioni dei
prezzi rispetto al periodo precedente. Con la vendita delle merci la titolarità del deposito
K(1+i) passa alle imprese e la totalità delle merci va in possesso dei risparmiatori.
A questo punto, il circuito monetario si chiude: le imprese sono in grado di saldare
il debito K(1+i) verso le banche, mentre i capitalisti-risparmiatori consumano merci per
valore iK risparmiando merci per valore K, che vanno a costituire il fondo salari reale del
periodo che segue.
Il caso rappresentato, spiega Wicksell, ci mostra una situazione di equilibrio
macroeconomico. Al termine del circuito infatti: 1) la moneta inizialmente creata è
interamente distrutta senza che rimangano accesi rapporti di debito-credito; 2) i prezzi dei
beni sono invariati; 3) la regola distributiva marginalista è rispettata.
Un ultimo commento si rende necessario a proposito di quest’ultima conclusione.
Occorre innanzitutto sottolineare perché la regola distributiva marginalista risulta rispettata.
In questo modello le imprese non fanno né profitti né perdite mentre l’intero output si
divide tra lavoratori e capitalisti-risparmiatori. Il consumo dei capitalisti-risparmiatori è
pari alla remunerazione i del capitale K anticipato e tale remunerazione coincide
perfettamente (data l’ipotesi n=i) con il rendimento del capitale K. Per cui il reddito dei
capitalisti-risparmiatori è pari alla produttività del capitale da loro anticipato.Resta evidente
che anche l’altro fattore, il lavoro, sarà remunerato secondo la sua produttività. In secondo
luogo, va sottolineato che il modello di circuito wickselliano in equilibrio rappresenta un
caso particolare dal momento che il principio classico del fondo salari convive con la regola
marginalista della distribuzione. Si tratta di una convivenza assai complicata perché, a ben
riflettere, i principi sono sostanzialmente confliggenti: la regola del fondo salari implica che
i salari siano pagati ex ante, prima che il processo produttivo sia terminato; il principio
marginalista sostiene, viceversa, che il salario reale sia pagato ex post dopo che lo sforzo
lavorativo sia stato erogato e dunque una volta nota la produttività del lavoro.
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4. Il circuito in squilibrio
Successivamente, Wicksell espone il caso dello squilibrio. Prendiamo in
considerazione il periodo successivo a quello precedentemente esaminato. Allo scopo di
mettere in moto il processo produttivo, le imprese richiedono alle banche un nuovo
finanziamento pari a K. Il circuito si svolge come nel caso precedente: le banche concedono
il prestito alle imprese, accordandosi per il medesimo tasso di interesse i, e le imprese
pagano i lavoratori. Con ciò si ha il trasferimento della titolarità del deposito K dalle
imprese ai lavoratori. I lavoratori acquistano le merci-salario dai capitalisti-risparmiatori e
ancora una volta il deposito cambia titolarità passando a questi ultimi.
A questo punto, supponiamo che il processo produttivo dell’anno in corso consenta
rendimenti più elevati di quello del periodo precedente. Supponiamo, dunque, che il tasso
di interesse naturale n sia maggiore di i. In questo caso, il valore dell’output in possesso
delle imprese alla fine della produzione sarà K(1+n), mentre le stesse imprese risulteranno
indebitate verso le banche solo per K(1+i). Poiché il valore del deposito bancario dei
capitalisti risparmiatori è K(1+i), risulta evidente che le imprese, mantenendo inalterati i
prezzi di vendita ai capitalisti-risparmiatori, otterranno un extraprofitto il cui valore è:
Om-Dm=K(1+n)-K(1+i)=K(n-i).
Ciò significa che le imprese saranno non solo in grado di rimborsare le banche ma
resteranno in possesso di un dato volume di merci. Ciò avviene, naturalmente, a spese dei
capitalisti-risparmiatori i quali hanno un reddito inferiore alla produttività n del capitale
anticipato.
Ora, data la formazione di extraprofitti legata alla divergenza positiva tra interesse
naturale e interesse monetario, Wicksell ipotizza che nell’anno ancora successivo le
imprese tenteranno di espandere la produzione. Esse quindi chiederanno un maggior
volume di finanziamenti alle banche. Queste ultime non hanno alcuna difficoltà ad
assecondare questo aumento ed effettueranno impieghi a favore delle imprese per K*>K,
confermando il tasso di interesse attivo i. Seguirà una domanda di servizi lavorativi pari a
K* e dunque, data l'ipotesi di pieno impiego, una crescita dei salari monetari.
Successivamente, i lavoratori impiegheranno i loro depositi bancari K* per acquistare
presso i risparmiatori il medesimo volume di merci-salario messo in vendita nell’anno
precedente, il cui valore era pari a K. Ne seguirà un aumento dei prezzi dei beni e la
titolarità del deposito K*, inizialmente acceso a favore delle imprese, passerà ai capitalistirisparmiatori. Al termine del periodo produttivo le imprese si verranno a trovare in possesso
di un output il cui valore è: K*(1+n). Al tempo stesso la domanda dei risparmiatori sarà
pari a K*(1+i). Poiché n>i, ancora una volta le imprese, saldato il debito verso le banche,
otterranno extraprofitti: K*(n-i). In termini reali questo extraprofitto è il medesimo lucrato
8
nel periodo precedente.
Risulta evidente che, in questo caso, il circuito non si è chiuso in equilibrio. Si è
assistito infatti a un incremento della quantità di moneta in circolazione, a una variazione
dei salari monetari e del livello dei prezzi, alla formazione di profitti imprenditoriali e a u
mancato guadagno a danno dei capitalisti-risparmiatori.
Questo squilibrio è destinato ad autoalimentarsi secondo ciò che Wicksell chiamava
un processo cumulativo. Infatti, finché il tasso di interesse naturale n resta maggiore del
tasso di interesse monetario i, la tendenza alla crescita della quantità di moneta, dei salari e
dei prezzi proseguirà. E con essa proseguirà la “distorsione” distributiva. Questa tendenza
potrebbe, secondo Wicksell, continuare teoricamente all'infinito, dal momento che le
banche sono in grado di assecondare qualsiasi espansione dei crediti, senza bisogno di
incrementare il tasso di interesse monetario (è per questa ragione che Wicksell parla
indifferentemente di "modello di puro credito" o "sistema ad elasticità illimitata").
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