Abstracts del Congresso SPR-it di Palermo 2001

P.
S.
R.
Sezione Italiana della
Society for Psychotherapy Research
Edizioni………….
P.
S.
R.
Sezione Italiana della
Society for Psychotherapy Research
III Convegno Nazionale
La Psicoterapia:
la Ricerca per la Qualità della Clinica
Volume abstracts
a cura di Cecilia Giordano
Palermo 18-21 ottobre 2001
Comitato Scientifico:
A. Semerari, N. Dazzi, A. Seganti, G. Nicolò, I. Pontalti,
E. Fava, C. Masserini, G. Lo Verso, S. Di Nuovo,
F. Giannone, M. Di Blasi.
Comitato Organizzativo:
C. Giordano, G. Lo Coco, M. Di Blasi, F. Giannone,
G. Lo Verso, G. Nicolò.
Sede del Convegno:
Palazzo Steri
Santa Maria dello Spasimo
Palazzo Torremuzza
Convegno realizzato con il patrocinio di:
LOGHI
Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze della Formazione, Dipartimento di
Psicologia.
Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana.
Comune di Palermo.
Provincia Regionale di Palermo.
PROGRAMMA
GIOVEDÌ 18 OTTOBRE 2001: PALAZZO STERI
ORE 16, 00 :PALAZZO STERI
Tavola rotonda aperta al pubblico:
“ La Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica”
presso la sede di Palazzo Steri
Piazza Marina n. 61
Saluti delle autorità
Moderatore: S. Freni
Intervengono: A. Semerari, G. Lo Verso, N. Dazzi, S. Di Nuovo, A. Lis.
Venerdì 19 ottobre 2001
Mattina
ore 9, 00 - 11, 00 Sessioni tematiche parallele
“ La valutazione dell’alleanza terapeutica”
Moderatore: G. Nicolò
Lingiardi V.: “ L’alleanza terapeutica tra teoria clinica e ricerca empirica”
Ortu F., Cascioli A. Pazzagli C., Piscicelli S., Williams R., Dazzi N.: “ Valutazione del
processo terapeutico in una prospettiva integrata: alcune considerazioni sull’alleanza
terapeutica” .
Fava E., Masserini C.: “ Predittori di risultato e alleanza terapeutica” .
Camardo P, Cossa M, Freni S: “ Preditori di esito e di drop-out e alleanza terapeutica
”
Filippucci L., Lingiardi V.: “ La misurazione dell’alleanza nella psicoterapia di pazienti
con diagnosi di disturbo della personalità” .
“ Psicoterapia nel servizio pubblico”
Moderatore: D. La Barbera
Camarda P., Fava E., Masserini C., Cossa M., Pogliani G., Ferrari A., Freni S.: “ Esiti
e predittori di esito nelle psicoterapie dinamiche: i risultati di uno studio osservazionale
nel contesto di servizio di psicoterapia” .
Caviglia M. L., Mongelli E., Ferrero A., Plastino V.: “ Struttura di personalità e
disability: valutazione dell’efficacia di un trattamento riabilitativo residenziale in
pazienti con gravi disturbi psichiatrici” .
Fusco E., Galli G., Ciavarella M. A., Coco E.: “ Una ricerca sull’esito delle
psicoterapie condotta nel servizio pubblico. Prime elaborazioni” .
Didonna F., Zordan P., Bateni M.: “ Il problema della comorbilità nel disturbo
ossessivo-compulsivo in un campione di pazienti ospedalizzati: aspetti epidemiologici,
implicazioni cliniche e possibilità terapeutiche” .
“ Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva”
Moderatore: M. Procacci, A. Carcione
Pinto A., La Pia S., Polidori G., Morosini P.: “ Validazione di un questionario
autosomministrato per le convinzioni deliranti e le esperienze sensoriali anomale
(DEBEASE-Q)” .
Conversano P., Procacci M., Candilera G., Rigante L., Riportella A., Semerari A.: “ Un
questionario sul Senso di Appartenenza e di Condivisione (S.A.C.): costruzione e
validazione”
Veglia F., Vandoni C., Pardey A.: “ SSS Scheda di Sintesi della Seduta” .
Manaresi F., Castelli P., Cotugno A., Mazzucchelli A., Morganti G.: “ Il processo
terapeutico nelle narrazioni del paziente e del terapeuta: strumenti di indagine per un
confronto” .
ore 11, 00 Break
ore 11, 30 - 13, 30 Sessioni tematiche parallele
“ La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo”
Moderatore: T. Federico
Mancioppi S., Nicolò G., De Bonis C., Caciolo M., Auletta B.: “ Psicoterapia di gruppo
breve del disturbo da attacchi di panico: primi risultati” .
Barone L., Bateni M., Framba R., Prunetti E.: “ Valutazione delle emozioni e
partecipazione al setting di gruppo psicoeducativo nel modello di M. M. Linehan”
Ciavarella M. A., Cappellucci T., Fusco E., Cangiano A., Capobianco V.: “ Uno studio
empirico in un setting psicoterapeutico istituzionale: l’applicazione del CCRT di
Luborsky ai trascritti di una psicoterapia di gruppo ad orientamento psicodinamico” .
“ Ricerche e intervento clinico sulla famiglia”
Moderatore: F. Giannone
Zennaro A., Mazzeschi C., Salcuni S.: “ Strumenti a confronto per la diagnosi e la
previsione dei risultati del trattamento di problematiche insorte nelle madri in
gravidanza” .
Lis A., Calvo V., Pinto M.: “ Il colloquio per genitori in gravidanza come strumento
diagnostico e di previsione del trattamento” .
Salerno A., Miano P.: “ Handicap e riorganizzazione familiare” .
Di Vita A. M., Garro M., Granatella V., Merenda A.: “ Le relazioni familiari tra istanze
psicologiche e istanze giuridiche” .
Venuti P.: “ La famiglia degli orsi: diagnosi e valutazione dell’intervento in soggetti in
età prescolare” .
“ Ricerca sul processo”
Moderatore: A. Seganti
Morandi C., Masserini C., Ferrari A., Cossa M., Fava E.: “ Uno studio sul processo
attraverso l’empatia” .
Gatta S., Podio C., Noseda F., Fava E., Masserini C., Osimo F., Freni S.: “ Analisi del
processo mediante il metodo CCRT in Psicoterapia Breve Dinamico-Esperenziale” .
