P. S. R. Sezione Italiana della Society for Psychotherapy Research Edizioni…………. P. S. R. Sezione Italiana della Society for Psychotherapy Research III Convegno Nazionale La Psicoterapia: la Ricerca per la Qualità della Clinica Volume abstracts a cura di Cecilia Giordano Palermo 18-21 ottobre 2001 Comitato Scientifico: A. Semerari, N. Dazzi, A. Seganti, G. Nicolò, I. Pontalti, E. Fava, C. Masserini, G. Lo Verso, S. Di Nuovo, F. Giannone, M. Di Blasi. Comitato Organizzativo: C. Giordano, G. Lo Coco, M. Di Blasi, F. Giannone, G. Lo Verso, G. Nicolò. Sede del Convegno: Palazzo Steri Santa Maria dello Spasimo Palazzo Torremuzza Convegno realizzato con il patrocinio di: LOGHI Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze della Formazione, Dipartimento di Psicologia. Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana. Comune di Palermo. Provincia Regionale di Palermo. PROGRAMMA GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2001: PALAZZO STERI ORE 16, 00 :PALAZZO STERI Tavola rotonda aperta al pubblico: “ La Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica” presso la sede di Palazzo Steri Piazza Marina n. 61 Saluti delle autorità Moderatore: S. Freni Intervengono: A. Semerari, G. Lo Verso, N. Dazzi, S. Di Nuovo, A. Lis. Venerdì 19 ottobre 2001 Mattina ore 9, 00 - 11, 00 Sessioni tematiche parallele “ La valutazione dell’alleanza terapeutica” Moderatore: G. Nicolò Lingiardi V.: “ L’alleanza terapeutica tra teoria clinica e ricerca empirica” Ortu F., Cascioli A. Pazzagli C., Piscicelli S., Williams R., Dazzi N.: “ Valutazione del processo terapeutico in una prospettiva integrata: alcune considerazioni sull’alleanza terapeutica” . Fava E., Masserini C.: “ Predittori di risultato e alleanza terapeutica” . Camardo P, Cossa M, Freni S: “ Preditori di esito e di drop-out e alleanza terapeutica ” Filippucci L., Lingiardi V.: “ La misurazione dell’alleanza nella psicoterapia di pazienti con diagnosi di disturbo della personalità” . “ Psicoterapia nel servizio pubblico” Moderatore: D. La Barbera Camarda P., Fava E., Masserini C., Cossa M., Pogliani G., Ferrari A., Freni S.: “ Esiti e predittori di esito nelle psicoterapie dinamiche: i risultati di uno studio osservazionale nel contesto di servizio di psicoterapia” . Caviglia M. L., Mongelli E., Ferrero A., Plastino V.: “ Struttura di personalità e disability: valutazione dell’efficacia di un trattamento riabilitativo residenziale in pazienti con gravi disturbi psichiatrici” . Fusco E., Galli G., Ciavarella M. A., Coco E.: “ Una ricerca sull’esito delle psicoterapie condotta nel servizio pubblico. Prime elaborazioni” . Didonna F., Zordan P., Bateni M.: “ Il problema della comorbilità nel disturbo ossessivo-compulsivo in un campione di pazienti ospedalizzati: aspetti epidemiologici, implicazioni cliniche e possibilità terapeutiche” . “ Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva” Moderatore: M. Procacci, A. Carcione Pinto A., La Pia S., Polidori G., Morosini P.: “ Validazione di un questionario autosomministrato per le convinzioni deliranti e le esperienze sensoriali anomale (DEBEASE-Q)” . Conversano P., Procacci M., Candilera G., Rigante L., Riportella A., Semerari A.: “ Un questionario sul Senso di Appartenenza e di Condivisione (S.A.C.): costruzione e validazione” Veglia F., Vandoni C., Pardey A.: “ SSS Scheda di Sintesi della Seduta” . Manaresi F., Castelli P., Cotugno A., Mazzucchelli A., Morganti G.: “ Il processo terapeutico nelle narrazioni del paziente e del terapeuta: strumenti di indagine per un confronto” . ore 11, 00 Break ore 11, 30 - 13, 30 Sessioni tematiche parallele “ La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo” Moderatore: T. Federico Mancioppi S., Nicolò G., De Bonis C., Caciolo M., Auletta B.: “ Psicoterapia di gruppo breve del disturbo da attacchi di panico: primi risultati” . Barone L., Bateni M., Framba R., Prunetti E.: “ Valutazione delle emozioni e partecipazione al setting di gruppo psicoeducativo nel modello di M. M. Linehan” Ciavarella M. A., Cappellucci T., Fusco E., Cangiano A., Capobianco V.: “ Uno studio empirico in un setting psicoterapeutico istituzionale: l’applicazione del CCRT di Luborsky ai trascritti di una psicoterapia di gruppo ad orientamento psicodinamico” . “ Ricerche e intervento clinico sulla famiglia” Moderatore: F. Giannone Zennaro A., Mazzeschi C., Salcuni S.: “ Strumenti a confronto per la diagnosi e la previsione dei risultati del trattamento di problematiche insorte nelle madri in gravidanza” . Lis A., Calvo V., Pinto M.: “ Il colloquio per genitori in gravidanza come strumento diagnostico e di previsione del trattamento” . Salerno A., Miano P.: “ Handicap e riorganizzazione familiare” . Di Vita A. M., Garro M., Granatella V., Merenda A.: “ Le relazioni familiari tra istanze psicologiche e istanze giuridiche” . Venuti P.: “ La famiglia degli orsi: diagnosi e valutazione dell’intervento in soggetti in età prescolare” . “ Ricerca sul processo” Moderatore: A. Seganti Morandi C., Masserini C., Ferrari A., Cossa M., Fava E.: “ Uno studio sul processo attraverso l’empatia” . Gatta S., Podio C., Noseda F., Fava E., Masserini C., Osimo F., Freni S.: “ Analisi del processo mediante il metodo CCRT in Psicoterapia Breve Dinamico-Esperenziale” . De Coro A., Andreassi S., Cascioli A., Dazzi N.: “ Una nuova organizzazione delle categorie a cluster del CCRT, sulla base della teoria dei sistemi motivazionali di Lichtenberg.” Gelsomino S., Fava E., Osimo F., Fahmy Y.: “ L’utilizzo di supporti multimediali nello studio del processo terapeutico” . Bara B. G., Ardito R. B.: “ La condivisione nell’analisi del processo psicoterapeutico ” . Pomeriggio ore 15, 00 - 17, 00 Tavola rotonda: “ La teoria dell’attaccamento: applicazione alla terapia” Moderatore: C. Masserini Target M.:” Ricerca sull’attaccamento e psicoterapia” . Liotti G.: “ La disorganizzazione dell’attaccamento come base esplicativa del valore delle co-terapie nei pazienti gravi” . Seganti A.: “ Sopra e sotto esposizione alla influenza degli altri quali metro di misura del cambiamento in psicoterapia” . ore 17, 00 Break ore 17, 30 - 19, 30 Sessioni tematiche parallele “ Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica” Moderatore: M. Di Blasi Colli A., Lingiardi V.: “ Una proposta di valutazione dell’alleanza terapeutica a partire dai trascritti delle sedute: il sistema IVAT” Ortu F., Speranza A.M., Pazzagli C., Tagini A., D’Antuono S., Pizzuti S. G.: “ La valutazione dell’attaccamento: uno studio di validità convergente fra l’intervista sull’attaccamento e gli strumenti self report” . Maggiolini A., De Colle C., Grassi R., Trionfi C.: “ Check list per la valutazione dei minori che commettono reati” Riva E., Trionfi C., Saottini C., Viganò D.: “ Delinquenza minorile e capacità riflessiva: elementi diagnostici al test di Rorschach” . “ Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca” Moderatore: P. L. Giordano Sassaroli S., Ruggiero G. M.: “ La psicopatologia cognitiva dell’ansia: rimuginio, obbligo di controllo, timore del danno, rimprovero e perfezionismo patologico” . Ruggiero G. M., Apparigliato M., Lissandron S., Piccione G., Sassaroli S.: “ La valutazione controllabile del rimuginio, dell’obbligo di controllo, del rimprovero e del perfezionismo patologico” . Ruggiero G. M., Bertelli S., Longoni D., Zappa L., Pruneri C., Sassaroli S.: “ Analisi dei primi dati in uno studio pilota su un gruppo di pazienti affetti da disturbo alimentare in un day hospital della Lombardia” . Ciuna A., Levi D., Ruggiero G. M., Sassaroli S.: “ Ansia da prestazione, perfezionismo patologico e ossessione alimentare in un campione di 60 studentesse di un Istituto Superiore: uno studio sperimentale” . “ Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva” Moderatore: M. Cardaci Scrimali T.: “ Teorie dell’attaccamento e teoria dei sistemi complessi in psichiatria” Grimaldi L.: “ Attaccamento nell’adulto e psicoterapia cognitiva” De Leonardis M.: “ Stile genitoriale e attaccamento nell’adulto nei disturbi d’ansia e nella depressione” . Sciuto M.: “ Emotività espressa e pattern relazionali. Aspetti teorici e sperimentali” . Sabato 20 ottobre 2001 Mattina ore 9, 00 - 11, 00 Tavola rotonda: “ L’analisi delle sedute” Moderatore: A. De Coro Mergenthaler E.: “ The psychotherapeutic process model and practice-orientated research” . Nicolò G.: “ La valutazione del processo e dell’esito in psicoterapia: un confronto tra la griglia degli stati problematici (GSP), la scala di valutazione della metacognizione (SVAM) e il modello del ciclo terapeutico” . Amadei G., Pozzi S., Marchesini S.: “ Studio di un caso singolo mediante la P.R.S. (Periodical Rating Scale)” . ore 11, 00 Break ore 11, 30 - 13, 00 Sessione Poster Presentazione e discussione: I. Pontalti, G. Lo Coco, C. Giordano Pomeriggio ore 14, 00 - 16, 00 Sessioni tematiche parallele “ Ricerca sul processo - esito” Moderatore: L. Sarno Pinto A., Collaro S., Lalla C.: “ Comprensione e terapia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo come equivalente mentale delle malattie autoimmuni” Contiero L., Calloni S., Gatti M., Giussani S., Pastori M., Rodini C., Pruneti C.: “ Uso dell’intervista R.A.P. con codifica C.C.R.T. e S.A.S.B. per individuazione focus terapeutico e verifica dell’esito di due psicoterapie a tempo definito a indirizzo psicodinamico supportivo-espressivo” . Shembeleva E. A.: “ On neurotic disorders in venerologic and dermatologic clinic” . Cotugno A., Castelli P., Manaresi F., Mazzucchelli A., Morganti G.: “ Quel che resta della psicoterapia: analisi delle narrazioni e delle rappresentazioni del paziente e del terapeuta in uno studio pilota di follow-up” . “ Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità” Moderatore: V. Lingiardi Popolo R., Procacci M., Petrilli D., Vinci G.: “ Analisi comparativa dei profili Metacognitivi condotta su casi di Disturbo Evitante di Personalità e Fobia Sociale: primi risultati” . Nobile S., Centenero E., Nicolò G., Porcari F.: “ Deficit metacognitivi e stati problematici nel Disturbo Paranoide di Personalità: ricerca su caso singolo” . Fiore D., Petrilli D., Mancioppi S., Dimaggio G.: “ Deficit metacognitivi e cicli interpersonali nel Disturbo Narcisistico di Personalità: analisi di un caso singolo” . Rossi B., Conti L., Carcione A.: “ Deficit metacognitivi e stati problematici nel Disturbo Dipendente di Personalità: analisi su caso singolo” . “ Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC)” Moderatore: T. Scrimali Mancini F.: “ Assunzione di responsabilità, timore di colpa e processi cognitivi” Mancini F., Gangemi A.: “ Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di assunzione di colpa” . Gangemi A. Mancini F.: “ Il ragionamento condizionale e la responsabilità” D’Olimpio F., Cieri L., Mancini F.: “ Il senso di responsabilità nelle ossessioni e compulsioni” . Gragnani A., Mancini F.: “ Il ruolo del disgusto nel Disturbo Ossessivo Compulsivo” . ore 16, 00 Break ore 16, 30 - 18, 30 Sessioni tematiche parallele “ Trattamento dei Disturbi di Personalità” Moderatore: A. Semerari Maffei C.: “ Psicoterapie dei Disturbi di Personalità: una rilevazione di variabili obiettive su cinque anni” . Carcione A., Conti L., Dimaggio G., Falcone M., Pontalti I., Nicolò G., Procacci M., Semerari A. : “ Valutazione del funzionamento metacognitivo nei Disturbi di Personalità” . Conti L., Semerari A., Carcione A., Dimaggio G., Nicolò G., Procacci M.: “ Condivisione e competenze metacognitive: analisi di sedute psicoterapeutiche attraverso l’Indice di Condivisione e la S.Va.M.” . Bosco F., Colle L., Pecoraia R., Tirassa M.: “ Una scala per la valutazione clinica della Teoria della Mente” . “ La ricerca sul processo-esito nei setting gruppali” Moderatore: C. Pontalti, A. Balbi Colatosti S., Fiore D., Cianconi P., Mellace A., Pontalti C.: “ Psicoterapia di gruppo e Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.) : analisi di un trattamento in una comunità terapeutica” Lo Coco G., Mineo R., Giordano C., Di Blasi M., Giannone F.: “ Campi terapeutici a confronto: il percorso di due gruppi analizzati attraverso il Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico” . Di Nuovo S., Cuffaro M., Giannone F., Di Blasi M.: “ Approcci terapeutici diversi: misure di cambiamento al T.A.T.” . “ Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione” Moderatore: A. Falci Provantini K., Azzone P., Maggiolini A., Santilli Marcheggiani N., Viganò D.: “ L’evoluzione dei contenuti tipici nei sogni, dalla preadolescenza alla vecchiaia” . Maggiolini A., Azzone P., Comazzi D.: “ L’analisi dei sistemi motivazionali nei sogni ” Sarno L.: “ Il sogno, il transfert, il processo terapeutico e le teorie del funzionamento della mente” . Cantelmi T., Putti S.: “ La psicoterapia on-line. Primi risultati di una ricerca sperimentale italiana” . ore 18, 30 - 20, 30 ASSEMBLEA ANNUALE SOCI SPR ore 21,30 Cena sociale Domenica 21 ottobre 2001 Mattina ore 9, 00 - 11, 00 Tavola rotonda: “ La valutazione in psicoterapia di gruppo” Moderatore: G. Lo Verso Mc Kenzie R.: “ Group psychotherapy process and outcome research: latest findings” . Pontalti C.: “ Vincoli di codici, vincoli di etica: paradigmi per la ricerca in psicoterapia analitica di gruppo” . Costantini A.: “ Valutazione del processo e dell’esito nella Terapia di Gruppo a tempo limitato” . ore 11,00 Break ore 11, 30 - 13, 00 Conclusioni: “ Ricerca e clinica” Moderatore: E. Fava Semerari A.: “ Modelli psicopatologici come base della ricerca in psicoterapia” . Mulè M.: “ Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica". Giovedì 18 ottobre 2001: Tavola rotonda aperta al pubblico Ore 16,00 Palazzo Steri “La Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica” Saluti delle autorità Moderatore: S. Freni Intervengono: A. Semerari, G. Lo Verso, N. Dazzi, S. Di Nuovo, A. Lis. Venerdì 19 ottobre 2001: Ore 9,00 – 11,00 Sessioni tematiche parallele Santa Maria dello Spasimo La valutazione dell’alleanza terapeutica Moderatore: G. Nicolò V. Lingiardi: "L’alleanza terapeutica tra teoria clinica e ricerca empirica” F. Ortu, A. Cascioli, C. Pazzagli, S. Piscicelli, R. Williams, N. Dazzi: “Valutazione del processo terapeutico in una prospettiva integrata: alcune considerazioni sull’alleanza terapeutica”. E. Fava, C. Masserini: "Predittori di risultato e alleanza terapeutica” L. Filippucci, V. Lingiardi: “La misurazione dell’alleanza nella psicoterapia di pazienti con diagnosi di disturbo della personalità”. Ore 9,00 – 11,00 Palazzo Torremuzza - Sala A Psicoterapia nel servizio pubblico Moderatore: D. La Barbera P. Camarda, E. Fava, C. Masserini, M. Cossa, G. Pogliani, A. Ferrari, S. Freni: “Esiti e predittori di esito nelle psicoterapie dinamiche: i risultati di uno studio osservazionale nel contesto di servizio di psicoterapia” 19 ottobre 2001 M. L. Caviglia, E. Mongelli, A. Ferrero, V. Plastino: “Struttura di personalità e disability: valutazione dell’efficacia di un trattamento riabilitativo residenziale in pazienti con gravi disturbi psichiatrici” E. Fusco, G. Galli, M. A. Ciaravella, E. Coco: “Una ricerca sull’esito delle psicoterapie condotta nel servizio pubblico. Prime elaborazioni” F. Didonna, P. Zordan, M. Bateni: “Il problema della comorbilità nel disturbo ossessivo-compulsivo in un campione di pazienti ospedalizzati: aspetti epidemiologici, implicazioni cliniche e possibilità terapeutiche” Ore 9,00 – 11,00 Palazzo Torremuzza - Sala B Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva Moderatore: M. Procacci, A. Carcione A. Pinto, S. La Pia, G. Polidori, P. Morosini: “Validazione di un questionario autosomministrato per le convinzioni deliranti e le esperienze sensoriali anomale (DEBEASE-Q) P. Conversano, M. Procacci, G. Candilera, L. Rigante, A. Riportella, A. Semerari: “Un questionario sul Senso di Appartenenza e di condivisione (S.A.C.): costruzione e validazione” F. Veglia, C. Vandoni, A. Pardey: “SSS Scheda di Sintesi della Seduta” F. Manaresi, P. Castelli, A. Cotugno, A. Mazzucchelli, G. Morganti: “Il Processo terapeutico nelle narrazioni del paziente e del terapeuta: strumenti di indagine per un confronto” Ore 11,00 Break Venerdì 19 ottobre 2001: Ore 11,30 – 13, 30 Sessioni tematiche parallele Santa Maria dello Spasimo La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo Moderatore: T. Federico S. Mancioppi, G. Nicolò, C. De Bonis, M. Caciolo, B. Auletta: “Psicoterapia di gruppo breve del disturbo da attacchi di panico: primi risultati” L. Barone, M. Bateni, R. Framba, E. Prunetti: “Valutazione delle emozioni e partecipazione al settino di gruppo psicoeducativo nel modello di M. M. Linehan” 19 ottobre 2001 M. A. Ciaravella, T. Cappellucci, E. Fusco, A. Cangiano, V. Capobianco: “Uno studio empirico in un setting psicoterapeutico istituzionale: l’applicazione del CCRT di Luborsky ai trascritti di una psicoterapia di gruppo ad orientamento psicodinamico” Ore 11,30 – 13, 30 Palazzo Torremuzza – Sala A Ricerche e intervento clinico sulla famiglia Moderatore: F. Giannone A. Zennaro, C. Mazzeschi, S. Salcuni: “Strumenti a confronto per la diagnosi e la previsione dei risultati del trattamento di problematiche insorte nelle madri in gravidanza” A. Lis, V. Calvo, M. Pinto: “Il colloquio per genitori in gravidanza come strumento diagnostico e di previsione del trattamento” A. Salerno, P. Miano: “Handicap e riorganizzazione familiare” A. M. Di Vita, M. Garro, V. Granatella, A. Merenda: “Le relazioni familiari tra istanze psicologiche e istanze giuridiche” P. Venuti: “La famiglia degli orsi: diagnosi e valutazione dell’intervento in soggetti in età prescolare” Ore 11,30 – 13, 30 Palazzo Torremuzza – Sala B Ricerca sul processo Moderatore: A. Seganti C. Morandi, C. Masserini, A. Ferrari, M. Cossa, E. Fava: “Uno studio sul processo attraverso l’empatia” S. Gatta, C. Podio, F. Noseda, E. Fava, C. Masserini, F. Osimo, S. Freni: “Analisi del processo mediante il metodo CCRT in Psicoterapia Breve Dinamico-Esperienziale” A. De Coro, S. Andreassi, A. Cascioli, N. Dazzi: “Una nuova organizzazione delle categorie a cluster del CCRT, sulla base della teoria dei sistemi motivazionali di Lichtenberg” S. Gelsomino, E. Fava, F. Osimo, Y. Fahmy: “L’utilizzo di supporti multimediali nello studio del processo terapeutico” B. G. Bara, R. B. Ardito: “La condivisione nell’analisi del processo psicoterapeutico” Venerdì 19 ottobre 2001: Tavola rotonda Ore 15,00 – 17:00 Santa Maria dello Spasimo “La teoria dell’attaccamento: applicazione alla terapia” Moderatore: C. Masserini M. Target: “Ricerca sull’attaccamento e psicoterapia” G. Liotti: “La disorganizzazione dell’attaccamento come base esplicativa del valore delle co-terapie nei pazienti gravi” A. Seganti: “Sopra e sotto esposizione alla influenza degli altri quali metro di misura del cambiamento in psicoterapia” Ore 17,00 Break Venerdì 19 ottobre 2001: Ore 17,30 – 19, 30 Sessioni tematiche parallele Santa Maria dello Spasimo Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica Moderatore: M. Di Blasi A. Colli, V. Lingiardi: “Una proposta di valutazione dell’alleanza terapeutica a partire dai trascritti delle sedute: il sistema IVAT” F. Ortu, A. M. Speranza, C. Pazzagli, A. Tagini, S. D’Antuono, S. G. Pizzuti: ”La valutazione dell’attaccamento: uno studio di validità convergente fra l’intervista sull’attaccamento e gli strumenti self report” A. Maggiolini, C. De Colle, R. Grassi, C. Trionfi: “Check list per la valutazione dei minori che commettono reati” E. Riva, C. Trionfi, C. Saottini, D. Viganò: “Delinquenza minorile e capacità riflessiva: elementi diagnostici al test di Rorschach” Ore 17,30 – 19, 30 Palazzo Torremuzza – Sala A Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca Moderatore: P. L. Giordano S. Sassaroli, G. M. Ruggiero: “La psicopatologia cognitiva dell’ansia: rimuginio, obbligo di controllo, timore del danno, rimprovero e perfezionismo patologico” G. M. Ruggiero, M. Apparigliato, S. Lissandron, G. Piccione, S. Sassoroli: “La valutazione controllabile del rimuginio, dell’obbligo del controllo, del rimprovero e del perfezionismo patologico” 19 ottobre 2001 G. M. Ruggiero, S. Bertelli, D. Longoni, L. Zappa, C. Pruneri, S. Sassoroli: “Analisi dei primi dati di uno studio pilota su un gruppo di pazienti affetti da disturbo alimentare in day hospital della Lombardia” A. Ciuna, D. Levi, G. M. Ruggiero, S. Sassaroli: “Ansia a prestazione, perfezionismo patologico e ossessione alimentare in un campione di 60 studentesse in un Istituto Superiore: uno studio sperimentale” Ore 17,30 – 19, 30 Palazzo Torremuzza – Sala B Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva Moderatore: M. Cardaci T. Scrimali: “Teorie dell’attaccamento e teoria dei sistemi complessi in psichiatria” L. Grimaldi: “Attaccamento nell’adulto e psicoterapia cognitiva” M. De Leonardis: “Stile genitorile e attaccamento nell’adulto nei disturbi d’ansia e nella depressione” M. Sciuto: “Emotività espressa e pattern relazionali. Aspetti teorici e sperimentali” Sabato 20 ottobre 2001: Tavola rotonda Ore 9,00 – 11:00 Santa Maria dello Spasimo “L’analisi delle sedute ” Moderatore: A. De Coro E. Mergenthaler: “The psychotherapeutic process modell and practice-orientated research” G. Nicolò: “La valutazione del processo e dell’esito in psicoterapia: un confronto tra la griglia degli stati problematici (GSP), la scala di valutazione della metacognizione (SVAM) e il modello del ciclo terapeutico” G. Amadei, S. Pozzi, S. Marchesini: “Studio di un caso singolo mediante la P.R.S. (Periodical Rating Scale)” Ore 11,00 Break Sabato 20 ottobre 2001: Ore 11,30 – 13, 00 Sessioni Poster parallele Santa Maria dello Spasimo (Abside) Presentazione e discussione: I. Pontalti Strumenti di valutazione nella ricerca clinica G. M. L. Drogo, V. Verrastro: “L’importanza della comunicazione nella terapia breve ad approccio strategico” S. Piscicelli, F. Ortu: “Applicazione del CCRT di Luborsky (1990) ad interviste di un gruppo di anziani: considerazioni cliniche” A. Minniti, R. Ostuzzi, R. Lorenzini: “Valutare le Teorie Psicologiche Naive: due strumenti a confronto” E. Spalletta, A. Iannazzo: “Monitoraggio e supervisione della qualità empatica come indicatore di cambiamento nei trattamenti clinici integrati” Ore 11,30 – 13, 00 Santa Maria dello Spasimo Presentazione e discussione: G. Lo Coco Stili di attaccamento e modelli operativi interni E. Di Nasso, F. Ferrero, L. Giorgi, A. Marchino, C. Albasi: “Relazione tra dimensioni dell’attaccamento e tratti di personalità” A. Boetti, C. Albasi, A. Granieri, C. Girardengo: “Stili di attaccamento e modelli operativi interni in una popolazione di tossicodipendenti in trattamento” G. Caviglia, E. Del Castello, B. Fiocco: “Analisi dello stato della mente rispetto all’attaccameto, indagato con l’Adult Attachment Interview, in donne con Agorafobia e nei loro mariti: uno studio pilota” C. Albasi, A. Granieri, A. Seganti, M. Zuffranieri: “Studio dello stile di attaccamento in genitori di pazienti psichiatrici” O. Gelo: “Metafore concettuali e modelli operativi interni nell’organizzazione del sistema concettuale” Sabato 20 ottobre 2001: Ore 14,00 – 16, 00 Sessioni tematiche parallele Santa Maria dello Spasimo Ricerca sul processo-esito Moderatore: L. Sarno A. Pinto, S. Collaro, C. Lalla: “Comprensioni e terapia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo come equivalente mentale delle malattie autoimmuni” L. Contiero, S. Calloni, M. Gatti, S. Giussani, M. Pastori, C. Rodini, C. Pruneti: “Uso dell’intervista R.A.P. con codifica C.C.R.T. e S.A.S.B. per individuazione focus terapeutico e verifica dell’esito di due psicoterapie a tempo definito a indirizzo psicodinamico supportivo-espressivo” E. A. Shembeleva: “On neurotic disorders in venerologic and dermatologic clinic” A. Cotugno, P. Castelli, F. Manaresi, A. Mazzucchelli, G. Morganti: “Quel che resta della psicoterapia: analisi delle narrazioni e delle rappresentazione del paziente e del terapeuta in uno studio pilota di follow-up” Ore 14,00 – 16, 00 Palazzo Torremuzza – Sala A Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità Moderatore: V. Lingiardi R. Popolo, M. Procacci, D. Petrilli, G. Vinci: “Analisi comparativa dei profili Metacognitivi condotta su casi di Disturbo Evitante di Personalità e Fobia Sociale: primi risulatati” S. Nobile, E. Centenero, G. Nicolò, F. Porcari: “Deficit e stati problematici nel Disturbo paranoie di Personalità: ricerca sul caso singolo” D. Fiore, D. Petrilli, S. Mancioppi, G. Dimaggio: “Deficit metacognitivi e cicli interpersonali nel Disturbo Narcisistico di Personalità: analisi di un caso singolo” B. Rossi, L. Conti, A. Carcione: “Deficit metacognitivi e stati problematici nel disturbo Dipendente di Personalità: analisi su caso singolo” Ore 14,00 – 16, 00 Palazzo Torremuzza – Sala B Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) Moderatore: T. Scrimali F. Mancini: “Assunzione di responsabilità, timore di colpa e processi cognitivi” F. Mancini, A. Gangemi: “Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di assunzioni di colpa” A. Gangemi, F. Mancini: “Il ragionamento condizionale e la responsabilità” F. D’Olimpio, L. Cieri, F. Mancini: “Il senso di responsabilità nelle ossessioni e compulsioni” A. Gragnani, F. Mancini: “Il ruolo del disgusto nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo” Ore 16,00 Break Sabato 20 ottobre 2001: Ore 16,30 – 18, 30 Sessioni tematiche parallele Santa Maria dello Spasimo Trattamento dei Disturbi di Personalità Moderatore: A. Semerari C. Maffei: “Psicoterapie dei Disturbi di Personalità: una rilevazione di variabili obiettive su cinque anni” A. Carcione, L. Conti, G. Dimaggio, M. Falcone, I. Pontalti, G. Nicolò, M. Procacci, A. Semerari: “Valutazione del funzionamento metacognitivo nei disturbi di personalità” L. Conti, A. Semerari, A. Carcione, G. Dimaggio, G. Nicolò, M. Procacci: “Condivisione e competenze metacognitive: analisi di sedute psicoterapeutiche attraverso l’Indice di Condivisione e la S.Va.M:” F. Bosco, L. Colle, R. Pecoraia, M. Tirassa: “Una scala per la valutazione clinica della Teoria della Mente” Ore 16,30 – 18, 30 Palazzo Torremuzza-Sala A La ricerca sul processo-esito nei setting gruppali Moderatore: C. Pontalti, A. Balbi S. Colatosti, D. Fiore, P. Cianconi, A. Mellace, C. Pontalti: “Psicoterapia di gruppo e Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.): analisi di un trattamento di una comunità terapeutica” G. Lo Coco, R. Mineo, C. Giordano, M. Di Blasi, F. Giannone: “Campi terapeutici a confronto: il percorso di due gruppi analizzati attraverso il Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico” S. Di Nuovo, M. Cuffaro, F. Giannone, M. Di Blasi: “Approcci terapeutici diversi: misure di cambiamento al T.A.T.” Ore 16,30 – 18, 30 Palazzo Torremuzza-Sala B Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione Moderatore: A. Falci K. Provantini, P. Azzone, A. Maggiolini, N. Santilli Marchigiani, D. Viganò: “L’evoluzione dei contenuti tipici nei sogni, dalla preadolescenza alla vecchiaia” A. Maggiolini, P. Azzone, D. Comazzi: “L’analisi dei sistemi motivazionali nei sogni” L. Sarno: “Il sogno, il transfert, il processo terapeutico e le teorie di funzionamento della mente” T. Cantelmi, S. Putti: “La psicoterapia on-line. Primi risultati di una ricerca sperimentale italiana” Sabato 20 0ttobre Assemblea annuale Soci S.P.R. Ore 18:30 – 20:30 Santa Maria dello Spasimo Sabato 20 ottobre Cena Sociale - Palazzo Raffadali Ore 21:30 Domenica 21 ottobre 2001: Ore 9:00 – 11:00 Tavola rotonda Santa Maria dello Spasimo La valutazione in psicoterapia di gruppo Moderatore: G. Lo Verso R. MacKenzie: ”Group Psychoterapy Process and autcome research: latest findings” C. Pontalti: “Vincoli di codici, vincoli di etica: paradigmi per la ricerca in psicoterapia analitica di gruppo” A. Costantini: “Valutazione del processo e dell’esito della Terapia di Gruppo a tempo limitato” Ore 11,00 Break Domenica 21 ottobre: Conclusioni Ore 11:30 – 13:00 Santa Maria dello Spasimo Ricerca e clinica Moderatore: E. Fava A. Semerari: “Modelli psicopatologici come base della ricerca in psicoterapia” M. Mulè: “Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica” INDICE Presentazione………………………………………………………………………...pag. (Antonio Semerari) Introduzione……………..…………………………………………………………..pag. (Girolamo Lo Verso, Francesca Giannone) Abstracts delle Sessioni tematiche : La valutazione dell’alleanza terapeutica…………………………………....…….... pag. 78 (Coordinatore: V. Lingiardi; Moderatore: G. Nicolò) Psicoterapia nel servizio pubblico………………………………………………… pag. (Moderatore: D. La Barbera) Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva……….... pag. (Coordinatori e Moderatori: M. Procacci, A. Carcione) La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo……………………..…………...…... pag. (Moderatore: T. Federico) Ricerche ed intervento clinico sulla famiglia…………….…….……………...….. pag. (Coordinatrice: A. Lis; Moderatrice: F. Giannone) Ricerca sul processo………………………………………………………..…..….. pag. (Moderatore: A. Seganti) Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica….…….. pag. (Moderatrice: Marie Di Blasi) Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca……………………………... pag. (Coordinatrice: S. Sassaroli; Moderatore: P. L. Giordano) Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva………………………..…. pag. (Moderatore: M. Cardaci) Ricerca sul processo-esito……………………………………………………… pag. (Moderatore: L. Sarno) Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità…………….…. pag. (Coordinatore: G. Nicolò; Moderatore: V. Lingiardi) Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del………. pag. Disturbo Ossessivo – Compulsivo (DOC) (Coordinatore e Moderatore: T. Scrimali) Trattamento dei disturbi di personalità……………………………………….. pag. (Coordinatore e Moderatore: A. Semerari) La ricerca sul processo – esito nei setting gruppali……………………………. pag. (Moderatori: C. Pontati, A. Balbi) Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione…………………………… pag. (Moderatore: A. Falci) Abstracts delle Sessioni Posters: Strumenti di valutazione nella ricerca clinica………………………………….. pag. (Presentazione e discussione: I. Pontati) Stili di attaccamento e modelli operativi interni……………………………..…pag. (Presentazione e discussione: G. Lo Coco) Presentazione Il terzo congresso dell’S.P.R. si tiene a Palermo, in una città e in una regione dove da anni si è intrapresa una vivacissima attività di ricerca (basti pensare al progetto Val.Ter.) e di discussione sulla ricerca in psicoterapia. La scelta del luogo non costituisce, però, solo un riconoscimento del lavoro che qui è stato svolto. Essa segnala anche la crescita dell’S.P.R. – Italia come società nazionale che raccoglie, oltre i tradizionali poli di Milano e Roma, tutti coloro che, nel nostro paese, sono interessati allo sviluppo di una psicoterapia basta sul metodo scientifico. Il numero e la varietà dei contributi che vengono presentati in questo volume è un’ulteriore prova dei passi avanti fatti in questa direzione. La ragione per cui molte delle persone interessate ad una psicoterapia scientifica possono trovarsi a loro agio ad un congresso dell’S.P.R., sono molteplici e vorrei provare ad elencarvi alcuni che costituiscono i capisaldi di continuità nella linea culturale della società. La prima è di considerare la psicoterapia una disciplina unitaria il cui progresso è frutto, come in ogni attività scientifica, di impresa collettiva. Partecipano alla vita della società clinici e ricercatori che provengono da scuole differenti, accumunati però da un forte senso d’appartenenza ad una comunità scientifica più ampia che è quella degli psicoterapeuti. In pratica questo significa che i risultati ottenuti da un collega impegnato nella ricerca, qualunque sia la sua scuola di psicoterapia, costituiscono dati di un patrimonio comune con cui confrontarsi criticamente ed è questo che, a mio avviso, può conferire alla psicoterapia quel carattere di impresa collettiva, basata sul carisma di autori di genio, tipica dello sviluppo scientifico. Il secondo caposaldo della linea culturale della società è che ogni controversia va affrontata, evitando ogni richiamo ad ortodossie e a principi primi, ma attenendosi ai due strumenti principi del metodo scientifico, la discussione critica e il controllo empirico. Il terzo punto è espresso dal titolo stesso di questo congresso: ‘una ricerca orientata alla clinica’. Proprio perché riteniamo che la psicoterapia sia un campo specifico con problemi aventi una propria autonoma fisionomia riteniamo che la ricerca debba occuparsi dei problemi interessanti del settore e non, al contrario, i problemi essere adattati o ignorati in base alle esigenza del ricercatore. Più chiaramente, sofisticate e corrette metodologie sono del tutto inutili se non servono per affrontare problemi clinici interessanti. Per questo teniamo al fatto che i clinici, anche non direttamente o solo occasionalmente ricercatori ma interessati all’uso dei risultati della ricerca, partecipino attivamente alla vita della società. Il loro contributo è fondamentale per evitare che la ricerca in psicoterapia si isoli in attività autoreferenziali che non servono al progresso della disciplina. Sono queste le linee su cui la società è nata e si e sviluppata grazie a colleghi che avevano intuito come queste esperienze fossero condivise da un’ampia area di psicoterapeuti italiani. Mi scuso e non posso citarli tutti ma mi limito a ricordare che questa è stata la linea dei presidenti che mi hanno preceduto Salvatore Freni e Nino Dazzi, e a cui ho cercato di attenermi. La loro ambizione era di fondare anche in Italia una tradizione di ricerca in questo campo. I colleghi palermitani organizzando questo congresso hanno apportato un altro mattone alla costruzione di questa tradizione. Antonio Semerari Introduzione Il volumetto degli abstract che presentiamo può essere, riteniamo, un utile strumento di lavoro che permette di inquadrare l'insieme del convegno: invitiamo quindi i colleghi a guardarlo con attenzione. Da esso emerge l'incontro tra la ricca e seria tradizione dell'S.P.R. e la frontiera in cui il convegno vuole collocarsi con il titolo assai significativo di "La psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica". In esso l'intrecciarsi e la circolarità dei tre termini - ricerca, qualità, clinica - chiariscono l'ambizioso e significativo progetto che il convegno promuove. Dagli interventi emerge quanto la ricerca empirica sia ormai consolidata anche in Italia (sebbene sia ancora insufficientemente diffusa a livello professionale e in molte scuole ancora vincolate da un senso di identità ed appartenenza un pò autoreferenziale). Emerge anche quanto, la ricerca empirica possa oggi prendere in considerazione anche altri e più tradizionali filoni di ricerca clinica: ad es. quella epistemologica, osservativa, epidemiologica, teorico-concettuale, narrativa e legata al caso clinico, a verifiche qualitative ecc.. Un altro fattore che ci sembra interessante delle ricerche presentate è il loro carattere tendenzialmente trasversale ai modelli: ciò è più direttamente visibile quando si parla di valutazione, servizio pubblico, processo, famiglia, attaccamento, diagnosi, analisi di sedute, personalità, mente, valutazione; lo è, anche, almeno potenzialmente, a nostro avviso, anche quando si parla di lavoro in specifiche aree: cognitiva, psicoanalitica, analitico-gruppale ecc.. Vogliamo, infine, sottolineare gli aspetti quantitativi del convegno citando solo il fatto che fra tavole rotonde, relazioni nelle sessioni e poster esso coinvolge lo sforzo ed il lavoro che ci è sembrato accurato ed approfondito, di moltissimi colleghi. Auguriamo quindi a tutti un fruttuoso lavoro e segnaliamo l'impegnativo piacere con cui i colleghi siciliani ed il direttivo nazionale hanno lavorato al convegno facendo fino in fondo quello che erano capaci di fare. Ci auguriamo anche che i convegnisti possano godersi le cose buone che questa complessa città può offrire: la bellezza del clima, le tradizioni culturali, il suo centro storico, la qualità del cibo. A differenza di altre culture, quella mediterranea non ha mai pensato che l’impegno e la crescita siano cose necessariamente legate alla sofferenza e non anche al piacere. Girolamo Lo Verso Francesca Giannone Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa LAA VAALLUUTTAAZZIIOONNEE DDEELLLL’’ALLLLEEAANNZZAA TEERRAAPPEEUUTTIICCAA C Coooorrddiinnaattoorree:: V Viittttoorriioo LLiinnggiiaarrddii M Mooddeerraattoorree:: G Giiuusseeppppee N Niiccoollòò L'ALLEANZA TERAPEUTICA TRA TEORIA CLINICA E RICERCA EMPIRICA V. Lingiardi Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” I concetti di Alleanza Terapeutica (Therapeutic Alliance), Alleanza di Lavoro (Working Alliance), Alleanza d’Aiuto (Helping Alliance) sono le formule più usate in letteratura per indicare una dimensione interattiva tra paziente e terapeuta riferita alla capacità di sviluppare una relazione reale, basata sulla collaborazione nel lavoro comune al fine di affrontare i problemi e le difficoltà del paziente. Un primo riferimento al concetto di alleanza terapeutica (d’ora in poi: AT) lo troviamo in Freud, particolarmente nei concetti di “transfert positivo irreprensibile” (1912) e, più tardi, di “collaborazione paziente-analista” (1940). Gli sviluppi della psicoanalisi e, nell’ultimo ventennio, le ricerche di tipo empirico sulle variabili implicate nella relazione terapeutica (allargando il concetto di relazione terapeutica anche al di là dei confini, spesso angusti, di ciò che si suole definire “psicoanalisi”) sono stati accompagnati dal contributo di vari autori. Un breve elenco: Sterba (1934, alleanza dell’Io), Fenichel (1941, transfert razionale), Zetzel (1958, alleanza terapeutica), Stone (1961, transfert maturo), Greenson (1965, alleanza di lavoro), Luborsky (1976, alleanza di aiuto), Bordin (1979, alleanza come costrutto panteoretico scomponibile in tre dimensioni: “compiti”, “obiettivi”, “legame” - Tasks, Goals, Bond), Safran e Muran (2000, rotture e riparazioni dell’alleanza). In questi ultimi anni, l'interesse per questo costrutto è tornato in auge anche in quegli ambiti psicoanalitici tradizionalmente più