De Coro A., Andreassi S., Cascioli A., Dazzi N.: “ Una nuova organizzazione delle
categorie a cluster del CCRT, sulla base della teoria dei sistemi motivazionali di
Lichtenberg.”
Gelsomino S., Fava E., Osimo F., Fahmy Y.: “ L’utilizzo di supporti multimediali nello
studio del processo terapeutico” .
Bara B. G., Ardito R. B.: “ La condivisione nell’analisi del processo psicoterapeutico
” .
Pomeriggio ore 15, 00 - 17, 00
Tavola rotonda:
“ La teoria dell’attaccamento: applicazione alla terapia”
Moderatore: C. Masserini
Target M.:” Ricerca sull’attaccamento e psicoterapia” .
Liotti G.: “ La disorganizzazione dell’attaccamento come base esplicativa del valore
delle co-terapie nei pazienti gravi” .
Seganti A.: “ Sopra e sotto esposizione alla influenza degli altri quali metro di misura
del cambiamento in psicoterapia” .
ore 17, 00 Break
ore 17, 30 - 19, 30 Sessioni tematiche parallele
“ Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica”
Moderatore: M. Di Blasi
Colli A., Lingiardi V.: “ Una proposta di valutazione dell’alleanza terapeutica a partire
dai trascritti delle sedute: il sistema IVAT”
Ortu F., Speranza A.M., Pazzagli C., Tagini A., D’Antuono S., Pizzuti S. G.: “ La
valutazione dell’attaccamento: uno studio di validità convergente fra l’intervista
sull’attaccamento e gli strumenti self report” .
Maggiolini A., De Colle C., Grassi R., Trionfi C.: “ Check list per la valutazione dei
minori che commettono reati”
Riva E., Trionfi C., Saottini C., Viganò D.: “ Delinquenza minorile e capacità riflessiva:
elementi diagnostici al test di Rorschach” .
“ Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca”
Moderatore: P. L. Giordano
Sassaroli S., Ruggiero G. M.: “ La psicopatologia cognitiva dell’ansia: rimuginio,
obbligo di controllo, timore del danno, rimprovero e perfezionismo patologico” .
Ruggiero G. M., Apparigliato M., Lissandron S., Piccione G., Sassaroli S.: “ La
valutazione controllabile del rimuginio, dell’obbligo di controllo, del rimprovero e del
perfezionismo patologico” .
Ruggiero G. M., Bertelli S., Longoni D., Zappa L., Pruneri C., Sassaroli S.: “ Analisi
dei primi dati in uno studio pilota su un gruppo di pazienti affetti da disturbo alimentare
in un day hospital della Lombardia” .
Ciuna A., Levi D., Ruggiero G. M., Sassaroli S.: “ Ansia da prestazione, perfezionismo
patologico e ossessione alimentare in un campione di 60 studentesse di un Istituto
Superiore: uno studio sperimentale” .
“ Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva”
Moderatore: M. Cardaci
Scrimali T.: “ Teorie dell’attaccamento e teoria dei sistemi complessi in psichiatria”
Grimaldi L.: “ Attaccamento nell’adulto e psicoterapia cognitiva”
De Leonardis M.: “ Stile genitoriale e attaccamento nell’adulto nei disturbi d’ansia e
nella depressione” .
Sciuto M.: “ Emotività espressa e pattern relazionali. Aspetti teorici e sperimentali” .
Sabato 20 ottobre 2001
Mattina ore 9, 00 - 11, 00
Tavola rotonda:
“ L’analisi delle sedute”
Moderatore: A. De Coro
Mergenthaler E.: “ The psychotherapeutic process model and practice-orientated
research” .
Nicolò G.: “ La valutazione del processo e dell’esito in psicoterapia: un confronto tra la
griglia degli stati problematici (GSP), la scala di valutazione della metacognizione
(SVAM) e il modello del ciclo terapeutico” .
Amadei G., Pozzi S., Marchesini S.: “ Studio di un caso singolo mediante la P.R.S.
(Periodical Rating Scale)” .
ore 11, 00 Break
ore 11, 30 - 13, 00 Sessione Poster
Presentazione e discussione: I. Pontalti, G. Lo Coco, C. Giordano
Pomeriggio
ore 14, 00 - 16, 00 Sessioni tematiche parallele
“ Ricerca sul processo - esito”
Moderatore: L. Sarno
Pinto A., Collaro S., Lalla C.: “ Comprensione e terapia del Disturbo
Ossessivo-Compulsivo come equivalente mentale delle malattie autoimmuni”
Contiero L., Calloni S., Gatti M., Giussani S., Pastori M., Rodini C., Pruneti C.: “ Uso
dell’intervista R.A.P. con codifica C.C.R.T. e S.A.S.B. per individuazione focus
terapeutico e verifica dell’esito di due psicoterapie a tempo definito a indirizzo
psicodinamico supportivo-espressivo” .
Shembeleva E. A.: “ On neurotic disorders in venerologic and dermatologic clinic” .
Cotugno A., Castelli P., Manaresi F., Mazzucchelli A., Morganti G.: “ Quel che resta
della psicoterapia: analisi delle narrazioni e delle rappresentazioni del paziente e del
terapeuta in uno studio pilota di follow-up” .
“ Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità”
Moderatore: V. Lingiardi
Popolo R., Procacci M., Petrilli D., Vinci G.: “ Analisi comparativa dei profili
Metacognitivi condotta su casi di Disturbo Evitante di Personalità e Fobia Sociale: primi
risultati” .
Nobile S., Centenero E., Nicolò G., Porcari F.: “ Deficit metacognitivi e stati
problematici nel Disturbo Paranoide di Personalità: ricerca su caso singolo” .
Fiore D., Petrilli D., Mancioppi S., Dimaggio G.: “ Deficit metacognitivi e cicli
interpersonali nel Disturbo Narcisistico di Personalità: analisi di un caso singolo” .
Rossi B., Conti L., Carcione A.: “ Deficit metacognitivi e stati problematici nel
Disturbo Dipendente di Personalità: analisi su caso singolo” .
“ Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del disturbo
ossessivo-compulsivo (DOC)”
Moderatore: T. Scrimali
Mancini F.: “ Assunzione di responsabilità, timore di colpa e processi cognitivi”
Mancini F., Gangemi A.: “ Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di
assunzione di colpa” .
Gangemi A. Mancini F.: “ Il ragionamento condizionale e la responsabilità”
D’Olimpio F., Cieri L., Mancini F.: “ Il senso di responsabilità nelle ossessioni e
compulsioni” .
Gragnani A., Mancini F.: “ Il ruolo del disgusto nel Disturbo Ossessivo Compulsivo”
.
ore 16, 00 Break
ore 16, 30 - 18, 30 Sessioni tematiche parallele
“ Trattamento dei Disturbi di Personalità”
Moderatore: A. Semerari
Maffei C.: “ Psicoterapie dei Disturbi di Personalità: una rilevazione di variabili
obiettive su cinque anni” .
Carcione A., Conti L., Dimaggio G., Falcone M., Pontalti I., Nicolò G., Procacci M.,
Semerari A. : “ Valutazione del funzionamento metacognitivo nei Disturbi di
Personalità” .
Conti L., Semerari A., Carcione A., Dimaggio G., Nicolò G., Procacci M.: “
Condivisione e competenze metacognitive: analisi di sedute psicoterapeutiche
attraverso l’Indice di Condivisione e la S.Va.M.” .
Bosco F., Colle L., Pecoraia R., Tirassa M.: “ Una scala per la valutazione clinica della
Teoria della Mente” .
“ La ricerca sul processo-esito nei setting gruppali”
Moderatore: C. Pontalti, A. Balbi
Colatosti S., Fiore D., Cianconi P., Mellace A., Pontalti C.: “ Psicoterapia di gruppo e
Codice di Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.) : analisi di un trattamento
in una comunità terapeutica”
Lo Coco G., Mineo R., Giordano C., Di Blasi M., Giannone F.: “ Campi terapeutici a
confronto: il percorso di due gruppi analizzati attraverso il Codice di Analisi dello Stile
del Campo Terapeutico” .
Di Nuovo S., Cuffaro M., Giannone F., Di Blasi M.: “ Approcci terapeutici diversi:
misure di cambiamento al T.A.T.” .
“ Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione”
Moderatore: A. Falci
Provantini K., Azzone P., Maggiolini A., Santilli Marcheggiani N., Viganò D.: “
L’evoluzione dei contenuti tipici nei sogni, dalla preadolescenza alla vecchiaia” .
Maggiolini A., Azzone P., Comazzi D.: “ L’analisi dei sistemi motivazionali nei sogni
”
Sarno L.: “ Il sogno, il transfert, il processo terapeutico e le teorie del funzionamento
della mente” .
Cantelmi T., Putti S.: “ La psicoterapia on-line. Primi risultati di una ricerca
sperimentale italiana” .
ore 18, 30 - 20, 30 ASSEMBLEA ANNUALE SOCI SPR
ore 21,30 Cena sociale
Domenica 21 ottobre 2001
Mattina ore 9, 00 - 11, 00
Tavola rotonda:
“ La valutazione in psicoterapia di gruppo”
Moderatore: G. Lo Verso
Mc Kenzie R.: “ Group psychotherapy process and outcome research: latest findings”
.
Pontalti C.: “ Vincoli di codici, vincoli di etica: paradigmi per la ricerca in psicoterapia
analitica di gruppo” .
Costantini A.: “ Valutazione del processo e dell’esito nella Terapia di Gruppo a tempo
limitato” .
ore 11,00 Break
ore 11, 30 - 13, 00 Conclusioni:
“ Ricerca e clinica”
Moderatore: E. Fava
Semerari A.: “ Modelli psicopatologici come base della ricerca in psicoterapia” .
Mulè M.: “ Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica".
Giovedì 18 ottobre 2001:
Tavola rotonda aperta al pubblico
Ore 16,00 Palazzo Steri
“La Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica”
Saluti delle autorità
Moderatore: S. Freni
Intervengono: A. Semerari, G. Lo Verso, N. Dazzi, S. Di Nuovo, A. Lis.
Venerdì 19 ottobre 2001:
Ore 9,00 – 11,00
Sessioni tematiche parallele
Santa Maria dello Spasimo
La valutazione dell’alleanza terapeutica
Moderatore: G. Nicolò
V. Lingiardi: "L’alleanza terapeutica tra teoria clinica e ricerca empirica”
F. Ortu, A. Cascioli, C. Pazzagli, S. Piscicelli, R. Williams, N. Dazzi: “Valutazione del processo
terapeutico in una prospettiva integrata: alcune considerazioni sull’alleanza
terapeutica”.
E. Fava, C. Masserini: "Predittori di risultato e alleanza terapeutica”
L. Filippucci, V. Lingiardi: “La misurazione dell’alleanza nella psicoterapia di pazienti con diagnosi
di disturbo della personalità”.
Ore 9,00 – 11,00
Palazzo Torremuzza - Sala A
Psicoterapia nel servizio pubblico
Moderatore: D. La Barbera
P. Camarda, E. Fava, C. Masserini, M. Cossa, G. Pogliani, A. Ferrari, S. Freni: “Esiti e predittori di esito
nelle psicoterapie dinamiche: i risultati di uno studio osservazionale nel contesto di
servizio di psicoterapia”
19 ottobre 2001
M. L. Caviglia, E. Mongelli, A. Ferrero, V. Plastino: “Struttura di personalità e disability: valutazione
dell’efficacia di un trattamento riabilitativo residenziale in pazienti con gravi disturbi
psichiatrici”
E. Fusco, G. Galli, M. A. Ciaravella, E. Coco: “Una ricerca sull’esito delle psicoterapie condotta nel
servizio pubblico. Prime elaborazioni”
F. Didonna, P. Zordan, M. Bateni: “Il problema della comorbilità nel disturbo ossessivo-compulsivo in
un campione di pazienti ospedalizzati: aspetti epidemiologici, implicazioni cliniche e
possibilità terapeutiche”
Ore 9,00 – 11,00
Palazzo Torremuzza - Sala B
Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva
Moderatore: M. Procacci, A. Carcione
A. Pinto, S. La Pia, G. Polidori, P. Morosini: “Validazione di un questionario autosomministrato per le
convinzioni deliranti e le esperienze sensoriali anomale (DEBEASE-Q)
P. Conversano, M. Procacci, G. Candilera, L. Rigante, A. Riportella, A. Semerari: “Un questionario sul
Senso di Appartenenza e di condivisione (S.A.C.): costruzione e validazione”
F. Veglia, C. Vandoni, A. Pardey: “SSS Scheda di Sintesi della Seduta”
F. Manaresi, P. Castelli, A. Cotugno, A. Mazzucchelli, G. Morganti: “Il Processo terapeutico nelle
narrazioni del paziente e del terapeuta: strumenti di indagine per un confronto”
Ore 11,00
Break
Venerdì 19 ottobre 2001:
Ore 11,30 – 13, 30
Sessioni tematiche parallele
Santa Maria dello Spasimo
La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo
Moderatore: T. Federico
S. Mancioppi, G. Nicolò, C. De Bonis, M. Caciolo, B. Auletta: “Psicoterapia di gruppo breve del
disturbo da attacchi di panico: primi risultati”
L. Barone, M. Bateni, R. Framba, E. Prunetti: “Valutazione delle emozioni e partecipazione al settino
di gruppo psicoeducativo nel modello di M. M. Linehan”
19 ottobre 2001
M. A. Ciaravella, T. Cappellucci, E. Fusco, A. Cangiano, V. Capobianco: “Uno studio empirico in un
setting psicoterapeutico istituzionale: l’applicazione del CCRT di Luborsky ai trascritti
di una psicoterapia di gruppo ad orientamento psicodinamico”
Ore 11,30 – 13, 30 Palazzo Torremuzza – Sala A
Ricerche e intervento clinico sulla famiglia
Moderatore: F. Giannone
A. Zennaro, C. Mazzeschi, S. Salcuni: “Strumenti a confronto per la diagnosi e la previsione dei
risultati del trattamento di problematiche insorte nelle madri in gravidanza”
A. Lis, V. Calvo, M. Pinto: “Il colloquio per genitori in gravidanza come strumento diagnostico e di
previsione del trattamento”
A. Salerno, P. Miano: “Handicap e riorganizzazione familiare”
A. M. Di Vita, M. Garro, V. Granatella, A. Merenda: “Le relazioni familiari tra istanze psicologiche e
istanze giuridiche”
P. Venuti: “La famiglia degli orsi: diagnosi e valutazione dell’intervento in soggetti in età prescolare”
Ore 11,30 – 13, 30 Palazzo Torremuzza – Sala B
Ricerca sul processo
Moderatore: A. Seganti
C. Morandi, C. Masserini, A. Ferrari, M. Cossa, E. Fava: “Uno studio sul processo attraverso
l’empatia”
S. Gatta, C. Podio, F. Noseda, E. Fava, C. Masserini, F. Osimo, S. Freni: “Analisi del processo
mediante il metodo CCRT in Psicoterapia Breve Dinamico-Esperienziale”
A. De Coro, S. Andreassi, A. Cascioli, N. Dazzi: “Una nuova organizzazione delle categorie a cluster
del CCRT, sulla base della teoria dei sistemi motivazionali di Lichtenberg”
S. Gelsomino, E. Fava, F. Osimo, Y. Fahmy: “L’utilizzo di supporti multimediali nello studio del
processo terapeutico”
B. G. Bara, R. B. Ardito: “La condivisione nell’analisi del processo psicoterapeutico”
Venerdì 19 ottobre 2001:
Tavola rotonda
Ore 15,00 – 17:00 Santa Maria dello Spasimo
“La teoria dell’attaccamento: applicazione alla terapia”
Moderatore: C. Masserini
M. Target: “Ricerca sull’attaccamento e psicoterapia”
G. Liotti: “La disorganizzazione dell’attaccamento come base esplicativa del valore delle
co-terapie nei pazienti gravi”
A. Seganti: “Sopra e sotto esposizione alla influenza degli altri quali metro di misura del
cambiamento in psicoterapia”
Ore 17,00
Break
Venerdì 19 ottobre 2001:
Ore 17,30 – 19, 30
Sessioni tematiche parallele
Santa Maria dello Spasimo
Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica
Moderatore: M. Di Blasi
A. Colli, V. Lingiardi: “Una proposta di valutazione dell’alleanza terapeutica a partire dai
trascritti delle sedute: il sistema IVAT”
F. Ortu, A. M. Speranza, C. Pazzagli, A. Tagini, S. D’Antuono, S. G. Pizzuti: ”La valutazione
dell’attaccamento:
uno
studio
di
validità
convergente
fra
l’intervista
sull’attaccamento e gli strumenti self report”
A. Maggiolini, C. De Colle, R. Grassi, C. Trionfi: “Check list per la valutazione dei minori che
commettono reati”
E. Riva, C. Trionfi, C. Saottini, D. Viganò: “Delinquenza minorile e capacità riflessiva: elementi
diagnostici al test di Rorschach”
Ore 17,30 – 19, 30 Palazzo Torremuzza – Sala A
Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca
Moderatore: P. L. Giordano
S. Sassaroli, G. M. Ruggiero: “La psicopatologia cognitiva dell’ansia: rimuginio, obbligo di
controllo, timore del danno, rimprovero e perfezionismo patologico”
G. M. Ruggiero, M. Apparigliato, S. Lissandron, G. Piccione, S. Sassoroli: “La valutazione
controllabile del rimuginio, dell’obbligo del controllo, del rimprovero e del
perfezionismo patologico”
19 ottobre 2001
G. M. Ruggiero, S. Bertelli, D. Longoni, L. Zappa, C. Pruneri, S. Sassoroli: “Analisi dei primi dati di
uno studio pilota su un gruppo di pazienti affetti da disturbo alimentare in day
hospital della Lombardia”
A. Ciuna, D. Levi, G. M. Ruggiero, S. Sassaroli: “Ansia a prestazione, perfezionismo patologico e
ossessione alimentare in un campione di 60 studentesse in un Istituto Superiore: uno
studio sperimentale”
Ore 17,30 – 19, 30 Palazzo Torremuzza – Sala B
Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva
Moderatore: M. Cardaci
T. Scrimali: “Teorie dell’attaccamento e teoria dei sistemi complessi in psichiatria”
L. Grimaldi: “Attaccamento nell’adulto e psicoterapia cognitiva”
M. De Leonardis: “Stile genitorile e attaccamento nell’adulto nei disturbi d’ansia e nella
depressione”
M. Sciuto: “Emotività espressa e pattern relazionali. Aspetti teorici e sperimentali”
Sabato 20 ottobre 2001:
Tavola rotonda
Ore 9,00 – 11:00 Santa Maria dello Spasimo
“L’analisi delle sedute ”
Moderatore: A. De Coro
E. Mergenthaler: “The psychotherapeutic process modell and practice-orientated research”
G. Nicolò: “La valutazione del processo e dell’esito in psicoterapia: un confronto tra la griglia
degli stati problematici (GSP), la scala di valutazione della metacognizione (SVAM)
e il modello del ciclo terapeutico”
G. Amadei, S. Pozzi, S. Marchesini: “Studio di un caso singolo mediante la P.R.S. (Periodical Rating
Scale)”
Ore 11,00
Break
Sabato 20 ottobre 2001:
Ore 11,30 – 13, 00
Sessioni Poster parallele
Santa Maria dello Spasimo (Abside)
Presentazione e discussione: I. Pontalti
Strumenti di valutazione nella ricerca clinica
G. M. L. Drogo, V. Verrastro: “L’importanza della comunicazione nella terapia breve ad approccio
strategico”
S. Piscicelli, F. Ortu: “Applicazione del CCRT di Luborsky (1990) ad interviste di un gruppo di
anziani: considerazioni cliniche”
A. Minniti, R. Ostuzzi, R. Lorenzini: “Valutare le Teorie Psicologiche Naive: due strumenti a
confronto”
E. Spalletta, A. Iannazzo: “Monitoraggio e supervisione della qualità empatica come indicatore di
cambiamento nei trattamenti clinici integrati”
Ore 11,30 – 13, 00
Santa Maria dello Spasimo
Presentazione e discussione: G. Lo Coco
Stili di attaccamento e modelli operativi interni
E. Di Nasso, F. Ferrero, L. Giorgi, A. Marchino, C. Albasi: “Relazione tra dimensioni
dell’attaccamento e tratti di personalità”
A. Boetti, C. Albasi, A. Granieri, C. Girardengo: “Stili di attaccamento e modelli operativi interni in
una popolazione di tossicodipendenti in trattamento”
G. Caviglia, E. Del Castello, B. Fiocco: “Analisi dello stato della mente rispetto all’attaccameto,
indagato con l’Adult Attachment Interview, in donne con Agorafobia e nei loro
mariti: uno studio pilota”
C. Albasi, A. Granieri, A. Seganti, M. Zuffranieri: “Studio dello stile di attaccamento in genitori di
pazienti psichiatrici”
O. Gelo: “Metafore concettuali e modelli operativi interni nell’organizzazione del sistema
concettuale”
Sabato 20 ottobre 2001:
Ore 14,00 – 16, 00
Sessioni tematiche parallele
Santa Maria dello Spasimo
Ricerca sul processo-esito
Moderatore: L. Sarno
A. Pinto, S. Collaro, C. Lalla: “Comprensioni e terapia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo come
equivalente mentale delle malattie autoimmuni”
L. Contiero, S. Calloni, M. Gatti, S. Giussani, M. Pastori, C. Rodini, C. Pruneti: “Uso dell’intervista
R.A.P. con codifica C.C.R.T. e S.A.S.B. per individuazione focus terapeutico e
verifica dell’esito di due psicoterapie a tempo definito a indirizzo psicodinamico
supportivo-espressivo”
E. A. Shembeleva: “On neurotic disorders in venerologic and dermatologic clinic”
A. Cotugno, P. Castelli, F. Manaresi, A. Mazzucchelli, G. Morganti: “Quel che resta della
psicoterapia: analisi delle narrazioni e delle rappresentazione del paziente e del
terapeuta in uno studio pilota di follow-up”
Ore 14,00 – 16, 00 Palazzo Torremuzza – Sala A
Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità
Moderatore: V. Lingiardi
R. Popolo, M. Procacci, D. Petrilli, G. Vinci: “Analisi comparativa dei profili Metacognitivi condotta
su casi di Disturbo Evitante di Personalità e Fobia Sociale: primi risulatati”
S. Nobile, E. Centenero, G. Nicolò, F. Porcari: “Deficit e stati problematici nel Disturbo paranoie di
Personalità: ricerca sul caso singolo”
D. Fiore, D. Petrilli, S. Mancioppi, G. Dimaggio: “Deficit metacognitivi e cicli interpersonali nel
Disturbo Narcisistico di Personalità: analisi di un caso singolo”
B. Rossi, L. Conti, A. Carcione: “Deficit metacognitivi e stati problematici nel disturbo Dipendente
di Personalità: analisi su caso singolo”
Ore 14,00 – 16, 00 Palazzo Torremuzza – Sala B
Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del Disturbo Ossessivo-Compulsivo
(DOC)
Moderatore: T. Scrimali
F. Mancini: “Assunzione di responsabilità, timore di colpa e processi cognitivi”
F. Mancini, A. Gangemi: “Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di assunzioni di
colpa”
A. Gangemi, F. Mancini: “Il ragionamento condizionale e la responsabilità”
F. D’Olimpio, L. Cieri, F. Mancini: “Il senso di responsabilità nelle ossessioni e compulsioni”
A. Gragnani, F. Mancini: “Il ruolo del disgusto nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo”
Ore 16,00
Break
Sabato 20 ottobre 2001:
Ore 16,30 – 18, 30
Sessioni tematiche parallele
Santa Maria dello Spasimo
Trattamento dei Disturbi di Personalità
Moderatore: A. Semerari
C. Maffei: “Psicoterapie dei Disturbi di Personalità: una rilevazione di variabili obiettive su cinque
anni”
A. Carcione, L. Conti, G. Dimaggio, M. Falcone, I. Pontalti, G. Nicolò, M. Procacci, A. Semerari:
“Valutazione del funzionamento metacognitivo nei disturbi di personalità”
L. Conti, A. Semerari, A. Carcione, G. Dimaggio, G. Nicolò, M. Procacci: “Condivisione e competenze
metacognitive: analisi di sedute psicoterapeutiche attraverso l’Indice di
Condivisione e la S.Va.M:”
F. Bosco, L. Colle, R. Pecoraia, M. Tirassa: “Una scala per la valutazione clinica della Teoria della
Mente”
Ore 16,30 – 18, 30
Palazzo Torremuzza-Sala A
La ricerca sul processo-esito nei setting gruppali
Moderatore: C. Pontalti, A. Balbi
S. Colatosti, D. Fiore, P. Cianconi, A. Mellace, C. Pontalti: “Psicoterapia di gruppo e Codice di
Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.): analisi di un trattamento di
una comunità terapeutica”
G. Lo Coco, R. Mineo, C. Giordano, M. Di Blasi, F. Giannone: “Campi terapeutici a confronto: il
percorso di due gruppi analizzati attraverso il Codice di Analisi dello Stile del
Campo Terapeutico”
S. Di Nuovo, M. Cuffaro, F. Giannone, M. Di Blasi: “Approcci terapeutici diversi: misure di
cambiamento al T.A.T.”