insofferenti alla ricerca empirica. Sono dunque state avanzate nuove proposte e nuove definizioni, come il concetto di collaborative interaction proposto da Ponsi (2000). A partire dagli anni Ottanta, ricercatori di formazione psicodinamica, interpersonale e cognitivista hanno confermato la validità del costrutto AT come “fattore comune” a tutte le relazioni terapeutiche (Horvath, Greenberg, 1996) e come uno dei principali fattori curativi nella psicoterapia. Molte ricerche (vedi per esempio, Horvath, Gaston, Luborsky, 1993; Lingiardi et. al, 2000) mostrano importanti correlazioni tra indici di AT, outcome della psicoterapia e markers indicativi di un miglioramento del paziente nel corso della terapia. Tali studi segnalano tra l’altro che la qualità dell'AT nelle fasi iniziali del trattamento è significativamente predittiva dell'outcome finale. Nel tentativo di integrare il costrutto AT sia nel campo della teoria clinica sia in quello della ricerca empirica, l’Autore sottolinea la necessità di affrontare alcuni nodi tematici, a ponte tra la dimensione intrapsichica e quella interpersonale. L’alleanza terapeutica: a) è un tipo di relazione? un insieme di comportamenti? un legame emotivo? un accordo sugli obiettivi o compiti del trattamento? b) è un costrutto unidimensionale o multidimensionale? c) in che misura dipende dalla motivazione e dalle capacità del paziente e/o del terapeuta? d) quanto la sua qualità è determinata dalla psicopatologia del paziente? e) come si sviluppa nel tempo? f) è collegata direttamente o indirettamente al cambiamento terapeutico? g) che legame intercorre tra “tecnica” e “alleanza”? Riferimenti bibliografici Bordin, E. (1979) The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, research and practice, 16, 252-260. Freud, S. (1912), Dinamica della traslazione. In “Tecnica della psicoanalisi”. Tr.it. in Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino, 1974, pp. 523-531. Greenson, R.R. (1971) La relazione reale tra paziente e psicoanalista. Tr.it. in Esplorazioni psicoanalitiche, Boringhieri, Torino, 1984. Horvath, A.O., Gaston, L., Luborsky, L. (1993) The therapeutic alliance and its measures. In Miller, N.E., et al. Psychodinamic treatment research. A Handbook for clinical practice. Basic Books, New York, pp. 247-273. Horvath, A.O., Greenberg L.S. (1996, a cura di) The Working Alliance: Theory, Research and Practice, John Wiley & Sons, New York. Lingiardi V., Croce D., Fossati A., Vanzulli L., Maffei C. (2000), La valutazione dell’alleanza terapeutica nella psicoterapia dei pazienti con disturbi di personalità. Ricerca in Psicoterapia (Rivista SPR-Italia), 3, 1, pp. 63-80. Ponsi, M. (2000), Therapeutic Alliance and collaborative interactions. Int J Psychonal, 81, pp. 687-704. Safran, D., Muran, J.C. (2000), Resolving therapeutic alliance ruptures: Diversity and integration. Journal of Clinical Psychology, 56, 2, pp. 233-243. Sterba, R. (1934), The fate of ego in analytic therapy. Int J Psychonal, 15, pp. 117-126. Zetzel, E.R. (1956), Current concepts of transference, Int J Psychonal, 37, pp. 369-376. VALUTAZIONE DEL PROCESSO TERAPEUTICO IN UNA PROSPETTIVA INTEGRATA: ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ALLEANZA TERAPEUTICA F. Ortu., A. Cascioli, C. Pazzagli, S. Piscicelli, R. Williams, N. Dazzi Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” La ricerca sui microprocessi ha come scopo l’identificazione delle connessioni esistenti tra differenti aspetti del cambiamento del paziente e delle specifiche modalità d’intervento del terapeuta nelle singole sedute. Uno dei problemi sollevati da questo tipo di ricerca è se l’analisi dei microprocessi condotta all’interno di una specifica cornice teorica sia in grado di comprendere la complessità del processo terapeutico. In alcuni lavori precedenti gli Autori hanno riscontrato l’utilità dell’impiego di tre diversi strumenti di valutazione del processo, ciascuno concepito all’interno di rispettive concezioni del cambiamento terapeutico, nella valutazione dell’andamento e dell’esito dei casi presi in considerazione. Le caratteristiche del processo da noi considerate sono la modificazione dello stile difensivo del paziente misurata dalla DMRS di Perry, la pervasività del pattern relazionale disfunzionale del paziente misurato secondo il CCRT di Luborsky, il livello di integrazione tra esperienza verbale e non verbale, compresa quella emotiva, misurata secondo la RA di Wilma Bucci. L’utilità di tale procedura consta nella possibilità di osservare la mutua interazione tra dimensioni del funzionamento mentale del paziente ritenute tradizionalmente rilevanti nello svolgimento della terapia. Obiettivo del presente lavoro è dunque quello di verificare l’evoluzione dell’intreccio tra le diverse dimensioni misurate in terapie che differiscono rispetto a fattori di grande rilevanza per il processo quali tipologia e durata dell’intervento, caratteristiche psicopatologiche e di personalità del paziente. L’esplorazione così concepita del processo terapeutico dovrebbe, nell’intenzione degli Autori, fornire utili spunti di riflessione rispetto al tema dell’alleanza terapeutica. Nello specifico, la possibilità di definire e realizzare un obiettivo terapeutico condiviso viene interpretata come processo dinamico in cui hanno particolare rilievo sia l’evoluzione delle dimensioni del funzionamento mentale del paziente considerate, sia la reciproca influenza che queste hanno con la capacità del terapeuta di garantire uno spazio per l’elaborazione delle emozioni emerse nella relazione. PREDITTORI DI ESITO E DI DROP OUT E ALLEANZA TERAPEUTICA E. Fava, C. Masserini, P. Camarda, M. Cossa, S. Freni. Università degli Studi di Milano, Unità Operativa Psichiatrica n.48, D.S.M. Niguarda Ca’Granda Nella definizione di drop out, come interruzione non concordata di trattamento (Garfield) (1), è implicita la rottura dell’alleanza terapeutica o il suo non essersi mai costituita in un modo funzionale a contenere le tensioni, che determineranno l’abbandono non consensuale della terapia. Una delle questioni fondamentali relative al concetto di alleanza terapeutica è la definizione dell’alleanza terapeutica come prodotto piuttosto che precondizione dei cambiamenti in psicoterapia (Verga et al.). Prendere in considerazione i fattori che predicono il drop out e i fattori che predicono gli esiti, secondo gli autori, può essere utile per definire il contesto in cui si costituisce l’alleanza di lavoro. Materiali e metodi: in due differenti studi (Fava et al.).è stato utilizzato l’Indice Prognostico per la Psicoterapia (Auerbach et al.), intervista semistrutturata, compilata dal terapeuta, che indaga l’entità di 29 variabili, desunte sia dalla ricerca che dalla riflessione clinica per valutare i possibili predittori di drop out e d’esito insoddisfacente, in un campione (n=93) di pazienti in psicoterapia. Altre misure utilizzate in questi studi sono state la SCL-90R, la HSRS e la scheda del Sistema Informatico della Regione Lombardia. I risultati degli studi mostrano l’esistenza di aree significativamente correlate al rischio di drop out che riguardano la motivazione del paziente (che nella definizione dell’Indice Prognostico per la Psicoterapia comprende sia il livello di disponibilità al metodo di lavoro sia l’intensità del desiderio di aiuto, la natura dell’aiuto desiderato e la comprensione del modo di lavorare in psicoterapia), l’interesse iniziale per il paziente da parte del terapeuta e la presenza di difficoltà interpersonali del paziente che gli rendono difficile accedere a relazioni di aiuto. A differenza dei drop out, i pazienti non responders, che hanno continuato il trattamento, risultano maggiormente condizionati dalla gravità iniziale, tuttavia la motivazione iniziale è correlata positivamente agli esiti. Le nostre conclusioni sono che il contesto in cui si sviluppa l’alleanza terapeutica è influenzato da aspetti razionali, come la condivisione del modello di lavoro e la critica dello stato di malattia, ma anche dall’atteggiamento emotivo del terapeuta e dalla percezione che il paziente ha di lui, nonché dalla capacità della coppia terapeutica di affrontare sin dall’inizio gli assetti maladattativi che interferiscono con il lavoro terapeutico e lo stabilirsi di una relazione di aiuto. Riferimenti bibliografici Auerbach A.H., Luborsky L. & Johnson M. (1972), Clinicians’ predictions of outcome of psychotherapy: a trial of a prognostic index, American Journal of Psychiatry 128 (7), pp. 830-835. Fava E., Masserini C., Borghetti S., Camarda P., Fontolan M., Duca P., Pazzaglia P., Le interruzioni non concordate di trattamento in un servizio di psicoterapia: frequenza, relazione con gli esiti e variabili con possibile significato predittivo, Rivista Sperimentale di Freniatria vol.CXXV, 1, pp.23-36, 2001. Fava et al., Esiti e predittori di esito in psicoterapia dinamica (in preparazione) Garfield S.L. (1994). Research on client variables in psychotherapy. In Handbook of Psychotherapy and Behaviour Change S.L.Garfield & A.E. Bergin (Eds), pp. 213-256 John Wiley e Sons: New York. Verga M.C., Azzone P., Viganò D., Freni S. (1999). Approccio empirico al concetto di alleanza in psicoterapia: alleanza di aiuto, di lavoro, terapeutica. Ricerca in Psicoterapia 2 (1-2-3) pp. 34-62. (1) Garfield definisce come drop out i pazienti che hanno avuto almeno una seduta di psicoterapia e che hanno interrotto il trattamento di propria iniziativa, non presentandosi ai successivi incontri, mentre il terapeuta considerava la terapia come appena iniziata, in evoluzione e comunque non conclusa. LA MISURAZIONE DELL’ALLEANZA NELLA PSICOTERAPIA DI PAZIENTI CON DIAGNOSI DI DISTURBO DELLA PERSONALITÀ L. Filippucci, V. Lingiardi Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione L'Alleanza Terapeutica (AT) è una componente fondamentale di ogni relazione terapeutica. Solo recentemente, però, in seguito alla creazione di strumenti adeguati [Working Alliance Inventory (WAI) di Horvath; California Alliance Psychotherapy Scale (CALPAS) di Gaston, Marmar – per entrambi, vedi Horvath, Greenberg, 1996], l'AT è stata considerata un costrutto adeguato (cioè misurabile) per la ricerca empirica. La maggior parte delle ricerche (Horvath, Gaston, Luborsky, 1993) ha mostrato importanti correlazioni tra AT, outcome della psicoterapia e markers indicativi di un miglioramento del paziente nel corso della terapia. È stato anche rilevato un legame tra indici di AT e outcome (Orlinsky, Howard, 1978; Luborsky, 1996). In particolare, la qualità dell'AT nelle fasi iniziali del trattamento viene considerata significativamente predittiva dell'outcome finale (Horvath, Symonds, 1991). Sono ancora pochi i dati relativi al ruolo dei disturbi di personalità (DSM-IV), dei sintomi psicopatologici e delle funzioni dell'Io (per es. meccanismi di difesa) nel processo di costruzione dell'AT, in particolare con pazienti borderline e più in generale con disturbi gravi della personalità. Su questi soggetti l'indagine sull'AT (caratteristiche, predittività, correlazioni) è particolarmente importante, date le alte percentuali di dropout dalla psicoterapia. L’Autore presenta uno studio esplorativo che si propone di indagare la presenza e il significato di eventuali associazioni tra le seguenti variabili: AT, disturbi di personalità, meccanismi di difesa, sintomi psicopatologici, dropout. Metodo Il campione è composto da 50 coppie paziente-terapeuta. I pazienti hanno tutti ricevuto diagnosi di disturbo della personalità e indicazione al trattamento in psicoterapia espressiva individuale. Tutti i terapeuti che hanno accettato di partecipare alla ricerca sono soci SPR. Tutti i soggetti sono stati diagnosticati mediante DSM-IV-SCID-II (First et al., 1994) e valutati con Defense Style Questionnaire (DSQ, Bond, 1992) e Symptoms Check-List 90 (SCL-90, Derogatis et al. 1973). Nei tempi stabiliti, CALPAS e WAI sono state compilate nelle versioni per il terapeuta e per il paziente. CALPAS è costituita da quattro sottoscale che misurano: Capacità di lavoro del paziente (PWC); Impegno del paziente (PC); Consenso sulla strategia di lavoro (WSC); Comprensione e coinvolgimento del terapeuta (TUI). WAI è composto da tre sottoscale: Compiti (Tasks); Legame (Bond); Obiettivi (Goals). Il coefficiente r di Spearman ha fornito la misura della correlazione bivariata tra le variabili continue. Il test di Mann-Whitney (U) è stato utilizzato per valutare l’associazione tra le variabili dicotomiche e quelle continue. Il test di Wilcoxon è stato impiegato per analizzare la presenza di differenze significative nelle misure ripetute delle variabili continue. Risultati L’analisi dei dati mostra che nessuna delle seguenti caratteristiche del campione è significativamente associata al fenomeno del dropout: età, genere, scolarità, stato civile, precedenti ricoveri in strutture psichiatriche, precedenti esperienze di psicoterapia, diagnosi sull’Asse II del DSM-IV, livello di funzionamento difensivo, sintomatologia. In altre parole, nessuna delle elencate variabili intrinseche al paziente è utile al fine di discriminare i soggetti che vanno incontro a dropout da coloro che rimangono in terapia. Invece, due indici di AT (Consenso sulla strategia di lavoro e Comprensione e coinvolgimento del terapeuta), valutati dal terapeuta nella fase iniziale della terapia, correlano in modo significativo con l’andamento della terapia e il fenomeno del dropout. Conclusioni L’AT è oggi uno dei costrutti più idonei per lo studio della relazione terapeutica. Una ricerca che si propone di valutare l’andamento e l’esito della psicoterapia non può prescindere dalla misurazione delle dimensioni che ne compongono il costrutto. I risultati di questo lavoro esplorativo ci hanno indicato due ulteriori direzioni di ricerca: a) costruire uno strumento che valuti l’AT a partire dai trascritti delle sedute; b) affiancare, agli strumenti utilizzati nella presente ricerca, altri strumenti quali: CCRT (Core Conflictual Relationship Theme di L. Luborsky), DMRS (Defense Mechanism Rating Scale di J.C. Perry), RA (Referential Activity, W. Bucci). Riferimenti bibliografi Bond, M. (1992) An empirical Study of Defensive Styles: The Defense Style Questionnaire. In Vaillant, G.E. (a cura di), Ego Mechanisms of Defense: A Guide for Clinicians and Researchers. American Psychiatric Press, Washington, D.C. Bordin, E. (1979) The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, research and practice, 16, pp. 252-260. Derogatis, L.R., Lipman, R.S., Covi, L. (1973) An outpatient psychiatric rating scale. Psychopharmacology Bulletin, 9, pp.13-28. First, M.B., Spitzer, R.L., Gibbon, M., Williams, J.B.W., Benjamin, L. (1994) Structured Clinical Interview for DSM-IV Axis II Personality Disorders (SCID-II) (version 2.0), New York State Psychiatric Institute, New York. Horvath, A.O., Symonds, B.D. (1991) Relation Between Working Alliance and Outcome in Psychotherapy: a meta-analysis. Journal of Counseling Psychology, 38, pp. 139-149. Horvath, A.O., Gaston, L., Luborsky, L. (1993) The therapeutic alliance and its measures. In Miller, N.E., et al. Psychodinamic treatment research. A Handbook for clinical practice. Basic Books, New York, pp.247-73. Horvath, A.O., Greenberg L.S. (1996, a cura di) The Working Alliance: Theory, Research and Practice, John Wiley & Sons, New York. Luborsky, L. (1996) Therapeutic alliances as Predictors of Psychotherapy Outcomes: Factors Explaining the Predictive Process. In Horvath, A.O., Greenberg, L.S. (1996, a cura di), pp. 51-84. Orlinsky, D.E., Howard, K.I. (1989) The relation of process to outcome in psychotherapy. In Garfield, S.L., Bergin, A.E., Handbook of Psychotherapy and Behavior Change, John Wiley & Sons, New York. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa PSSIICCOOTTEERRAAPPIIAA NNEELL SEERRVVIIZZIIOO PUUBBBBLLIICCOO M Mooddeerraattoorree:: D Daanniieellee LLaa B Baarrbbeerraa ESITI E PREDITTORI DI ESITO NELLE PSICOTERAPIE DINAMICHE: I RISULTATI DI UNO STUDIO OSSERVAZIONALE NEL CONTESTO DI UN SERVIZIO DI PSICOTERAPIA P. Camarda, E. Fava, C. Masserini., M. Cossa, G. Pogliani, A. Ferrari, S. Freni. Unità Operativa Psichiatrica a Direzione Universitaria n. 48 Azienda Ospedaliera “Ospedale Niguarda Ca’ Granda” Istituto di Scienze Biomediche - Università degli Studi di Milano – Ospedale L. Sacco. Introduzione Negli ultimi anni si sta affermando la necessità di affiancare agli studi sperimentali classici studi osservazionali che valutino l’efficacia reale o “effectiveness” di trattamenti attuati in contesti di cura tipici (Barbui, 2001; Fonagy, 1999). L’obiettivo della ricerca descritta in questo lavoro è la valutazione dell’effectiveness dei trattamenti in un Servizio di Psicoterapia e l’individuazione dei possibili fattori predittivi dell’esito dei trattamenti stessi. Metodo Lo studio è di tipo osservazionale. Sono stati reclutati 93 pazienti ambulatoriali afferenti al Servizio di Psicoterapia dell’U.O.P. a Direzione Universitaria n. 48 di Milano presi in carico tra il 1994 e il 1998. I soggetti inclusi nello studio presentavano una diagnosi psichiatrica e, dopo alcuni colloqui di consultazione, hanno incominciato una psicoterapia dinamica. Le psicoterapie ancora in corso sono 17, mentre quelle concluse sono 44. Durante lo studio 23 pazienti hanno interrotto il trattamento di propria iniziativa, non presentandosi agli incontri successivi, mentre altri 5 pazienti hanno proseguito il trattamento psicoterapico in altra sede; per 2 pazienti il trattamento psicoterapico si è modificato in trattamento esclusivamente farmacologico e altri 2 pazienti non hanno dato il loro consenso al trattamento dei dati. Il cut-off di inclusione all’Indice di Severità Globale dell’SCL-90-R ha escluso ulteriormente 4 pazienti, considerati non valutabili. Il campione oggetto delle successive analisi statistiche è quindi costituito da 57 pazienti. Gli strumenti di misura utilizzati sono: scheda del Sistema Informativo Psichiatrico della Regione Lombardia; SCL-90-R; Health-Sickness Rating Scale; Prognostic Index for Psychotherapy (Auerbach et al., 1980). Utilizzando l’RCI (Reliable Change Index Jacobson et al., 1984) calcolato sulla base dell’Indice di Severità Globale dell’SCL-90-R è stato possibile dividere il campione in pazienti migliorati, invariati e peggiorati. Per ogni paziente è stata poi effettuata la valutazione del cambiamento nelle singole sottoscale dell’SCL-90-R. I valori espressi al momento della presa in carico dagli strumenti di misura adottati sono quindi stati correlati con l’esito per evidenziarne il possibile valore prognostico. Risultati I pazienti globalmente migliorati costituiscono il 65% del campione in esame, mentre i non migliorati sono il 35%. Il gruppo dei non migliorati comprende 5 pazienti complessivamente peggiorati e 15 pazienti invariati. Per quanto riguarda il cambiamento dei pazienti complessivamente invariati nelle singole sottoscale dell’SCL-90, si evidenzia che: 4 pazienti risultano invariati in tutte le sottoscale; 5 pazienti risultano migliorati in una sola sottoscala e invariati nelle rimanenti; 1 paziente è migliorato in più di una sottoscala; 4 pazienti risultano migliorati in alcune sottoscale e peggiorati in altre; 1 paziente risulta peggiorato in una singola sottoscala e invariato nelle rimanenti. I fattori correlabili in modo significativo con l’esito sono: Sesso, Età, Precedenti contatti psichiatrici, Occupazione, Valutazione globale salute-malattia, Livello di funzionamento, autonomo, Grado di utilizzazione delle proprie capacità, Tendenza al diniego, Motivazione alla psicoterapia, Maturità sociale, Giudizio del ratificatore sull’esito. CONCLUSIONI: Per quanto riguarda le variabili socio-demografiche (1-4) è presente un effetto di confondimento legato alla distribuzione della gravità. È quindi necessario un ulteriore approfondimento statistico. La gravità si conferma (cfr. Luborsky et al., 1988) un predittore importante di esito, e altri fattori (3-6-7) appaiono correlati ad essa. La tendenza al diniego e la bassa maturità sociale appaiono attribuibili alla specifica forma di funzionamento mentale del paziente. La scarsa motivazione alla psicoterapia è predittore sia di esito che di drop-out. Il valore predittivo di questa variabile sostiene l’importanza dello studio dei fattori relativi al costituirsi dell’alleanza terapeutica. Riferimenti bibliografici Barbui C., Per l’introduzione di attitudini di ricerca nella pratica clinica quotidiana, Rivista Sperimentale di Freniatria, CXXV, 1 (2001): 13-22. Fonagy P., Process and outcome in mental health care delivery: A model approach to treatment evaluation, Bulletin of the Menninger Clinic 63, 3 (1999): 288-304. Jacobson N.S., Follette W.C., Revenstorf D. Psychotherapy Outcome Research: Methods for Reporting Variability and Evaluating Clinical Significance, Behavior Therapy 15 (1984): 336-352. Luborsky L., Crits-Christoph P., Mintz J., Auerbach A. Who will benefit from psychotherapy? Basic Books, Inc., Publishers New York, 1988. Tingey R.C., Lambert M.J., Burlingame G.M., Hansen N.B. Assessing Clinical Significance: Proposed Extensions to Method, Psychotherapy Research 6, 2 (1996): 109-123. STRUTTURA DI PERSONALITA’ E DISABILITY: VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI UN TRATTAMENTO RIABILITATIVO RESIDENZIALE IN PAZIENTI CON GRAVI DISTURBI PSICHIATRICI M. L. Caviglia *, E. Mongelli °, A. Ferrero ^, V. Plastino “ * Ricercatore A.Fa.R., Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se (TO) ° Ricercatore A.Fa.R., Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se (TO) ^ Psichiatra Dirigente DSM ASL 7 Torino “ Direttore Sanitario Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se (TO) Numerosi studi hanno dimostrato che non esiste una corrispondenza diretta e univoca tra gravità della sintomatologia clinica e gravità della disability: i fattori legati al contesto, come le norme culturali, le reti di supporto sociale e le possibilità economiche sembrano giocare un ruolo altrettanto importante dei sintomi nel determinare quale sarà il livello di funzionamento raggiunto con un trattamento terapeutico - riabilitativo. Scarsi invece i dati riguardanti i legami tra struttura di personalità e capacità di funzionamento autonomo sociale e lavorativo. Questo studio si propone di valutare le correlazioni tra caratteristiche cliniche, misurate mediante il KAPP (Karolinska Psychodinamic Profile), e grado di disability, misurato mediante la SOFAS (Social Occupational Functioning Assestment Schedule) in pazienti psichiatrici gravi. Offre inoltre la più ampia casistica disponibile su pazienti psichiatrici valutati col Kapp. Il campione risulta all’ingresso composto da 91 soggetti, di cui 39 presentano una diagnosi al DSM IV di disturbo borderline di personalità e 52 di psicosi schizofrenica; a 6 mesi il numero totale dei soggetti risulta ridotto a 80 a causa di dimissioni o trasferimenti. Attraverso misurazioni seriate compiute all’ ingresso e dopo 6 mesi di trattamento intensivo in regime di ricovero ospedaliero vengono messe a confronto le variazioni di punteggio ottenute nei due sottogruppi. Si intende valutare quali aspetti della struttura di personalità influenzino il livello di funzionamento autonomo a livello sociale e lavorativo ed i miglioramenti che in tale area si conseguono. L’attenzione viene in particolare focalizzata su alcuni item del Kapp che paiono significativamente correlati con la disability: le caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali (intimità e reciprocità, dipendenza e separazione, bisogno di controllo), il funzionamento della personalità (tolleranza alla frustrazione, controllo degli impulsi, regressione al servizio dell’Io, gestione dell’aggressività) e la percezione individuale della propria importanza sociale (senso di appartenenza, sensazione di essere necessari, disponibilità di consigli ed aiuti). L’analisi dei dati è stata effettuata con SPSS (Statistical Package for Social Science). I risultati dimostrano che nel campione dei pazienti con psicosi schizofrenica gli item che rivestono un ruolo significativo nel determinare la capacità di funzionamento autonomo riguardano l’intimità e la reciprocità, la dipendenza e separazione, il bisogno di controllo, la tolleranza alla frustrazione, la sensazione di essere necessari e l’organizzazione della personalità; nel gruppo dei pazienti con organizzazione borderline di personalità tali item sono l’importanza del corpo come fattore di autostima, l’immagine corporea attuale e l’organizzazione della personalità. Vengono discussi criticamente tali risultati; vengono, altresì, discusse le implicazioni per future linee di ricerca concernenti processi ed esiti di trattamenti. In particolare, si auspica un confronto con pazienti affetti da analoga patologia in regime di residenzialità protratta, ma con protocolli terapeutico-riabilitativi differenti e con pazienti che ricevono interventi di tipo esclusivamente ambulatoriale. Riferimenti bibliografici Hilsenroth M.J., Ackerman S.J., Blagys M.D., Baumann B.D. et al. (2000), Reliability and validity of DSM Iv axis V, Am. J. Psychiatry, 157 (11), 1858-63 Hume C., Pullen I. (1986), La riabilitazione dei pazienti psichiatrici, tr.it. Raffaello Cortina Editoria, Milano, 1994. Ferrero A. (1995), Insula Dulcamara, CSE, Torino. Mencacci C., Goldfluss E. (1997), Contributo dei modelli anglosassoni allo sviluppo del setting riabilitativo italiano. In: Liberman R.P. (a cura di), La riabilitazione psichiatrica, Raffaello Cortina Editore, Milano Vacca L., Psichiatria e Psicoterapia Analitica, 12, 2, 85-114. Weinryb R., Russell R. (1993), Karolinska Psychodinamic Profile, Acta Psichiatrica Scandinavica, Suppl. 363, vol. 83, Munksgaard, Copenaghen, 1991. Versione Italiana a cura di Nese G., Voria F., De Rosa A.. UNA RICERCA SULL'ESITO DELLE PSICOTERAPIE CONDOTTA NEL SERVIZIO PUBBLICO. PRIME ELABORAZIONI (1) E. Fusco, G. Galli, M. A. Ciavarella, E. Coco. Operatori D.S.M. RMA III MDT: Responsabile Dott. Giorgio Campoli. La ricerca riguarda i pazienti in trattamento psicoterapeutico in due ambulatori di due Dipartimenti di salute mentale di Roma. Essa si avvale della collaborazione della professoressa Alessandra De Coro e del professor Giuseppe Vetrone. In questa relazione si vogliono presentare i primi risultati di una ricerca sull'esito della psicoterapia nel servizio pubblico, le cui premesse epistemologiche, metodologiche ed operative erano state descritte nel convegno della S.P.R. Italia dello scorso anno. La ricerca utilizza come strumenti di misurazione i seguenti test: ACL (Adjective Check List) sia per l'autovalutazione che per la valutazione del paziente da parte del terapeuta, scala dello Stato di benessere, Symptom check List 90 (SCL90), Scala del Funzionamento Globale (VGF) . Tali test vengono ripetuti con cadenza semestrale. Nella prima relazione evidenziavamo la necessità che nei servizi si sviluppi una cultura della “verifica”, e che la ricerca sia maggiormente vicina ai contesti clinici, arrivando a postulare un uso quasi “pragmatico” e operativo della ricerca e in questa direzione ci siamo mossi. Abbiamo analizzato finora i dati riguardanti 25 pazienti in trattamento psicoterapeutico da almeno sei mesi, concentrando l'attenzione sui drop out, e mettendo questi in relazione con le valutazioni iniziali. Nonostante l'esiguità del numero dei casi finora presi in esame, che ci impedisce di formulare delle conclusioni, siamo arrivati alla definizione di alcune linee di tendenza: 1) Dal confronto tra il gruppo di pazienti che abbandona la terapia (N=11) e il gruppo di pazienti che continua la psicoterapia (N=14) non risultano differenze statisticamente significative in relazione alle valutazioni iniziali per quanto riguarda la diagnosi, il VGF, i tratti sintomatologici derivanti dalle sottoscale del SCL90. Questi risultati appaiono concordanti con altre ricerche da cui si evince che non è possibile predire il drop out in base alle caratteristiche sintomatologiche iniziali del paziente, mentre è possibile prevederlo in base alle differenti caratteristiche dell'alleanza terapeutica, cioè spostando l'attenzione dal paziente alla coppia terapeutica. 2) Per quanto riguarda invece i tratti di personalità misurati dall'ACL, sono emerse differenze statisticamente significative tra i due gruppi. I pazienti del gruppo drop out ottengono risultati significativamente più alti del gruppo terapia alle seguenti scale: Het-Essere in relazione con l'altro sesso (U=38, p<0,05) e Nur-Bisogno di proteggere ed aiutare gli altri (U=38, p<0,05). Nell'eterovalutazione, i terapeuti attribuiscono ai pazienti del gruppo drop-out punteggi significativamente più alti del gruppo terapia alla scala Exh-Bisogno di esibizione (U=43,5, p<0,05). Inoltre, in base all'analisi dei singoli aggettivi contrassegnati, abbiamo osservato che c'è una differenza nelle distribuzioni di frequenza di alcuni aggettivi a livello dei due gruppi; questo ci fa pensare che alcuni tratti della personalità che quindi potrebbero esprimersi nel transfert, possono essere predittivi rispetto al Drop Out. Un altro fattore che risulta indicativo rispetto all'esito è il numero di aggettivi contrassegnati, (nell'autovalutazione e nell'eterovalutazione) che è mediamente più alto nel gruppo dei pazienti che proseguono la terapia rispetto al gruppo drop out. Questo indice aspecifico può far pensare a una serie di elementi della relazione terapeutica (quali curiosità, interesse, espressività, rappresentazione mentale ecc.) come determinanti del drop out. 3) Per approfondire i diversi significati del drop-out nella probabile esperienza dei pazienti, il gruppo di questi soggetti è stato diviso in tre differenti sottogruppi, sulla base delle risposte fornite dai loro terapeuti ad un breve questionario volto ad approfondire la tipologia di abbandono. I dati ottenuti, benchè non significativi a livello statistico, lasciano ipotizzare che il drop out abbia a che fare più con una specifica difficoltà di elaborare le emozioni nell’area delle esperienze di separazione, e che non sia direttamente sovrapponibile con il fallimento dell’intervento. Questo forse è maggiormente evidente in un servizio pubblico in cui l’assetto del setting ha connotati particolari. In questo primo screening dei risultati possiamo quindi ipotizzare che alcuni aspetti della personalità ed alcuni elementi aspecifici della relazione terapeutica e quindi dei modelli transferali possano essere predittivi rispetto all'esito drop out. Inoltre, possiamo supporre che il drop out non sia un indice esclusivamente correlato all'esito negativo delle psicoterapie, e come rilevato in altre ricerche che un paziente si possa valere comunque del trattamento terapeutico nonostante la sua brusca interruzione. Questa prima analisi dei dati suggerisce comunque la necessità di avere un numero di casi più ampio, una valutazione più precisa ed estesa al funzionamento della coppia terapeutica e possibilmente un follow-up dei casi di drop out. (1) Hanno contribuito: Dott. Altamura Roberto, Dott. Stefano Angeli, Dott.ssa Maria Giovanna Argese, Dott. Angelo Campora, Ass. soc. Tiziana Chiodetti , Dott.ssa Claudia Filippelli, Dott.ssa Giuliana Rocchetti ( Operatori DSM RMA e RMB ). IL PROBLEMA DELLA COMORBILITÀ NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI OSPEDALIZZATI: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI, IMPLICAZIONI CLINICHE E POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE F. Didonna, P. Zordan, M. Bateni Divisione di Psichiatria Servizio per i Disturbi d’Ansia e dell’Umore Casa di Cura “Villa Margherita” – Arcugnano (Vicenza) La comorbilità nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) rappresenta una condizione estremamente frequente (60-70%), sia che essa riguardi la coesistenza di patologie psichiatriche in asse I (DSM IV) sia che interessi la compresenza di disturbi della personalità. La comorbilità può rappresentare in diversi casi una complicazione importante sia in sede diagnostica che in relazione al progetto terapeutico e spesso costituisce un fattore predittivo di non rispondenza al trattamento. Lo scopo del presente lavoro è quello di illustrare le caratteristiche delle più comuni forme di comorbilità nel DOC e di evidenziare gli ostacoli che esse pongono a livello psicoterapeutico proponendo alcune possibili strade da percorrere per fronteggiare tali ostacoli. Si mostrerà infine come tali comorbilità sono rappresentate in un campione di pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo sottoposti ad un intervento residenziale all'interno di un Servizio per il trattamento dei disturbi d'ansia del Veneto. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa NUUOOVVII STTRRUUMMEENNTTII DDII VAALLUUTTAAZZIIOONNEE N NEELLLLAA DIIAAG GN NO OSSII EE N NEELLLLAA TEERRAAPPIIAA CO OG GN NIITTIIVVAA C Coooorrddiinnaattoorrii ee M Mooddeerraattoorrii:: M Miicchheellee P Prrooccaaccccii,, N Niinnoo C Caarrcciioonnee VALIDAZIONE DI UN QUESTIONARIO AUTOSOMMINISTRATO PER LE CONVINZIONI DELIRANTI E LE ESPERIENZE SENSORIALI ANOMALE (DEBEASE-Q) A.Pinto*, S. La Pia°, G. Polidori^, P. Morosini^ *Università degli Studi dell’Aquila °DSM ASL Na 4 ^ Istituto Superiore di Sanità Introduzione La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), classicamente utilizzata per i disturbi afferenti all’area delle psicosi, ed in particolare al trattamento dei sintomi psicotici resistenti al trattamento, dell’umore e per i disturbi d’ansia è stata estesa recentemente anche al trattamento dei disturbi precedenti trattamenti.Molti studi suggeriscono l’importanza di un questionario autosomministrato ,in un contesto di TCC, per la valutazione delle allucinazioni uditive e dei deliri.Tuttavia i questionari autosomministrati disponibili sono stati sviluppati esclusivamente nel mondo anglosassone e quindi in lingua inglese.. Non sappiamo pertanto se i risultati ottenuti con questo strumento sono generalizzabili anche in altri contesti socio-culturali.Nel presente studio presentiamo i dati delle caratteristiche psicometriche di base di un questionario autosomministrato, il DEBEASE-Q (“Delusional Beliefs and Abnormal Sensory Experiences Questionnaire),indirizzato alla valutazione dei principali componenti dei deliri e delle allucinazioni (le voci), analizzate però dal punto di vista del paziente, e strutturato a partire dagli analoghi modelli Inglesi, ma adattato per essere usato nel nostro contesto socio-culturale. Metodi Il DEBEASE-Q è un questionario autosomministrato a 15 items che valuta le credenze, e le idee dei pazienti sui propri deliri e sulle proprie esperienze dispercettive, e le loro reazioni emotive e comportamentali ad esse. Lo strumento si articola in due sezioni: a) La scala dei “deliri”, che consta di 5 items e che valuta l’idea dominante su cui si è concentrata l’attenzione del paziente nell’ultimo mese, e b)la scala delle”voci”, che consta di 10 items e che esplora le allucinazioni uditive prevalenti del paziente in un periodo di tempo compreso tra i 30 giorni ed i 6 mesi. Tutte le risposte sono state valutate su di una scala a 4 punti, di cui il punteggio 0 rappresenta il più basso livello di gravità, ed il punteggio 3 il più elevato grado di compromissione psicopatologica.Il punteggio totale per ciascuna scala del DEBEASE-Q è stato ottenuto sommando i punteggi di ciascun item . Ogni scala del DEBEASE-Q è stato somministrata due volte a 70 pazienti schizofrenici (diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV), con un intervallo di 6 giorni tra la prima e la seconda somministrazione. Nel momento in cui il DEBEASE-Q è stato somministrato per la prima volta ,uno degli autori (A.P.) ha attribuito, indipendentemente, i punteggi sia alla scala dei deliri che delle allucinazioni. La correlazione intraclasse (ICCs), ed il coefficiente dell’alfa di Cronbach sono stati calcolati per determinare , rispettivamente, la riproducibilità test-retest e la consistenza interna. La validità discriminante e convergente sono state calcolate usando il punteggio totale e dei sintomi positivi della BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale), ed i punteggi agli item 10 (comportamento allucinatorio),11 (anomalo contenuto del pensiero), 12 (comportamento bizzarro), a 15 (disorganizzazione concettuale). Infine., è stata effettuata, per ciascuna scala, un’analisi fattoriale esplorativa, con rotazione varimax. Risultati L’ ICCs per ciascun item è stata eccellente sia nella scala dei deliri che delle voci, con dei punteggi compresi rispettivamente tra 0.84e 0.91 e tra 0.86 e 0.9. L’ICCs ha evidenziato un buon accordo sul test tra le risposte fornite dal paziente e dal terapeuta. Il punteggio dell’alfa di Cronbach è stato di 0.87 sulla scala dei deliri, e di 0.83 sulla scala delle voci.La scala dei deliri ha rivelato una forte correlazione con il punteggio totale della BPRS, con il punteggio dei sintomi positivi e con l’item 11. Il punteggio totale della scala delle voci ha rivelato una stretta correlazione con il punteggio dei sintomi positivi alla BPRS e con i punteggi degli items 10 e 11. L’analisi fattoriale ha identificato un fattore sulla scala dei deliri e tre sulla scala delle voci che spiegavano più del 60% della varianza. Discussione L’assunto di base nell’approccio cognitivo-comportamentale è che le manifestazioni psicopatologiche derivino dalle distorsioni nella formazione o nell’uso di schemi cognitivi cui il paziente fa ricorso nel tentativo di attribuire un senso a precedenti esperienze (interne o esterne). Indipendentemente dai meccanismi coinvolti nella loro genesi, le credenze disfunzionali sono considerate essere fondamentalmente simili a quelle che costituiscono i normali processi cognitivi. Uno degli scopi finali di un intervento cognitivo comportamentale consiste nell’aiutare il paziente a sostituire le credenze deliranti con altre più adattive, ed a ridurre l’impatto emozionale e comportamentale esercitato da esperienze sensoriali anomali quali le allucinazioni uditive persistenti. Le scale di valutazione solitamente adoperate in ambito clinico rivolte prevalentemente agli aspetti quantitativi della sintomatologia psicotica, sono solo marginalmente adeguate agli scopi di una TCC. Il DEBEASE-Q è uno strumento autosomministrato riproducibile per la valutazione dei pensieri deliranti e per le allucinazioni uditive nei pazienti schizofrenici .I vantaggi di questa scala includono la sua brevità, la semplicità di somministrazione ed il fatto che fornisce informazioni su alcune caratteristiche dei deliri e delle allucinazioni,basate sul punto di vista dei pazienti e sulle loro esperienze soggettive. L’impiego del DEBEASE-Q potrebbe contribuire a dirimere la controversia circa la riproducibilità e la validità degli strumenti autosomministrati nei pazienti schizofrenici severamente disturbati. Conclusioni Per quanto ci risulti, allo stato attuale il DEBEASE-Q è’ la prima scala autosomministrata riproducibile, specificamente sviluppata in lingua non Inglese per la valutazione di sintomi psicotici in corso di TCC. Riferimenti Bibliografici Perris C. & McGorry P.D. (eds): Cognitive Psychotherapy of Psychotic and Personality Disorders. John Wiley & Sons Ltd, Chichester, West Sussex, England, 1998. Chadwick P., Lees S., and Birchwood M.: The revised Beliefs About Voices Questionnaire (BAVQ-R). British Journal of Psychiatry, 177: 229-232, 2000. UN QUESTIONARIO SUL SENSO DI APPARTENENZA E DI CONDIVISIONE (S.A.C.): COSTRUZIONE E VALIDAZIONE P. Conversano^, M. Procacci^, G. Candilera*, L. Rigante°, A. Riportella°, A. Semerari^ ^III Centro di Psicoterapia Cognitiva O.N.L.U.S., Roma *Psicologo, psicometrista ° Scuola di formazione in Psicoterapia Cognitiva A.P.C. Roma Lo studio dei disturbi di personalità, nel corso degli ultimi anni, si è rivolto, vieppiù, verso l’individuazione e la definizione di aree “dimensionali” problematiche. Tra queste è emersa, da alcune ricerche preliminari (Procacci et al, 2000), la “dimensione di appartenenza e condivisione” che include il “senso di appartenenza e condivisione”; quest’ultimo è definito da Procacci e Semerari (‘98) in termini di "… percezione di condivisione di contenuti mentali quali valori, credenze, esperienze, affetti, abilità, interessi, caratteristiche che definiscono un determinato gruppo, per condivisione intendiamo l'analogo della appartenenza riferita ad una relazione duale invece che di gruppo". Abbiamo pertanto elaborato un questionario in grado d’indagare la dimensione di appartenenza e di condivisione tanto nella popolazione normale quanto in quella affetta da disturbi. Il questionario è stato costruito tenendo conto di tre aree fondamentali: l’area delle capacità metacognitive (in particolare –autoriflessività e rappresentazione della mente altrui-), l’area delle strategie relazionali, l’area emotiva. Rispetto alle prime due aree, ci siamo dati l’obiettivo di rilevare i possibili deficit, rispetto all’ultima quello di cogliere i vissuti emozionali coinvolti. Il questionario consta complessivamente di n°90 items: di questi n°20 fanno parte di n°2 scale di controllo rivolte ad indagare l’atteggiamento del soggetto durante la compilazione (si tratta in particolare della scala Lie e della scala Frequency). Gli items sono stati costruiti in modo da indagare in forma differenziata l’aspetto dell’appartenenza e quello della condivisione. Le risposte agli items si dispiegano lungo una scala Likert a 7 punti. Il questionario è stato sottoposto al processo di validazione, costituito da tre fasi differenti per ciascuna delle quali sono stati utilizzati dei campioni costituiti dalla popolazione normale. Sono stati effettuati lo studio della validità di costrutto (attraverso l’analisi delle componenti principali e l’analisi dello Scree-test) e lo studio dell’attendibilità dello strumento (attraverso il coefficiente Alpha di Cronbach per valutare la coesione interna degli items; attraverso il coefficiente di correlazione test-retest per valutare la stabilità nel tempo). SSS SCHEDA DI SINTESI DELLA SEDUTA F. Veglia, C. Vandoni, A. Pardey Centro Clinico Crocetta, Torino. E’ probabile che il cervello, quando cerca di comprendere ciò che accade in una conversazione, segnali le operazioni in corso e alcune delle sue conclusioni facendo emergere alla coscienza stati emotivi, immagini significative, nuove idee, conferme delle previsioni, brevi sequenze narrative, schemi ideativi finalizzati all’esercizio del controllo e della condivisione di significati. Tutte queste operazioni tacite ed esplicite, parallele e sequenziali, numerose e complesse, sono spesso ignorate dal terapeuta che, proprio perché troppo concentrato sui problemi del paziente, opera ad un livello di consapevolezza precedente o immediatamente successivo. L’enorme difficoltà di tenere sotto controllo così tanti processi mentali ed interpersonali e la contemporanea, assoluta necessità di poterlo fare ci hanno spinti a costruire una scheda (mappa) riassuntiva e sintetica che contenesse la rappresentazione nel terapeuta (eventualmente negoziata con il paziente) degli eventi chiave di ogni seduta significativa. La ricerca è dunque orientata sugli eventi sintetici della seduta, così come sono stati colti, riconosciuti, sentiti, spiegati dal terapeuta. La SSS è molto semplice nella sua struttura concettuale, ma è cognitivamente impegnativa proprio perché “costringe” a rendere consapevoli e dichiarative molte operazioni automatiche e tacite che avvengono prima, durante e dopo la seduta. È ovvio che non è necessario verbalizzare tali attività mentali perché esse siano adeguate ed efficaci (è ciò su cui facciamo affidamento quando siamo terapeuti “esperti”), ma dopo averle rese esplicite, messe in sequenza e criticate è più probabile poter correggere gli errori che contenevano, recuperare i contenuti dispersi, riorganizzare le intuizioni confuse, trasmetterli in modo comprensibile ad altre persone (il paziente stesso, i propri allievi, un supervisore) e offrire dati alla ricerca clinica. La raccolta sistematica di questi dati permette, infatti, di sviluppare ricerche tematiche sui contenuti ricorrenti nelle diverse tipologie di pazienti (organizzazioni cognitive?), sulle sequenze e sugli stili terapeutici, sulle ricorrenze e le divergenze metodologiche caratteristiche di terapeuti diversi. Lo strumento non consente di verificare in modo imparziale cosa davvero il paziente ha detto e voluto dire, ha fatto e voluto fare, ha sperimentato e mostrato di sé, ma, al contrario come tutti questi eventi hanno “toccato” la mente, le emozioni ed il corpo del terapeuta, come questi li ha organizzati in termini di significato, come ha cercato di condividerli e come ha potuto, voluto, saputo agire nella relazione terapeutica. La scheda propone al terapeuta una serie di domande “ovvie”, ma molto spesso disattese. Con quale persona mi sono incontrato in relazione al disturbo che presenta, allo stile di attaccamento, all’organizzazione cognitiva, alle sue storie di vita? In quale fase del piano terapeutico può essere collocata la seduta di oggi? Di quale area dell’esperienza del paziente e di quali temi ci siamo occupati? Che cosa il paziente mi ha raccontato, che cosa mi ha colpito del suo racconto, quali emozioni ha espresso, come ha interagito con me? Che cosa ho fatto, un intervento cognitivo, mansionale, relazionale o che altro? Cosa è accaduto di significativo durante la seduta? In relazione a tali eventi devo modificare la strategia o la metodologia terapeutica? Alla luce di ciò che è successo in questa seduta, come immagino di condurre quella successiva? Tutte domande che presentano le difficoltà, a volte estreme, delle cose semplici. Utilizzando la SSS al termine di ogni seduta e ristudiandola, la settimana successiva, prima di incontrare nuovamente il paziente, si riduce il rischio di tempi morti, di circuiti viziosi, di disorientamenti. Soprattutto, però, si conserva il filo del discorso ed il senso complessivo della storia, di quella storia straordinaria (vale a dire fuori dall’ordinario) che paziente e terapeuta intessono insieme nel breve spazio delle sedute (ma un poco, anche nel tempo che intercorre tra i loro incontri, quando, ogni tanto, si ricordano l’uno dell’altro). Una parte importante di questa storia “terapeutica” e delle più ampie storie personali che la contengono, viene raccontata. La scheda mette il terapeuta sulla traccia delle parole, di quelle poche parole chiave che aprono alla comprensione dell’altro e che sintetizzano la seduta. La ricerca non è semplice, ma può risultare appassionante soprattutto se non si dimentica il richiamo delle parole capaci di far emozionare, parole che, collegate a quelle che danno invece accesso a qualche teoria e che permettono di formulare ipotesi o predizioni, svelano la trama narrativa delle nostre conversazioni cliniche. È molto interessante osservare come le parole insieme alle emozioni permettano di attraversare le organizzazioni cognitive in modo originale: com’è diverso il senso che viene dato, per esempio, ai termini “controllo”, “valore”, “sicurezza” da chi pensa e sente con modalità ossessive, psicosomatiche o fobiche e come non è vero che il controllo è un tema critico degli ossessivi e la sicurezza lo è dei fobici e come, usando le parole/emozioni più che le parole/ragionamento, scopriamo la complessità, la molteplicità e la trasversatilità della sofferenza umana. La compilazione della scheda non deve corrispondere ad una trascrizione della conversazione, ma a delle annotazioni sintetiche relative ad ognuno degli otto quadri presentati ed alle diverse immagini mentali che li compongono nella mente del terapeuta. Corrisponde a ciò che ogni terapeuta, in innumerevoli altri modi originali e personali, fa della seduta (o almeno delle sedute chiave), ma la portata euristica di tali operazioni condotte in modo sistematico e tradotte in forma dichiarativa sintetica è davvero impressionante. È come se qualcosa di intuibile ed implicito si svelasse all’improvviso diventando visibile e adatto al racconto: si tratta della trama narrativa, del farsi e disfarsi, dell’apparire e celarsi delle nostre diagnosi, dei piani terapeutici, dei personaggi (i Sé situati del paziente e del terapeuta), delle storie. IL PROCESSO TERAPEUTICO NELLE NARRAZIONI E NELLE RAPPRESENTAZIONI DEL PAZIENTE E DEL TERAPEUTA: STRUMENTI DI INDAGINE PER UN CONFRONTO F. Manaresi, P. Castelli, A. Cotugno, A. Mazzucchelli, G. Morganti 2° Centro di Psicoterapia Cognitiva Il presente contributo si propone di illustrare le linee metodologiche seguite per la costruzione di strumenti in grado di rilevare e valutare le possibili connessioni esistenti tra rappresentazioni interne e competenza narrativa. Il nostro lavoro parte dall’osservazione, sia clinica che sperimentale, che un buon funzionamento psicologico appare associato alla capacità di fornire descrizioni di sé e dell’altro all’interno di una narrazione coerente, che risponda alle caratteristiche di buona completezza, verosimiglianza, comprensibilità e chiarezza. L’ipotesi che abbiamo voluto valutare è che il racconto della terapia da parte del paziente possa essere considerato un indice di esito. E’ chiaro, comunque, che lo sviluppo di una buona competenza narrativa da parte del paziente è strettamente connessa al gioco relazionale che caratterizza il processo terapeutico. Pertanto, ci è parso utile valutare non soltanto gli aspetti psicolinguistici propri del racconto del paziente (indice individuale), ma anche il grado di concordanza tra racconto del paziente e quello del terapeuta, relativi alle aree problematiche individuate durante la terapia e a come siano state affrontate (indice interindividuale o relazionale). Abbiamo costruito due questionari che potessero esplorare, dal punto di vista del paziente e del terapeuta, le rappresentazioni coscienti relative alla relazione terapeutica e ad altre relazioni interpersonali significative. I due questionari sono stati costruiti in modo da fornire una serie di risposte chiuse disposte su una scala Likert a 5 punti: questo ci ha consentito di confrontare il tipo di risposta fornita dal paziente e dal terapeuta. I dati così raccolti sono stati sottoposti ad analisi delle correlazioni e della varianza multivariata. Inoltre, le risposte fornite ai due questionari strutturati, sono state poi confrontate con il racconto, del paziente e del terapeuta, relativo all’andamento della terapia: tale racconto è stato sollecitato mediante un’intervista semistrutturata effettuata da uno sperimentatore non coinvolto nella terapia. I dati raccolti all’intervista sono stati sottoposti a quattro livelli d’analisi: 1) Comprensibilità del testo, 2) Analisi della forma (organizzazione della memoria e indici relazionali); 3) Analisi del contenuto; 4) Indici metacognitivi. La raccolta dei dati attraverso il questionario e l’intervista ci consente un doppio confronto incrociato, che permette di valutare a) la coerenza interna (indice individuale di esito) tra rappresentazioni (raccolte attraverso il questionario) e narrazioni (raccolte attraverso l’intervista semistrutturata); (b) la concordanza narrativa tra paziente e terapeuta (indice interindividuale di esito). Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa LAA RIICCEERRCCAA EMMPPIIRRIICCAA IINN PSSIICCOOTTEERRAAPPIIAA D DII GRRU UPPPPO O M Mooddeerraattoorree:: TToommmmaassoo F Feeddeerriiccoo PSICOTERAPIA DI GRUPPO BREVE DEL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO: PRIMI RISULTATI S. Mancioppi* °, G. Nicolò* °, C. De Bonis*, M. Caciolo*, B. Auletta* *Azienda Sanitaria Locale Roma E Centro di Salute Mentale Valcannuta °III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Introduzione Il Disturbo da Attacchi di Panico rappresenta una patologia discretamente frequente nella popolazione e che può risultare estremamente invalidante per chi ne è affetto. La letteratura scientifica è concorde per ritenere l’approccio proposto dalla psicoterapia cognitiva quello a maggior successo. Di fatto nei servizi pubblici la sproporzione tra numero di pazienti e numero di operatori rende impossibile il trattamento individuale dei pazienti affetti da DAP. Lo studio condotto si propone di verificare l’efficacia del trattamento di gruppo breve del disturbo da attacchi di panico diagnosticato secondo i criteri del DSM IV, in particolar modo l’efficacia dell’uso contemporaneo di tecniche terapeutiche mutuate dalla psicoterapia cognitiva coniugate con tecniche rilassamento. Si inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca che interessa servizi pubblici di tutta Italia ed è coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale di Grosseto. Metodo Vengono costituiti gruppi composti da un numero massimo di 10 pazienti affetti da D.A.P., con o senza supporto farmacologico, che abbiano meno di 5 anni di storia clinica di DAP. Il trattamento prevede dieci incontri a frequenza settimanale di un ora e mezza, il gruppo è condotto da uno psichiatra ed da un infermiera professionale. Sono stati sottoposti a questo trattamento in totale 12 pazienti 9 donne e 3 uomini di età compresa tra i 30 e i 60 anni. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione testologica prima dell’inizio del trattamento, alla fine del ciclo di incontri, dopo 6 mesi e a 1 anno dalla fine del trattamento con: PAAAS (Panic Attack and Anticipatory Anxiety Scale) per una stima quantitativa degli attacchi di panico, la HAM-D (Hamilton Rating Scale for Depression) a 21 items per la valutazione clinica del grado di depressione e un questionario di 8 domande per la valutazione della qualità della vita. La presenza dei partecipanti al gruppo è registrata su una scheda di presenza che permette di valutare eventuali drop out. Vengono utilizzate le seguenti tecniche: a) Informazione dettagliata sul D.A.P. b) materiale psicoeducazionale informativo per i pazienti c) tecnica dell’A.B.C. (Ellis 1970) per interrompere il circolo emotivo-ideativo che sostiene l’attacco di panico, (i pazienti imparano a riconoscere i pensieri automatici che suscitano la reazione emotiva di paura e a valutarli realisticamente), d) diario giornaliero: i pazienti sono incoraggiati ad annotare ogni attacco di panico, a valutarne l’intensità (valutata in base al numero di sintomi) e la prevedibilità; lo scopo è di migliorare la consapevolezza e di conseguenza il padroneggiamento degli stati problematici. Risultati I risultati di tale trattamento sono stati sorprendenti anche in pazienti affetti da forme di patologia altamente invalidante; tutti i pazienti hanno presentato scomparsa degli episodi di panico già al 6° incontro, nonché un miglioramento dei sintomi depressivi e un generale miglioramento dello stato psicofisico. Verranno presentati le valutazioni soggettive ed oggettive a fine trattamento e dopo sei mesi. Riferimenti bibliografici Ellis A (1978) A note on treatment on agoraphobics with cognitive modification versus prolonged exposure in vivo. Behaviour Research and therapy. Faloon IRH (2000) Che cos’è l’ansia? In Trattamento integrato per la salute mentale: guida pratica per operatori e utenti. Ecomind Publication Salerno. Hamilton M (1960) A rating Scale for Depression. J Neurol Psychiatry 23:56. Hamilton M Development of rating Scale for Primary depressive illness Br. Journal Social Clinical Psychology 6:278 , 1967. Sheehan DV (1983) Sheehan Anxiety and Panic Attack Scales. Upjohn, Kalamazoo, MI. VALUTAZIONE DELLE EMOZIONI E PARTECIPAZIONE AL SETTING DI GRUPPO PSICOEDUCATIVO NEL MODELLO DI M.M. LINEHAN L. Barone, M. Bateni, R. Framba, E. Prunetti Villa Margherita Psichiatria - Arcugnano (Vicenza) Obiettivo del presente lavoro è illustrare l’utilità della parte psicoeducazionale del programma di terapia dialettico-comportamentale di M.M. Linehan, rispetto a uno dei temi centrali dei target terapeutici compresi al suo interno: la regolazione emozionale. Verranno illustrati gli obiettivi dei gruppi di skills training e sarà fornita una breve descrizione dei setting della terapia applicata in ambito ospedaliero presso il Servizio per i Disturbi di Personalità di Villa Margherita. All’interno dell’esperienza terapeutica con i gruppi è stato messo a punto uno strumento di valutazione self-report mirato a rilevare e monitorare la capacità del paziente di esperire le proprie emozioni in maniera accurata, considerando tale capacità come propedeutica alla più comprensiva e complessa capacità di regolazione emozionale. A tale strumento si associa una griglia osservativa di valutazione usata dal terapeuta per registrare le reazioni dei pazienti sia nei confronti delle emozioni espresse sia rispetto alla partecipazione al gruppo. I dati raccolti individuano alcune aree importanti rispetto alla efficacia del setting e del programma terapeutico proposto. In particolare, questo lavoro si propone come ricerca pilota che indaga il livello di corrispondenza tra le valutazioni date dai pazienti sulle proprie emozioni e le valutazioni date dai terapeuti. Questi due indicatori sono stati, infine, correlati con altri indicatori finalizzati a valutare le capacità mostrate dai pazienti di partecipare ai gruppi. UNO STUDIO EMPIRICO IN UN SETTING PSICOTERAPEUTICO ISTITUZIONALE: L’APPLICAZIONE DEL CCRT DI LUBORSKY AI TRASCRITTI DI UNA PSICOTERAPIA DI GRUPPO AD ORIENTAMENTO PSICODINAMICO M. A. Ciavarella, T. Cappellucci, E. Fusco, A. Cangiano, V. Capobianco Operatori D.S.M. RMA III MDT: Responsabile Dott. Giorgio Campoli In questo lavoro, svolto in collaborazione con Alessandra De Coro, gli autori si sono proposti di verificare l’applicazione del metodo di analisi dei contenuti narrativi, elaborato da Luborsky, il CCRT , al fine di misurarne il cambiamento per effetto di un trattamento psicodinamico, in un contesto di psicoterapia di gruppo. Il gruppo a cui si riferiscono le trascrizioni delle sedute registrate è ambientato in un setting istituzionale (ambulatorio DSM ), ed è composto da sette pazienti giovani con patologie miste di personalità (disturbi alimentari, disturbo evitante di personalità , borderline, etc. ). Il gruppo condotto da due terapeuti ad orientamento psicodinamico , è “aperto” e la frequenza delle sedute è settimanale. I membri del gruppo hanno accettato che venissero registrate le sedute e utilizzate in modo anonimo a fini scientifici. Il CCRT nasce come strumento di ricerca per lo studio dei modelli relazionali nella terapia individuale. Nella nostra ricerca il metodo viene utilizzato in un contesto gruppale , proponendone dunque un’applicazione particolare rispetto a quella proposta da Luborsky. Le teorie gruppali si diversificano a secondo dell’accento posto sull’individuo o sul gruppo, e diversi sono i tentativi di sintesi fra questi due estremi. Considerando questo e semplificando, gli affetti sollecitati in un setting di gruppo si dispiegano tra identità gruppale e narcisismo , fra fusionalità e individuazione, fra concretizzazione e simbolismo ecc…, abbiamo pertanto applicato il CCRT in due diversi modi: - a Agli “episodi relazionali” nella narrativa individuale di alcuni pazienti del gruppo . - b Agli “episodi relazionali” nelle narrative emergenti del gruppo considerato come totalità. In questo modo abbiamo analizzato le trasformazioni del CCRT per quanto riguarda il singolo paziente, per quanto riguarda il gruppo nella sua totalità e le relazioni reciproche. La serie sulla quale si è applicato il CCRT è composta da 4 sessioni di tre sedute audioregistrate e trascritte, distanziate fra loro da un periodo di circa tre mesi. Abbiamo arbitrariamente scelto un tale intervallo di tempo perché la composizione del gruppo fosse , tra un’applicazione del CCRT e l’altra, la più omogenea possibile vista la sua natura di gruppo “aperto”. Ogni applicazione del CCRT di norma è stata effettuata su tre sedute consecutive per avere un sufficiente numero di episodi relazionali. (La quantità auspicata da Luborsky di episodi relazionali è di una decina per ciascun periodo considerato). Quindi il nostro tentativo è quello di verificare l’applicabilità del CCRT al gruppo psicoterapeutico, e di fornire, attraverso questo un’evidenza empirica all’assunto di Nebbiosi secondo cui “i membri di un gruppo co-costruiscono principi organizzatori che definiscono l’identità emotiva di quel particolare gruppo”, secondo “una influenza reciproca bi-direzionale individuale/gruppale”. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa RIICCEERRCCHHEE EE INNTTEERRVVEENNTTOO CLLIINNIICCOO SSUULLLLAA FAAMMIIGGLLIIAA C Coooorrddiinnaattrriiccee:: A Addrriiaannaa LLiiss M Mooddeerraattrriiccee:: F Frraanncceessccaa G Giiaannnnoonnee STRUMENTI A CONFRONTO PER LA DIAGNOSI E LA PREVISIONE DEI RISULTATI DEL TRATTAMENTO DI PROBLEMATICHE INSORTE NELLE MADRI IN GRAVIDANZA A. Zennaro, C. Mazzeschi, S. Salcuni Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università di Padova Introduzione Scopo del presente lavoro è quello di discutere sulla possibilità di utilizzare due classici strumenti diagnostici per la diagnosi e previsione dei risultati del trattamento di problematiche insorte in madri in gravidanza. Com’è ben noto dalla letteratura, la gravidanza costituisce un momento molto delicato di cambiamento sia relativamente al senso di sé - e alla strutturazione della personalità della madre - che relativamente al suo ruolo sociale ed alla sua relazione col partner. Se il dare spazio al nascituro risveglia normali problematiche psicologiche, più complicato risulta il processo qualora la personalità della madre risulti fragile o addirittura patologica. In ambito diagnostico nel periodo della gravidanza due strumenti ci sono sembrati particolarmente rilevanti: il test di Rorschach (valutato col metodo Exner) e l’Adult Attachment Interview. Il test di Rorschach, valutato col metodo Exner, consente di differenziare una psicopatologia in atto da situazioni di crisi acute e dalla prevalenza di specifici stili di personalità. L’Adult Attachment Interview (AAI; George, Kaplan & Main, 1985) consente di evidenziare stili di attaccamento con caratteristiche di intergenerazionalità. Come nella tradizione del nostro gruppo di ricerca le nostre previsioni sul piano clinico si basano sull’acquisizione di dati normativi. Campione Il campione è costituito di 55 madri in attesa del figlio primogenito al nono mese di gravidanza, che non erano state in precedenza riferite e/o non si erano segnalate a servizi di salute mentale e/o a consultori familiari ad eccezione dei consueti controlli ginecologici e/o corsi di preparazione al parto. A tali madri sono stati applicati il Rorschach e l’Adult Attachment Interview. Risultati I risultati indicano dei profili al Rorschach congruenti con il fatto che le madri stanno attraversando un periodo delicato, di modifica nella percezione di sé, delle relazioni interpersonali, relativamente all’equilibrio tra risorse e stress situazionale e abituale. Per quanto riguarda l’Adult Attachment Interview non si riscontra una correlazione tra stili di attaccamento e profili al Rorschach. I risultati ottenuti sembrano indicare due aspetti fondamentali nella diagnosi dei disturbi psicologici insorgenti nel periodo della gravidanza: a) la psicopatologia dovrebbe essere valutata a partire da profili di madri che rientrano nell’ampia gamma della normalità; tuttavia, i dati del nostro campione sembrano indicare come normalità per le madri in attesa non corrisponda alla normalità degli adulti in generale. b) la necessità dell’utilizzo, qualora si sia interessati ad una diagnosi che tenga conto degli stili di attaccamento, di due strumenti paralleli e complementari (Adult Attachment Interview e Rorschach) perché essi forniscono tipologie di informazioni differenti. IL COLLOQUIO PER GENITORI IN GRAVIDANZA COME STRUMENTO DIAGNOSTICO E DI PREVISIONE DEL TRATTAMENTO A. Lis, V. Calvo, M. Pinto Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione Università di Padova Se sul piano del buon senso la gravidanza costituisce un momento normale della vita della donna, la letteratura sull’argomento evidenzia come si tratti di una fase delicata, ricca di significati psicologici, che rappresenta un nuovo momento evolutivo verso l’acquisizione di una nuova funzione adulta definita da alcuni autori genitorialità (cfr. Belsky, Gilstrap, Rovine; 1984). Nel caso in cui una madre in gravidanza si presenti per una qualche problematica relativa al figlio in attesa, è molto importante avere a disposizione strumenti adeguati per identificare i suoi vissuti relativamente al periodo che sta attraversando. In particolare si tratterà di distinguere tra: a) vissuti che cadono nell’ampia gamma della normalità; b) vissuti che indicano una preoccupazione più acuta e che probabilmente richiedono un intervento di sostegno breve; c) situazioni di vera e propria psicopatologia. Da alcuni anni ci siamo occupati di validare uno strumento che ci permettesse di entrare nel mondo dei vissuti genitoriali nel corso della gravidanza. Si tratta del CGG (Colloquio per Genitori in Gravidanza) che, pur essendo nato in un contesto di ricerca, risulta utilizzabile anche in ambito clinico. Le aree investigate dal colloquio riguardano infatti i vissuti e le rappresentazioni nei confronti del futuro figlio, il rapporto di coppia, la relazione dei genitori con i propri genitori. Il colloquio CGG consente di valutare, sia a livello quantitativo che qualitativo, le dinamiche della coppia in relazione alla presenza del nascituro. Relativamente agli aspetti quantitativi essi sono basati riguardano le descrizioni del futuro bambino, i comportamenti, atteggiamenti ed affetti nei confronti dello stesso, la capacità di riflettere sul nascituro, ecc. Scopo del presente lavoro è quello di presentare tali aspetti quantitativi e qualitativi sotto forma di profili normativi che descrivano le rappresentazioni genitoriali; l’obiettivo applicativo di tale lavoro riguarda, quindi, la possibilità di delineare alcuni elementi normativi delle rappresentazioni e delle narrazioni materne in gravidanza, rispetto ai quali le madri più in difficoltà dovrebbero discostarsi. Campione Il campione è costituito da 112 coppie in attesa del loro primo figlio. Il reperimento dei partecipanti è avvenuto attraverso i reparti di Ginecologia di alcuni ospedali, i consultori familiari o i servizi materno infantili e i corsi di preparazione al parto e si è realizzato in base all’adesione delle coppie alla proposta di collaborazione. Dal momento che l’indagine verteva sul “normale”, nella scelta dei soggetti, è stato adottato come unico criterio l’assenza di patologia gravidica. Strumenti e misure Per esplorare le rappresentazioni dei genitori si è scelto di utilizzare un approccio di tipo qualitativo e quantitativo, basato sul colloquio di ricerca CCG, che prende in considerazione diverse aree di indagine relative ai vissuti e alle dinamiche psicologiche che caratterizzano il settimo mese di gravidanza Il colloquio prevedeva, inoltre, un approfondimento della situazione di coppia dei due genitori, della loro percezione della genitorialità e del bambino. Risultati attesi L’andamento dei profili previsto per le madri preoccupate è simile a quello delle madri normali ma con indici spostati verso valori estremi, mentre le madri psicopatologiche dovrebbero presentare delle chiare distorsioni sia a livello delle descrizioni, degli atteggiamenti che degli affetti. HANDICAP E RIORGANIZZAZIONE FAMILIARE A. Salerno, P. Miano Cattedra di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari (Prof.ssa Angela Maria Di Vita) Dipartimento di Psicologia Università degli Studi di Palermo Tra gli eventi non normativi del ciclo di vita familiare, la nascita di un bambino con handicap è certamente uno dei più destabilizzanti per l’intera famiglia. Le reazioni dei membri della famiglia all’evento handicap, sono fortemente determinate dal tipo di disabilità, ovvero dalla presenza di handicap psichici e/o fisici, dal grado di partecipazione/restrizione della partecipazione del soggetto alle cure personali, alla mobilità, allo scambio di informazioni, alle relazioni sociali, alle attività di istruzione, lavoro, tempo libero, spiritualità, alla vita economica, alla vita civile e di comunità. Indipendentemente dalle variabili appena citate, vi sono alcune caratteristiche comuni che il sistema familiare tende a esprimere in risposta alla disabilità di uno dei suoi membri, tra questi i più significativi sembrano essere il senso di colpa vissuto dai genitori e in particolare dalla madre, il rifiuto, la vergogna, il sentimento di fallimento, la ricerca ossessiva di soluzioni e la negazione. In particolare, in entrambi i genitori, il sentimento più comunemente riscontrato riguarda la necessità di affrontare il lutto derivato dalla perdita simbolica del bambino atteso, con le sue caratteristiche di perfezione ideale e di totale conformità all’immagine parentale. L’elaborazione del lutto è spesso ostacolata da sentimenti di depressione, frustrazione e dalla tendenza all’autopunizione; i genitori attraversano le classiche fasi di elaborazione del lutto: negazione, indignazione, rassegnazione e accettazione; quest’ultima fase viene raggiunta solo raramente e richiede un intenso lavoro personale. In funzione del sesso e dell’età, i fratelli e le sorelle del soggetto disabile mostrano reazioni particolari, connesse alle conseguenze della disabilità, che si definisce come fattore di stress cronico. Come i genitori, anche i fratelli e le sorelle si trovano in una situazione di deprivazione, che tende a responsabilizzarli in maniera eccessiva e li spinge a rispondere alle pressioni derivanti dal desiderio di compensare le mancanze del fratello o della sorella disabile, dimostrandosi più intelligenti, più sani, più belli... Uno degli obiettivi del nostro contributo è di delineare gli aspetti peculiari della struttura familiare che permettono ai membri della famiglia di adattarsi alla nuova organizzazione familiare. Attraverso l’analisi delle caratteristiche di un campione di famiglie con un membro disabile, abbiamo ipotizzato che le famiglie caratterizzate da coesione, da coinvolgimento emotivo e affettivo, e da interazioni comunicative efficaci siano maggiormente in grado di gestire lo stress. La peculiare condizione all’interno del ciclo di vita familiare in cui si trovano le famiglie del nostro campione, permette di rilevare come il gruppo familiare assuma un ruolo di supporto, protezione, aiuto, guida e incoraggiamento. La maggiorparte delle famiglie è capace di reazioni funzionali ed è in grado di affrontare gli eventi critici in maniera efficace. Quanto più una famiglia è caratterizzata da flessibilità, coesione, adattabilità e da una buona comunicazione tra i membri, tanto più sarà probabile che riesca a riorganizzarsi in seguito a eventi di qualsiasi tipo. LE RELAZIONI FAMILIARI TRA ISTANZE PSICOLOGICHE E ISTANZE GIURIDICHE A. M. DiVita, M. Garro, V. Granatella, A. Merenda Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Psicologia, Sezione di Psicologia giuridica La separazione, il divorzio e le famiglie ricostituite non possono più essere considerate fenomeni occasionali di questo momento storico, bensì elementi strutturali della nostra società. In particolare, la separazione è stata oggetto di diversi studi che hanno cercato di inquadrarla nei suoi svariati aspetti, riferendosi a diversi ambiti disciplinari (giuridico, psicologico, sociologico ecc.) ed altrettanti quadri di riferimento che inducono ad interventi specifici, realizzati da nuove figure professionali (C.T.U., mediatore familiare e così via). La separazione dei coniugi si configura, negli attuali studi psicologici, come un processo complesso che comporta un’evoluzione ed una trasformazione delle relazioni familiari e generazionali nel tempo. Essa, in genere, trova la propria stabilizzazione solo qualche anno dopo la separazione legale (cfr. Mombelli, 1989), intervallo temporale necessario per il riadattamento agli inevitabili fattori di stress personali e familiari che la separazione comporta: frustrazione, senso di perdita e inadeguatezza negli adulti; paura, solitudine, diverse modalità di rielaborazione dell’esperienza dell’essere contesi, nei figli (Cfr. Dell’Antonio, 1983). L’attenzione si sposta, dunque, a parere di Santi, sui modelli interattivi esistenti nel periodo di post-separazione e sulle variabili dei processi familiari nei vari stadi di sviluppo dopo la separazione stessa (qualità della comunicazione tra gli ex partner, assenza o meno di conflittualità tra loro, tipo di rapporto tra il figlio e ciascun genitore). La ricerca-intervento sulla famiglia in difficoltà ha, pertanto, focalizzato la sua attenzione sugli aspetti relativi alle tipologie del conflitto familiare, alle possibilità di risoluzione dello stesso, nonché alle ripercussioni sui diversi membri del sistema familiare. La complessità e gli elementi di sfida epistemologico-operativa tra i due sistemi, psicologico e giuridico, è stata messa in evidenza attraverso il confronto da noi effettuato, nelle nostre ricerche, tra i criteri di valutazione utilizzati dagli operatori del mondo giuridico (giudici), e quelli del mondo psicologico (psicologi e pedagogisti). Abbiamo, infatti, analizzato, le sentenze di separazione emesse dai Tribunali di alcuni capoluoghi siciliani (Palermo, Trapani e Caltanissetta), nell’ultimo quinquennio, attraverso i dati emersi da una scheda di rilevazione che ha evidenziato gli elementi cui i giudici attribuiscono importanza rispetto alla decisione circa l’affidamento dei figli. Nella nostra ricerca, dunque, particolare importanza è stata attribuita, tra gli altri elementi, alle fonti d’informazione a cui il giudice può attingere per definire l’interesse del minore. Sono state prese in considerazione il minore stesso, i suoi genitori, i suoi parenti, fonti tecniche come i consulenti d’ufficio ed i servizi socio-assistenziali. Dalle sentenze analizzate nei tre Tribunali si è evidenziato che il ricorso a consulenze tecniche e all’audizione dei minori appare ridotto; tuttavia, va precisato che, nel corso dei cinque anni, i giudici hanno sempre più fatto ricorso a queste fonti d’informazione. Riguardo ai criteri considerati importanti dagli operatori dell’area psicosociale (psicologi e pedagogisti), abbiamo preso in esame un sub-campione rappresentativo dei due sottogruppi che ha fornito indicazioni molto interessanti sia rispetto al confronto con il gruppo degli operatori giuridici, sia rispetto all’intreccio tra il sistema di credenze, il sistema teorico di riferimento degli operatori e l’intervento professionale degli stessi. Attraverso le nostre indagini, è stato sottolineata la significatività del supporto che può essere offerto al giudice dagli “specialisti in materia”, dai servizi sociali, dagli operatori psicosociali ed in particolare dalla consulenza, intesa come strumento atto a fornire un quadro di riferimento adeguato alle esigenze proprie di una certa età, di un certo sesso e delle necessità specifiche nel caso concreto (cfr.Sparpaglione, 1997). In tal senso, ulteriori nostri lavori hanno focalizzato le finalità, la tipologia e lo spazio per il cambiamento, che possono scaturire attraverso l’esperienza della Consulenza Tecnica d’Ufficio. Riteniamo che il ricorso al mondo psicologico e la richiesta d’aiuto e di collaborazione, indichi il progressivo convincimento da parte del mondo giuridico che esista la reale possibilità di avvalersi utilmente di una disciplina che, come la psicologia, possa offrire modelli d’intervento e criteri interpretativi per situazioni personali ed interpersonali complesse che il diritto, da solo, non riesce ad affrontare e risolvere. Si riconosce, pertanto, la “possibilità evolutiva” offerta al nucleo familiare in difficoltà, mediante l’attuazione delle consulenze tecniche, nonostante il quesito posto dal giudice definisce il campo d’osservazione della consulenza, legandolo al “qui ed ora”; esso risulta, infatti, spesso limitante l’attività psicologica, in quanto la consulenza non può affrontare indiscriminatamente ogni aspetto della storia familiare, né può trasformarsi da valutazione diagnostica in intervento terapeutico o educativo e neppure in esplicita mediazione tra le parti. Attraverso un’indagine da noi realizzata su coppie in fase di separazione, è stato possibile individuare alcune caratterizzazioni peculiari della famiglia che affronta questo evento: tra queste sono risultate costanti le difficoltà a condividere la funzione genitoriale dei due ex partner, l’interferenza della famiglia d’origine, la tendenza a triangolare i figli nella contesa. Parallelamente, il nostro interesse ha focalizzato l’utilizzo di strumenti e tecniche che permettano di ricostruire l’intreccio delle relazioni familiari, anche in quelle situazioni che evidenziano la tendenza alla rottura definitiva dei legami. Nel contesto peritale, sui nuclei familiari divisi è stato pertanto utilizzato uno strumento grafico-simbolico di tipo proiettivo, il Disegno Simbolico dello Spazio di Vita Familiare (DSSVF), che ha consentito la delineazione di indicatori utili al fine di valutare le risorse educative dei genitori, nonché le modalità di elaborazione dell’evento separazione, negli stessi e nei loro figli. Lo strumento, basato sulla rappresentazione “spaziale” delle relazioni familiari, è applicabile all’intera famiglia o al singolo e consente di valutare la percezione delle relazioni familiari da parte di ogni membro del sistema, rispetto all’evento critico. Esso ha consentito, inoltre, di indagare, le potenzialità trasformative delle famiglie, attraverso la somministrazione di una versione del DSSVF relativa ad un ipotetico futuro, in cui viene chiesto ai familiari di immaginare e rappresentare la loro famiglia, in seguito all’esperienza della separazione. Tale tecnica, utilizzata nella ricerca italiana in molteplici campi di applicazione e intervento sulla famiglia durante il suo ciclo di vita, con una modalità congiunta (Cigoli,1997; Gilli e coll.,1989), nella nostra indagine è stata applicata singolarmente ai componenti familiari, consentendo in tal modo, un confronto tra le percezioni dei due ex partner e quelle della prole rispetto ai cambiamenti relazionali suscitati e percepiti in seguito alla separazione. E soprattutto è stato utile per indagare l’evoluzione dei rapporti intergenerazionali tra le giovani coppie e le rispettive famiglie d’origine in presenza dell’evento parenthood, o, ancora, per focalizzare le dinamiche del processo di separazione-individuazione in famiglie “trampolino di lancio” con i figli post-adolescenti (Gilli e coll., 1989). Riferimenti bibliografici Cigoli V., Gulotta G., Santi G. (1983), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè, Milano. Cigoli V. (1997), Intrecci familiari, Cortina, Milano. Cigoli V. (1998), Psicologia della separazione e del divorzio, Il Mulino, Bologna. De Leo G., Malagoli Togliatti M.(a cura di)(1990), La perizia psicologica in età evolutiva, Giuffrè, Milano. Dell'Antonio A.M. (1983), Il bambino conteso, Giuffrè, Milano. Dell'Antonio A.M. (1986), L’intervento psicologico nei procedimenti per la salvaguardia dei minori, “Il bambino incompiuto”. P. D’Atena (1996), La separazione coniugale nelle credenze della gente comune, in La famiglia come risorsa conoscitiva, Unicopli, Milano. Di Vita A.M., Granatella V., Maltese R.(1998), Separazione coniugale e tipologia del disagio nella prole. Un contributo empirico, Ciclo evolutivo e disabilità, n.1 Gennaio-Giugno. Di Vita A.M., Garro M., Merenda A., Morgante C, (1999), Le rappresentazioni sociali dell’interesse del minore: criteri della gente comune, in press. Di Vita A.M., di Falco T., Garro M.,(1999), La tutela del minore nella rappresentazione degli operatori sociali, in press. Gilli G. e coll.(1989), Il disegno simbolico dello spazio di vita familiare, Vita e Pensiero, Milano. Gulotta G., Santi G.,(1988), Dal conflitto al consenso, Giuffrè, Milano. Santi G.(1997), I figli nella separazione e nel divorzio. in Cigoli V., Gulotta G., Santi G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè, Milano. Scabini E., Donati P.(a cura di)(1992), Famiglie in difficoltà tra rischio e risorse, Studi interdisciplinari sulla famiglia, 11, Vita e Pensiero, Milano. Sparpaglione R., (1997), Criteri giudiziari nell’affidamento della prole, in Cigoli V., Gulotta G., Santi G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè, Milano. Vegetti Finzi S.(1992), Il romanzo della famiglia, Mondadori, Milano. “LA FAMIGLIA DEGLI ORSI”: DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELL’INTERVENTO IN SOGGETTI IN ETÀ PRESCOLARE P. Venuti Dipartimento di Psicologia- Seconda Università degli studi di Napoli Il metodo della ‘Famiglia degli orsi’ è stato proposto (Venuti, Cesari, 1998) da alcuni anni come metodo proiettivo per bambini tra quattro e cinque anni. Esso si basa sull’ assunto che il bambino tramite il gioco e la narrazione può esprimere contenuti interni relativi alle sue modalità di vivere le relazioni con i membri della sua famiglia. Il materiale è costituito da una famiglia di orsi antropomorfizzati, da un dottore ed un poliziotto, da un coniglio e un’oca con cui il bambino può giocare in ambienti tipici della vita familiare (soggiorno e cucina) e di quella sociale (parco giochi). Ai soggetti, in età prescolare, viene richiesto di giocare per 10 minuti con il materiale fornito e poi di raccontare una storia basata sui personaggi con cui ha giocato. E’ evidente che per la sua caratterizzazione, il materiale presentato porta prevalentemente alla rievocazione di rappresentazioni della vita familiare del bambino. I contenuti emotivi e affettivi, nonché gli elementi proiettivi sono veicolati, oltre che dal gioco, dalla narrazione linguistica. Entrambi i canali comunicativi sono considerati adeguatamente organizzati nella fase evolutiva considerata e arricchiti, oltre che dal significato di cui sono vettori, anche dalle modalità espressive di ciascun bambino. Pertanto, il bambino può utilizzare gli oggetti del metodo a suo piacimento, semplicemente per manipolarli oppure arricchendoli di significato simbolico, identificandosi con i diversi personaggi, assumendone il ruolo, trasformandoli o non utilizzandoli proprio In questo ambito si vuole presentare come il metodo possa essere utilizzato nell’ambito della valutazione clinica. Esso, infatti, attraverso variabili operazionalizzate, costituisce un utile strumento per conoscere il mondo relazionale del bambino e le sue modalità di gestione dei conflitti. Le variabili che si prendono in considerazione, a tal fine, sono relative a: a) capacità di esplorare che il bambino manifesta nell’approccio iniziale con il materiale e nella gestione degli spazi e dei diversi ambienti in cui si svolgono il gioco e la storia ; b) reazioni alla separazione e al ricongiungimento che il bambino attribuisce ai diversi personaggi che utilizza ed, in particolare, al protagonista del gioco e della storia. c) modalità di gioco e modalità narrative come indicatori del funzionamento cognitivo, ad esempio, la capacità di utilizzare funzionalmente o simbolicamente il materiale o la complessità del discorso. Sia il gioco prodotto dal bambino che la storia da lui creata sono considerati nei loro aspetti formali (come sono organizzati) e contenutistici (i temi che ne emergono) e la loro analisi congiunta è alla base delle indicazioni diagnostiche circa i conflitti ed i modi di affrontarli nell’ambito familiare . I dati di tipo formale sono considerati come indicativi delle modalità cognitive utilizzate dal bambino che si suppone, siano profondamente legate alla qualità dell’attaccamento. Nel foglio di analisi del gioco, questi dati emergono negli items riguardanti il modo in cui il bambino si approccia al gioco, il tipo di gioco che egli compie, come organizza ed usa gli spazi. Nell’analisi della storia, invece, le componenti formali fanno riferimento alla complessità con cui è organizzata la storia, al livello logico che essa presenta, all’espressione, o meno, delle emozioni. I dati di tipo contenutistico sono maggiormente indicativi degli aspetti rappresentazionali di sé e dell’altro ed emergono, negli items riguardanti l’uso dei personaggi, l’uso degli spazi in relazione ai personaggi, gli eventi di separazione e di ricongiungimento,. Nel foglio di analisi della storia gli elementi riguardanti il contenuto sono leggibili negli items riguardanti la risposta del bambino alla richiesta di raccontare una storia con la famiglia degli orsi, l’organizzazione e l’uso degli spazi e dei personaggi, i temi espressi e le emozioni manifestate dal bambino, gli eventi di separazione e ricongiungimento. Una conoscenza approfondita del mondo relazionale se da una parte è un punto di partenza nella valutazione diagnostica di un soggetto in età prescolare, dall’altra costituisce anche un punto nodale di ogni intervento psicoterapeutico con i bambini piccoli. Il metodo “la famiglia degli orsi” proprio per le sue caratteristiche di gioco diviene quindi anche utile per valutare nel corso del trattamento come si modificano i conflitti, come il bambino cambia le sue dinamiche relazionali, quali figure sono centrali nel conflitto e nella sua risoluzione. Proprio per questo il metodo potrebbe anche essere una misura del cambiamento nell’ambito di un intervento psicoterapeutico. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa RIICCEERRCCAA SSUULL PRROOCCEESSSSOO M Mooddeerraattoorree:: A Annddrreeaa SSeeggaannttii UNO STUDIO SUL PROCESSO ATTRAVERSO L'EMPATIA C. Morandi, C. Masserini, A. Ferrari, M. Cossa, E. Fava Unità Operativa Psichiatrica n°. 48. Università degli Studi di Milano. DSM Niguarda Ca' Granda. Introduzione Dal transfert-controtransfert al concetto di empatia. Questo lavoro si inserisce nel filone di ricerca relativo al considerare la "coppia terapeutica" come "altro" riguardo ai singoli componenti e come tale bisognosa di metodi di studio più specifici. Pur avendo un'identità propria e pur essendone ricosciuti valori e processi autonomi interni, continua ad essere terribilmente difficile focalizzare gli studi su quello che succede all'interno di essa, senza ricadere nella differenziazione transfert-controtransfert, nell'attribuire cioè all'uno o all'altro fenomeno ciò che accade. Ancora più difficoltoso, poi, sembra il trovare metodi di misurazione empirica che non ricadano in questa dicotomia terapeuta-cliente, che non siano cioè relativi ad uno dei due poli della coppia. L'empatia intesa come "struttura" e come elemento "fondativo" dell'esperienza psicoterapeutica. La proposta consiste nel provare a fare questo salto considerando, come prima riflessione, l"empatia" come elemento fondativo della relazione. Questi sono termini forti proprio perché si vuole considerare l' "incontro" terapeutico come un tipo particolare di esperienza, che ha una sua struttura e che può modificare la struttura della personalità. In questo senso può essere valutata come un indicatore di cambiamento. Perché i risultati di questa ipotesi di lavoro siano poi riversabili sulla clinica è necessario che la ricerca renda evidente questa struttura mostrandone i nodi e le articolazioni, per iniziare a scolpire lo scheletro e la forma caratteristica dell'esperienza psicoterapeutica come esperienza empatica. e poterla poi confrontare con altri indicatori di cambiamento. Metodo e risultati L'articolo vuole suggerire alcuni temi su cui orientare la ricerca, temi che siano costitutivi di questo tipo di esperienza con il progetto di creare una scala di valutazione delle sedute che sia confrontabile con altre scale quali ad esempio la Scala dell'Alleanza di aiuto, la TIRS, i Modelli di Attaccamento e altre. Riferimenti bibliografici L. Boella, A Buttarelli (2000). "Per amore di altro". L'empatia a partire da Edith Stein. T.H.Odgen, (1984). "Soggetti dell'analisi". M.N. Eagle (2000). "Una valutazione critica delle attuali concettualizzazioni su transfert e controtransfert". Del Piccolo (1998). "L'interazione medico-paziente: sistemi di analisi a confronto”. ANALISI DEL PROCESSO MEDIANTE IL METODO CCRT IN PSICOTERAPIA BREVE DINAMICO-ESPERIENZIALE S. Gatta, C. Podio, F. Noseda, E. Fava, C. Masserini, F. Osimo, S. Freni Università degli Studi di Milano, Unità Operativa Psichiatrica n.48, D.S.M. Niguarda Ca’Granda La psicoterapia Breve Dinamico-Esperienziale (PED-E) si sta delineando come modalità di intervento rapido ed efficace in grado di promuovere cambiamenti psicodinamicamente autentici, rapidi e stabili. Punto cruciale di tale forma di psicoterapia risiede nella piena esperienza dei vissuti e delle emozioni che si attivano fin dal primo incontro, anche a livello transferale e che conducono all'attuarsi dell'"Esperienza Emotiva Correttiva" (Alexander 1946; Malan e Osimo 1992; McCullough e Winston 1991; McCullough 1991a; Laikin, Winston, McCullough 1991; Osimo et al. 1998; Osimo 2001). Intendendo come cambiamento la modificazione strutturale della capacità del paziente di relazionarsi con gli altri e con se stesso, ovvero i modelli relazionali principali del paziente, si pone quindi come quesito fondamentale quello di stabilire la natura dei cambiamenti, che avvengono durante e in seguito una PED-E e la loro eventuale specificità. A tale scopo nel nostro studio abbiamo utilizzato il metodo CCRT di Luborsky (Core Conflictual Realationship Theme) (Luborsky, Crits-Christoph 1990; Luborsky, Diguer et al 2000), in quanto misura operazionalizzata del transfert che permette di valutare la sua evoluzione e modificazione a partire dagli "episodi relazionali", individuati nelle sedute terapeutiche. Abbiamo infatti applicato tale strumento alle prime ed ultime sedute di un campione di 6 pazienti consecutivi, 5 dei quali trattati con PED-E da un terapeuta esperto e uno da un terapeuta in formazione, presso la Clinica Psichiatrica Universitaria dell'Università di Milano, sede di Affori, UOP 48. Riportiamo i risultati delle modificazioni del CCRT in ciascuno dei 6 pazienti correlando tale modificazione all'evoluzione della sintomatologia, stimata tramite SCL-90 R e alla valutazione psicodinamica del cambiamento con il metodo di Malan (Osimo, 1984). Il nostro studio prevede inoltre l'applicazione del CCRT a sedute di follow-up, nei casi in cui sia disponibile, al fine di valutare eventuali cambiamenti dei modelli relazionali in tempi successivi alla conclusione del trattamento e correlabili allo stesso. Riferimenti bibliografici Alexander F., French t. M. et al. (1946) "Psychoanalytic therapy". New York Ronald Press Laikin M., Winston A., Mccullough L. (1991) Short-term dynamic psychotherapy. In Crits Cristoph P., Barber J., Handbook of brief dynamic therapies, Basic Books, New York, pp 80-1. Luborsky L., Crits Christoph P. (1990) Understanding Transference. New York: Basic Book. Trad. It.: Capire il transfert. Milano: Raffaello Cortina, 1992. Luborsky L. et al.. (2000) Una guida ai metodi, alle scoperte e al futuro del CCRT. Ricerca in Psicoterapia, Vol. 3, n. 1 pp 3-37. Malan D. H., Osimo F., (1992) Psychodynamics, training and Outcome in Brief Psychotherapy. Oxford: Butterworth-Heinemann. McCullough L. (1991a) Davanloo's short-term dynamic psychotherapy: a cross-theoretical analysis of change mechanism. In R. Curtis, G. Stricker, How people change: inside and outside of therapy, Plenum Press, New York, pp. 59-79. McCullough L. e Winston A., (1991) The relationship of patient-therapist interaction to outcome in brief psychotherapy. Psychotherapy,28,pp.523-33. Osimo F. (1984) Un metodo per valutare il cambiamento psicoterapeutico. Psicoterapia e Scienza Umane, anno XVIII, n°1 pp 48-72. Osimo F., Merlo A., Arduini L., Landra S., Fava E., Masserini C., Carta I., Pazzaglia P. (1998) La scala ATOS: Achievement of Therapeutic Objectives Scale. Ricerca in Psicoterapia 1(2), pp 153-166. Osimo F. (2001) Parole Emozioni e videotape. Manuale di Psicoterapia Breve Dinamica Esperienziale. In corso di pubblicazione per Franco Agneli. UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE DELLE CATEGORIE A CLUSTER DEL CCRT, SULLA BASE DELLA TEORIA DEI SISTEMI MOTIVAZIONALI DI LICHTENBERG A. De Coro, S. Andreassi, A. Cascioli, N. Dazzi Universita’ degli studi di Roma “La Sapienza” Il metodo del CCRT di Luborsky consente di monitorare empiricamente l’evoluzione dei principali paradigmi di transfert nel corso di trattamenti psicoterapeutici. In particolare, nella definizione di un “tema relazionale conflittuale centrale”, particolare rilevanza assume la componente desiderio (W) che, esprimendo le intenzioni e le aspettative del soggetto nelle interazioni con gli altri, organizza attivamente l’articolazione del modello interpersonale e determina il significato specifico assunto dalle risposte dell’altro (RO) e dalle risposte del sé (RS). L’attribuzione delle categorie per la codifica di questa componente richiede un livello di inferenza maggiore, il che contribuisce a spiegare il minor grado di accordo tra i giudici rispetto alle altre due componenti (Luborsky, Diguer 1998). In uno studio precedente (Dazzi et al. 1998) sull’analisi dell’accordo esistente tra i giudici nell’attribuzione delle singole categorie per ciascuna componente, sono state individuate le categorie la cui assegnazione risulta maggiormente problematica. Per la componente W (desideri-bisogni-intenzioni) 5 categorie su 35 risultano avere un basso grado di accordo tra i giudici, a fronte di un buon grado di accordo complessivo tra i giudici valutato attraverso il cappa di Cohen. Attraverso l’analisi delle categorie standard risultate problematiche e lo studio del passaggio nelle rispettive categorie a cluster, si sono resi evidenti problemi di sovrapposizione dei cluster. Ipotizziamo che tali sovrapposizioni rappresentino l’esito inevitabile della costruzione su base empirica del set dei cluster individuati da Luborsky, a partire da un campione di pazienti relativamente ridotto (N.=16). Presentiamo una riorganizzazione delle categorie a cluster per la componente W, raggruppando le esistenti categorie standard in cinque cluster, riferiti ai cinque sistemi motivazionali proposti dalla teoria della motivazione di Lichtenberg (1989). Sulla base del significato clinico suggerito dalla formulazione verbale della categoria standard, abbiamo assegnato ciascuna categoria standard (aggiungendone un piccolo numero alla lista esistente) ad un cluster specifico, definito nei termini di uno specifico sistema motivazionale, e abbiamo codificato con questo sistema i trascritti di 53 sedute tratte dalla fase iniziale di 20 psicoterapie con diversi orientamenti. Illustriamo i risultati dell’applicazione, evidenziando le differenze riscontrate nel grado di accordo fra i giudici e la minore sovrapposizione fra i cluster assegnati alla stessa unità di codifica. Viene inoltre discussa la rilevanza clinica di queste nuove categorie per l’applicazione del CCRT allo studio del processo psicoterapeutico. Attraverso i cambiamenti rilevati in due studi sul caso singolo, indichiamo la nuova potenzialità di tali categorie, tanto per la valutazione iniziale del modello relazionale disfunzionale, quanto per le valutazioni successive del transfert e del cambiamento terapeutico. Riferimenti bibliografici Dazzi, N. et al. (1998) “Il CCRT in un campione italiano di psicoterapie: uno studio della relazione tra categorie su misura e categorie standard”. Ricerca in Psicoterapia, 1(2); pp. 205-223. Lichtenberg, J. D. (1989) Psicoanalisi e sistemi motivazionali. Raffaello Cortina Editore, Milano 1995. Luborsky, L., Diguer, L. (1998) “Results of eight samples”. In: Luborsky, L., Crits-Cristoph, P. (1998) Understanding Transfernce: the CCRT method. II Edition. American Psychoanalytic Association, Washington D. C. L'UTILIZZO DI SUPPORTI MULTIMEDIALI NELLO STUDIO DEL PROCESSO TERAPEUTICO S. Gelsomino *, E. Fava °, F. Osimo °, Y. Fahmy ^ * Società Medicina Psicosomatica, sezione di Catania. ° Istituto di Clinica Psichiatrica, Università degli Studi di Milano, sede Affori, UOP a Direzione Universitaria n.48. ^ Associazione Analisti di Sistemi E' di recente attualità l'introduzione nella ricerca scientifica sul processo terapeutico dell'utilizzo di supporti audio e video. L'applicazione di supporti, come registratori e videoregistratori, nello studio empirico del processo terapeutico, ha reso numeroso e complesso il numero di variabili oggetto di studio e creato, per via della loro diversa struttura (suoni e immagini), difficoltà di archiviazione. Al fine di rappresentare, il più possibile, la complessità del processo terapeutico riportata da differenti supporti, si rende opportuno, nella fase di rappresentazione delle informazioni, l'utilizzo di strumenti in grado di gestire la numerosità e l'eterogeneità delle variabili oggetto di studio. In tal senso l'utilizzo del supporto cartaceo, quale strumento di rappresentazione di dati risultanti dalla ricerca empirica di fenomeni complessi, caso dei processi terapeutici, pone alcuni limiti dati dalle caratteristiche intrinseche al supporto stesso. Nel processo terapeutico le variabili oggetto di osservazione sono numerose e in continua e mutevole interazione durante tutto lo svolgersi del processo stesso, inoltre, frequentemente, le informazioni sono riportate, come nel caso di aspetti legati alla comunicazione non verbale, in forma di suoni o/e immagini. Per tali aspetti l'utilizzo del supporto cartaceo non appare essere un buon strumento. Inoltre, l'uso di testo accompagnato da suoni ed immagini rende necessario l'applicazione di supporti multimediali in grado di rendere continuamente visibili i dati emersi dallo studio empirico unitamente alle registrazioni audio o audio-video, e mostrare l'andamento di variabili durante tutto lo svolgimento del processo. In conformità a tali osservazioni nasce Mediatherapy, software progettato per la gestione di informazioni complesse di un processo terapeutico. Il lavoro proposto, mostra un esempio concreto dell'applicazione del software Mediatherapy alla scala ATOS (achievement of therapeutic objectives scale) validata sperimentalmente presso la Clinica Psichiatrica Universitaria, sede Affori, dal Dott. Osimo, dove quaranta segmenti di sedute di psicoterapia dinamica breve videoregistrate sono stati valutati da un gruppo di giudici. Considerando come variabili i quattro indici proposti dalla scala ATOS (riconoscimento delle difese, rinuncia delle difese, esperienza degli affetti e rinuncia degli affetti) e il "conflitto psicodinamico centrale" manifesto dal paziente, attraverso l'uso di particolari interfacce visibili unitamente allo scorrere del filmato, si è reso possibile l'osservazione dell'andamento delle suddette variabili durante tutto lo svolgersi della terapia. I principali vantaggi offerti da questo tipo di strumento sono dati dalla possibilità di: gestire informazioni complesse potendo contemporaneamente averne lettura in modo semplice ed immediato; seguire l'andamento delle variabili durante l'intera visione del processo terapeutico; inserire eventuali indici in qualsiasi posizione del filmato; osservare in tempo reale rappresentazioni grafiche sull'andamento delle variabili individuate e approfondire, immediatamente, eventuali relazioni sull'andamento delle medesime. Riferimenti bibliografici Davanloo H. (1980), Short-term dynamicPsycotherapy, Jason Aronson, New York. Malan D.H. (1963), A study of short-term dynamic psychotherapy, Basic Books, New York; trad. it. (1978), Uno studio di psicoterapia breve, Astrolabio, Roma. Malan D. H. (1 976a), The Frontier of Brief Psychoterapy, Plenum, New York. Malan D.H. (1976b), Towards the Validation of Dynamic Psychotherapy, Plenum, New York. Malan D. H. (1979), Individual psychotherapy and the science of psychodynamics, Butterworth, London. Malan, D., Osimo, E (1992), Psychodynamics, Training and Outcome in Brief Psychoterapy, Butterworth-Heineman, Oxford. McCullough Vaillant L., Meyer S., Cui X., Stewart A., Kuhia N. (1996), The Achievement of Therapeutic Objectives Rating Scale ATOS, (non pubblicato). McCullough VAILLANT L. (1997), Changing Character, Basic Books, New York. LA CONDIVISIONE NELL’ANALISI DEL PROCESSO PSICOTERAPEUTICO B. G. Bara, R. B. Ardito Centro di Scienza Cognitiva - Università e Politecnico di Torino Introduzione In questo lavoro intendiamo presentare i risultati della validazione di uno strumento, l’Indice di condivisione (Bara 1999; Bara e Bosco, 2000), che rileva i momenti in cui, nel corso di una psicoterapia, paziente e terapeuta arrivano alla costruzione di una forma particolare di conoscenza condivisa: la conoscenza condivisa terapeutica, quella condivisione cioè che il paziente esplicitamente dichiara di condividere con il terapeuta. Intendiamo la psicoterapia come un processo duale di costruzione condivisa di significati (Bara, 1996) e riteniamo che la comunicazione linguistica, sebbene non esaurisca il lavoro che la coppia terapeuta/paziente svolge in seduta, costituisca il mezzo principe attraverso il quale ha modo di svilupparsi la relazione ed il processo terapeutico. È proprio a livello della comunicazione linguistica che l’Indice di condivisione si pone (Ardito, 2000). Il concetto di conoscenza condivisa, che sta alla base dell’Indice di condivisione, è stato mutuato dalla teoria della Pragmatica cognitiva (Airenti, Bara e Colombetti, 1993) che definisce la conoscenza condivisa come quella conoscenza che un individuo ritiene soggettivamente di condividere con il proprio interlocutore. Procedura sperimentale L’Indice di condivisione si compone di alcuni item (ad esempio il linguaggio figurato, la rilettura, la spiegazione) che segnalano il tipo di condivisione che può avvenire durante il colloquio terapeutico. L’obiettivo è quello di rilevare, dalla trascrizione dei colloqui, la condivisione terapeutica. L’ipotesi che sta alla base della costruzione di questo strumento è che un alto livello di condivisione sia un indicatore del successo della terapia. Alla luce dell’Indice di condivisione sono state quindi lette le trascrizioni delle sedute di tre cicli psicoterapeutici. Le psicoterapie, interamente audioregistrate, sono state condotte da terapeuti di impostazione cognitivista didatti della SITCC (Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva). Discussione Durante i lavori del congresso verranno presentati i risultati dell’applicazione dell’Indice ai tre cicli di psicoterapia. Questi paiono interessanti per più motivi. Infatti, oltre a costituire la validazione dell’Indice e quindi ad affinare lo strumento stesso, possono informare di ciò che avviene in seduta, e cioè della quantità e qualità della condivisione terapeutica. Ed ancora, pare interessante vedere quali sono le categorie di condivisione che ricorrono più spesso in ciascuna delle terapie ed, eventualmente, rilevare le varianti che sono proprie di ciascun terapeuta o, meglio, di ciascuna coppia paziente/terapeuta ingaggiata in una relazione terapeutica. Riferimenti bibliografici Airenti G., Bara B.G., e Colombetti M. (1993). Conversation and behavior games in the pragmatics of dialogue. Cognitive Science. 17, 2, 197-256. Ardito R.B. (2000). L’indice di condivisione: verso una validazione dello strumento. Secondo Congresso Nazionale della Sezione di Psicologia Clinica dell’Associazione Italiana di Psicologia. Alghero, 28-30 settembre. Bara B.G. (1999). Pragmatica cognitiva. Bollati Boringhieri, Torino. Bara B.G. e Bosco F. (2000). L’Indice di condivisione: uno strumento di analisi delle sedute psicoterapeutiche. Psicoterapia, 19/20, 38-49. Bara B.G., ed. (1996). Manuale di psicoterapia cognitiva. Bollati Boringhieri, Torino. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa STTRRUUMMEENNTTII DDII RIICCEERRCCAA PPEERR LLAA DIIAAGGNNOOSSII EE LLAA VAALLUUTTAAZZIIOONNEE DDEELLLLAA PRRAATTIICCAA CLLIINNIICCAA M Mooddeerraattrriiccee:: M Maarriiee D Dii B Bllaassii UNA PROPOSTA DI VALUTAZIONE DELL'ALLEANZA TERAPEUTICA A PARTIRE DAI TRASCRITTI DELLE SEDUTE: IL SISTEMA IVAT A. Colli, V. Lingiardi Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione L’IVAT (Indice di Valutazione dell’Alleanza Terapeutica) è uno strumento che abbiamo costruito con l’obiettivo di “misurare” l’Alleanza Terapeutica (AT) a partire dall’analisi di trascritti di sedute di psicoterapia. Tutti gli strumenti fino ad oggi disponibili, come il Working Alliance Inventory (WAI, Horvath, Greenberg, 1996) o la California Psychotherapy Alliance Scale (CALPAS, Gaston, 1991), valutano invece l’AT per mezzo di questionari autosomministrati (in versioni per il terapeuta, per il paziente, per l’osservatore). La definizione teorica cui abbiamo fatto riferimento per la costruzione dell’IVAT è quella proposta da Bordin (1979), il quale scompone il concetto di AT in tre dimensioni: i “compiti”, gli “obiettivi”, il “legame” (Tasks, Goals, Bond). La struttura dell’IVAT è anche parzialmente ispirata alle quattro dimensioni proposte dalla Gaston per la valutazione dell’AT: Capacità di lavoro del paziente (Patient Working Capacity – PWC), Impegno del paziente (Patient Commitment – PC), Consenso sulla strategia di lavoro (Working Strategy Consensus – WSC), Comprensione e coinvolgimento del terapeuta (Therapist Understanding and Involvement – TUI). Infine, per selezionare i markers di rottura e risoluzione dell’alleanza da parte del paziente e del terapeuta, ci siamo attenuti al modello proposto da Safran e Muran (2000). Descrizione dello strumento L’IVAT si compone di una sezione dedicata all’analisi degli interventi del paziente (IVAT-P) e una dedicata agli interventi del terapeuta(IVAT-T). L’IVAT-T è ulteriormente divisa in una sezione che raccoglie i markers “diretti” del paziente (per esempio, attacchi espliciti al terapeuta e/o alla terapia) e in una sezione che raccoglie i markers “indiretti” (per esempio, strategie di evitamento, operazioni di sicurezza, ecc.). Campi di applicazione L’IVAT trova applicazione in diversi campi della ricerca in psicoterapia: 1) Studio delle differenze nell’andamento della relazione terapeutica in diversi tipi di psicoterapia (per esempio, confronto tra trascritti di sedute di psicoterapia dinamica vs cognitiva). 2) Studio delle differenze nel processo di formazione/rottura dell’alleanza tra pazienti con diverse diagnosi (Lingiardi et al., 2000). 3) Studio delle possibili correlazioni tra AT e altri fattori interni alla terapia (per esempio: meccanismi di difesa (Defense Mechanism Rating Scale, DMRS, Perry, 1990; Lingiardi et al., 1999), capacità metacognitiva (Semerari, 1999), CCRT (Core Conflictual Relationship Theme, CCRT, Luborsky, Crits-Christoph,1990), Attività Referenziale (Bucci, 2000). 4) Studio del processo di formazione dell’alleanza e della sua rottura (per esempio, individuazione di markers precoci di rottura dell’alleanza). Osservazioni conclusive L’IVAT è una scala che consente di valutare la qualità dell’AT partendo dall’analisi dei trascritti di sedute. Tale strumento, se da una parte presenta i limiti propri di tutti quei metodi di valutazione che si basano sulle trascrizioni di sedute (ignorando, quindi, tutti gli aspetti non trascrivibili della relazione), dall’altra ha l’indubbio pregio di cogliere dei fenomeni in modo naturale, in quanto non sollecitati da domande ad hoc, come avviene nel caso della somministrazione di questionari (per esempio: WAI, CALPAS). L’IVAT è nata facendo riferimento a un particolare orientamento terapeutico, la psicoterapia cognitiva e interpersonale; quindi tende a valutare gli interventi terapeutici volti alla risoluzione delle rotture dell’alleanza secondo i criteri propri di tale orientamento. Uno sviluppo futuro della scala potrebbe essere quello di individuare nuovi item riconducibili anche a interventi terapeutici di altri orientamenti. L’utilità principale dello strumento è quella di permettere un’analisi articolata del processo di rottura e ricostruzione dell’alleanza fornendo indicazioni per l’individuazione di strategie mirate di intervento e di markers precoci di “cattive” alleanze. Riferimenti bibliografici Bordin, E. (1979) The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance. Psychotherapy: Theory, research and practice, 16, 252-260. Bucci, W. (2000), La Valutazione dell’Attività Referenziale. Edizioni Kappa, Roma. Gaston, L. (1991) Reliability and criterion-related validity of the California Psychotherapy Alliance Scales-Patient Version. Psychological Assessment: A Journal of consulting and clinical Psychology, 3, pp 68-74. Horvath, A.O., Greenberg L.S. (Eds) (1996) The Working Alliance: theory, research and practice, John Wiley e Sons, New York. Horvath, A.O., Symonds, B.D. (1991) Relation Between Working Alliance and Outcome in Psychotherapy: a meta-analysis. Journal of Counseling Psychology, 38, pp. 139-149. Lingiardi, V., Lonati, C., Fossati, A., Vanzulli, L., Maffei, C. (1999), Defense Mechanisms and Personality Disorders, Journal of Nervous and Mental Disease, 187, 4, pp. 224-228. Lingiardi V., Croce D., Fossati A., Vanzulli L., Maffei C. (2000), La valutazione dell’alleanza terapeutica nella psicoterapia dei pazienti con disturbi di personalità. Ricerca in Psicoterapia (Rivista SPR-Italia), n.4, pp. 63-80. Luborsky, L., Crits-Christoph, P. (1990) Capire il transfert. Raffaello Cortina Editore, Milano 1992. Perry, J.C. (1990), Defense Mechanism Rating Scale, 5a ed., in Lingiardi, V., Madeddu, F. (1994), I meccanismi di difesa, Raffaello Cortina Editore, Milano. Safran, D., Muran, J.C. (2000), Resolving therapeutic alliance ruptures: Diversity and integration. Journal of Clinical Psychology, 56, 2, pp. 233-243. Semerari A. (1999) Psicoterapia cognitiva del paziente grave. Raffaello Cortina Editore, Milano. LA VALUTAZIONE DELL’ATTACCAMENTO: UNO STUDIO DI VALIDITÀ CONVERGENTE FRA L’INTERVISTA SULL’ATTACCAMENTO E GLI STRUMENTI “SELF REPORT” F. Ortu. A.M. Speranza, C. Pazzagli, A. Tagini, S. D’Antuono, S. G. Pizzuti. Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” Introduzione A partire dagli anni ‘80 l’interesse dei ricercatori si è sempre più concentrato sullo studio dell’attaccamento nel ciclo di vita e gli ultimi dieci anni hanno assistito al moltiplicarsi degli studi sull’attaccamento adulto (Main, 1999). Tali studi sono essenzialmente riconducibili a due differenti tradizioni di ricerca, quella inaugurata da Mary Main che utilizza l’Adult Attachment Interview per identificare “gli stati della mente nei confronti dell’attaccamento” e quella portata avanti da Hazan e Shaver che si focalizzano sulle relazioni affettive in adolescenti e giovani adulti per valutare lo Stile di attaccamento sulla base delle risposte date ad un questionario. Questo incremento di studi e di metodologie di ricerca solleva una serie di interrogativi relativi alla compatibilità degli strumenti utilizzati e alla confrontabilità dei dati ottenuti dalla loro applicazione. Gli strumenti utilizzati differiscono infatti per le aree tematiche per la metodologia utilizzata per gli assunti teorici a cui fanno riferimento, per l’operazionalizzazione dei concetti che intendono indagare e per la struttura e il formato scelto (interviste, questionari, autodescrizioni ). Alla luce di queste considerazioni appare rilevante lo studio dei costrutti e delle metodologie di indagine utilizzate per la valutazione dell’attaccamento adulto In particolare ci si può chiedere quale sia la relazione tra i diversi strumenti, cosa in effetti misurino e cioè se rappresentino diverse misure di uno stesso costrutto, misure simili di differenti costrutti o differenti misure di differenti costrutti Presentiamo qui i primi dati di uno studio di validità convergente fra alcuni degli strumenti self report più frequentemente utilizzati in letteratura: il P.B.I. (Parker et al. 1979);l’ EMBU (Perris et al., 1980), l’ IPPA (Armsden e Greenber, 1987,88), l’ASI (Sperling e Berman, 1991) e l’ASQ.