Ore 16,30 – 18, 30
Palazzo Torremuzza-Sala B
Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione
Moderatore: A. Falci
K. Provantini, P. Azzone, A. Maggiolini, N. Santilli Marchigiani, D. Viganò: “L’evoluzione dei
contenuti tipici nei sogni, dalla preadolescenza alla vecchiaia”
A. Maggiolini, P. Azzone, D. Comazzi: “L’analisi dei sistemi motivazionali nei sogni”
L. Sarno: “Il sogno, il transfert, il processo terapeutico e le teorie di funzionamento della mente”
T. Cantelmi, S. Putti: “La psicoterapia on-line. Primi risultati di una ricerca sperimentale italiana”
Sabato 20 0ttobre
Assemblea annuale Soci S.P.R.
Ore 18:30 – 20:30 Santa Maria dello Spasimo
Sabato 20 ottobre
Cena Sociale - Palazzo Raffadali
Ore 21:30
Domenica 21 ottobre 2001:
Ore 9:00 – 11:00
Tavola rotonda
Santa Maria dello Spasimo
La valutazione in psicoterapia di gruppo
Moderatore: G. Lo Verso
R. MacKenzie: ”Group Psychoterapy Process and autcome research: latest findings”
C. Pontalti: “Vincoli di codici, vincoli di etica: paradigmi per la ricerca in psicoterapia analitica di
gruppo”
A. Costantini: “Valutazione del processo e dell’esito della Terapia di Gruppo a tempo limitato”
Ore 11,00
Break
Domenica 21 ottobre:
Conclusioni
Ore 11:30 – 13:00 Santa Maria dello Spasimo
Ricerca e clinica
Moderatore: E. Fava
A. Semerari: “Modelli psicopatologici come base della ricerca in psicoterapia”
M. Mulè: “Psicoterapia: la ricerca per la qualità della clinica”
INDICE
Presentazione………………………………………………………………………...pag.
(Antonio Semerari)
Introduzione……………..…………………………………………………………..pag.
(Girolamo Lo Verso, Francesca Giannone)
Abstracts delle Sessioni tematiche :
La valutazione dell’alleanza terapeutica…………………………………....…….... pag. 78
(Coordinatore: V. Lingiardi; Moderatore: G. Nicolò)
Psicoterapia nel servizio pubblico………………………………………………… pag.
(Moderatore: D. La Barbera)
Nuovi strumenti di valutazione nella diagnosi e nella terapia cognitiva……….... pag.
(Coordinatori e Moderatori: M. Procacci, A. Carcione)
La ricerca empirica in psicoterapia di gruppo……………………..…………...…... pag.
(Moderatore: T. Federico)
Ricerche ed intervento clinico sulla famiglia…………….…….……………...….. pag.
(Coordinatrice: A. Lis; Moderatrice: F. Giannone)
Ricerca sul processo………………………………………………………..…..….. pag.
(Moderatore: A. Seganti)
Strumenti di ricerca per la diagnosi e la valutazione della pratica clinica….…….. pag.
(Moderatrice: Marie Di Blasi)
Obbligo di controllo e rimuginio: teoria e ricerca……………………………... pag.
(Coordinatrice: S. Sassaroli; Moderatore: P. L. Giordano)
Attaccamento, relazioni personali, terapia cognitiva………………………..…. pag.
(Moderatore: M. Cardaci)
Ricerca sul processo-esito……………………………………………………… pag.
(Moderatore: L. Sarno)
Ricerca empirica e modelli di psicopatologia della personalità…………….…. pag.
(Coordinatore: G. Nicolò; Moderatore: V. Lingiardi)
Il contributo della ricerca in psicologia cognitiva alla conoscenza del………. pag.
Disturbo Ossessivo – Compulsivo (DOC)
(Coordinatore e Moderatore: T. Scrimali)
Trattamento dei disturbi di personalità……………………………………….. pag.
(Coordinatore e Moderatore: A. Semerari)
La ricerca sul processo – esito nei setting gruppali……………………………. pag.
(Moderatori: C. Pontati, A. Balbi)
Teorie della mente e funzioni di mentalizzazione…………………………… pag.
(Moderatore: A. Falci)
Abstracts delle Sessioni Posters:
Strumenti di valutazione nella ricerca clinica………………………………….. pag.
(Presentazione e discussione: I. Pontati)
Stili di attaccamento e modelli operativi interni……………………………..…pag.
(Presentazione e discussione: G. Lo Coco)
Presentazione
Il terzo congresso dell’S.P.R. si tiene a Palermo, in una città e in una regione dove da anni si è
intrapresa una vivacissima attività di ricerca (basti pensare al progetto Val.Ter.) e di discussione sulla
ricerca in psicoterapia. La scelta del luogo non costituisce, però, solo un riconoscimento del lavoro che
qui è stato svolto. Essa segnala anche la crescita dell’S.P.R. – Italia come società nazionale che
raccoglie, oltre i tradizionali poli di Milano e Roma, tutti coloro che, nel nostro paese, sono interessati
allo sviluppo di una psicoterapia basta sul metodo scientifico. Il numero e la varietà dei contributi che
vengono presentati in questo volume è un’ulteriore prova dei passi avanti fatti in questa direzione.
La ragione per cui molte delle persone interessate ad una psicoterapia scientifica possono
trovarsi a loro agio ad un congresso dell’S.P.R., sono molteplici e vorrei provare ad elencarvi alcuni che
costituiscono i capisaldi di continuità nella linea culturale della società.
La prima è di considerare la psicoterapia una disciplina unitaria il cui progresso è frutto, come
in ogni attività scientifica, di impresa collettiva. Partecipano alla vita della società clinici e ricercatori
che provengono da scuole differenti, accumunati però da un forte senso d’appartenenza ad una comunità
scientifica più ampia che è quella degli psicoterapeuti. In pratica questo significa che i risultati ottenuti
da un collega impegnato nella ricerca, qualunque sia la sua scuola di psicoterapia, costituiscono dati di
un patrimonio comune con cui confrontarsi criticamente ed è questo che, a mio avviso, può conferire alla
psicoterapia quel carattere di impresa collettiva, basata sul carisma di autori di genio, tipica dello
sviluppo scientifico.
Il secondo caposaldo della linea culturale della società è che ogni controversia va affrontata,
evitando ogni richiamo ad ortodossie e a principi primi, ma attenendosi ai due strumenti principi del
metodo scientifico, la discussione critica e il controllo empirico.
Il terzo punto è espresso dal titolo stesso di questo congresso: ‘una ricerca orientata alla clinica’.
Proprio perché riteniamo che la psicoterapia sia un campo specifico con problemi aventi una propria
autonoma fisionomia riteniamo che la ricerca debba occuparsi dei problemi interessanti del settore e non,
al contrario, i problemi essere adattati o ignorati in base alle esigenza del ricercatore.
Più chiaramente, sofisticate e corrette metodologie sono del tutto inutili se non servono per
affrontare problemi clinici interessanti. Per questo teniamo al fatto che i clinici, anche non direttamente o
solo occasionalmente ricercatori ma interessati all’uso dei risultati della ricerca, partecipino attivamente
alla vita della società. Il loro contributo è fondamentale per evitare che la ricerca in psicoterapia si isoli in
attività autoreferenziali che non servono al progresso della disciplina.
Sono queste le linee su cui la società è nata e si e sviluppata grazie a colleghi che avevano
intuito come queste esperienze fossero condivise da un’ampia area di psicoterapeuti italiani. Mi scuso e
non posso citarli tutti ma mi limito a ricordare che questa è stata la linea dei presidenti che mi hanno
preceduto Salvatore Freni e Nino Dazzi, e a cui ho cercato di attenermi.
La loro ambizione era di fondare anche in Italia una tradizione di ricerca in questo campo. I
colleghi palermitani organizzando questo congresso hanno apportato un altro mattone alla costruzione di
questa tradizione.
Antonio Semerari
Introduzione
Il volumetto degli abstract che presentiamo può essere, riteniamo, un utile strumento di lavoro
che permette di inquadrare l'insieme del convegno: invitiamo quindi i colleghi a guardarlo con
attenzione. Da esso emerge l'incontro tra la ricca e seria tradizione dell'S.P.R. e la frontiera in cui il
convegno vuole collocarsi con il titolo assai significativo di "La psicoterapia: la ricerca per la qualità
della clinica". In esso l'intrecciarsi e la circolarità dei tre termini - ricerca, qualità, clinica - chiariscono
l'ambizioso e significativo progetto che il convegno promuove.
Dagli interventi emerge quanto la ricerca empirica sia ormai consolidata anche in Italia
(sebbene sia ancora insufficientemente diffusa a livello professionale e in molte scuole ancora vincolate
da un senso di identità ed appartenenza un pò autoreferenziale). Emerge anche quanto, la ricerca
empirica possa oggi prendere in considerazione anche altri e più tradizionali filoni di ricerca clinica: ad
es. quella epistemologica, osservativa, epidemiologica, teorico-concettuale, narrativa e legata al caso
clinico, a verifiche qualitative ecc..
Un altro fattore che ci sembra interessante delle ricerche presentate è il loro carattere
tendenzialmente trasversale ai modelli: ciò è più direttamente visibile quando si parla di valutazione,
servizio pubblico, processo, famiglia, attaccamento, diagnosi, analisi di sedute, personalità, mente,
valutazione; lo è, anche, almeno potenzialmente, a nostro avviso, anche quando si parla di lavoro in
specifiche aree: cognitiva, psicoanalitica, analitico-gruppale ecc..
Vogliamo, infine, sottolineare gli aspetti quantitativi del convegno citando solo il fatto che fra
tavole rotonde, relazioni nelle sessioni e poster esso coinvolge lo sforzo ed il lavoro che ci è sembrato
accurato ed approfondito, di moltissimi colleghi.
Auguriamo quindi a tutti un fruttuoso lavoro e segnaliamo l'impegnativo piacere con cui i
colleghi siciliani ed il direttivo nazionale hanno lavorato al convegno facendo fino in fondo quello che
erano capaci di fare. Ci auguriamo anche che i convegnisti possano godersi le cose buone che questa
complessa città può offrire: la bellezza del clima, le tradizioni culturali, il suo centro storico, la qualità
del cibo. A differenza di altre culture, quella mediterranea non ha mai pensato che l’impegno e la crescita
siano cose necessariamente legate alla sofferenza e non anche al piacere.
Girolamo Lo Verso
Francesca Giannone
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L'ALLEANZA TERAPEUTICA
TRA TEORIA CLINICA E RICERCA EMPIRICA
V. Lingiardi
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
I concetti di Alleanza Terapeutica (Therapeutic Alliance), Alleanza di Lavoro (Working
Alliance), Alleanza d’Aiuto (Helping Alliance) sono le formule più usate in letteratura per indicare una
dimensione interattiva tra paziente e terapeuta riferita alla capacità di sviluppare una relazione reale,
basata sulla collaborazione nel lavoro comune al fine di affrontare i problemi e le difficoltà del paziente.