( Feeney et al., 1994) e l’intervista AAI. In particolare l’EMBU e il P.B.I. valutano le relazioni passate, l’IPPA e l’ASI si propongono di valutare le relazioni attuali mentre l’ASQ si propone specificamente la rilevazione di aspetti del modello operativo interno direttamente disponibili per la regolazione affettiva e delle relazioni interpersonali. Metodo Il campione è costituito da 189 studenti che frequentavano i corsi del 2° anno della Facoltà di Psicologia di Roma. Ai soggetti è stato chiesto di partecipare alla ricerca in forma anonima. Sono state distribuite 4 versioni dell’intero protocollo di questionari, ordinate in modo diverso. IL 20% dei soggetti è stato sottoposto all’intervista AAI. Risultati I risultati di questa indagine sembrano sostenere l’ipotesi che sia possibile rintracciare una dimensione unitaria relativa all’attaccamento che permette di confrontare esperienze di attaccamento appartenenti ad ambiti relazionali differenti (genitori-pari) e a differenti dimensioni temporali (passato-presente). In particolare, l’esperienza infantile di sicurezza derivante dalla positiva capacità di accudimento di almeno un genitore si riflette nella capacità dell’individuo di stabilire relazioni interpersonali soddisfacenti e di utilizzare l’altro come fonte di sostegno. Conclusioni Questi strumenti, nonostante le loro caratteristiche eterogenee, sembrano dunque cogliere un aspetto fondamentale del sistema di attaccamento, cioè la capacità di utilizzare l’altro come base sicura in situazioni di tensione e di bisogno, e non una generica e aspecifica capacità relazionale. Dal punto di vista metodologico, l’ipotesi di una validità convergente sembra essere sostenuta sia dalle analisi fattoriali che dalle analisi di correlazione. Riferimenti bibliografici Armsden G.C., Greenberg M.T. (1987), The Inventory of Parent and Peer Attachment: individual differences and their relationship to psychological well-being in adolescence. Journal of Youth and Adolescence, 16, 427-454. Arrindell W.A. et al. (1999), The development of a short form of the EMBU. Personality and Individual Differences, 27, 613-628. Feeney J.A., Noller P., Hanrahan M. (1994), Assessing Adult Attachment. In M.B. Sperling & W.H. Berman (Eds.), Attachment in Adults. Guilford Press, New York. Parker G., Tupling H., Brown L.B. (1979), A Parental Bonding Instrument. British Journal of Medical Psychology, 52, 1-10. Sperling M.B., Berman W.H. (1991), An attachment classification of desperate love. Journal of Personality Assessment, 56, 1, 45-55. CHECK LIST PER LA VALUTAZIONE DEI MINORI CHE COMMETTONO REATI A. Maggiolini *, C. De Colle °, R. Grassi ^, C. Trionfi ” * Università degli Studi di Milano – Bicocca ° Istituto Minotauro, Milano ^ Università degli Studi di Trento “ Istituto Minotauro, Milano Disporre di strumenti di valutazione dei minori che sono sottoposti a procedimenti penali è un’importante premessa per un trattamento mirato. Poiché la tendenza degli adolescenti a compiere atti trasgressivi è fase specifica, è utile discriminare i ragazzi autori di reati in cui la componente psicopatologica è prevalente sulla componente del disadattamento evolutivo o psicosociale. Nella letteratura internazionale sono state mosse numerose critiche alla definizione del disturbo antisociale di personalità, per la prevalenza che accorda ai tratti comportamentali a scapito d’aspetti più strutturali e dinamici. Negli ultimi anni sono stati elaborati diversi strumenti specifici di valutazione della delinquenza adulta e minorile e tra questi la PCL-R di Hare (psychopathy check list revised) ha mostrato di possedere una buona affidabilità e validità, di cui è stata predisposta una versione per adolescenti, in corso di pubblicazione (Forth, 2000). All’interno del lavoro con i minori sottoposti a procedimenti penali nei Servizi della giustizia minorile di Milano (Centro giustizia minorile, Centro prima accoglienza, Ufficio servizio sociale minori, Istituto penale minorile “Beccaria”) abbiamo messo a punto uno strumento di valutazione composto da 50 item, che descrivono atteggiamenti e comportamenti dell’adolescente. Gli item mettono a fuoco atteggiamenti narcisistici, difficoltà di controllo dell’impulsività, difficoltà nell’assunzione di responsabilità, atteggiamenti persecutori, presenza o assenza di legami d’attaccamento, e altro. Più che essere volto a misurare il livello di psicopatia, come nella PCL-R, questo strumento cerca di ricavare un profilo individuale nelle diverse aree significative, nel presupposto che diverse caratteristiche soggettive possano costituire degli ostacoli al processo di assunzione di responsabilità che appare una variabile di particolare interesse per orientare l’intervento dei Servizi della Giustizia Minorile (De Leo, 1998). Il campione è costituito da 95 minorenni sottoposti a procedimenti penali per diversi tipi di reati (sia detenuti sia con altre misure cautelari o provvedimenti). In questa fase il primo obiettivo è di valutare la coerenza interna dello strumento, misurando i livelli di correlazione interna tra gli item che compongono le diverse aree dello strumento e la presenza d’eventuali sovrapposizioni o dimensioni trasversali. Le check list sono state compilate da psicologi che lavorano all’interno dei diversi servizi della Giustizia minorile. Lo strumento potrebbe essere correlato ad altre valutazioni. All’interno degli stessi servizi stiamo predisponendo un sistema di valutazione dei fattori di rischio psicosociale e una griglia d’osservazione del comportamento dei minori da parte degli educatori nella fase di detenzione al Centro di prima accoglienza o nell’Istituto penale. Riferimenti bibliografici De Leo G. (1998) Psicologia della responsabilità. Laterza, Bari. Forth A.E., Mailloux D.L. (2000) Psychopathy in youth: what do we know?, in Gacono C.B. (ed.) (2000)The clinical and forensic assessment of psychopathy. Lawrence Erlbaum Associates, NJ. Hillsdale. Gacono C.B. (ed.) (2000)The clinical and forensic assessment of psychopathy. Lawrence Erlbaum Associates, NJ. Hillsdale. Hare R., Hart S., Harpur T. (1991) Psychopathy and the DSM-IV criteria for antisocial personality disorder. Journal of Abnormal Psychology, 100, pp. 520-508. Henggeler S.W., Schenwald S.K., Borduin C. M., Rowland M.D., Cunningham P.B. Multisystemic treatment of antisocial behavior in children and adolescents. The Guilford Press: New York. Loeber R., Farrington D.P., Stouthamer-Leober M., Van Kammen W.B. (1998) Antisocial behavior and mental health problems. Explanatory factors in childhood and adolescence. Mahwah: Lawrence Erlbaum Ass.. Maggiolini A., Riva E. (1999) Adolescenti trasgressivi. F. Angeli, Milano. DELINQUENZA MINORILE E CAPACITÀ RIFLESSIVA: ELEMENTI DIAGNOSTICI AL TEST DI RORSCHACH E. Riva *, C. Trionfi *, C. Saottini *, D. Viganò ° * Istituto Minotauro, Milano ° Ospedale “S. Gerardo”, Monza La ricerca che presentiamo si propone di utilizzare il test di Rorschach come strumento di valutazione di specifici aspetti della personalità degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali per aver commesso reati. Alcuni autori individuano il nucleo patologico della delinquenza minorile nella psicopatia scarso controllo degli impulsi, carenza di capacità empatiche, aspetti narcisistici patologici - (Hare, 1991,Forth, Mailloux, 2000), mentre altri, in una prospettiva ad orientamento psicosociale, sottolineano della dimensione psicodiagnostica in età adolescenziale i rischi di un processo d’etichettamento (Emler, Reicher, 1995), o interpretano l’agito deviante non come espressione di un sottostante disturbo di personalità, ma come manifestazione agita di una conflittualità intrapsichica che si esprime nello “spazio psichico allargato” della relazione con l’ambiente (Jeammet, 1992). Recenti teorie sui disturbi del comportamento dirompente nell’infanzia e sul disturbo antisociale di personalità in adolescenza e nell’età adulta, si riferiscono alla teoria dell’attaccamento per sottolineare come la carenza di funzioni di contenimento/rispecchiamento nella relazione primaria, comporti la mancata attivazione di una funzione riflessiva (Fonagy, 2001). Nei soggetti con comportamenti antisociali tale carenza appare con particolare evidenza nella difficoltà a mentalizzare, che si esprime nella tendenza ad agire la conflittualità psichica, e a riconoscere, anche a posteriori, significati e motivazioni del comportamento deviante. La ricerca si propone di individuare nel funzionamento psichico degli adolescenti che commettono reati alcune caratteristiche specifiche, che pur non essendo ancora cristallizzate in una struttura di personalità psicopatologica, esprimono le stesse linee di tendenza che si ritrovano nelle definizioni di disturbo di personalità antisociale e di personalità psicopatica. In questo studio abbiamo considerato alcune variabili nelle risposte al test di Rorschach clinicamente correlate con questi aspetti del funzionamento psichico dell’adolescente deviante. Nello specifico sono stati considerati nei protocolli gli indici formali correlati con la capacità di mentalizzazione (risposte di movimento umano, livello di coartazione del protocollo, risposte banali vs risposte originali), gli indicatori del controllo degli impulsi (risposte di colore non sostenute dalla componente formale, risposte di forma +, risposte di movimento inanimato) e gli indici di carattere narcisistico (indice di egocentrismo, risposte speculari, risposte spaziali, contenuti grandiosi) Sono stati analizzati 20 protocolli Rorschach di adolescenti che hanno commesso reati e che sono sottoposti a procedimenti penali e 20 protocolli di adolescenti in crisi, che non hanno commesso reati, ma hanno richiesto una consultazione. L’inquadramento diagnostico degli adolescenti appartenenti al gruppo di controllo (adolescenti non sottoposti a procedimenti penali) è stato confrontato con quello degli adolescenti appartenenti al gruppo sperimentale (adolescenti sottoposti a procedimenti penali), così da rendere più facilmente confrontabili i dati. La siglatura del materiale è stata eseguita utilizzando il metodo Klopfer, clinicamente più utilizzato in Europa, che sebbene meno formalizzato d’altri sistemi di siglatura, consente un miglior utilizzo clinico dei risultati. Per l’analisi dei dati si sono confrontati innanzitutto i singoli indicatori quantitativi dei protocolli di Rorschach con l’obiettivo di verificare differenze significative nei due gruppi. In secondo luogo, i singoli indicatori quantitativi sono stati raggruppati in base alle categorie prese in esame (livello di mentalizzazione, controllo degli impulsi, problematiche narcisistiche). L’esiguità del campione analizzato e i problemi d’attendibilità della siglatura Klopfer possono rappresentare dei limiti per questo studio; ciò nonostante, la possibilità di avere un riscontro quantitativo degli indicatori della condotta deviante può fornire uno stimolo per ulteriori ricerche. Riferimenti bibliografici Chabert C. et al. (1994) I test proiettivi in adolescenza: Rorschach e T.A.T. Raffaello Cortina, Milano Emler N., Reicher S. (1995) Adolescenti e devianza. Il Mulino, Bologna, 2000. Fonagy P. (2001) Attaccamento e funzione riflessiva. Raffaello Cortina, Milano, 2001. Forth A.E., Mailloux D.L. (2000) Psychopathy in youth: what do we know?, in Gacono C.B. (ed.) (2000)The clinical and forensic assessment of psychopathy. Lawrence Erlbaum Associates, NJ. Hillsdale. Gacono C. B. (1998)“The use of PCL-R and Rorschach in Treatment Planning with Antisocial Personality Disordered Patient”; International Journal of Offender Therapy and Comparative Criminology; p. 49-64 Hare R., Hart S., Harpur T. (1991) Psychopathy and the DSM-IV criteria for antisocial personality disorder. Journal of Abnormal Psychology, 100, pp. 520-508. Jeammet P. (1992) Psicopatologia dell’adolescenza, Borla, Roma. Maggiolini A., Riva E. (1999) Adolescenti trasgressivi. F. Angeli, Milano. Smith M., Gacono C., Kaufman L. (1997) A Rorschach Comparison of Psychopathic and Nonpsychopathic Conduct Disordered Adolescents. Journal of Clinical Psychology, p. 289-300 Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa OBBBBLLIIGGOO DDII COONNTTRROOLLLLOO EE RIIMMUUGGIINNIIOO:: TEEOORRIIAA EE RIICCEERRCCAA C Coooorrddiinnaattrriiccee:: SSaannddrraa SSaassssaarroollii M Mooddeerraattoorree:: P Piieerrlluuiiggii G Giioorrddaannoo LA PSICOPATOLOGIA COGNITIVA DELL'ANSIA: RIMUGINIO, OBBLIGO DI CONTROLLO, TIMORE DEL DANNO, RIMPROVERO E PERFEZIONISMO PATOLOGICO S. Sassaroli, G. M. Ruggiero “Studi Cognitivi”, Centro di psicoterapia e ricerca - Milano Si presenta un modello gerarchico della psicopatologia cognitiva dell'ansia. Lo scopo è ricavare una metodologia affidabile e riproducibile di valutazione dei contenuti cognitivi di un soggetto ansioso mediante la misurazione di poche variabili. In base alla letteratura scientifica sia italiana che internazionale il sistema cognitivo di un soggetto ansioso è un sistema ad elevata tendenza alle predizioni negative. Esso ha come scopo terminale l'obbligo di controllo e come credenza di base il timore del danno vago e irreparabile. Inoltre, una variante caratteristica dei soggetti ansiosi con scopi perfezionistici è il timore dell'errore. Le basi evolutive e relazionali dell'ansia sono il rimprovero ed il criticismo percepiti. La fenomenologia concreta dell'obbligo di controllo del soggetto ansioso è il rimuginio, caratterizzato da una tendenza alla ripetizione pervasiva di pensieri negativi riguardanti eventi temuti o valutazioni negative su sé, sugli altri o sul mondo. Gli scopi terminali del rimuginio sono: la preparazione illusoria ai danni eventuali, la distrazione ovvero l'evitamento della rappresentazione di paure ancora peggiori, il sollievo fisiologico dello stato di ansia acuta. LA VALUTAZIONE CONTROLLABILE DEL RIMUGINIO, DELL'OBBLIGO DI CONTROLLO, DEL RIMPROVERO E DEL PERFEZIONISMO PATOLOGICO G. M. Ruggiero, M. Apparigliato, S. Lissandron, G. Piccione, S. Sassaroli “Studi Cognitivi”, Centro di psicoterapia e ricerca - Milano Gli strumenti elaborati per la valutazione delle diverse variabili descritte nella presentazione di Sassaroli e Ruggiero in questo stesso congresso sono: 1) una intervista strutturata, la Valutazione ad Intervalli Temporali dell'Anamnesi (VITA), adattata dalla Long Interval Follow-up Evaluation (LIFE) (Keller, M.B., Lavori, P.W., Friedman, B., Nielsen, E., Endicott, J., McDonald-Scott, P. e Andreasen, N.C., 1987); 2) questionari autosomministrati: il GOals of Worry Inventory (GOWI) (Sassaroli, e Ruggiero, 2001) che misura gli scopi del e la tendenza al rimuginio; il Perceived Criticism Inventory (PCI) (Apparigliato, Gianotti, Ruggiero e Sassaroli, 2001) sul rimprovero e criticismo percepiti; l'Anxious and Perfectionistic Beliefs Inventory (APBI) (Ruggiero e Sassaroli, 2001) sull'obbligo di controllo, sul timore del danno e sul perfezionismo patologico; il Multidimensional Perfectionistic Inventory (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate, 1990); Il Self-liking and Competence Scale (SLCS) (Tafarodi e Swann, 1995) sull'autovalutazione negativa; 3) la Cognitive Prototypical Analysis (CPI) (Ruggiero, Lissandron, Piccione e Sassaroli, 2001) una scala di valutazione delle strutture cognitive considerati in materiale proveniente da sedute registrate. ANALISI DEI PRIMI DATI IN UNO STUDIO PILOTA SU UN GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO ALIMENTARE IN UN DAY HOSPITAL DELLA LOMBARDIA G.M. Ruggiero *, S. Bertelli °, D. Longoni °, L. Zappa °, C. Pruneri °, S. Sassaroli* * “Studi Cognitivi”, centro di psicoterapia e ricerca - Milano ° Centro Disturbi Alimentari (Eating Disorders Centre), Azienda Ospedaliera “S. Gerado”, Monza, Italy. Vengono presentati i primi dati di uno studio in corso nell'Ospedale "San Gerardo" di Monza. I dati riguardano la valutazione del rimuginio e dell'obbligo di controllo in soggetti affetti da disturbo alimentare secondo il DSM-IV. Gli strumenti utilizzati sono l'intervista Valutazione ad Intervalli Temporali dell'Anamnesi (VITA) (Ruggiero, Alberti e Sassaroli, 1996-2001), il GOals of Worry Inventory (GOWI) (Sassaroli, e Ruggiero, 2001), il Perceived Criticism Inventory (PCI) (Apparigliato, Gianotti, Ruggiero e Sassaroli, 2001), l'Anxious and Perfectionistic Beliefs Inventory (APBI) (Ruggiero e Sassaroli, 2001), la Multidimensional Perfectionistic Scale (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate, 1990) e il Self-liking and Competence Scale (SLCS) (Tafarodi e Swann, 1995). Lo studio è sostenuto da una borsa di studio concessa dalla Fondazione "Maria Bianca Corno - lotta all'anoressia" di Monza. ANSIA DA PRESTAZIONE, PERFEZIONISMO PATOLOGICO E OSSESSIONE ALIMENTARE IN UN CAMPIONE DI 60 STUDENTESSE DI UN ISTITUTO SUPERIORE: UNO STUDIO SPERIMENTALE A. Ciuna, D. Levi, G. M. Ruggiero, S. Sassaroli “Studi Cognitivi”, centro di psicoterapia e ricerca - Milano Secondo la letteratura scientifica, il perfezionismo patologico è un sicuro fattore di rischio cognitivo per i disturbi alimentari. Questo studio ipotizza che in condizioni di ansia da prestazione elevata vi sia un innalzamento sia del perfezionismo patologico che delle ossessioni tipiche dei disturbi alimentari: paura del cibo, paura di ingrassare, insoddisfazione corporale, desiderio di dieta, ecc. 60 studentesse di un istituto superiore hanno compilato l'Eating Disorder Inventory (EDI) (Garner, 1991) e la Multidimensional Perfectionism Scale (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate, 1990) in tre occasioni: un giorno qualunque, un giorno con un importante compito in classe e il giorno in cui venivano comunicati i voti del compito. L'ipotesi è che i punteggi dei due test siano significativamente più elevati nella seconda e nella terza somministrazione. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa ATTTTAACCCCAAMMEENNTTOO,, REELLAAZZIIOONNII PEERRSSOONNAALLII,, TEERRAAPPIIAA COOGGNNIITTIIVVAA C Coooorrddiinnaattoorree:: TTuulllliioo SSccrriimmaallii M Mooddeerraattoorree:: M Maauurriizziioo C Caarrddaaccii Premessa Il simposio si prefigge di esporre e discutere, alla luce delle teorizzazioni e delle ricerche, svolte presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania, il ruolo della teoria dell’attaccamento nell’ambito di una concettualizzazione dei disturbi psichiatrici e della eziopatogenesi degli stessi, informata alla teoria dei sistemi biologici complessi e lontani dall’equilibrio. La rilevanza delle tematiche dell’attaccamento sarà discussa anche per quanto concerne i protocolli terapeutici e riabilitativi di ispirazione costruttivista elaborati dagli Autori. Nell’ambito di quattro relazioni verranno esposti i diversi aspetti della topica, secondo un’articolazione che parte dalla concettualizzazione del ruolo dei processi di attaccamento, nelle diverse e specifiche fasi del ciclo di vita, per arrivare a considerarne le implicazioni cliniche. Una serie di dati sperimentali, scaturiti da ricerche recenti, effettuate dagli Autori, presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania, sarà esposta e discussa nel corso del simposio. TEORIE DELL’ATTACCAMENTO E TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI IN PSICHIATRIA T. Scrimali Università degli Studi di Catania, Scuola di Psicoterapia Cognitiva Aleteia L’approccio cognitivista in Psichiatria e psicoterapia si è sviluppato, nella seconda metà del secolo scorso, a partire da una ottica influenzata dalla teoria della Informazione e dalla Cibernetica. Dalla fine degli anni Settanta è stato proposto, grazie ai contributi di Guidano e Liotti, di Guidano, di Mahoney ed altri, un approccio costruttivista in Psicoterapia Cognitiva, caratterizzato dalla notevole enfasi riservata al ruolo del parenting nel determinismo delle modalità di sviluppo del Sé. Negli ultimi anni una terza rivoluzione sembra prospettarsi, grazie alla adozione, in Psichiatria, della logica dei Sistemi Complessi. Di recente Scrimali e Grimaldi (Scrimali & Grimaldi, Complessità & Cambiamento, Vol. IX, N.1, 2000) hanno proposto un originale modello concettuale, in Psicopatologia ed Eziopatogenesi, orientato alla logica dei Sistemi Complessi. Il modello sviluppato, che verrà illustrato nell’ambito della relazione, si riferisce ad una dimensione biologica (il cervello modulare) a quella psicologica (la mente coalizionale) e relazionale (parenting nell’età evolutiva e attaccamento tra pari nell’adulto). Il ruolo del parenting, nell’ambito della eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici, verrà debitamente analizzato anche alla luce di una serie di ricerche effettuate con pazienti psichiatrici, presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania. ATTACCAMENTO NELL’ADULTO E PSICOTERAPIA COGNITIVA L. Grimaldi La relazione illustra le implicazioni, nel trattamento psicoterapico dell’attaccamento nell’adulto con particolare riferimento al disturbo depressivo. Il modello di riferimento è costituito, dal Bartholomew’s Two-Dimensional Four Category Scheme. Il modello rappresenta la sistematizzazione della teoria di Bowlby sui modelli operativi in quattro diversi patterns di attaccamento: secure, preoccupied, fearful, dismissing. L’autrice analizza le caratteristiche dei modelli operativi di ognuno dei patterns, così come le specifiche modalità relazionali. Viene, inoltre, sinteticamente descritta, nel corso della relazione, l’importanza dei modelli operativi, ed in particolare delle loro caratteristiche di flessibilità o rigidità, per quel che riguarda la dimensione emotiva, l’information processing e l’eventuale emergenza di distorsioni cognitive. La parte della relazione, relativa ai dati sperimentali, prevede la esposizione dei risultati emersi dalla somministrazione dell’Experiences in Close Relationships Inventory in un campione di 20 soggetti affetti da depressione. I risultati ottenuti, che appaiono coerenti con la sintomatologia depressiva, vengono discussi, specie sotto l’aspetto inerente il trattamento psicoterapico. Sulla base di questi dati e dell’esperienza clinica dell’Autore, viene descritta una strategia psicoterapica orientata al cambiamento dei modelli operativi, perseguito, non solo mediante la ricostruzione della storia di sviluppo, ma anche attraverso l’analisi e la modificazione dei patterns di attaccamento attuali. STILE GENITORIALE E ATTACCAMENTO NELL’ADULTO NEI DISTURBI D’ANSIA E NELLA DEPRESSIONE M. De Leonardis L’Autore descrive i risultati di una ricerca, condotta sul parenting e l’attaccamento nell’adulto nell’ambito dei disturbi d’ansia e della depressione. Il campione su cui è stata svolta l’indagine, era costituito da 20 soggetti affetti da depressione, 20 sogggetti affetti da disturbi d’ansia e 20 soggetti di controllo. All’intero campione, al fine di valutare le caratteristiche del parenting e dei patterns di attaccamento nell’adulto, sono stati somministrati il Parental Bonding Instrument di Parker, Tupling & .....e il Reciprocal Attachment Questionnaire di West & Sheldon. I risultati emersi, significativamente diversi tra pazienti e controlli, verranno, nell’ambito della relazione, illustrati e discussi. EMOTIVITA’ ESPRESSA E PATTERN RELAZIONALI. ASPETTI TEORICI E SPERIMENTALI M. Sciuto La tematica della Emotività Espressa costituisce una delle più importanti acquisizioni della Psichiatria Contemporanea. La dimostrazione che il clima emotivo familiare eserciti una fondamentale influenza sul decorso e sulla prognosi dei disturbi mentali e, secondo quanto di recente dimostrato, anche cardiologici, fa di questa variabile un elemento cruciale da tenere in debito conto nell’ambito del progetto terapeutico e riabilitativo. Nella letteratura classica sulla tematica, la problematica dell’Emotività Espressa è affrontata secondo una ottica razionalistica. Le caratteristiche del parente ad alta Emotività Espressa vengono descritte sulla base di una valutazione effettuata dall’operatore e considerate intrinseche al parente stesso. Presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania è stato di recente sviluppato un originale ed innovativo approccio alla tematica della Emotività Espressa. Il parametro viene studiato come processo relazionale e quindi come realtà “costruita” piuttosto che come caratteristica intrinseca esibita di ogni singolo familiare. E’ stata così sviluppata una nuova metodica di assessment che tiene conto del punto di vista del paziente, di quello dei parenti, della valutazione dell’operatore e di parametri psicofisiologici relazionali. In tal modo tutti i dati acquisiti vengono interfacciati in un quadro d’insieme che non indica variabili descrittive intrinseche a ciascun membro della famiglia ma piuttosto realtà narrative di ciascun individuo. Compito dell’approccio terapeutico non sarà quindi quello di “modificare” una serie di variabili ma piuttosto di far evolvere il processo di costruzione della realtà di ciascun membro della famiglia verso una nuova e più adattiva narratizzazione. Nel corso della relazione verranno esposti una serie di dati sperimentali in grado di corroborare la concettualizzazione appena esposta. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa RIICCEERRCCAA SSUULL PRROOCCEESSSSOO -- ESSIITTOO M Mooddeerraattoorree:: LLuucciioo SSaarrnnoo COMPRENSIONE E TERAPIA DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO COME EQUIVALENTE MENTALE DELLE MALATTIE AUTOIMMUNI A. Pinto *, S. Collaro ^, C. Lalla ° * Università degli Studi dell’Aquila ^ Psicologa – Napoli ° III Centro di Psicoterapia Cognitiva – Roma Introduzione L’ipotesi proposta e controllata dalla ricerca che gli autori presentano considera il DOC con elevato insight come il prodotto di una metacognizione patogena. Tale metacognizione costruisce la coscienza dell’evento temuto come causa di un’insostenibile compromissione di basilari scopi personali. Conseguentemente, il sistema mentale dell’individuo mette in atto delle strategie finalizzate ad attaccare ed eliminare la coscienza dell’evento temuto. Tale risposta è paragonabile a una reazione autoimmune in quanto in entrambi i casi il ‘Self’ attacca una parte di sé come se fosse estranea. Viene inoltre ipotizzato che il tema dominante dei pensieri ossessivi possa essere correlato con i significati prevalenti nella struttura di personalità del soggetto. Gli autori pertanto presentano un modello terapeutico di intervento finalizzato a disattivare l’aggressione e quindi a rendere accettabile la coscienza dell’evento temuto. Inoltre, sulla base della differenza patogenetica individuata fra il DOC con alto e basso insight, sono state delineate e sperimentate due rispettive modalità di approccio terapeutico. Metodi Lo studio è stato eseguito su un campione di 20 pazienti con diagnosi di DOC secondo il DSM IV, inseriti in un protocollo di intervento psicoterapeutico svoltosi nell’arco di 12 mesi con sedute a cadenza settimanale. Sono stati utilizzati i seguenti strumenti di valutazione: a) Yale-Brown Obsessive Compulsive Scale; b) Brown Assessment Beliefs Scale; c) SCID II. Inoltre è stato impiegato un esperimento mentale denominato “Test del farmaco mnemolitico”. Risultati I risultati ottenuti sono in accordo con l’ipotesi patogenetica formulata e la strategia terapeutica messa in opera. USO DELL’INTERVISTA R.A.P. CON CODIFICA C.C.R.T. E S.A.S.B. PER INDIVIDUAZIONE FOCUS TERAPEUTICO E VERIFICA DELL’ESITO DI DUE PSICOTERAPIE A TEMPO DEFINITO A INDIRIZZO PSICODINAMICO SUPPORTIVO-ESPRESSIVO L. Contiero, S. Calloni, M. Gatti, S. Giussani, M. Pastori, C. Rodini, C. Pruneti. Azienda Ospedaliera San Gerardo, Unità Operativa di Psichiatria, 36, Brughero, Milano. Il campione è costituito da due pazienti con disturbo nell’area nevrotica. Gli strumenti utilizzati sono stati: SCL-90 R di Derogatis per il profilo sintomatologico e livello di distress; l’intervista R.A.P. per individuare gli RE, in fase iniziale e fase finale,sui quali è stata effettuata la codifica tramite il C.C.R.Te il S.A.S.B. Le ipotesi di lavoro sono state: 1) se e come l’assessment utilizzato potesse essere in grado di fornire dati per formulare un focus terapeutico, creando un’alleanza di lavoro su un obiettivo definito; 2) come la psicoterapia così definita possa portare al cambiamento di pattern maladattivi (in tempi brevi, sei mesi circa) e quindi ad un maggior benessere (accettabile livello di distress), ottenuto alla fine dei trattamenti. Parole chiavi C.C.R.T., S.A.S.B.,psicoterapie a tempo definito, esiti. ON NEUROTIC DISORDERS IN VENEROLOGIC AND DERMATOLOGIC CLINIC E.A.Shembeleva Ukraine, Kiev´s Institute of Psychology of Ukrainian Academy of Pedagogical Sciences More complete and deep understanding of the process of neurotisation in dermatologic and venereologic practice) needs the further research and analysis of factors, determining the process of neurotisation, as well as that pathopsychologic features of the personality, the ways of patient's reaction to the disease and motivation of his behaviour. In this connection a realization of complete clinical check up of the patient (including an assesment of his psychical state ) considering nosology, social, professional and age factors, are actual and necessary. Arising during clinical current of venereal and dermatologic illnesses and their treatment in hospital the negative emotional disorders often have depressive character. Note that in contrast to depressions of another ethyology, in behaviour of this category of patients anxiety prevails over melancholy. The combination of anxiety, alarm and fears for the recovery unmotivated by gravity of clinical semiology is typical. The states of euphoria, excessive motor-psychological mobility, overexcitement and verbosity are observed incidentally. Long psychoemotional stress that patients of this category develop gradually, promotes change in dynamics of mental activity. It is frequently shown in mental inertness, difficulties of psychological switching from ideas on illness, fluctuations of ability to work, a nervous exhaustion. Inadequate reaction of the person to illness may be caused by necessity of changing developed habits and other socially motivated factors, determining character of the person. Dermatosis or venereal illness occurred form the internal picture of illness (IPI) not always adequately reflecting a present situation of a somatic pathology and a psychological stress caused by it. During the clinical experimental research carried out in female venereologic ward of the Crimean Health Center for Skin and Venereal diseases when it was examined 125 women with disease Lues (Lues II recidiva, Lues latens praecox), the following most frequently occured pathopsychologic disorders were revealed: asthenic syndrome is observed practically with every, with the small exception, ill woman. To a slight degree astheny - the permanent concomitant of almost any disease. However, the asthenic syndrome arises always only in clinical modification and then not just astheny, but, for example, neurotic astheny occurs. The main symptoms with such ill women are undue fatiguability, exhaustion of psychological processes (the attention decreases, the absent-mindedness accrues, the concentration becomes problematic). The behaviour of patients reveals itself in impatience, a fast exhaustion of purposeful activity.The psychological and physical ability to work are reduced. Such complaints, as weariness, an insomnia, slackness are characteristic for patients. Frequently on an astheny background of such patients also other neurotic and neurosis-like symptoms and disorders proceed. Syndromes of obtrusiveness also usually proceed on a background of this or that asthenic complex of symptoms. Obtrusive disorders are subdivided into obsessive (in intellectual sphere), phobic (in emotional sphere) and compulsive (in motor sphere). In clinic of venereal and dermatologic diseases more often the subdepressive (nonpsychotic) and asthenic-subdepressive comlexes of symptoms are observed. Concerning persons of a female contingent with diagnosis Lues it is necessary to note, that frequently subdepressive state, and sometimes even evident depressions are combined with unmotivated swings of mood. Incidentally a state of the euphoria, an inadequate estimation of the disorder, the increase of motor-psychical mobility characterized by fussy activity, verbosity are sometimes observed. At women in a subdepression disorder the uneasiness is raised, suspiciousness and tearfulness is marked. Other variants are asthenic-hypochondric and obsessive-hypochondric syndromes. Hypochondric manifestations represent first of all neurotic hypochondric processing of neurovegetative and neurosomatic frustration that are typical for modern forms of neuroses. Hysterical syndromes. The hysteria is the second by frequency, after a neurasthenia, form of a neurosis, and can be observed with women much more often, than with men. A hysterical syndrome is rather frequently observed at a female contingent in clinic of disease Lues. These five above mentioned positive psychopathological syndromes are most frequently observed with persons of a female contingent that suffer from the disease Lues. QUEL CHE RESTA DELLA PSICOTERAPIA: ANALISI DELLE NARRAZIONI E DELLE RAPPRESENTAZIONI DEL PAZIENTE E DEL TERAPEUTA IN UNO STUDIO PILOTA DI FOLLOW-UP A. Cotugno, P. Castelli, F. Manaresi, A. Mazzucchelli, G. Morganti 2° Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Il concetto di rappresentazione ha una lunga storia nel campo sia della psicologia sperimentale che clinica. Termini quali schema, immagine interna o modello operativo appaiono fortemente connessi al concetto di rappresentazione, e hanno costituito per lungo tempo i costrutti di base per lo studio del funzionamento mentale e per la comprensione dell’organizzazione del Sé. Dalla metà degli anni ottanta l’attenzione si è spostata sul modo in cui l’individuo organizza le sue rappresentazioni in una narrazione coerente e integrata: l’enfasi sulla narrazione, ha sicuramente permesso di cogliere la funzione sintetica della coscienza e il suo ruolo nell’organizzare le memorie in un continuum temporale. Recenti lavori del cognitivismo sperimentale mettono in evidenza come il “sé narrativo” sia funzione del “sè interpersonale”, il cui sviluppo si fonda sulla base di regole motivazionali innate (Neisser, 1993; Trevarthen, 1998). Anche i lavori sperimentali della Main e quelli clinici di Fonagy evidenziano come lo sviluppo di una buona competenza narrativa individuale sia fortemente correlata alle dinamiche della dimensione interpersonale; non solo, indicano anche che una buona competenza narrativa è espressione di buone capacità metacognitive (Fonagy, 1991, 1993; Main, 1991) . Date queste premesse, appare evidente come il campo psicoterapeutico costituisca un’area d’osservazione privilegiata per la comprensione dell’intersezione tra dimensione individuale e quella interpersonale. L’ipotesi che abbiamo voluto verificare è che una buona capacità del paziente di organizzare le proprie rappresentazioni in un racconto coerente (indice di esito intra-individuale) sia associato a una buona concordanza con il racconto del terapeuta (indice di esito inter-individuale): la nostra ipotesi è che le terapie a buon esito siano caratterizzate sia da una buona coerenza intra-individuale (coerenza tra rappresentazioni e narrazioni) che da una concordanza inter-individuale (concordanza tra narrazioni del paziente e del terapeuta). Sono stati analizzati i resoconti di terapie concluse di 25 coppie di paziente-terapeuta. I resoconti sono stati raccolti sia mediante questionari strutturati che attraverso interviste semistrutturate. L’analisi, condotta secondo la metodologia presentata in altro lavoro, ci ha consentito di distinguere il nostro campione in tre gruppi: terapie a buone esito completo, terapie a buone esito parziale e terapie ad esito negativo. Nel gruppo di soggetti a buon esito abbiamo riscontrato una sostanziale convergenza nelle rappresentazioni delle coppie di pazienti e terapeuti, elemento che non è stato riscontrato nel gruppo a esito negativo. Un dato interessante è il diverso profilo di convergenza narrativa riscontrato nei tre sottogruppi del nostro campione: l’analisi della convergenza è stata articolata in tre aree tematiche (Problema, Relazioni Interpersonali, Relazione Terapeutica) e 10 indici di convergenza (Teoria del Disagio, Cambiamento Teoria del Disagio, Facilitatori del Cambiamento Teoria del Disagio; Relazioni Interpersonali, Cambiamento Relazioni Interpersonali; Eventi in Terapia, Significato Eventi in Terapia, Linguaggio Condiviso). In particolare, il gruppo a buon esito presentava punteggi di elevata convergenza rispetto ai punti Cambiamento Teoria Disagio e Significato Eventi in Terapia, punti in cui nelle terapie a esito negativo si registrava la massima divergenza. Inoltre, nelle terapie ad esito negativo abbiamo riscontrato anche livelli di incoerenza tra le risposte al questionario e all’intervista (bassa coerenza intra-individuale). I dati preliminari, pur sostenendo l’ipotesi di partenza, ovviamente non ci consentono di effettuare generalizzazioni conclusive, ma ci confortano nell’intento di allargare la nostra ricerca ad altri casi. Riferimenti bibliografici Neisser U. (1993) The Perceived Self (a cura di), Cambridge Univerity Press Fonagy P. (1991), Thinking about thinking: some clinical and theoretical considerations in the treatment of a borderline patient, Int. J. Psycho-Anal., 72, 639-656. Fonagy P. (1993): The predicitive specificity of Mary Main's Adult Attachment Interview: implications for psychodynamic theories of normal and pathological emotional development. Relazione presentata alla conferenza:John Bowlby Attachment Theory: Historical, Clinical and Social Significance, Toronto, October 20-23, 1993.s Main M. (1991), Metacognitive knowledge, metacognitive monitoring and singular (coherent) vs. multiple (incoherent) model of attachment. In Parkes C.M., Stevenson-Hinde J. & Marris P. (a cura di): "Attachment across the life cycle", London, Routledge. Trevarthen C. (1998) Empatia e Biologia, Raffaello Cortina Editore Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa RIICCEERRCCAA EMMPPIIRRIICCAA EE MOODDEELLLLII DDII PSSIICCOOPPAATTOOLLOOGGIIAA DDEELLLLAA PEERRSSOONNAALLIITTAA’’ C Coooorrddiinnaattoorree:: G Giiuusseeppppee N Niiccoollòò M Mooddeerraattoorree:: V Viittttoorriioo LLiinnggiiaarrddii ANALISI COMPARATIVA DEI PROFILI METACOGNITIVI CONDOTTA SU CASI DI DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E FOBIA SOCIALE: PRIMI RISULTATI R. Popolo, M. Procacci, D. Petrilli, G. Vinci III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Negli ultimi anni sempre maggiore attenzione è stata volta nel cercar di definire i “confini” dell’ansia sociale, quadro clinico identificato da Marks (1970) ma introdotto nella nosografia corrente con il DSM III. Le modificazioni ai criteri diagnostici apportate dal successivo DSM III-R, la possibilità di formulare doppia diagnosi, hanno prodotto una serie di ricerche cliniche che hanno evidenziato frequenti sovrapposizioni con altri disturbi psichiatrici, in particolare, con la diagnosi di Disturbo Evitante di Personalità. Dal punto di vista clinico, l’evitamento sociale, l’ipersensibilità al giudizio rappresentano elementi comuni ai due disturbi, tanto da renderli difficilmente distinguibili. Numerosi ricercatori sostengono allora che Fobia Sociale generalizzata e Disturbo Evitante di Personalità possono essere considerati all’interno di un continuum psicopatologico, dove le differenze sono di carattere quantitativo, di gravità e pervasività, piuttosto che qualitative. Da anni il nostro gruppo di ricerca del III Centro di Psicoterapia Cognitiva è impegnato nello studio dei Disturbi gravi di Personalità. Obiettivo di questo lavoro è quello di proporre un modello di funzionamento specifico per i pazienti con diagnosi di FS e per quelli con diagnosi DEP, al fine di individuare aspetti specifici dei due disturbi. Sono state analizzate le trascrizioni integrali delle sedute di due trattamenti psicoterapeutici, uno ad orientamento cognitivo, l'altro ad orientamento psicodinamico, interamente audioregistrati: il primo, di un paziente con diagnosi di FS ( n° sedute = 40); il secondo, di un paziente con diagnosi di DEP (n° sedute = 38 ). Sono stati selezionati due casi che secondo i criteri del DSM IV non presentavano comorbidità delle due diagnosi in oggetto. L’analisi delle sedute è avvenuta attraverso la S.V.a.M. (Scala di Valutazione della Metacognizione); in tale scala la funzione metacognitiva è suddivisa in tre sottofunzioni principali (Autoriflessività, Comprensione della Mente altrui/Decentramento e Mastery). I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi statistica al fine di individuare le aree maggiormente deficitarie; sono stati quindi comparati gli andamenti delle diverse sottofunzioni nei due casi considerati. I primi risultati ottenuti possono essere così riassunti: 1) Autoriflessività: questa funzione risulta maggiormente deficitaria nel DEP, dove i fallimenti sono ben rappresentati e prevalgono in particolare nel “Ruolo delle variabili” e nell’ “Integrazione”; l’autoriflessività è invece funzionante nella FS, con rari fallimenti; 2) Decentramento: nel caso di FS i fallimenti sono costantemente più numerosi rispetto ai successi, a differenza di quanto accade nel DEP; tale funzione sembrerebbe quindi più deficitaria nel FS; 3) Mastery: tale funzione sembra essere più deficitaria nel DEP, dove i fallimenti sono sempre più numerosi dei successi, ad esclusione delle strategie di I livello; nel caso di FS possiamo trovare un rapporto a favore dei fallimenti nella prima parte di terapia, per quanto riguarda le strategie di II e III livello. Questi dati preliminari sembrano confermare come diverse disfunzioni metacognitive correlino positivamente a diversi quadri clinici che in tal modo possono essere distinti. Risultati incoraggianti che preparano il campo ad un ampliamento del campione in esame, al fine di poter verificare quanto il confronto tra casi singoli mostra. Riferimenti bibliografici Carcione, A. Semerari, G. Dimaggio, M. Falcone, G. Nicolò, I. Pontalti, M. Procacci Metacognitive functions in the treatment of severe patients SPR Conference, Leiden, 7-10 marzo 2001. Herbert JD, Hope DA, Bellack AS. Validity of the distinction between generalized social phobia and avoidant personality disorders. J Abnorm Psychol 1992; 101:332-339. Holt CS, Heimberg RG, Hope DA. Avoidant personality disorder and the generalized subtype of social phobia. J Abnormal Psychol 1992; 101: 318-325. Moutier CY, Stein MB. The history, epidemiology, and differential diagnosis of social anxiety disorder. J Clin Psychiatry 1999; 60 (suppl 9): 4-8. Procacci M., Popolo R., Vinci G., Semerari A., Carcione A., Dimaggio G., Falcone.M., Nicolò, Pontalti I., Alleva G. Stati Mentali e funzioni metacognitive nel disturbo evitante di personalità: studio su caso singolo Ricerca in Psicoterapia 2000,Vol.3, n°1, pp.66-89 Turner SM, Beidel DC, Dancu CV, Keys DJ. Psychopathology of social phobia and comparison to avoidant personality disorder. J Abnorm Psychol 1986; 95: 389-394. DEFICIT METACOGNITIVI E STATI PROBLEMATICI NEL DISTURBO PARANOIDEO DI PERSONALITÀ: RICERCA SU CASO SINGOLO S. Nobile, E. Centenero, G. Nicolò, F. Porcari III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Introduzione Il presente lavoro si inserisce all’interno di un progetto di ricerca sulla identificazione dei profili metacognitivi nei disturbi di personalità. Uno dei problemi alla cura è da ricercarsi proprio nelle caratteristiche del funzionamento mentale dei pazienti affetti da gravi disturbi di personalità quasi sempre caratterizzato da stati problematici complessi o difficilmente identificabili, scarse abilità metacognitive se non gravi deficit. La relazione terapeutica ha la potenzialità di vicariare il deficit o di permettere lo sviluppo di strategie euristiche che permettano al paziente di fronteggiare particolari stati problematici fonte di sofferenza. Metodo Viene analizzato un caso clinico di un paziente di 39 anni affetto da Disturbo paranoideo di personalità secondo i criteri del DSM IV, il cui trattamento psicoterapeutico di 40 sedute, di cui solo 33 registrate, nell’arco di due anni e mezzo si è concluso con esito positivo misurato con BPRS, VGF, AMDP. Tale psicoterapia previo consenso scritto del paziente, è stata interamente sbobinata, trascritta, modificati tutti nomi per rendere anonimo il trascritto; il testo è stato suddiviso in episodi narrativi, e tali segmenti sono stati valutati con la Griglia dello Stato Problematico e con la Scala di Valutazione della Metacognizione. Risultati Sono stati identificati: a) profilo metacognitivo caratterizzato da deficit di due funzioni metacognitive: Decentramento e Differenziazione, b) stati mentali problematici organizzati in clusters discreti che permettono di formulare ipotesi sul funzionamento mentale del paziente e spiegare le manifestazioni nonché il mantenimento della patologia. Tali riscontri possono costituire una base per la costruzione di specifiche modalità di intervento terapeutico. Viene inoltre confermata l’utilità di tali strumenti di indagine per la descrizione clinica del processo e dell’esito in psicoterapia. Conclusioni Verranno discussi i risultati e sulla base di questi stessi proposto un modello clinico del funzionamento del paziente paranoideo e delle strategie che dovrebbero essere adottate in un trattamento psicoterapeutico. Verranno mostrate tranche di terapia esemplificative. DEFICIT METACOGNITIVI E CICLI INTERPERSONALI NEL DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITÀ: ANALISI DI UN CASO SINGOLO D. Fiore, D. Petrilli, S. Mancioppi, G. Dimaggio III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Introduzione Questo lavoro si propone di ipotizzare la presenza di eventuali correlazioni tra deficit metacognitivi e specifici cicli interpersonali specifici nei pazienti affetti da Disturbo Narcisistico di Personalità. In particolare ipotizziamo che il riconoscimento e la gestione dei cicli interpersonali nella relazione terapeutica possa favorire un incremento delle capacità metacognitive significativamente deficitarie. Metodo E’ stato analizzato il caso clinico di una paziente di 28 anni con diagnosi di disturbo Narcisistico di Personalità secondo i criteri del DSM-IV. Sono state audioregistrate e trascritte, previo consenso della paziente, le prime 27 sedute (primo anno di terapia) e valutate con la Scala di Valutazione della Metacognizione (SVAM). Su tali trascritti è stata effettuata un analisi microtestuale qualitativa dei Cicli Cognitivi Interpersonali nell’accezione di Safran e Segal. Risultati Dall’analisi del caso singolo si evince una significativa incapacità nell’accesso ai propri stati emotivi e una difficoltà a connettere le varie componenti degli stati mentali tra loro e/o con variabili relazionali e sociali. Lo studio microtestuale su tranche di sedute significative ha permesso di evidenziare una variazione delle funzioni metacognitive in relazione al riconoscimento e alla gestione dei cicli cognitivi interpersonali (sia nel racconto che nell’attivazione tranferale) da parte del terapeuta. Conclusioni Verranno discussi i risultati e sulla base di questi, improntati futuri progetti di ricerca volti ad articolare e approfondire le modalità di funzionamento della Personalità Narcisistica e a sviluppare appropriate strategie di intervento terapeutico. DEFICIT METACOGNITIVI E STATI PROBLEMATICI NEL DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITÀ: ANALISI SU CASO SINGOLO B. Rossi, L. Conti, A. Carcione III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva, Associazione di Psicologia Cognitiva Roma Il presente lavoro si inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca sui disturbi di personalità condotto presso il III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma. E’ stato evidenziato in altri lavori (Semerari, 1999) come i Disturbi di Personalità si caratterizzino per un deficit nel funzionamento metacognitivo che varia a seconda dello specifico disturbo e per la presenza di stati problematici complessi a volte difficilmente identificabili proprio in relazione al malfunzionamento metacognitivo. Riteniamo che il funzionamento mentale dei soggetti con disturbo dipendente di personalità sia essenzialmente caratterizzato dall’oscillazione tra stati di autoefficacia, in cui il soggetto ha di sé un’immagine positiva, forte ed adeguata, e stati di vuoto terrifico disorganizzato. A questi stati mentali, più stabili, se ne aggiungono altri maggiormente legati all’andamento delle relazioni interpersonali: lo stato di overwhelming e lo stato di coercizione (Carcione, et. al. in press) Riteniamo che gli stati mentali caratterizzanti la sintomatologia del disturbo dipendente siano sostenuti da un deficit nel funzionamento metacognitivo caratterizzato dalla difficoltà ad accedere ad una rappresentazione dei propri desideri, dei propri scopi e dei piani per raggiungerli (Carcione, Nicolò, Semerari, 1999). Nel presente lavoro vengono analizzati gli stati problematici ed il funzionamento metacognitivo in una paziente con diagnosi di Disturbo Dipendente di Personalità secondo i criteri del DSM IV. Sono state registrate 25 sedute ed è stata fatta una valutazione dello status psicopatologico e del funzionamento sociale tramite alcune rating scale (BPRS, AMDP, VGF). Le sedute sono state valutate tramite la Griglia degli Stati Problematici e con la Scala di Valutazione della Metacognizione. Verranno discussi i risultati e sulla base di essi viene presentato un modello psicopatologico di funzionamento del Disturbo Dipendente di Personalità e le implicazioni che ciò comporta per l’impostazione del trattamento psicoterapeutico. Riferimenti bibliografici Semerari A. 1999. Psicologia cognitiva del paziente. Metacognizione e relazione terapeutica. Cortina, Milano. Carcione A., Conti L., 2001. Stati mentali, deficit metacognitivi e cicli interpersonali nel Disturbo Dipendente di Personalità. Revista de Psicoterapia. In press Carcione A., Nicolò G., Semerari A. (1999). Deficit di rappresentazione degli scopi. In Semerari A. (ed.) Psicoterapia Cognitiva del Paziente Grave. Raffaello Cortina Milano. SSeessssiioonnee tteem maattiiccaa ILL COONNTTRRIIBBUUTTOO DDEELLLLAA RIICCEERRCCAA IINN PSSIICCOOLLOOGGIIAA COOGGNNIITTIIVVAA AALLLLAA COONNOOSSCCEENNZZAA DDEELL DIISSTTUURRBBOO OSSSSEESSSSIIVVOO COOMMPPUULLSSIIVVOO (D.O.C.) C Coooorrddiinnaattoorree:: F Frraanncceessccoo M Maanncciinnii M Mooddeerraattoorree:: TTuulllliioo SSccrriimmaallii ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ, TIMORE DI COLPA E PROCESSI COGNITIVI F. Mancini Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva. Associazione di Psicologia Cognitiva – Roma I modelli cognitivisti più recenti ed accreditati, riprendendo un’antica e robusta tradizione, hanno riconosciuto all’assunzione di responsabilità ed al timore di colpa un ruolo cruciale nella determinazione e nel mantenimento del DOC. Numerose e diverse ricerche sostengono questa ipotesi. Le ricerche che sono presentate nella sessione rientrano in un più vasto filone di ricerca che parte dal presupposto di un continuum tra DOC e funzionamento normale ed ha come obiettivo l’identificazione delle condizioni cognitive, credenze e scopi, che determinano l’elaborazione delle informazioni e le modalità decisionali alla base del DOC. La domanda a cui si cerca di rispondere è la seguente: che cosa un individuo normale deve arrivare a credere e quali scopi deve arrivare a perseguire affinché egli manifesti ossessioni e compulsioni? L’ipotesi generale è che lo stato cognitivo capace di generare e sostenere ossessioni e compulsioni sia caratterizzato dalla previsione di poter causare un danno ingiusto attraverso un atto o una omissione che si ritiene di poter evitare e si sente di dover evitare. Le ricerche presentate esplorano l’influenza che, in soggetti normali, l’assunzione di responsabilità ed il timore di colpa hanno su alcuni processi cognitivi come la decisione, il ragionamento condizionale, e sulla soluzione di compiti di attenzione e di memoria visuo-spaziale. Si ipotizza che l’influenza del timore di colpa sia tale da modulare i processi cognitivi studiati in senso ossessivo. Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di assunzione di colpa F. Mancini, A. Gangemi Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva. Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma In questo paper esaminiamo come varia la preferenza tra scelte rischiose ed avverse al rischio a seconda che l’individuo senta di aver violato un dovere o si senta vittima di un’ingiustizia. Ipotizziamo che la scelta dell’individuo dipenda dal riconoscimento dei propri diritti e doveri più che dalla formulazione della scelta in termini di perdite o guadagni (formulation effect) come sostenuto da Tversky and Kahneman (1981). Abbiamo ipotizzato, in particolare, che la percezione di essere vittime di un danno ingiusto implica la preferenza per scelte rischiose mentre la percezione di essere dalla parte del torto implica la preferenza per scelte certe. Abbiamo anche ipotizzato che l’effetto delle assunzioni morali prevale sul formulation effect. I risultati confermano le ipotesi. Sono discusse le implicazioni per la comprensione dell’attitudine alla scelta certa tipica degli ossessivi. RESPONSABILITÀ E PROCESSI DI CONTROLLO DELLE IPOTESI A. Gangemi, B. Filippi, F. Lelli, M. Olivieri, L. Re, F. Mancini Scuola di Psicoterapia Cognitiva – Associazione di Psicologia Cognitiva di Roma È ampiamente riconosciuto il ruolo della responsabilità nella genesi e nel mantenimento del DOC, in particolare è stato dimostrato come in soggetti normali l’assunzione di responsabilità si traduca in comportamenti simil-ossessivi cioè ripetitivi e persistenti. Il problema che sorge è la mediazione cognitiva di questo effetto del timore di irresponsabilità. Utilizzando una procedura sperimentale analoga al ben noto Wason Selection Task, abbiamo dimostrato che soggetti normali in condizioni di responsabilità posti di fronte ad una ipotesi di pericolo la controllano in modo confirmatorio e, al contrario, posti di fronte ad un’ipotesi di sicurezza la controllano ricercandone i controesempi. IL SENSO DI RESPONSABILITÀ NELLE OSSESSIONI E COMPULSIONI F. D'Olimpio, L. Cieri e F. Mancini Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva. Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma Nella letteratura cognitivista (Rachman, 1997, 1998; Salkovskis 1985, Salkovskis et al., 1998; OCCWG, 1997), si attribuisce ad un senso di responsabilità particolarmente spiccato (inflated responsibility), un ruolo cruciale nello sviluppo e nel mantenimento del DOC. L'esistenza di una relazione positiva tra responsabilità e DOC è stata interpretata sia in termini di associazione tra ossessività e responsabilità, sia nei termini di un ruolo causale della responsabilità eccessiva nella genesi e nel mantenimento del disturbo OC (Freeston et al., 1993; Rhéaume et al., 1995; Ladoucer et al., 1997; Wilson & Chambless, 1999). Recentemente, Mancini (in press), analizzando gli ingredienti cognitivi che costituiscono il senso di responsabilità, ha evidenziato come non sia tanto un senso di responsabilità eccessiva a produrre un DOC, quanto il timore di una colpa per irresponsabilità. Il nostro lavoro si propone di indagare in che modo e con quale intensità un aumento di responsabilità, ovvero la presenza di un timore di una colpa, possano produrre un comportamento ossessivo. A questo scopo, seguendo la definizione di responsabilità di Mancini, abbiamo manipolato questo ingrediente e il timore di una colpa per irresponsabilità in soggetti normali, tramite istruzioni ad un semplice compito di memoria visuo-spaziale. In particolare, ad alcuni soggetti (gruppo R) abbiamo fornito informazioni responsabilizzanti rispetto al compito da svolgere, mentre ad altri soggetti (gruppo RA) sono state fornite informazioni che fossero non solo responsabilizzanti rispetto al compito ma che destassero una preoccupazione rispetto alla propria performance. I risultati mostrano che sia il gruppo R che RA hanno un maggior numero di ripetizioni rispetto a soggetti che non hanno avuto istruzioni responsabilizzanti, ma che il gruppo RA ha un incremento significativo dei comportamenti ossessivi rispetto al gruppo R. Inoltre, è interessante sottolineare come ad un aumento del numero di controlli eseguiti dai soggetti non ha fatto seguito un miglioramento della performance. Se da una parte i risultati sembrano confermare l'importanza del costrutto di responsabilità nel DOC, dall'altra sottolineano l'importanza del timore di una colpa per irresponsabilità per la manifestazione del DOC. IL RUOLO DEL DISGUSTO NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO A. Gragnani, F. Mancini Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma Introduzione Nonostante i pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) manifestino frequentemente pensieri e compulsioni riguardo lo sporco e la contaminazione, poche evidenze sperimentali sono state prodotte in letteratura a sostegno di una relazione tra il disgusto e il DOC. Power and Dalgleish (1997) hanno suggerito che il disgusto potrebbe essere implicato nella genesi e nel mantenimento del DOC. Phillips et al. (1998), basandosi su un’analisi dei contenuti dei pensieri e dei comportamenti di pazienti con DOC, hanno proposto che i disturbi Washing siano strettamente connessi con il disgusto, mentre i disturbi Checking all’ansia. Power and Dalgleish, hanno invece suggerito che anche i disturbi Checking potrebbero essere connessi al disgusto. Le evidenze a favore di una relazione tra disgusto e DOC sono supportate da osservazioni cliniche (ad es., Tallis, 1996). In letteratura sono presenti una serie di evidenze neuropsicologiche e neuroradiologiche riguardo ad anomalie nelle regioni fronto–striatali nei DOC (Abruzzese et al., 1997). I pazienti mostrano un incremento metabolico e di flusso sanguigno nelle regioni orbito-frontali e striatali (Breiter & Rauch, 1996), regioni che risultano essere coinvolte anche nell’emozione del disgusto (Sprengelmeyer, et al., 1997). Lo scopo di questa ricerca risiede nello studiare la presenza di una specifica relazione tra il DOC e il disgusto, indipendentemente da altri sintomi di psicopatologia generale. Metodo Abbiamo somministrato a 278 (100 maschi e 179 femmine; età media 25,5 anni, d.s. = 8) soggetti non clinici la Disgust Scale (DS) (Haidt et al., 1994), il Padua Inventory-Revised (PI-R) (van Oppen et al., 1995), lo State-Trait Anxiety Inventory (Spielberger, 1983) e il Beck Depression Inventory (Beck & Steer, 1987). Lo specifico contributo del disgusto alla predizione delle ossessioni e compulsioni è stato valutato attraverso una serie di analisi della regressione (gerarchica), effettuate sul punteggio totale del PI-R e su ognuna della sottoscale del PI-R stesso. Per realizzare queste analisi abbiamo messo sotto controllo l’età, la depressione e l’ansia. Risultati I risultati della regressione gerarchica mostrano una relazione positiva significativa tra disgusto e sintomi ossessivi (alti punteggi delle scale del PI-R sono associati con alti punteggi del disgusto). Comportamenti di lavaggio e di controllo sono predetti meglio dal disgusto, mentre impulsi e ruminazioni sono meglio predetti dall’ansia e/o dalla depressione. Discussione La relazione tra disgusto e sintomi ossessivo-compulsivi può avere importanti implicazioni sia per la pratica clinica sia per la teoria. Riguardo agli aspetti clinici, alcune ossessioni e compulsioni, specialmente i comportamenti di lavaggio, i rituali di ordine e di simmetria, potrebbero essere meglio spiegati in termini di paura. I loro sintomi sono probabilmente focalizzati sull’idea di diventare sporchi e disgustosi, e potrebbero essere meglio compresi come tentativi volti a ridurre la loro sensazione di disgusto, piuttosto che la loro ansia. L’implicazione teorica più importante dei nostri risultati è che la sensibilità al disgusto consente distinguere due sottogruppi di ossessioni e compulsioni in accordo con la proposta di Power and Dalgleish (1997) e di Phillips et al. (1998) riguardo ad una distinzione tra due tipi di DOC: anxiety-based OCD e disgust-based OCD. Il disgusto sembra essere correlato non solo ai disturbi Cleaning, ma anche ai disturbi Checking, mentre l’ansia risulta preminente negli impulsi e nelle ruminazioni ossessive. Ulteriori studi, condotti su campioni clinici, sono necessari per valutare il ruolo del disgusto nella genesi e nel mantenimento del DOC, e per verificare se è possibile distinguere tra differenti sotto-tipi di DOC sulla base della sensibilità al disgusto. Riferimenti bibliografici Abruzzese, M., Ferri, S. & Scarone, S. (1997). The selective breakdown of frontal function in patients with obsessive-compulsive disorder and in patients with schizophrenia: a double dissociation experimental finding. Neuropsychologia, 35, 907-912. Beck, A.T. & Steer, R. (1987). Beck Depression Inventory Scoring Manual. The Psychological Corporation. New York: Harcourt Brace Janovich. Breiter, H.C. & Rauch, S.L. (1996). Functional MRI and the study of OCD: from symptom provocation to cognitive-behavioural probes of cortico-stiatal systems and the amigdala. NeuroImage, 4(suppl.), S127-S138. Haidt, J., McCauley, C. & Rozin, P. (1994). Individual differences in sensitivity to disgust: a scale sampling seven domains of disgust elicitors. Personality Individual Differences, 16, 701-713. Phillips, M.L., Senior, C., Fahy, T. & David, A.S. (1998). Disgust – the forgotten emotion of psychiatry. British Journal of Psychiatry, 172, 373-375. Power, M. & Dalgleish, T. (1997). Cognition and Emotion. From Order to Disorder. Psychology Press. East Sussex, UK: Erlbaum. Spielberger, C.D., Gorsuch, R.L., Lushene, R., Vagg, P.R. & Jacobs, G.A. (1983). Manual for the State-Trait Anxiety Inventory (Form Y). Palo Alto, CA: Consulting Psychologists Press. Sprengelmeyer, R., Young, A.W., Pundt, I., Sprengelmeyer, A., Calder, A.J., Berrios, G., Winkel, R., Vollomoeller, W., Kuhn, W., Sartory, G. & Przuntek, H. (1997). Disgust implicated in obsessive-compulsive disorder. Proceedings of the Royal Society of London, Series B, 264, 1767-1773. Tallis, F. (1996). Compulsive washing in the absence of phobic and illness anxiety. Behaviour Research and Therapy, 34, 361-362. Van Oppen, P., Hoekstra, R.J. & Emmelkamp, M.G. (1995). The structure of obsessive compulsive symptoms. Behaviour Research and Therapy, 33, 15-23. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa TRRAATTTTAAMMEENNTTOO DDEEII DIISSTTUURRBBII DDII PEERRSSOONNAALLIITTAA’’ C Coooorrddiinnaattoorree ee M Mooddeerraattoorree:: A Annttoonniioo SSeemmeerraarrii PSICOTERAPIE DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ: UNA RILEVAZIONE DI VARIABILI OBIETTIVE SU CINQUE ANNI C. Maffei Università Vita-salute, San Raffaele - Milano Obiettivo di questa ricerca è la rilevazione compiuta tramite schede compilate dai terapeuti di variabili obiettive riguardanti psicoterapie di pazienti con disturbi di personalità nel corso degli ultimi cinque anni. Presso il Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’Istituto Scientifico Ospedale san Raffaele-Università Vita-salute San Raffaele è attivo da anni un ambulatorio esclusivamente dedicato alla psicoterapia dei disturbi di personalità in cui lavorano 20 terapeuti, sia in ambito individuale che di gruppo. I pazienti vengono inviati ai terapeuti dopo una valutazione clinico-diagnostica che comprende la somministrazione dell’intervista SCID-II da parte di un’équipe di cui è costantemente monitorata l’interrater reliabilty, in modo tale da garantire una uniformità diagnostica. Tale procedura è in atto da circa cinque anni ed ha sottoposto a valutazione più di 1500 pazienti. In questa ricerca vengono rilevati, tra i pazienti che hanno effettivamente iniziato una psicoterapia, una serie di parametri obiettivi tra cui: durata della terapia, interruzione della terapia, presenza di terapia farmacologia, ospedalizzazioni, adattamento relazionale, sociale, lavorativo all’inizio della terapia ed alla fine, o all’interruzione, di essa. Gli scopi di questa raccolta di dati sono molteplici: tra di essi quello di rilevare eventuali associazioni tra caratteristiche diagnostiche categoriali/dimensionali, e durata o interruzione della terapia; confronto per i medesimi parametri tra terapie individuali e di gruppo; influenza del trattamento farmacologico rispetto all’assenza di esso; frequenza di interruzioni e riprese delle psicoterapie ed eventuale influenza di essa sulle variabili di adattamento, rispetto a psicoterapie condotte in maniera continuativa. VALUTAZIONE DEL FUNZIONAMENTO METACOGNITIVO NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ (1) A. Carcione, L. Conti, G. Dimaggio, M. Falcone, I. Pontalti, G. Nicolò, M. Procacci, A. Semerari Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cogntiva (A.P.C.) - III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma. La premessa da cui parte il nostro lavoro è che alcuni tipi di psicopatologia si caratterizzano per la presenza di deficit più o meno gravi del funzionamento metacognitivo. Per funzione metacognitiva intendiamo quell'insieme di attività mentali che ci consentono di comprendere, monitorare e regolare stati mentali propri ed altrui, e di operare su di essi per la risoluzione di compiti e per padroneggiare stati mentali problematici (Carcione et al. 1997; Carcione e Falcone 1999). Il punto centrale del nostro lavoro, che lo differenzia da altri studi e ricerche sulle attività di mentalizzazione, è la tesi secondo cui la metacognizione non è una funzione unica, ma è un’attività mentale complessa, costituita da sottofunzioni differenti indipendenti le une dalle altre. Pertanto, salvo in casi di particolare gravità, non osserviamo deficit della metacognizione in generale, ma in specifiche sottofunzioni, mentre, contemporaneamente, altre saranno correttamente operanti. Ad esempio è possibile osservare un'incapacità nel definire le propri emozioni e le cause della condotta, ma un buon funzionamento nella capacità di distinguere tra fantasia e realtà e di integrare stati mentali diversi in narrazioni coerenti. L'osservazione indipendente dell'andamento delle singole sottofunzioni nel corso della psicoterapia, valutate su trascritti di sedute tramite la Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.) (Carcione et al., 1997), consente di descrivere profili di deficit metacognitivi differenti in diversi disturbi di personalità (Semerari et al., 2001). Ciascun profilo influenzerà in modo peculiare il quadro clinico e porrà problemi diversi al trattamento psicoterapeutico (Semerari et al., 2000). Il tentativo è quello di riuscire a delineare dei profili di deficit metacognitivi specifici per classi di disturbi. Nel presente lavoro illustreremo la metodologia di indagine e mostreremo i dati derivanti dall'osservazione di pazienti con diversi disturbi di personalità (Narcisistico, Evitante, Borderline, Dipendente, Paranoide) e di alcuni pazienti con diagnosi esclusivamente sulla'Asse I del DSM IV, mettendone in evidenza le caratteristiche peculiari e le implicazioni che ne derivano per il trattamento. Riferimenti bibliografici Carcione A., Falcone M., Manaresi F., Magnolfi G. (1997). La funzione metacognitiva in psicoterapia: Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.). Psicoterapia, 9, pp.91-107. Carcione A., Falcone M. (1999). Il concetto di metacognizione come costrutto clinico fondamentale per la psicoterapia. In: Semerari A. (a cura di), Psicoterapia cognitiva del paziente grave, Milano, Raffaello Cortina Editore. Semerari A., Carcione A., Falcone M., Nicolò G. (2001), È possibile osservare diversi profili metacognitivi in diversi disturbi di personalità? Come misurare la funzione metacognitiva in psicoterapia. Sistemi Intelligenti, 1. Semerari A, Carcione A, Nicolò G. (2000). Metacognition y relation terapeutica en el tratamiento de pacientos con trastornos de la personalidad. Revista Argentina de Clinica Psicologica, IX, pp 257-270. (1) Questo studio è parte di un progetto di ricerca diretto da Antonio Semerari e Giuseppe Ruggeri, finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità, Contratto Nr. 96Q/T/23. CONDIVISONE E COMPETENZE METACOGNITIVE: ANALISI DI SEDUTE PSICOTERAPEUTICHE ATTRAVERSO L’INDICE DI CONDIVISONE E LA S.VA.M. (1) L. Conti, A. Semerari, A. Carcione, G. Dimaggio, G. Nicolò, M. Procacci Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cogntiva (A.P.C.) - III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma. In questo lavoro verranno presentati i primi risultati di un programma di ricerca il cui scopo è esplorare la relazione tra funzioni metacognitive e conoscenza condivisa nel processo psicoterapeutico. L’ipotesi teorica è che vi sia un’influenza reciproca tra le due variabili, nel senso che l’aumento della conoscenza condivisa tra terapeuta e paziente può incrementare le competenze metacognitivo di quest’ultimo; a sua volta, il miglioramento del funzionamento metacognitivo costituisce un fattore in grado di facilitare la costruzione di nuova conoscenza condivisa. La rilevanza clinica dell’ipotesi è basata sul fatto che tanto la costruzione di conoscenza condivisa (Bara e Bosco, 2000), quanto i processi metacognitivi sono stati ritenuti fattori importanti per lo sviluppo del processo ed il buon esito della psicoterapia (Semerari, Nicolò, Carcione, 2000). Tale lavoro si sviluppa nell’ambito di una collaborazione tra il III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma ed il Centro di Scienza Cognitiva dell’Università di Torino. L’Indice di Condivisione è uno strumento che consente di rilevare quando, nel corso di una psicoterapia, il paziente condivide con il terapeuta una serie di conoscenze che il paziente ha su se stesso e sul mondo (Bara e Bosco, 2000). La Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.) valuta le caratteristiche funzionali della metacognizione e le sue sottoclassi, nell’espressione sia positiva che deficitaria (Carcione, Falcone, Magnolfi, Manaresi, 1997). Verranno presentati i risultati dell’applicazione dei due strumenti, la loro correlazione e alcuni brani esemplificativi dei risultati ottenuti, nella valutazione di una psicoterapia di una paziente con Disturbo Narcisistico di Personalità (DSM IV). Riferimenti bibliografici Bara B.G. e Bosco F.M. 2000. L’Indice di condivisione: Uno strumento di analisi delle sedute psicoterapeutiche. Psicoterapia, in corso di stampa. Semerari A., Carcione A., Nicolò G., Metacognicion y relacion terapeutica en el tratamiento de pacientes con trastornos de la personalidad Rivista Argentina de Clinica Psicologica; 9,3: p 257-270 2000 Carcione A., Falcone M., Magnolfi G. e Manaresi F. 1997. La funzione metacognitiva in psicoterapia: scala di valutazione della metacognizione (S. Va. M.). Psicoterapia. 9, 91-107 (1) Questo studio è parte di un progetto di ricerca diretto da Antonio Semerari e Giuseppe Ruggeri, finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità, Contratto Nr. 96Q/T/23. UNA SCALA PER LA VALUTAZIONE CLINICA DELLA TEORIA DELLA MENTE F. M. Bosco, L. Colle, R. Pecoraia, M. Tirassa Centro di Scienza Cognitiva, Università di Torino Introduzione teorica La teoria della mente è la capacità di attribuire stati mentali a sé e agli altri e di usare tali rappresentazioni mentali per decidere del proprio comportamento e prevedere quello altrui (Premack e Woodruff, 1978). Intorno a tale concetto si è avuto grande interesse negli ultimi venti anni, sia in psicologia generale sia in psicologia clinica; è stato proposto, ad esempio, che patologie come l'autismo o la schizofrenia siano spiegabili sulla base di un cattivo funzionamento di questa capacità cognitiva. I compiti sulle false credenze, classicamente utilizzati per indagare la teoria della mente, sembrano per˜ richiedere abilità cognitive diverse e più sofisticate rispetto a quelle incluse nella definizione originaria di teoria della mente (Bloom e German, 2000). Essi sono, inoltre, poco utilizzabili in ambito psicoterapeutico, dove il problema riguarda più il buon funzionamento della teoria della mente che una sua dicotomica presenza o assenza. E', infatti, possibile concepire la teoria della mente non come una capacità tutto-o-nulla, ma come una funzione cognitiva che evolve o decade a seconda del gradiente di sviluppo (Bosco, Colle e Tirassa, 2000). In ambito clinico, il concetto di teoria della mente viene spesso legato a quello di metacognizione, che è tuttavia più ampio, in quanto comprende anche funzioni cognitive come la capacità di utilizzare la conoscenza su sé e sugli altri a fini strategici, per la soluzione di compiti e per padroneggiare specifici stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Carcione et al., 1997). Alcuni autori hanno sottolineato l'importanza di deficit metacognitivi nello spiegare i sintomi di pazienti gravi (Linehan, 1993; Liotti, 1994); Semerari (1999) considera la capacità metacognitiva del paziente un elemento essenziale per l'esito di una psicoterapia. Lo strumento: Theory of Mind Assessment Scale (Th.O.M.A.S.) Th.O.M.A.S. è una intervista semi-strutturata che si propone di indagare il livello di conoscenza che un soggetto ha degli stati mentali propri e di quelli altrui. Queste due dimensioni sono indagate in due differenti scale: Funzionamento della propria mente e Funzionamento della mente altrui. Ogni scala si articola in tre componenti: a) Emozione/Credenza/Intenzione: evidenzia la capacità del soggetto di discriminare (in sé e negli altri) tra stati affettivi, stati epistemici e stati volizionali, e di caratterizzarne ed esplicitarne le interazioni. b) Tonalità emotiva positiva/negativa: evidenzia la capacità del soggetto di riconoscere ed elaborare la tonalità emotiva che caratterizza i differenti contenuti mentali propri e altrui. c) Conoscenza teorica/Mastery: mette in rilievo come e quanto il soggetto abbia consapevolezza di possedere (e che gli altri possiedono) stati mentali che influenzano la rappresentazione della realtà circostante, e come e quanto riesca ad utilizzare tale conoscenza per comprendere e prevedere i propri (ed altrui) stati mentali e comportamenti. In base alle risposte dell'intervistato è possibile individuare la sua abilità nel trattare gli stati mentali propri ed altrui, sistemandolo, per ciascuna scala, su un livello da 1 (conoscenza pressoché nulla degli stati mentali propri o altrui) a 4 (ottima conoscenza del funzionamento della mente propria e altrui). Gli strumenti clinici ai quali Th.O.M.A.S. maggiormente si avvicina sono l’Indice di Condivisione (Bara e Bosco, 2000) e la Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.: Carcione et al., 1997) elaborata da Semerari con i colleghi del Terzo Centro di Psicoterapia di Roma. Il nostro strumento si differenzia tuttavia da entrambi per diversi aspetti. Da un punto di vista teorico si concentra esclusivamente sul concetto di teoria della mente, senza prendere in considerazione quanto è condiviso tra paziente e terapeuta o senza considerare abilità metacognitive più complesse. Sempre sul piano teorico poi, assume una prospettiva originale sul concetto di teoria della mente considerandola una capacità cognitiva innata che si sviluppa lungo differenti fasi evolutive (Bosco e Tirassa, 1998). Sul piano metodologico è uno strumento più fruibile in quanto si realizza come una intervista semi-strutturata che non necessita dei trascritti delle sedute, come avviene invece per l’Indice di Condivisione e per la S.Va.M. Riferimenti bibliografici Bara B.G., Bosco F.M (2000). L’Indice di Condivisione: Uno strumento di analisi delle sedute psicoterapeutiche. Psicoterapia, 19/20, 38,49. Bloom P., German T. (2000). Two reasons to abandon the false belief task as a test of theory of mind. Cognition, 77, 25-31. Bosco F.M., Colle L., Tirassa M. (2000). Teoria della menente: Qualche problema? X Congresso SITCC, Orvieto [Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, 6, 52-53]. Bosco, F.M., Tirassa, M. (1998) Sharedness as an innate basis for communication in the infant. Proc. 20th Annual Conference of the Cognitive Science Society, Madison, WI. Carcione A., Falcone M., Magnolfi G., Manaresi F. (1997). La funzione metacognitiva in psicoterapia: Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.). Psicoterapia, 9, 91-107. Linehan M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. New York: Guilford Press. Liotti G. (1994). La dimensione interpersonale della coscienza. Roma: La Nuova Italia Scientifica. Premack D., Woodruff G. (1978). Does the chimpanzee have a theory of mind? Behavioural and Brain Sciences, 1, 512-526. Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa LAA RIICCEERRCCAA SSUULL PRROOCCEESSSSOO –– ESSIITTOO N NEEII SEETTTTIIN NG G GRRU UPPPPAALLII M Mooddeerraattoorrii:: C Coorrrraaddoo P Poonnttaallttii,, A Annddrreeaa B Baallbbii PSICOTERAPIA DI GRUPPO E CODICE DI ANALISI DELLO STILE DEL CAMPO TERAPEUTICO (S.CA.T.): ANALISI DI UN TRATTAMENTO IN UNA COMUNITÀ TERAPEUTICA S. Colatosti *, D. Fiore*, P. Bianconi *, A. Mellace *, C. Pontalti ° * Comunità Terapeutica "Le Palme" (FR) ° Servizio di psicoterapia Familiare UCSC di Roma Introduzione Il presente lavoro si inserisce all’interno di un progetto di ricerca sull'applicazione del Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.) alla psicoterapia di gruppo. Metodo Vengono analizzate i trascritti integrali delle sedute di un trattamento in gruppo, a frequenza bisettimanale e ad orientamento cognitivo, interamente videoregistrato. Sono stati selezionati quattro pazienti ricoverati da circa un anno in una comunità terapeutica, affetti da Sindrome Schizofrenica secondo i criteri del DSM IV. Tale psicoterapia previo consenso scritto dei pazienti, è stata interamente sbobinata, trascritta, modificati tutti nomi per rendere anonimo il trascritto. A tale trattamento è stato applicato il Codice di analisi dello Stile del Campo terapeutico (SCAT) elaborato presso il Servizio di psicoterapia Familiare UCSC di Roma. Tale codice permette di classificare gli interventi verbali di pazienti e terapeuta. Il codice identifica un’Area Organizzativa, un’ Area Connettiva ed un’Area Interpretativa. Conclusioni Verranno discussi i risultati e sulla base di questi stessi proposto un modello dell’andamento della psicoterapia. CAMPI TERAPEUTICI A CONFRONTO: IL PERCORSO DI DUE GRUPPI ANALIZZATI ATTRAVERSO IL CODICE DI ANALISI DELLO STILE DEL CAMPO TERAPEUTICO G. Lo Coco, R. Mineo, C. Giordano, M. Di Blasi, F. Giannone Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo Introduzione Il lavoro si è sviluppato all’interno della sezione del progetto Val.Ter. che si occupa della valutazione dell’analisi del processo nei gruppi terapeutici. Un tema che ha suscitato grande interesse è lo stile di conduzione dei gruppi terapeutici, che si differenzia notevolmente da quello delle terapie individuali. Nel presente lavoro verrà presentato un confronto tra due gruppi terapeutici privati, uno a breve termine ed uno tradizionale, condotti dallo stesso terapeuta. Il gruppo a termine, composto da otto pazienti con patologia organica (retinite pigmentosa) è stato condotto per dieci sedute a cadenza quindicinale nell’arco di cinque mesi. Il gruppo analitico classico, composto da cinque pazienti con diagnosi di disturbo del comportamento alimentare (DCA) ha avuto la durata di due anni e sei mesi, con sedute a cadenza settimanale. Le dieci sedute del gruppo a termine sono state integralmente registrate e trascritte secondo il codice di Mergenthaler. Nel gruppo classico sono state invece campionate dieci blocchi di sedute (ogni blocco composto da tre sedute consecutive) nell’intero arco della terapia. Anche queste sedute sono state registrate e trascritte con il codice di Mergenthaler. Obiettivi Scopo della ricerca è di effettuare un confronto tra lo stile di conduzione di uno stesso terapeuta rispetto a due gruppi differenti sia per patologia dei pazienti che per durata della terapia. La nostra ipotesi è che il terapeuta segua nel gruppo classico uno stile di conduzione caratterizzato da una progressiva diminuzione degli interventi di tipo organizzativo e da un crescente peso degli interventi di tipo interpretativo, rispetto al gruppo a termine. Verrà anche valutato il differente apporto dato dai pazienti nei due gruppi rispetto alla costruzione del campo terapeutico, in termini di quantità di interventi e di tipologia degli stessi (organizzativi o interpretativi). Metodo Le sedute dei due gruppi verranno analizzate sia separatamente, considerando l’andamento delle dieci sedute del gruppo a termine e dei dieci blocchi di sedute del gruppo classico, che confrontate rispetto ad un andamento per fasi della terapia (iniziale, intermedio e finale). Come strumento di codifica degli interventi del terapeuta abbiamo utilizzato lo SCAT (Codice dello Stile del Campo Terapeutico) (Pontalti C. et all., 1997), elaborato presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il codice, in relazione ai modelli terapeutici della gruppoanalisi, identifica tre categorie di interventi verbali nel terapeuta (Area Organizzativa, Connettiva ed Interpretativa) e due di interventi dei pazienti (Area Organizzativa ed Interpretativa). La codifica è stata effettuata da tre giudici indipendenti, precedentemente addestrati all’utilizzo dello strumento. Sui punteggi standardizzati delle diverse sedute sono stati calcolati i pesi percentuali di ogni singola classe di interventi. Risultati Dal confronto tra i due gruppi sono emerse differenze qualitative molto precise, rispetto all’utilizzo del terapeuta delle diverse tipologie di intervento. Il terapeuta ha utilizzato maggiormente interventi di tipo interpretativo personale nel gruppo classico rispetto al gruppo a termine, in un trend di complessivo maggiore utilizzo del lavoro interpretativo. L’area connettiva si conferma come di strategica importanza nella conduzione di entrambi i tipi di gruppi. Anche negli interventi dei pazienti emerge un maggiore utilizzo degli interventi interpretativi nel gruppo classico rispetto al gruppo a termine durante l’intero ciclo della terapia APPROCCI TERAPEUTICI DIVERSI: MISURE DI CAMBIAMENTO AL T. A. T. S. Di Nuovo *, M. Cuffaro °, F. Giannone ^, M. Di Blasi ^ * Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania ° Psicologo – Psicoterapeuta, CERPS, Palermo ^ Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo L’utilizzazione del Thematic Apperception Test come strumento di misurazione del cambiamento indotto dal processo di psicoterapia nasce all’interno del progetto Val.Ter come applicazione delle ricerche condotte da S. Di Nuovo (1992, 1998) e della griglia a carattere psicologico per la valutazione del test messa a punto da M. Cuffaro (1998). La somministrazione del TAT, insieme ad altri strumenti di valutazione del percorso, è stata effettuata ad inizio e fine terapia e, ove possibile, a follow up a sei mesi di distanza dalla conclusione. Poiché al progetto aderiscono terapisti di scuole diverse, ciascuno con più pazienti, la valutazione dei dati complessivi è in elaborazione. Anticipazioni sono già state fornite in ordine alle risultanze al TAT di quattro pazienti affette da disturbo del comportamento alimentare trattate in setting gruppale monosintomatico da un terapista di formazione gruppoanalitico (Di Blasi, Giannone, Cuffaro, LoVerso (1999) e Giannone (2000)). Proporremo adesso le risultanze derivanti dall’analisi di 4 casi trattati in setting individuale da un terapista di formazione psicodinamica a vertice teorico gruppoanalitico confrontandole con quelle sopra citate. Si tratta di pazienti eterogenei per età, sesso, grado di scolarizzazione, tipo e grado di patologia, durata del trattamento. Nessuno di essi presentava al momento del trattamento disturbi del comportamento alimentare, soltanto una paziente aveva in anamnesi episodi di bulimia risalenti a circa 10 anni prima trattati e risolti in terapia psicoanalitica. Il confronto tra le risultanze evidenzia subito una forte corrispondenza tra molti degli elementi di cambiamento fatti registrare dal gruppo trattato in setting gruppale e quelli evidenziati dai pazienti trattati in setting individuale. Risultano tuttavia differenti le intensità dei cambiamenti stessi. Altre differenze si evidenziano relativamente a qualche indicatore che in più di un caso fa registrare risultanze opposte. Elementi che cambiano movendo nella stessa direzione in entrambi i setting. Questi primi sei elementi subiscono variazioni analoghe nei due gruppi. L’intensità delle variazioni nel gruppo trattato in setting individuale non risulta correlata alla durata del trattamento. 1. Maggiore equilibrio tra mondo interno e realtà esterna nella elaborazione degli stimoli. 2. Accresciuta capacità di operare il corretto distanziamento dallo stimolo e dal settino 3. Accresciuta capacità di controllo dell'ansia. 4. Accresciuto valore dell'indice di pensiero ben adattato. 5. Netta diminuzione del valore dell'indice di pensiero degradato. 6. Accrescimento della funzionalità del sistema difensivo. I due elementi successivi, la cui presenza è costante nelle pazienti trattate in setting gruppale, compaiono soltanto in due dei quattro casi trattati in setting individuale. Negli altri due casi, va osservato, il livello di partenza era però già ottimo, non stupisce quindi che non abbia fatto registrare ulteriore incremento: 7. Accresciuta capacità di controllo logico delle sequenze narrative. 8. Accresciuta capacità di controllo globale dell'ideazione prodotta. Elementi che risultano costanti soltanto nel setting gruppale mentre in quello individuale sono presenti in alcuni casi e possono muovere in direzione opposta in altri. I due elementi successivi, nono e decimo, sempre e consistentemente presenti nelle pazienti trattate in setting gruppale, fanno registrare risultanze analoghe rispettivamente in due e tre dei casi trattati in setting individuale, mentre muovono in direzione opposta nei casi rimanenti: 9. Netta diminuzione dell'uso di dinamiche di difesa. 10. Diminuzione della conflittualità nelle relazioni interpersonali. Per quanto concerne l’uso di dinamiche di difesa, nei due casi in cui non si registra significativa variazione del numero complessivo di dinamiche utilizzate si assiste però ad una evidente sparizione di dinamiche di tipo vischioso (scissione ed identificazione proiettiva) ed aggressivo (autosqualifica) a vantaggio di dinamiche ben più lievi e socialmente accettate (minimizzazione, razionalizzazione). Per ciò che riguarda poi la conflittualità nelle relazioni interpersonali va precisato che il suo aumento, nell’unico caso in cui si presenta, costituisce risposta adattiva in quanto interviene in un paziente che prima del trattamento era del tutto incapace di sentire ed affrontare il conflitto interpersonale. Elementi di difformità costante trai due setting. 11. Riduzione della presenza di tratti narcisistici. 12. Maggiore capacità di sentire, riconoscere ed esprimere emozioni ed affetti. Questi due elementi risultano difformi nel confronto trai due setting. Il primo, riduzione della presenza di tratti narcisistici, risulta sempre presente nelle pazienti trattate in setting gruppale ma si registra soltanto in un caso trai pazienti trattati in setting individuale, in altri due non subisce variazione, nell’ultimo fa registrare un incremento. Il dato induce ad una riflessione sul significato, dal momento che appare piuttosto improbabile che la sua presenza in tutte le pazienti trattate in setting gruppale sia dovuta al caso. Esso può essere connesso al setting o allo specifico disturbo che accomuna le pazienti. Sarebbe utile indagare in proposito in quanto si potrebbero ricavarne importanti informazioni sul funzionamento del primo o sulle caratteristiche del secondo. L’altro elemento, maggiore capacità di sentire, riconoscere ed esprimere emozioni ed affetti, risulta presente in tutti i pazienti trattati in setting individuale ma non in quelli trattati in setting gruppale. Anche per questo elemento si pongono gli stessi dubbi che per il precedente: si tratta di una caratteristica o limite del setting gruppale o è da ascrivere alla struttura di personalità sottesa al disturbo? Non siamo al momento in grado di dare risposta. Riferimenti bibliografici Di Nuovo S., Lo Verso G., Di Blasi M., Giannone F.,(1998), Valutare le psicoterapie. La ricerca italiana, Franco Angeli, Milano Di Nuovo S., (1992), Psychometric methods for evaluating TAT and other thematic projective tests, Paper presented at XXV International Congress of Psychology, Brussels, in International Journal of Psychology, 27, 3/4, 384. Di Nuovo S., (1998), Proposta metodologica per la valutazione del test di appercezione tematica, in Valutare le psicoterapie, una ipotesi italiana (a cura del gruppo di ricerca Val.Ter), Angeli, Milano. Cuffaro M., (1998), Il T. A. T. nella diagnosi psicologica e clinica, Angeli, Milano. Cuffaro M., (2000), Il T AT: una griglia psicologica in Cuffaro M., Garofalo P., (a cura di) Nuove frontiere della psicodiagnosi, Angeli, Milano. Giannone F., (2000) Il T. A. T: uno strumento di monitoraggio del processo nella terapia di gruppo in Cuffaro M., Garofalo P., (a cura di) Nuove frontiere della psicodiagnosi, Angeli, Milano Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa TEEOORRIIEE DDEELLLLAA MEENNTTEE EE FUUNNZZIIOONNII DDII MEENNTTAALLIIZZZZAAZZIIOONNEE M Mooddeerraattoorree:: A Ammeeddeeoo F Faallccii L’EVOLUZIONE DEI CONTENUTI TIPICI NEI SOGNI, DALLA PREADOLESCENZA ALLA VECCHIAIA K. Provantini*, P. Azzone °, A. Maggiolini ^, N. Santilli Marcheggiani *, D. Viganò “ * Istituto Minotauro ° Ospedale “Salvini”, Garbagnate ^ Università Milano Bicocca “ Ospedale “S. Gerardo”, Monza La ricerca che presentiamo costituisce un contributo all’analisi quantitativa dei sogni e in particolare si inserisce nel dibattito sull’importanza dei sogni tipici, la cui significatività e frequenza è discussa (Domhoff, 1996; Barrett, 1996, Garfield, 2001). In precedenti ricerche abbiamo mostrato la presenza di contenuti tipici nei sogni di preadolescenti e adolescenti (Maggiolini, Azzone, Provantini, Viganò, Freni, 1996). L’attuale ricerca si propone di completare l’analisi dei contenuti tipici lungo l’intero arco del ciclo di vita, dalla preadolescenza alla vecchiaia, esplorandone inoltre le varianti. Nella griglia di classificazione dei sogni tipici che proponiamo distinguiamo il sogno tipico e il contenuto tipico. Mentre in un sogno tipico la rappresentazione del contenuto è stereotipata (per esempio un sogno in cui un soggetto affronta un esame), in molti sogni possiamo trovare contenuti tipici simili, sia in combinazione (per esempio un sogno in cui il protagonista è attaccato e poi vola e cade da un burrone), sia come variazione dello stesso contenuto (per esempio, non un esame scolastico, ma una prova in una competizione atletica). Le varianti dei contenuti tipici possono differire in rapporto all’età, al sesso, alla cultura e alle esperienze individuali. I contenuti tipici sono stati classificati in sogni d’attacco e salvataggio (essere inseguito, perseguitato, rapito, attaccato, ecc.); gravità (volare, cadere, ecc.), disorientamento spaziale (labirinti, spazi stretti, ecc.); perdita e ritrovamento (perdere qualcosa o qualcuno); esame (prova, competizione); impedimento (essere impedito nei movimenti, non riuscire a correre o a parlare); nascita e accudimento; relazioni sentimentali o sessuali; mutilazione o trasformazione del corpo (caduta dei denti, ecc.); nudità e imbarazzo; bisogni fisiologici (mangiare, orinare, ecc.). Nella ricerca che presentiamo ci siamo proposti di a) individuare la presenza delle diverse categorie di contenuti tipici nell’arco del ciclo di vita, per maschi e femmine; b) classificare le varianti delle principali categorie. Il campione è composto da 560 soggetti, maschi e femmine,dai 14 ai 75 anni, che hanno raccontato almeno un sogno recente, e un episodio diurno che li ha particolarmente colpiti. I sogni e gli episodi sono stati registrati, trascritti e analizzati secondo una griglia di classificazione dei contenuti tipici già sperimentata e che si è dimostrata attendibile. Riferimenti bibliografici DeLaney G.M. (1997) In your dreams: falling, flying and other dreams themes. Harper&Collins, New York. Domhoff G.W. (1996) Finding meaning in dreams. A quantitative approach. Plenum Publ. Corp., New York. Garfield, P. (2001). The universal dream key: the 12 most common dream themes around the world. New York: Harperperennial. Jouvet M. (1992) Le sommeil e le rêve, Editions Odile Jacob, Paris. Maggiolini A., Azzone P., Provantini K., Viganò D., Freni S. (1996) “Development of a method for scoring typical dreams (Typical Dreams Grid)”, 5th European Conference on Psychotherapy Research, S.P.R., Cernobbio, Italy. Stevens A. (1995) Private myths. Dreams and dreaming. Hamish Hamilton. London. Ward C.H., Beck A.T., & Rascoe E., (1961) Typical dreams, Arch. Gen. Psych., 5:116-125. L’ANALISI DEI SISTEMI MOTIVAZIONALI NEI SOGNI A. Maggiolini *, P. Azzone °, D. Comazzi * Università degli Studi di Milano – Bicocca ° Ospedale “Salvini”, Garbagnate ^ Istituto Minotauro, Milano*** Negli ultimi anni, sia in ambito psicoanalitico, sia in quello cognitivista, sono stati proposti nuovi modelli dei sistemi di motivazione, con teorie del funzionamento mentale che riconoscono insiemi complessi di motivazioni di base, coincidenti con comportamenti filogeneticamente determinati (Lichtenberg, 1995; Liotti, 1998). In Italia, già alla fine degli anni ’70, F. Fornari aveva proposto una teoria dei codici affettivi (Fornari, 1981; Maggiolini, 1988) come teoria motivazionale che costituiva una rielaborazione e generalizzazione della teoria freudiana del simbolismo, inteso come linguaggio universale filogeneticamente determinato, utilizzato dai ruoli affettivi familiari. In questa prospettiva valori - o ideali - orientano i ruoli affettivi di base a prendere decisioni utili per la sopravvivenza del Sé e della specie, in rapporto a compiti fase specifici. Più recentemente, anche dal punto di vista di una psichiatria evoluzionistica (Stevens, 2000), si descrivono sistemi di valori (mentalities) come espressione del sapere della specie interno all’individuo, che ne orienta le decisioni. E’ possibile ritenere che questo sapere della specie entri in contatto con l’esperienza individuale soprattutto attraverso il sogno. Le più attuali teorie del sogno lo intendono, infatti, come un modo attraverso il quale la specie continua a trasmettere, anche dopo la nascita, un sapere filogenetico all’individuo, aiutandolo a leggere e a valutare le sue relazioni con il mondo. La ricerca che presentiamo indaga la presenza dei sistemi motivazionali nei sogni, utilizzando una specifica griglia di classificazione che tiene conto di sistemi motivazionali relazionali (familiari, sessuali e sociali intraspecifici) e di sistemi che riguardano la difesa dall’attacco da predatori, l’orientamento nell’ambiente e le relazioni con il proprio corpo, che si sono dimostrati particolarmente importanti nei sogni (in precedenti ricerche abbiamo mostrato l’universalità dei contenuti tipici dei sogni: Maggiolini, Azzone, Provantini, Viganò, Freni, 1996). Il campione è composto da 560 soggetti, maschi e femmine,dai 14 ai 75 anni, che hanno raccontato almeno un sogno recente, e un episodio diurno che li ha particolarmente colpiti. I sogni e gli episodi sono stati registrati, trascritti e analizzati secondo una griglia di classificazione che comprende i principali sistemi motivazionali. La presenza dei diversi sistemi motivazionali è stata misurata in relazione all’età e alla differenza di genere, e confrontata con i contenuti delle narrative diurne degli stessi gruppi di soggetti, mostrando la presenza di differenze significative. Questo tipo di ricerca può essere utile per individuare gli elementi affettivi di base nell’analisi di testi clinici, superando alcune difficoltà incontrate nei primi tentativi d’applicazione della teoria della simbolizzazione affettiva (Maggiolini, 1998). Riferimenti bibliografici Domhoff G.W. (1996) Finding meaning in dreams. A quantitative approach. Plenum Publ. Corp., New York. Fornari F. (1981) Il codice vivente. Boringhieri, Torino. Jouvet M. (1992) Le sommeil e le rêve, Editions Odile Jacob, Paris. Lichtenberg, J.D. (1995) Psicanalisi e sistemi motivazionali, Raffaello Cortina Editore, Milano. Liotti G. (1998) La dimensione interpersonale della coscienza. Carocci, Roma. Maggiolini A. (1988) La teoria dei codici affettivi di F. Fornari, Unicopli, Milano. Maggiolini, A. (1998) Un modello per l’analisi del testo: la teoria della simbolizzazione affettiva. Ricerca in Psicoterapia, 2. Maggiolini A., Azzone P., Provantini K., Viganò D., Freni S. (1996) “Development of a method for scoring typical dreams (Typical Dreams Grid)”, 5th European Conference on Psychotherapy Research, S.P.R., Cernobbio, Italy. Stevens A., Price J. (2000) Evolutionary psychiatry. Routledge. London. IL SOGNO, IL TRANSFERT, IL PROCESSO TERAPEUTICO E LE TEORIE DEL FUNZIONAMENTO DELLA MENTE L. Sarno Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Psicologia Introduzione La ricerca si propone di prendere in considerazione l’evoluzione del processo terapeutico ponendo come suoi riferimenti il sogno e la relazione di transfert. Metodologia: Le trasformazioni evidenziate riguarderanno: a) la presenza di sogni; b) le modalità della loro narrazione; c) le associazioni relative ai sogni narrati: c1) la presenza o assenza di associazioni; c2) le loro caratteristiche. d) le relazioni tra sogno e transfert: d1) le possibilità del sogno di rappresentare le caratteristiche della relazione di transfert; d2) evoluzioni oniriche, evoluzioni della relazione di transfert. Conclusioni La ricerca si fonda sul presupposto che il processo terapeutico, a partire dalla diagnosi, debba tenere conto della teoria del funzionamento della mente del paziente e delle sue possibili trasformazioni all’interno di un contesto relazionale guidato dal transfert e dal controtransfert. L’ipotesi tiene naturalmente conto di una teoria delle nevrosi e delle psicosi all’interno di cui senso e cause dei sintomi devono riallacciarsi ad una teoria dell’inconscio, delle difese e dei conflitti (e/o carenze); dello sviluppo (psicologia e psicopatologia delle prime fasi dello sviluppo e della relazione madre-bambino) e del trauma. Riferimenti bibliografici Bion W. R. (1975), Memoria del futuro. Il sogno., Cortina, Milano, 1993. Bion W. R. (1987), Seminari clinici, Raffaello Cortina Editore, Milano,1989. Bion W. R. (1992), Cogitations, Armando Editore, Roma, 1996. Freud S., Dalla collana Opere, Bollati Boringhieri, Torino, 1989: 1899 L’Interpretazione dei sogni, Vol. II. 1900 Il sogno, Vol. IV. 1913 Un sogno come mezzo di prova, Vol. VII. 1915 Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, Vol. VIII. 1915-17 Introduzione alla psicoanalisi, Vol. VIII. 1920 Al di là del principio di piacere, Vol. IX. 1920 Complementi alla teoria del sogno, Vol. IX. 1921 Sogno e telepatia, Vol. IX. 1922 Osservazioni sulla teoria e pratica dell’interpretazione dei sogni, Vol. IX. 1922 Due voci di Enciclopedia, Vol. IX. 1924 Autobiografia, Vol. X. 1925 Alcune aggiunte d’insieme alla "Interpretazione dei sogni", Vol. X. 1932 Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), Vol. XI. Sarno L. (2000), Una breve nota sulla teoria e la tecnica freudiana dell’interpretazione dei sogni, (lavoro inedito). LA PSICOTERAPIA ON-LINE PRIME RISULTANZE DI UNA RICERCA SPERIMENTALE ITALIANA T. Cantelmi *, S. Putti ° * Professore di Psicologia Medica, Università di Palermo, Responsabile Scientifico di Psychoinside ° Analista – Psicoterapeuta, Centro Studi Psicologia e Letteratura, Coordinatrice di Psychoinside Introduzione L’aiuto psicologico attraverso Internet - fenomeno – già manifestatosi con ampiezza in America da più di un decennio - si è recentemente diffuso anche in Italia. In questo contesto abbiamo deciso di sperimentare la via del WEB insieme ai pazienti. Riportiamo sinteticamente i risultati preliminari di una ricerca sperimentale avviata alla fine dell’anno 1999 e durata un anno. Scopo della ricerca e definizione Nell’ impostare e condurre la nostra ricerca abbiamo posto mirata attenzione all’ osservazione e alla verifica della fattibilità di una psicoterapia on line, della quale forniamo una prima definizione: l’e-psychoterapy, nella sua accezione più ampia, è quel “trattamento e cura non farmacologica dei disturbi della psiche conseguibile all’interno di una relazione terapeutica caratterizzata dall’assenza fisica dei due partner”. Metodi e strumenti Nella Rete abbiamo istituito un sito (www.Psychoinside.it) per informare la potenziale utenza della nostra attività e per accogliere / valutare le eventuali richieste di consulenza e / psicoterapia. Nel sito abbiamo descritto gli strumenti a disposizione: l’e-mail, la chat, la web cam. L’e-mail consente una comunicazione a-sincrona, in quanto la persona può scrivere al terapeuta designato in qualsiasi momento e questi può rispondere in un tempo differito. La chat e la web-cam consentono una comunicazione sincrona, in quanto lo scambio di domanda e risposta (nonché delle immagini nel caso della web-cam) avviene pressoché in tempo reale. La metodica seguita comprende la registrazione della richiesta, la decodifica della domanda, l’assegnazione del caso in ragione dello strumento prescelto dall’utente e della disponibilità del Terapeuta. Campione Abbiamo osservato una utenza prevalentemente rappresentata da italiani anche se non mancano gli stranieri parlanti lingua italiana. Si è notata una leggera prevalenza di richieste provenienti da uomini (52,9%) rispetto alle richieste provenienti da donne (47,1%); nell’ultimo periodo di osservazione le proporzioni si sono pressochè invertite a favore delle richieste provenienti da donne. L’età media è di circa 30 anni, in un range medio che va dai 17 ai 50; abbiamo registrato la richiesta di un utente di 77 anni. Risultati Nell’anno di sperimentazione già effettuata il Centro Psychoinside ha registrato circa 10.000 accessi e ricevuto circa 1500 richieste di consulenza e psicoterapia. Sono state intraprese circa 100 (cento) psicoterapie ed effettuate circa 50 (cinquanta) consulenze. E’ stata osservata una prevalenza di problematiche relazionali; la casistica è comunque ampia e diversificata in quanto gli utenti portano disturbi d’ansia e attacchi di panico, fobie ed ossessioni, disturbi sessuali e dell’identità sessuale, depressione, disturbi della sfera alimentare. Discussione dei dati Durante il periodo considerato per la nostra sperimentazione, abbiamo rilevato che una larga fascia dell’utenza è rappresentata da soggetti che non possono o non vogliono affrontare una terapia tradizionale per motivi quali i costi, l’isolamento territoriale e /o geografico, la limitazione fisica, l’imbarazzo sociale. Un certo numero di utenti si è detto anche attratto dalla novità rappresentata dal medium. Sulla base dei casi di consulenza e psicoterapia on line trattati ed in corso di trattamento, si sono evidenziati i principali vantaggi e svantaggi. I vantaggi sono rappresentati dalla facilità di accesso e dall’abbassamento delle difese coscienti in relazione al possibile anonimato. Gli svantaggi sono rappresentati dall’assenza di un setting neutro, dalla bassa reciprocità e dalla deprivazione empatica. Un limite significativo nella relazione on line è costituito dalla garanzia della riservatezza: sono, infatti, possibili violazioni al livello del terminale del paziente, del terapeuta, della trasmissioni dei dati. Proiezioni future La nostra ricerca si è posta anche come verifica sul campo della fruibilità e utilità degli strumenti messi a disposizione dell’utente dalla progressiva evoluzione delle tecniche di comunicazione multimediale. In questa ottica prevediamo quindi di sperimentare la messaggistica S.M.S ad integrazione delle modalità di comunicazione già sperimentate. Conclusioni Nella consapevolezza dei rischi e dei benefici, e sempre sottolineando l’opportunità di mettere a punto linee guida etiche e deontologiche, i risultati sino ad ora conseguiti ci paiono attestare la fattibilità e la fruibilità di una consulenza e di una psicoterapia on line. Riferimenti bibliografici Cantelmi T., Del Miglio C., Talli M., D’Andrea A., (2000) “La mente in Internet”, Padova, Piccin Cantelmi T., Talli M., Putti S., (2000) “Il paziente on line” in Psicologia Contemporanea, n.160, Firenze, Giunti Putti S., (2000), “Messaggi in rete e terapia analitica”,” in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, Vol. XXIV – 47, Roma, Di Renzo Editore Putti S., Antonelli G. (2001) “La rinascita della psicoanalisi on line” in Giornale Storico di Psicologia Dinamica, Vol. XXV – 49, Roma, Di Renzo Editore AAVV, (2001), “@Psychotherapy – risultati preliminari di una ricerca sperimentale italiana”, Roma, E.U.R. (Edizioni Universitarie Romane), in corso di stampa SSeessssiioonnee P Poosstteerr STTRRUUMMEENNTTII DDII VAALLUUTTAAZZIIOONNEE NNEELLLLAA RIICCEERRCCAA CLLIINNIICCAA P Prreesseennttaazziioonnee ee ddiissccuussssiioonnee:: IIggoorr P Poonnttaallttii L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE NELLA TERAPIA BREVE AD APPROCCIO STRATEGICO G. M. Letizia Drogo, V. Verrastro ISP – Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, Roma – Vibo Valentia Introduzione Partendo dall’assunto di Watzlawick (1967) che “E’ impossibile non comunicare” questo lavoro vuole analizzare l’importanza della comunicazione per la psicoterapia breve ad approccio strategico. Comunicare vuol dire entrare in interazione con l’altro, con il suo mondo e la sua esperienza, e questo può avvenire sia a livello di contenuto (di notizia, di informazione) che di relazione (livello metacomunicativo). Per il terapeuta stratega è basilare riuscire a cogliere qual è il mondo rappresentativo dell’altro e a parlare il linguaggio stesso dell’altro, utilizzando ai fini della guarigione, ciò che l’altro racconta. Il modello strategico L'approccio strategico si fonda sull'assunzione che qualunque realtà è il prodotto della relazione tra noi stessi e la realtà in cui siamo inseriti, che è determinata dal punto di osservazione e dagli strumenti utilizzati, nonché dal linguaggio che utilizziamo per descriverla. Si può conoscere il mondo solo attraverso delle interazioni, delle relazioni, che però possono determinare delle problematiche nella vita degli individui e nei contesti all'interno dei quali sono inseriti (Nardone, Watzalawick, 1990). Questo modello ha come obiettivo primario quello di stimolare la persona ad elaborare significati differenti da attribuire ad una stessa realtà, sostituendo il vissuto di problematicità con una nuova modalità di percepirsi e percepire il mondo, e promovendo la sperimentazione di nuove azioni e comportamenti che favoriscono l'acquisizione di capacità/competenze per affrontare lo specifico problema risolvendolo. La comunicazione in terapia strategica Fin dal primo incontro è necessario creare una relazione interpersonale caratterizzata da fiducia, rispetto e onestà tra terapeuta e persona che chiede aiuto. Il terapeuta stratega osserva e impara a capire il linguaggio della persona che ha di fronte, facendo attenzione a quanto l’altro porta e al suo modo di comunicare, adattando il suo linguaggio e le sue azioni allo stile comunicativo dell’altro, cercando di vedere la realtà dal suo punto di vista, per poi condurlo pian piano al cambiamento e alla ristrutturazione, aggirando così la resistenza al cambiamento stesso. Cercherà di lasciare parlare l’altro per capire quali sono i fattori che mantengono il problema e quali sono le mosse da fare per ottenere più successo. Secondo la teoria dei sistemi ogni piccolo cambiamento all’interno di un elemento produce cambiamenti sull’intero sistema a volte più grandi di quelli prevedibili (Effetto farfalla). Per questo è importante gratificare l’altro per ogni piccolo miglioramento, facendolo sentire protagonista delle sue azioni e delle sue “guarigioni”. Ma l’efficacia di una strategia dipende dalla cornice di suggestione all’interno della quale viene presentata, da qui l’importanza delle modalità comunicative del terapeuta. Dalla lezione di M. Erickson, ci viene l’esempio della cosiddetta ipnoterapia senza trance, una forma suggestiva di comunicazione che induce l’altro a collaborare e accelera il processo di cambiamento. Le strategie deputate al cambiamento possono suddividersi in due grandi categorie: Azioni e comunicazione terapeutica (ristrutturazioni, metafore,tecnica del ricalco) Prescrizioni di comportamento (prescrizioni dirette, uso del paradosso) Queste se suggerite alla persona nel modo giusto, quello che lei può recepire permettono di far fare delle cose che la stessa pensava di non riuscire a fare (per paura, perché prive di significato..) determinando un primo cambiamento nel suo mondo rappresentazionale. Bisogna consolidare l’autonomia personale dell’altro sottolineando che non si è aggiunto niente che egli non possedesse già, solo che adesso lui ha imparato a percepire la realtà e a reagire ad essa, utilizzando positivamente le proprie doti personali. Prospettive di ricerca Alla luce di quanto detto sopra, con la nostra ricerca, ancora in fase di sperimentazione, ci prefiggiamo di analizzare il tipo di comunicazione utilizzata da alcuni terapeuti “strateghi” e come questa riesca a produrre cambiamenti nell’altro. Il target che pensiamo di analizzare è di 25 soggetti adulti, con problemi di ansia e attacchi di panico. Metodo Utilizzeremo la metodologia seguita nel caso dello studio dei casi, con analisi del contenuto dell’intera seduta, o di spezzoni di questa, servendoci di video e audio registrazioni e di griglie di osservazione, che saranno discusse e valutate da gruppo di psicologi esperti. Si utilizzeranno anche alcune scale per la misurazione dei livelli di ansia all’inizio e alla fine della seduta e all’inizio, durante e alla fine del cammino terapeutico e scale di soddisfazione personale (anche queste somministrate all’inizio e alla fine della terapia). Prevediamo di condurre la ricerca lungo l’arco di un anno. Conclusioni E’ importante per il terapeuta di riuscire a comprendere il mondo della persona che chiede aiuto. Una modalità di ascolto attivo ed empatico, l’utilizzo di una di comunicazione alla portata dell’altro, possono essere di per se stessi terapeutici. Ma riuscire ad utilizzare le tecniche suggerite dall’approccio strategico nel modo più naturale e appropriato richiede molta pratica, una grande capacità di mettersi nei panni dell’altro e una buona dose di creatività. Riferimenti bibliografici Bandler, R., Grinder, J., 1975, Patterns of the hypnotic tecniques of Milton Erickson, Palo Alto, Meta Publications, tr. it. I modelli della tecnica ipnotica di Milton Erickson, Roma, Astrolabio, 1984. Drogo G.M.L., Petruccelli F., “L’approccio strategico alla mediazione familiare” in Atti del convegno nazionale di mediazione, “Il Mediatore: Amore, Umore, Incontro e Riflessioni di Comunicazione” Aprile 2001, in corso di pubblicazione. Erickson, M. H., Rossi, E., 1981, Experiencing hypnosis therapeutic approaches to altered states, New York, Irvington Publisher, tr. it. L’esperienza dell’ipnosi. Approcci terapeutici agli stati alterati, Roma, Astrolabio, 1985. Gulotta G (1997), Lo psicoterapeuta stratega. Metodi ed esempi per risolvere i problemi del paziente, F. Angeli, Milano. Haley, J., 1963, Strategies of psychotherapy, New York, Grune & Stratton, tr. it. Le strategie della psicoterapia, Firenze, Sansoni, 1977. Irving H., Benjamin M. (1987), Family Mediation: Theory and Practice of Dispute Resolution, Careswell, Toronto Nardone G., Watzalawick P. (1990), L’arte del cambiamento, Ponte Delle Grazie, Firenze. Nardone G. (1991), Suggestione ristrutturazione = cambiamento, Giuffrè, Firenze Petruccelli F., Parziale M. (2000), “Tecniche d’intervento in psicoterapia strategica”, Quale psicologia, “Quale psicologia”, Semestrale dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie e della Società Italiana di Psicoterapia, Anno 9, N. 15, gennaio 2000. Watzlawick P., Beavin A., Jackson D., (1967), Pragmatics of human communication, Norton, New York, tr. it. Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971. APPLICAZIONE DEL CCRT DI L. LUBORSKY (1990) AD INTERVISTE DI UN GRUPPO DI ANZIANI: CONSIDERAZIONI CLINICHE S. Piscicelli, F. Ortu Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza” Premessa In letteratura si osserva un interesse sempre maggiore nel discutere i principi della teoria e della tecnica applicati alla psicoterapia con persone anziane. Molti autori (Jaques, 1970) sono concordi che il lavoro con questi pazienti pone gli psicoterapeuti dinanzi alla necessità di affrontare le loro problematiche in un’ottica differente da quella utilizzata con gli adulti. Da un lato per il contenuto specifico delle problematiche portate che introduce costantemente l’esigenza di approfondire tematiche gravose, anche in termini di controtransfert, come quelle del lutto e della morte. Dall’altro per la particolarità delle modalità cognitive ed emotive dei pazienti di questa fascia d’età. Conseguentemente vi è la necessità di mettere a punto strumenti empirici idonei a queste esigenze. Nel nostro studio si è scelto di utilizzare uno strumento già ampiamente validato ed impiegato da gruppi di ricerca internazionali per poterlo rendere utilizzabile anche all’interno del lavoro di psicoterapia e di ricerca con soggetti anziani. Metodo Il campione della ricerca è formato da interviste raccolte con il metodo RAP di L. Luborsky di 24 soggetti anziani autosufficienti; l’età media è di 71 anni. Le interviste sono state siglate con il metodo del “Core Conflittual Theme” di L. Luborsky (1990). Obbiettivo della ricerca In questa ricerca si è scelto di utilizzare narrazioni libere ottenute attraverso il metodo dell'intervista RAP perché il racconto della propria vita per le persone anziane ha lo scopo di costruire una "storia personale del Sé" coerente e unitaria, che sia d'aiuto nell'affrontare i sentimenti di lutto intrinseci alla fase di vita in corso. L'anziano utilizza i suoi ricordi per acquisire un’immagine mentale univoca e coerente dell’intero ciclo vitale che, impedisca di cadere nella disperazione e permetta di realizzare un senso di speranza il quale, seppur limitato, sia quantomeno realistico(Erikson, 1982). Nel poster saranno presentati i dati della ricerca e sarà discussa l’applicazione clinica del metodo in funzione di un lavoro di riabilitazione psicologica per gli anziani. Riferimenti bibliografici Andreani O., Amoretti G., Ratti M.T., Porta R. (1988) La memoria autobiografica negli anziani, Università di Pavia – Istituto di Psicologia. Bucci W., 1997, trad. It., Psicoanalisi e scienza cognitiva: una teoria del codice multiplo, Giovanni Fioriti Editore, 1999. Erikson E.H., 1982, trad. It., I cicli della vita, Armando editore, 1984 Il Sole 24 Ore, lunedì 7 Aprile 1997, N° 95, pag. 3 Jaques E., 1970, Morte e crisi di mezza età, in L'età di mezzo, Bollati Boringhieri 1993 Luborsky L., 1990, trad. It., Capire il transfert, Raffaello Cortina Editore, 1992. Vallenstein A. F., 2000, The Older Patient In Psychoanalysis, Journal of American Psychoanalytic Association. VALUTARE LE TEORIE PSICOLOGICHE NAIVE: DUE STRUMENTI A CONFRONTO A. Minniti*, R. Ostuzzi °, R. Lorenzini ^ * Scuola di Formazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale dell'Associazione di Psicologia Cognitiva ° Casa di Cura Privata Villa Margherita (Arcugnano, Vi) ^ Didatta SITCC e APC Introduzione In un percorso psicoterapeutico la compliance del paziente è una determinante fondamentale per l’efficacia della terapia. Tutti i pazienti si formano una teoria rispetto la causa della loro sofferenza e della possibile cura (Teorie Psicologiche Naive (TPN); Lorenzini e Sassaroli, 2000). Le TPN possono influenzare il grado di collaborazione e affidamento al trattamento e, se discrepanti con quelle proprie del terapeuta e del suo approccio di lavoro, rischiano di compromettere la motivazione e la possibilità di cooperazione. Proprio per questi motivi si è dimostrato sempre più importante indagare tali teorie fin dai primi incontri del percorso terapeutico. Lo scopo di questo lavoro è di valutare l’efficacia di due strumenti messi a punto per la valutazione di tali teorie. Metodo Hanno partecipato due gruppi di 20 pazienti con diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA), ricoverate per un percorso di riabilitazione psiconutrizionale presso il Centro DCA della Casa di Cura Privata “Villa Margherita” (Arcugnano, Vi). I due gruppi erano confrontabili per sesso, età, durata della malattia, Indice di Massa Corporea (IMC). Sono state somministrate due versioni di uno stesso questionario specifico per l’analisi delle TPN ai due gruppi all’inizio del periodo di ricovero. La prima versione del questionario consisteva di 5 domande aperte relative alla eziopatogenesi della sofferenza e allo scopo della terapia. Alle pazienti che compilavano questa versione del questionario successivamente veniva fatto anche un colloquio di approfondimento. La seconda versione consisteva di 4 domande a scelta multipla (scala likert a 4 punti) sulle possibili cause della sofferenza e 10 sullo scopo della terapia. Risultati Dai dati raccolti tramite la prima versione del questionario emerge che le teorie relative alla patogenesi più diffuse assegnano la responsabilità della malattia alle esperienze infantili e all'educazione ricevuta (62%), al carattere (43%), al conflitto tra mente sana e malata (43%), a situazioni traumatiche vissute in passato (38%), e in misura decisamente minore a fattori esistenziali (9%), a proprie colpe (9%) e al proprio modo di pensare (5%). Per quanto riguarda le teorie della cura, cioè quello che le pazienti ritengono possa essere lo scopo della terapia, emerge che ciò che aiuta a cambiare è il modificare le influenze negative delle esperienze precoci e dell'educazione ricevuta (43%), insegnare il giusto modo di affrontare le varie situazioni della vita (43%), favorire la scoperta di se stessi e dei propri desideri (43%), elaborare i traumi del passato (24%), controllare gli impulsi (19%), cambiare il modo di pensare (14%), rafforzare il carattere (5%) e incoraggiare (5%). I dati raccolti utilizzando la seconda versione differenziano meno le varie cause della sofferenza: cause esterne come educazione e situazioni difficili vissute (89%), causa interna che fa riferimento al proprio modo di pensare (89%), carattere e genetica (67%), incertezza su quali possano essere le cause (67%). Anche le teorie relative allo scopo della terapia si sono dimostrate poco differenziate: cambiare idea, imparare, capire cosa voglio, ricevere sostegno (100%), scoprire i traumi (89%), lo sfogo (67%), la comprensione (55%), il cambiamento di situazioni esterne e il risarcimento (44%), incertezza sullo scopo della terapia (22%). Conclusioni Ad una prima analisi puramente descrittiva dei risultati i due strumenti non sembrano confrontabili, inoltre dimostrano entrambi dei punti di debolezza. la prima versione si è dimostrata estremamente soggettiva e quindi di difficile decodifica. La seconda aveva lo scopo di indirizzare maggiormente la scelta delle pazienti all’interno di un range di possibilità più circoscritto, ma non si è dimostrata utile per differenziare adeguatamente le scelte delle pazienti, la cui tendenza è sembrata quella di non prendere una posizione precisa. A nostro avviso sono necessarie alcune modifiche a queste prime versioni del questionario: 1) mantenere una versione chiusa delle domande aumentandone però il numero di categorie, soprattutto per quanto riguarda le TPN dell’eziopatogenesi; 2) prescrivere al paziente di eliminare prima le teorie che ritiene false e poi assegnare un punteggio di gradualità alle rimanenti per favorirne la differenziazione. Rimangono comunque le perplessità sull’utilizzo di un questionario autosomministrato, con il quale c’è sempre il rischio di perdere informazioni utili, crediamo possa essere maggiormente preciso uno strumento nella forma di intervista semistrutturata. Riferimenti bibliografici Lorenzini R., Sassaroli S. (2000). La mente prigioniera. Raffaello Cortina Editore, Milano. MONITORAGGIO E SUPERVISIONE DELLA QUALITÀ EMPATICA COME INDICATORE DI CAMBIAMENTO NEI TRATTAMENTI CLINICI INTEGRATI E. Spalletta, A. Iannazzo A.S.P.I.C. – Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità – Roma Il lavoro qui presentato si inserisce nel filone di ricerca sulla relazione terapeutica, e sugli interventi complementari di misurazione qualitativa e quantitativa del processo di cambiamento. Il lavoro viene condotto nell’ambito dei trattamenti clinici integrati per lo studio della compatibilità clinico-paziente come sistema di fattori connesso al successo terapeutico. Gli scopi del progetto: dare una definizione operativa del costrutto di empatia congruente con la misurazione proposta nel questionario; costruire e validare uno strumento sufficientemente pratico ed agevole nella somministrazione e nella valutazione; uno strumento applicabile ed utilizzabile come automonitoraggio a più livelli – formazione, pratica clinica, supervisione–, ottenere un monitoraggio del processo terapeutico attraverso la rilevazione della qualità dell’empatia percepita in momenti diversi del processo stesso; la possibilità di confermare la correlazione tra empatia percepita dal cliente e miglioramento soggettivo espresso della condizione di disagio/disturbo. Empatia: costrutto complesso cognitivo-emotivo-comportamentale presente a livelli di consapevolezza diversi nel cliente e nel clinico, comprende le dimensioni della fiducia reciproca, dell’accettazione, del calore (accoglienza, coinvolgimento) della comprensione intellettuale ed emozionale. La sua componente attitudinale (correlata con le esperienze di vita e la struttura di personalità, lo stile rappresentazionale…), è soggetta solo in parte ad apprendimento La capacità del paziente di riporre fiducia, sperare e confidare nell’abilità del terapeuta ad aiutarlo, assume un ruolo centrale nel processo di cambiamento. La rilevazione dell’andamento dell’empatia percepita nella relazione consente di seguirne sia i flussi sintonizzati che le interruzioni. Le fratture dell’esperienza empatica sono ottimi indicatori dello specifico processo di costruzione della realtà relazionale manifestato con il terapeuta e prodotto dell’intera storia e campo relazionale del paziente. Si cerca di rilevare l’importanza della sintonizzazione affettiva ai fini del buon esito della relazione terpeutica. Ogni intervento terapeutico, strategico, procedurale e tecnico ha un impatto sulla qualità dell’esperienza empatica, fortemente determinato dai significati idiosincratici che quell’intervento riveste per quel particolare paziente in quel particolare momento della sua vita. Al tempo stesso, secondo un circuito di autorinforzo, la qualità esperita dell’intervento dipenderà dalla preesistente solidità/profondità del rapporto empatico. Metodologia Prima fase: costruzione della scala di valutazione dell’empatia, somministrazione di sondaggio sull’applicabilità dello strumento, ad un campione di 30 psicoterapeuti nella fase conclusiva (secondo biennio) della loro formazione all’interno dell’A.S.P.I.C. La scelta di uno strumento self report è supportata: dalla facilità di somministrazione e dalla rilevanza che la percezione soggettiva dell’esperienza ha nell’orientare la qualità stessa dell’esperienza relazionale. Seconda fase: selezione deI un campione di 100 psicoterapeuti di diverse provenienze formative e anzianità di esperienza, sensibilizzazione alla partecipazione al progetto. I risultati serviranno per validare e standardizzare lo strumento. Terza fase: selezione deI un campione di 100 psicoterapeuti di diverse provenienze formative e anzianità di esperienza, sensibilizzazione alla partecipazione al progetto, consegna del materiale da utilizzare per la valutazione (le due scale di valutazione, una per il terapeuta una per il cliente, il questionario di Lambert e Burlingame sugli esiti e le consegne necessarie per partecipare al lavoro). Strumenti di analisi: La scala di valutazione dell’empatia. La correlazione con gli esiti del trattamento. Metodologia L’Analisi Fattoriale e l’Analisi degli Item serviranno per la valutazione degli item stessi ai fini della loro selezione ed introduzione nel test. Il test sarà poi messo in correlazione con altri strumenti che valutano l’empatia. L’ultima fase consiste nella correlazione tra i risultati ottenuti con questo strumento e quelli ottenuti al questionario di Lambert e Burlingame sugli esiti della psicoterapia. Conclusioni Il tentativo di integrazione tra ricerca empirica, pratica clinica e riflessione teorica ci auspichiamo possa dare un apporto costruttivo alla delineazione di protocolli di intervento flessibili rispetto alle differenze e al tempo stesso rigorosi nella specificità dell’applicazione. Riferimenti bibliografici Burns D.D. Nolen-Hoeksema S. (1992), Therapeutic empathy and recovery from depression in cognitive-behavioral therapy: a structural equation model, Journal of Counsulting and Clinical Psychology, 60. Dazzi N. e De Coro (2001), Psicologia dinamica. Le teorie cliniche, Editori Laterza, Bari. Giusti E., Locatelli M. (2000), L’empatia integrata, Sovera, Roma. Giusti E., Montanari C. e Iannazzo A. (2000), Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per psicoterapeuti, Masson, Milano. Giusti E., Montanari C. e Spalletta E. (2000), La supervisione clinica integrata, Masson, Milano. Greenberg L.S., Watson J.C. e Lietaer G. (2000), Manuale di psicoterapia esperienziale, Sovera, Roma. Lambert M.J. e Burlingame C. (1996), The assessment in psychotherapy outcome, Wiley, New York. McLeod J. (2001), Qualitative research in counselling and psychoterapy, Sage, London. Safran J. D., Muran C.J. (1998), L’alleanza in psicoterapia a breve termine, ASPIC Edizioni Scientifiche, Roma. Snyder C.R. (1999), Handbook of hope, Academic Press, San Diego. SSeessssiioonnee P Poosstteerr STTIILLII DDII ATTTTAACCCCAAMMEENNTTOO EE MOODDEELLLLII OPPEERRAATTIIVVII INNTTEERRNNII P Prreesseennttaazziioonnee ee ddiissccuussssiioonnee:: G Giiaannlluuccaa LLoo C Cooccoo RELAZIONE TRA DIMENSIONI DELL’ATTACCAMENTO E TRATTI DI PERSONALITÀ E. Di Nasso, F. Ferrero, L. Giorgi, A. Marchino, C. Albasi Facoltà di Psicologia. Università di Torino L’obiettivo della ricerca è valutare se gli orientamenti soggettivi nei confronti delle relazioni interpersonali, inerenti agli stili di attaccamento, siano associati a propensioni tipiche a sviluppare sintomatologie note (Pianta, Egeland & Adam, 1996). Nell’eventualità di uno scompenso psicopatologico, il rapporto finalizzato a offrire aiuto alla persona sofferente è mediato dai suoi modelli operativi interni, costituiti da rappresentazioni organizzate attorno alle aspettative di risposta da parte delle figure di accudimento, e che si attivano specialmente in situazioni di ansia o bisogno. È stata somministrata una batteria di test che comprende l'Adult Attachment Questionnaire (AAQ; Hazan & Shaver, 1987), l’Attachment Style Questionaire (ASQ; Feeney et. all., 1994), il Metodo dei Prototipi e delle Variazioni (PVM; Seganti, 1995) e il Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 (MMPI-2 Hathaway & McKinley, 1989). L’ipotesi è che i soggetti che si differenziano per modello operativo interno, siano diversi nei tratti di personalità rilevati attraverso il MMPI-2. Il campione di 115 soggetti non clinici è così costituito: 56 uomini (età media 35,4 anni) e 59 donne (età media 34,2 anni). L’analisi statistica dei dati è stata effettuata attraverso l’ANOVA univariata e la correlazione di Pearson a due code. È possibile, attraverso la differenza tra medie, distinguere gli stili di attaccamento espressi all’AAQ attraverso alcune scale dell’MMPI-2: nella scala F l’ansioso ha punteggi più alti del sicuro (7,75, p 0,05); nella scala Si l’ansioso ha punteggi molto più alti del sicuro (13,47, p 0,01), l’evitante ha punteggi più bassi dell’ansioso (-9,55, p 0,05); nella scala DEP l’ansioso ha punteggi più alti del sicuro (8,55, p 0,05); nella scala ANG l’evitante ha punteggi più alti del sicuro (8,97, p 0,05). Le scale del MMPI-2 in questione sono le stesse che differenziano i fattori del ASQ; questo dato concorda con la distinzione operata da Feeney et all. (1994) per cui il fattore Disagio per l'intimità viene associato all'attaccamento evitante nell'AAQ, la Preoccupazione per le relazioni all'attaccamento ansioso e il fattore Fiducia all’attaccamento sicuro. Le correlazioni con il MMPI-2 che interessano la dimensione Fiducia sono tutte inverse (F r = -0,270, p < 0,01; D r = -0,218, p < 0,05; Pd r = -0,212, p < 0,05; Pt r = -0,218, p < 0,05; Sc r = -0,271, p < 0,01; Ma r = -0,208, p < 0,05; Si r = -0,265, p < 0,01; HEA r = -0,216, p < 0,05; SOD r = -0,317, p < 0,01; FAM r = -0,297, p < 0,01; VRIN r = -0,273, p < 0,01; MDS r = -0,337, p < 0,01): se si tende a vivere le relazioni intime con sicurezza si tende a non sviluppare dimensioni comportamentali sintomatiche. La tendenza a ottenere punteggi crescenti ai fattori Secondarietà delle relazioni e Disagio per l’intimità è associata alla tendenza ad avere atteggiamenti negativi verso gli altri (Si r = 0,342, p < 0,01; ANG r = 0,306, p < 0,01; O-H r = -0,240, p < 0,01) nel tentativo di tenerli a distanza; interessante il valore che segnala la tendenza a presentare ansia (ANX r = 0,190, p < 0,05). I modelli operativi di tipo evitante darebbero luogo allo sviluppo di difese di tipo prevalentemente proiettivo e di patologie incentrate sulla preoccupazione per il sé (disturbi del comportamento e malattie psicosomatiche). La tendenza ad avere alte le scale Preoccupazione per le relazioni e Bisogno di approvazione è in relazione al manifestare una conflittualità che spinge da una parte a ricercare la vicinanza e il contatto interpersonale e dall’altra parte a temerli (Si r = 0,388, p < 0,01; FAM r = 0,195, p < 0,05; WRK r = 0,310, p < 0,01; MDS r = 0,257, p < 0,01), con espressione di sentimenti di inadeguatezza (LSE r = 0,4, p < 0,01) e disagio sociale (SOD r = 0,190, p < 0,05). Questi sarebbero soggetti introversi ma preoccupati per le relazioni e che manifestano ansia e depressione (ANX r = 0,268, p < 0,01; DEP r = 0,446, p < 0,01). Questi modelli operativi interni di tipo ansioso favorirebbero lo sviluppo di difese di tipo introiettivo (negazione) e di patologie incentrate sulla preoccupazione per l’oggetto (depressione). La valutazione degli indicatori di difficoltà di trattamento (TRT) che emergono in casi di attaccamento insicuro (Bisogno di approvazione r = 0,280, p < 0,01; Disagio per l’intimità r = 0,424, p < 0,01), così come gli altri dati offerti dall’MMPI-2 possono essere illuminati in modo interessante attraverso l’analisi dei nostri risultati, favorendo un approccio alle modalità difensive (di tipo evitante oppure ansioso) mese in atto nella relazione interpersonale, compresa quella di una eventuale presa in carico clinica. I confronti con le misure risultanti dal PVM, che verranno presentate, permettono di approfondire ulteriormente la comprensione dei dati. Riferimenti bibliografici Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore. Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.), Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press. Hazan, C., & Shaver, P. R. (1987). Romantic love conceptualized as an attachment process. Journal of Personality and Social Psychology, 52, 511-524. Pianta R.C., Egeland B., Adam E.K. (1996). Adult Attachment Classification and Self-reported Psychiatric Symptomatology as Assessed by the MMPI-2. Journal of Consulting and Clinical Psychology, Vol. 64, No. 2, 273-281. Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni. Torino: Bollati Boringhieri. Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J. Psycho-Anal, 81, 255-375. STILI DI ATTACCAMENTO E MODELLI OPERATIVI INTERNI IN UNA POPOLAZIONE DI TOSSICODIPENDENTI IN TRATTAMENTO A. Boetti *, C. Albasi *, A. Granirei *, C. Girardengo ° * Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Torino; ° Sert.T ASL 20, Alessandria Introduzione Nella ricerca si è cercato di approfondire la comprensione della relazione, segnalata in letteratura, tra stile d’attaccamento insicuro e Disturbo da uso di sostanze psicoattive (Mascetti, 1999; Ammaniti, 1997; Viziello, 1997). Questi autori forniscono una spiegazione legata alla disfunzione dei sistemi regolativi, compreso il sistema dell’attaccamento, come causa eziopatogenetica del sintomo tossicomanico. Campione Il campione è costituito da 40 tossicodipendenti in trattamento ambulatoriale, di cui 28 maschi e 12 femmine; 26 soggetti fanno uso di eroina, 14 abusano di altre sostanze psicoattive. Il più giovane aveva 21 anni, il più anziano ne aveva 61 (l’età media è di 33 anni, la mediana di 29). Tale gruppo è stato confrontato con uno di controllo, formato da 115 soggetti che non hanno mai avuto una dipendenza da sostanze psicoattive, di cui 57 maschi e 58 femmine (l’età media è di 35 anni, la mediana è di 29). Strumenti e metodo Ai soggetti esaminati sono stati somministrati: - l’Adult Attachment Questionnaire (AAQ) di Hazan e Shaver (1987), che permette una scelta nominale dello stile di attaccamento attraverso un’autoclassificazione del soggetto. - l’Attachment Style Questionnaire (ASQ) di Feeney e coll. (1994), che fornisce una valutazione dimensionale dell’attaccamento. Attraverso questo metodo i soggetti si situano lungo una o più dimensioni continue e indipendenti l’una dall’altra. - PVM (Metodo dei prototipi e delle variazioni) di Seganti (1995a), che ci consente un’analisi delle immagini prototipiche di sé e dell’altro attraverso lo studio dello stile linguistico adottato dal soggetto. In particolare si studiano le narrazioni degli episodi peggiore e migliore della vita per come queste vengano organizzate a partire dai verbi di performance o di stato, positivi o negativi, attribuiti al soggetto o all’oggetto (Seganti, 1995b). Risultati La distribuzione delle scelte nominali all’AAQ evidenzia come questi soggetti si riconoscano nella descrizione dello stile d’attaccamento Insicuro (75%), con una prevalenza dello stile Evitante (52,5% evitante e 25% ansioso). Tali percentuali differiscono considerevolmente rispetto a quelle del campione di controllo (67,5% Sicuri, 25,4% Evitanti, 7% Ansiosi) e ai dati riferiti da Hazan e Shaver (55% Sicuri 25% Evitanti 20% Ansiosi) (cfr. Carli, 1995). I risultati all’ASQ hanno permesso di confrontare nei diversi campioni della ricerca i fattori che si associano all’autoclassificazione effettuata all’AAQ. I soggetti tossicodipendenti hanno ottenuto un basso punteggio nella scala di Fiducia (24,6) rispetto al gruppo di controllo (33,4; p<.005), un alto punteggio nella scala di Disagio per l’intimità (37,3 tossicod., 26,8 gruppo di controllo; p<.005) e un alto punteggio nella scala Bisogno d’approvazione (23,8 tossicod., 16,5 gruppo di controllo; p<.0005). Il punteggio nella scala Secondarietà delle relazioni è invece più basso (17,7 tossicod., 27,9 gruppo di controllo; p<.005). Per quanto riguarda il PVM il dato più significativo è la percentuale molto più alta nel gruppo di tossicodipendenti relativa agli Stati del Soggetto (50,65) rispetto al campione di controllo (40,8) (p<.017). Tale dato è determinato soprattutto dalla presenza nell’episodio peggiore di una forte centratura sugli Stati positivi del soggetto (tossicod. 18,6, gruppo di controllo12,2; p<.001) . Nell’episodio migliore permane una tendenza analoga (tossicodip. 22,4, gruppo di controllo 17,9). I tossicodipendenti tendono inoltre ad essere meno performativi rispetto al gruppo di controllo (tossicod. 77,8, gruppo di controllo 81,6). Il gruppo dei tossicodipendenti ha inoltre ottenuto punteggi di performance simili in entrambi gli episodi (peggiore e migliore). Conclusioni L’alta percentuale di soggetti appartenenti alla categoria evitante sembra caratterizzare fortemente la distribuzione dell’AAQ, che evidenzia come questi soggetti si descrivano come persone che vivono le relazioni intime in maniera conflittuale ed utilizzino prevalentemente una modalità distanziante di rapportarsi agli altri. Il dato è confermato dai punteggi ottenuti nelle scale Disagio per l’intimità e Fiducia dell’ASQ. Si configura una conflittualità legata alle relazioni interpersonali: da una parte il bisogno dell’altro come fonte di validazione del Sé (cfr. i punteggi alti in Bisogno d’approvazione) dall’altra la necessità di mantenerlo distante per la paura dell’intimità. La strategia difensiva che il PVM permette di ipotizzare in questi soggetti è la tendenza a organizzare il mondo interno sulla preoccupazione intensa verso i propri stati positivi, di benessere e di autosufficienza, forse concepita come possibile via d’uscita dalla sofferenza, o motivata dalla sfiducia che i propri stati interni possano essere correttamente interpretati dagli altri. Questa percezione di sé e dell’oggetto sembra persistere anche in condizioni meno stressanti (stabilità dei valori di performance) a dimostrazione della scarsa attitudine del tossicomane a rappresentarsi la relazione interpersonale come fonte di regolazione dei propri stati interni. Questi risultati sono a sostegno dell’ipotesi (Ammaniti, 1997) che la sostanza possa assumere una funzione “pseudoregolativa”, in quanto consente di amplificare il controllo su di sé concentrando l’attenzione su un oggetto materiale che ha la capacità di modificare lo stato psichico del soggetto e di sedare l’ansia senza mediazione oggettuale, in una sorta di idealizzata pretesa di autosufficienza. Riferimenti bibliografici Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore. Ammaniti, M. (1997). Attaccamento e sistemi regolativi nelle tossicodipendenze. In Fava Vizziello, G., Stocco, P. (1997). Tra genitori e figli la tossicodipendenza. Milano: Masson. Fava Vizziello, G., Leo, M.G., Simonelli, A. (1998). Il destino delle madri, la tossicodipendenza dei figli. In Fava Vizziello, G., Stocco, P. (a cura di) (1998). Tra genitori e figli la tossicodipendenza. Milano: Masson. Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.), Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press. Hazan, C., Shaver, P.R. (1987). Romantic love conceptualised as an attachment process. In Journal of personality and Social Psycology, 52 (3), 511-524. Tr. It. In Carli (1995), 91-126. Mascetti, W. (1999). Legame genitoriale e tossicodipendenza. In Itaca Italia, 7, 79-89. Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni. Torino, Bollati Boringhieri. Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J. Psycho-Anal, 81, 255-375. ANALISI DELLO STATO DELLA MENTE RISPETTO ALL’ATTACCAMENTO, INDAGATO CON L’ADULT ATTACHMENT INTERVIEW, IN DONNE CON AGORAFOBIA E NEI LORO MARITI: UNO STUDIO PILOTA G. Caviglia*; E. Del Castello °; B. Fiocco * * Dipartimento di Psicologia, II Univ. Studi di Napoli ° Dipartimento di Salute Mentale, ASL CE 2 Introduzione La teoria dell’attaccamento ha rivolto grande attenzione all’ agorafobia ed ai meccanismi relazionali dei soggetti agorafobici. L’interesse per questa psicopatologia è stimolato, da un lato, dalla fenomenologia sintomatica, direttamente collegabile al concetto di sistema motivazionale di attaccamento-esplorazione, e dall’altro, dalle particolari modalità relazionali assunte da questi soggetti in relazione alle figure di attaccamento sia passate che attuali. Bowlby (1973, pp. 334-356) ipotizzò che i pazienti sofferenti di agorafobia avessero strutturato, a partire da “modelli patogeni di interazione familiare”, una modalità di attaccamento insicuro-ansioso. Liotti (1995) approfondisce l’idea di Bowlby e ipotizza che gli agorafobici abbiano sviluppato, durante l’infanzia o nel periodo prescolare, schemi emotivi correlati ai processi interpersonali di attaccamento insicuro-ansioso, e che questi schemi siano rimasti scollegati dalle strutture preposizionali di conoscenza del sé. Lo schema di sé che caratterizza l’organizzazione cognitiva degli agorafobici, deriva da un atteggiamento di ipercontrollo delle proprie emozioni e comportamenti. Tale autocontrollo tende a divenire disfunzionale e ad ostacolare lo sviluppo della conoscenza del sé e dell’altro. Difatti, di fronte a minacce che implicano l’attivazione del sistema di attaccamento, tali schemi del sé hanno difficoltà ad attribuire significato alle proprie reazioni, che rimangono così scisse dalla conoscenza adulta del Sè. I meccanismi relazionali di questi soggetti al livello della coppia sono stati studiati da Ugazio (1991) che descrive il “valore manipolativo” del sintomo fobico nella dinamica coniugale. L’autrice individua due modelli di organizzazione relazionale di coppie nelle quali uno dei membri sviluppa una sintomatologia fobica: in entrambi questi modelli, il sintomo fobico sembra svolgere una “funzione di calibrazione” in una situazione complementare. L’autrice ipotizza inoltre una patologia complementare o analoga nel coniuge. Ipotesi A partire da queste ipotesi, abbiamo raccolto materiale clinico studiando alcune coppie in cui la moglie presenta il disturbo agorafobico, con lo scopo di analizzare lo stile di attaccamento dei soggetti e la relazione tra i patterns di attaccamento presentati. Lo studio mira a verificare l’ipotesi della presenza di uno stato della mente relativo all’attaccamento classificabile come “Insicuro” nelle pazienti con patologia agorafobica. Inoltre, vuole cercare delle correlazioni con lo stato della mente relativo all’attaccamento, nei loro partner. Materiali e metodo Il campione è costituito da 18 soggetti, sposati tra di loro. Le mogli, di età compresa tra i 27 e i 55 anni (X=42), sono tutte diplomate. Otto donne tra queste presentano il disturbo di Agorafobia con Attacchi di Panico; la nona, di Agorafobia senza Attacchi di Panico. I mariti, di età compresa tra i 32 e i 64 anni (X=45), non presentano psicopatologie conclamate o di rilievo. Sono tutti diplomati, tranne uno, che è laureato; svolgono tutti un lavoro, tranne un soggetto che è in pensione. Tra i mariti, due hanno effettuato nel passato un trattamento psicoterapeutico, gli altri sette non hanno mai effettuato alcun trattamento. Tutte le donne sono in psicoterapia, una di loro ha frequentato una trattamento psicoterapeutico breve, e altre due hanno alle loro spalle più di un esperienza di psicoterapia. La diagnosi è stata effettuata mediante i criteri del DSM IV (1996). Lo strumento utilizzato nella ricerca per misurare lo stato attuale della mente rispetto all’attaccamento è l’Adult Attachment Interview (Main, Goldwyn, 1985), somministrata a tutti i soggetti. I dati ottenuti vengono discussi attraverso un’analisi qualitativa, in relazione alle codifiche della A.A.I. Inoltre, la distribuzione ottenuta viene correlata, mediante statistica descrittiva, con quelle ottenute da van IJzendoorn e Bakermans-Kranenburg (1996), rilevati da una vasta meta-analisi. Riferimenti bibliografici American Psychiatric Association (1996), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, ed. IV, American Psychiatric Association, Washington D. C. [Trad. It.: DSM IV, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano]. Bowlby J. (1973), Attachment and loss, Vol. 2: Separation, Basic Books, New York. [Trad. It.: Attaccamento e perdita. Vol. 2: La separazione dalla madre. Boringhieri, Torino,1975]. Liotti G. (1995), Attaccamento insicuro e agorafobia, in: Parkes C.M., Stevenson-Hinde J., Marris P., L’attaccamento nel ciclo di vita, Il Pensiero Scientifico Editore,Torino. Main M., Goldwyn R. (1985), An adult classification and rating system, Manoscritto non pubblicato, versione 6.3, 1998. Ugazio V. (1991), La costruzione relazionale dell’organizzazione fobica, in: Malagoli Togliatti M., Telfner U., Dall’individuo al sistema, Bollati Boringhieri, Torino. van IJzendoorn, M.H. Bakermans-Kranenburg, M.J. (1996), Attachment representations in mothers, fathers, adolescents, and clinical groups: a meta-analytic search for normative data, Journal of Consulting and Clinical Psychology, vol. 64, n. 1, 8-21. STUDIO DELLO STILE DI ATTACCAMENTO IN GENITORI DI PAZIENTI PSICHIATRICI C. Albasi, A. Granieri, A. Seganti, M. Zuffranieri Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino Introduzione Gli stili di attaccamento e i modelli linguistici di organizzazione dell’esperienza relazionale dei genitori costituiscono il tessuto ambientale entro il quale il figlio apprende ad attribuire un senso a se stesso e alla realtà. La ricerca si occupa degli stili di attaccamento e degli stili difensivi in coppie di genitori di figli con severe diagnosi psichiatriche (Disturbi schizofrenici e Disturbo Borderline di Personalità). Partendo dalla considerazione che il rapporto di coppia possa essere considerato come una riedizione nell’adulto dei legami di attaccamento infantile (Carli, 1995), studiamo il modello operativo interno e gli stili di attaccamento dei genitori, anche attraverso i loro stili linguistici (Seganti, 1995a). Campione I campioni presi in esame sono così costituiti: 40 coppie di genitori conviventi (80 soggetti in età compresa tra 40 e 71 anni), con figli di età compresa tra 18 e 30 anni in carico presso i servizi psichiatrici dell'ASL 3 di Torino; 30 coppie di genitori conviventi (60 soggetti in età compresa tra 40 e 60 anni), con figli di età compresa tra 18 e 30 anni, che non abbiano mai avuto contatti con servizi psichiatrici. Strumenti Gli strumenti utilizzati sono stati il PVM (Metodo dei prototipi e delle variazioni) di Seganti (1995a, 1995b), che ci consente un’analisi delle immagini prototipiche di sé e dell’altro attraverso lo studio delle connessioni affettive soggetto - oggetto quantitativamente rilevate nelle narrazioni degli episodi peggiore e migliore della vita, in base a come queste vengano organizzate a partire dai verbi di performance o di stato, positivi o negativi, attribuiti al soggetto o all’oggetto; l’Adult Attachment Questionnaire (AAQ) di Hazan e Shaver (1987), che richiede ai soggetti l’autoclassificazione in uno dei tre stili di attaccamento (Sicuro, Evitante, Ansioso/ambivalente). L’Attachment Style Questionnaire (ASQ) di Feeney e coll. (1994), che fornisce un profilo a 5 dimensioni (Fiducia, Disagio per l’intimità, Secondarietà delle relazioni, Bisogno di approvazione, Preoccupazione per le relazioni) dello stile di attaccamento. Risultati I risultati emersi dall'AAQ di Hazan e Shaver sono stati studiati per coppie di genitori. Abbiamo considerato le categorie Evitante e Ansioso come un’unica classe di attaccamento Insicuro e costruito una tipologia di coppia. I quattro tipi di coppia risultanti (entrambi Sicuri, entrambi Insicuri, padre Sicuro e madre Insicura, madre Sicura e padre Insicuro) hanno una distribuzione differente nei due campioni. Nel campione di genitori dei pazienti psichiatrici le coppie in cui entrambi i partner si classificano come soggetti Insicuri sono il 20 % contro il 6,7 % delle coppie nel campione di genitori di figli sani. Le coppie in cui entrambi i genitori di pazienti sono Sicuri costituiscono il 47,5 % del campione di genitori di pazienti contro il 60 % dell’altro campione. I risultati ottenuti dalla somministrazione dell'ASQ evidenziamo come i due gruppi hanno medie che si differenziano significativamente in quattro fattori su cinque, e i genitori di pazienti abbiano punteggi significativamente più bassi dei genitori di figli sani nella dimensione Fiducia (p = 0,031) e più alti in tre delle dimensioni associate all'attaccamento Insicuro. Le correlazioni tra i padri e le madri nelle cinque scale dell'ASQ sono differenti nei due campioni e in alcuni casi appaiono interessanti. Lo studio delle narrazioni degli episodi della vita mette in evidenza che i genitori di figli con patologia psichiatrica parlano nei loro racconti in modo molto più espressivo (con significatività statistica per l’episodio migliore) dello stato positivo dell’Oggetto rispetto ai genitori di figli non patologici, e in special modo le madri parlano meno dei propri stati di malessere. Il risultato che mostra la correlazione nell’episodio migliore tra le performance attribuite al soggetto per le madri e all'oggetto per i padri (r = 0,463; p = 0,003) viene confrontato con i risultati dell'ASQ. Conclusioni L’Insicurezza nell’attaccamento delle coppie di genitori di pazienti psichiatrici (messa in evidenza dai risultati dell’AAQ) viene meglio compresa grazie alle dimensioni che l’ASQ ci indica come significativamente diverse: questi genitori hanno in particolar modo una scarsa fiducia nelle relazioni, che vengono considerate secondarie ma in modo conflittuale, dato che contemporaneamente è importante il bisogno che hanno degli altri come fonte di validazione del sé. La comprensione di questa conflittualità viene approfondita dall’analisi delle narrazioni, che mostrano come i genitori dei pazienti soprattutto le madri - parlano in generale molto più espressivamente degli Oggetti idealizzandoli difensivamente e dimostrando una scarsa attitudine a rappresentare le forme interattive di legame di influenza reciproca. Riferimenti bibliografici Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore. Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.), Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press. Hazan, C., & Shaver, P. R. (1987). Romantic love conceptualized as an attachment process. Journal of Personality and Social Psychology, 52, 511-524.. Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni, Torino, Bollati Boringhieri. Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J. Psycho-Anal, 81, 255-375. METAFORE CONCETTUALI E MODELLI OPERATIVI INTERNI NELL’ORGANIZZAZIONE DEL SISTEMA CONCETTUALE O. Gelo La linguistica cognitiva considera la metafora una questione concettuale prima ancora che linguistica. La metafora permette di organizzare in modo coerente alcuni domini di esperienza nei termini di altri attraverso meccanismi inconsci subsimbolici di natura tacita ed analogica (proiezione metaforica tra differenti domini di esperienza). E’ dunque parte essenziale della strutturazione del nostro sistema concettuale. Abbiamo valutato l’organizzazione metaforica del concetto di Amicizia in parlanti lingua italiana. Abbiamo osservato che questi ultimi, per organizzare parte della loro conoscenza relativa all’amicizia, utilizzano le medesime metafore concettuali che vengono utilizzate dai parlanti lingua inglese. Inoltre abbiamo evidenziato che la conoscenza metaforica dell’amicizia è organizzata prototipicamente, è cioè caratterizzata dalla maggior o minor centralità degli elementi che vi appartengono, e non dal fatto di possedere o meno caratteristiche necessarie e sufficienti tipiche di quella determinata categoria. Inoltre, secondo obbiettivo della presente ricerca è stato quello di valutare se soggetti con diversi modelli operativi interni come concepiti da Bowlby presentassero differenti metafore concettuali relative all’amicizia od una loro differente organizzazione. L’importanza che meccanismi di natura tacita ed analogica rivestono sia nello sviluppo del sistema concettuale metaforico che nell’articolazione dei diversi modelli operativi interni di un individuo giustificava tale ipotesi. I dati ottenuti hanno disconfermato tale ipotesi e suggerito da una parte il fatto che soggetti con modelli operativi interni diversi condividano le medesime metafore concettuali qui considerate per il fatto che queste sono così diffuse socioculturalmente e psicologicamente da non risentire di differenze individuali misurate con gli strumenti utilizzati nella presente ricerca. D’altra parte ha reso auspicabile l’utilizzo in futuro di strumenti e metodologie più raffinate per cogliere differenze più sottili nei costrutti misurati. Come terzo ed ultimo obbiettivo la presente ricerca ha implicitamamente dimostrato l’utilità e la necessità di un approccio quantitativo allo studio delle metafore concettuali, suggerendo nella costruzione di scale di misurazione un valido punto di partenza per sondarne l’organizzazione interna ed il differente utilizzo da parte di diversi soggetti. INDICE ANALITICO DEGLI AUTORI Albasi C., 3 Andreassi S., Apparigliato M., Ardito R. B., Auletta B., Azzone P., 2 Bara B. G., Barone L., Bateni M., 2 Bertelli S., Boetti A., Bosco F., Caciolo M., Calcioli A., Calloni S., Calvo V., Camarda P., Candilera G., Cangiano A., Cantelmi T., Capobianco V., Cappellacci T., Carcione A., 3 Cascioli A., Castelli P., Castelli P., Caviglia G., Caviglia M. L., 1 Centenero E., Cianconi P., Ciaravella M. A., 2 Cieri L., Ciuna A., Coco E., Colatosti S., Collaro S., Colle L., Colli A., Comazzi D., Conti L., 3 Conversano P., Cossa M., 2 Costiero L., Cotugno A., 2 Cuffaro M., D’Antuono S., D’Olimpio F., Dazzi N., 2 De Bonis C., De Colle C., De Coro A., De Leonardis M., Del Castello E., Di Blasi M., 2 Di Nasso E., Di Nuovo S., Di Vita A. M., Didonna F., Dimaggio G., 3 Drogo G. M. L., Fahmy Y., Falcone M., Fava E., 5 Ferrari A., 2 Ferrero A., 2 Filippi B., Filippucci L., Fiocco B., Fiore D., 2 Framba R., Freni S., 2 Fusco E., 2 Galli G., Gangemi A., 2 Garro M., Gatta S., Gatti M., Gelo O., Gelsomino S., Giannone F., 2 Giordano C., Giorgi L., Girardengo C., Giussani S., Gragnani A., Granatella V., Granirei A., 2 Grassi R., Grimaldi L., Iannazzo A., La Pia S., Lalla C., Lelli F., Levi D., Lingiardi V., 3 Lis A., Lissandron S., Lo Coco G., Longoni D., Lorenzini R., Maffei C., Maggiolini A., 2 Manaresi F., 2 Mancini F., 4 Mancioppi S., 2 Marchino A., Masserini C., 4 Mazzeschi C., Mazzucchelli A., Mazzucchelli A., Mellace A., Merenda A., Miano P., Mineo R., Minniti A., Mongelli E., Morandi C., Morganti G., 2 Morosini P., Nicolò G., 4 Nobile S., Noseda F., Olivieri M., Ortu F., 3 Osimo F., 2 Ostuzzi R., Pardey A., Pastori M., Pazzagli C., 2 Pecoraia R., Petrilli D., 2 Piccione G., Pinto A., 3 Piscicelli S., 2 Pizzuti S. G., Plastino V., Podio C., Pogliani G., Polidori G., Pontalti C., Pontalti I., Popolo R., Porcari F., Procacci M., 4 Provantini K., Pruneri C., 2 Prunetti E., Putti S., Re L., Rigante L., Riportela A., Riva E., Rodini C., Rossi B., Ruggiero G. M., 4 Salcuni S., Salerno A., Saottini C., Sarno L., Sassaroli S., 4 Sciuto M., Scrimali T., Seganti A., Semerari A., 3 Shembeleva E. A., Spalletta E., Speranza A. M., Tagini A., Tirassa M., Trionfi C., 2 Vandoni C., Veglia F., Venuti P., Verrastro V., Viganò D., 2 Vinci G., Williams R., Zappa L., Zennaro A., Zordan P., Zuffranieri M.,