Un primo riferimento al concetto di alleanza terapeutica (d’ora in poi: AT) lo troviamo in Freud,
particolarmente nei concetti di “transfert positivo irreprensibile” (1912) e, più tardi, di “collaborazione
paziente-analista” (1940). Gli sviluppi della psicoanalisi e, nell’ultimo ventennio, le ricerche di tipo
empirico sulle variabili implicate nella relazione terapeutica (allargando il concetto di relazione
terapeutica anche al di là dei confini, spesso angusti, di ciò che si suole definire “psicoanalisi”) sono stati
accompagnati dal contributo di vari autori. Un breve elenco: Sterba (1934, alleanza dell’Io), Fenichel
(1941, transfert razionale), Zetzel (1958, alleanza terapeutica), Stone (1961, transfert maturo), Greenson
(1965, alleanza di lavoro), Luborsky (1976, alleanza di aiuto), Bordin (1979, alleanza come costrutto
panteoretico scomponibile in tre dimensioni: “compiti”, “obiettivi”, “legame” - Tasks, Goals, Bond),
Safran e Muran (2000, rotture e riparazioni dell’alleanza). In questi ultimi anni, l'interesse per questo
costrutto è tornato in auge anche in quegli ambiti psicoanalitici tradizionalmente più insofferenti alla
ricerca empirica. Sono dunque state avanzate nuove proposte e nuove definizioni, come il concetto di
collaborative interaction proposto da Ponsi (2000).
A partire dagli anni Ottanta, ricercatori di formazione psicodinamica, interpersonale e
cognitivista hanno confermato la validità del costrutto AT come “fattore comune” a tutte le relazioni
terapeutiche (Horvath, Greenberg, 1996) e come uno dei principali fattori curativi nella psicoterapia.
Molte ricerche (vedi per esempio, Horvath, Gaston, Luborsky, 1993; Lingiardi et. al, 2000) mostrano
importanti correlazioni tra indici di AT, outcome della psicoterapia e markers indicativi di un
miglioramento del paziente nel corso della terapia. Tali studi segnalano tra l’altro che la qualità dell'AT
nelle fasi iniziali del trattamento è significativamente predittiva dell'outcome finale.
Nel tentativo di integrare il costrutto AT sia nel campo della teoria clinica sia in quello della
ricerca empirica, l’Autore sottolinea la necessità di affrontare alcuni nodi tematici, a ponte tra la
dimensione intrapsichica e quella interpersonale. L’alleanza terapeutica:
a) è un tipo di relazione? un insieme di comportamenti? un legame emotivo? un accordo
sugli obiettivi o compiti del trattamento?
b) è un costrutto unidimensionale o multidimensionale?
c) in che misura dipende dalla motivazione e dalle capacità del paziente e/o del terapeuta?
d) quanto la sua qualità è determinata dalla psicopatologia del paziente?
e) come si sviluppa nel tempo?
f)
è collegata direttamente o indirettamente al cambiamento terapeutico?
g) che legame intercorre tra “tecnica” e “alleanza”?
Riferimenti bibliografici
Bordin, E. (1979) The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance.
Psychotherapy: Theory, research and practice, 16, 252-260.
Freud, S. (1912), Dinamica della traslazione. In “Tecnica della psicoanalisi”. Tr.it. in Opere, vol.
6, Boringhieri, Torino, 1974, pp. 523-531.
Greenson, R.R. (1971) La relazione reale tra paziente e psicoanalista. Tr.it. in Esplorazioni
psicoanalitiche, Boringhieri, Torino, 1984.
Horvath, A.O., Gaston, L., Luborsky, L. (1993) The therapeutic alliance and its measures. In
Miller, N.E., et al. Psychodinamic treatment research. A Handbook for clinical practice.
Basic Books, New York, pp. 247-273.
Horvath, A.O., Greenberg L.S. (1996, a cura di) The Working Alliance: Theory, Research and
Practice, John Wiley & Sons, New York.
Lingiardi V., Croce D., Fossati A., Vanzulli L., Maffei C. (2000), La valutazione dell’alleanza
terapeutica nella psicoterapia dei pazienti con disturbi di personalità. Ricerca in
Psicoterapia (Rivista SPR-Italia), 3, 1, pp. 63-80.
Ponsi, M. (2000), Therapeutic Alliance and collaborative interactions. Int J Psychonal, 81, pp.
687-704.
Safran, D., Muran, J.C. (2000), Resolving therapeutic alliance ruptures: Diversity and integration.
Journal of Clinical Psychology, 56, 2, pp. 233-243.
Sterba, R. (1934), The fate of ego in analytic therapy. Int J Psychonal, 15, pp. 117-126.
Zetzel, E.R. (1956), Current concepts of transference, Int J Psychonal, 37, pp. 369-376.
VALUTAZIONE DEL PROCESSO TERAPEUTICO IN UNA PROSPETTIVA INTEGRATA:
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL’ALLEANZA TERAPEUTICA
F. Ortu., A. Cascioli, C. Pazzagli, S. Piscicelli, R. Williams, N. Dazzi
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
La ricerca sui microprocessi ha come scopo l’identificazione delle connessioni esistenti tra
differenti aspetti del cambiamento del paziente e delle specifiche modalità d’intervento del terapeuta
nelle singole sedute. Uno dei problemi sollevati da questo tipo di ricerca è se l’analisi dei microprocessi
condotta all’interno di una specifica cornice teorica sia in grado di comprendere la complessità del
processo terapeutico. In alcuni lavori precedenti gli Autori hanno riscontrato l’utilità dell’impiego di tre
diversi strumenti di valutazione del processo, ciascuno concepito all’interno di rispettive concezioni del
cambiamento terapeutico, nella valutazione dell’andamento e dell’esito dei casi presi in considerazione.
Le caratteristiche del processo da noi considerate sono la modificazione dello stile difensivo del paziente
misurata dalla DMRS di Perry, la pervasività del pattern relazionale disfunzionale del paziente misurato
secondo il CCRT di Luborsky, il livello di integrazione tra esperienza verbale e non verbale, compresa
quella emotiva, misurata secondo la RA di Wilma Bucci.
L’utilità di tale procedura consta nella possibilità di osservare la mutua interazione tra
dimensioni del funzionamento mentale del paziente ritenute tradizionalmente rilevanti nello
svolgimento della terapia.
Obiettivo del presente lavoro è dunque quello di verificare l’evoluzione dell’intreccio tra le
diverse dimensioni misurate in terapie che differiscono rispetto a fattori di grande rilevanza per il
processo quali tipologia e durata dell’intervento, caratteristiche psicopatologiche e di personalità del
paziente.
L’esplorazione così concepita del processo terapeutico dovrebbe, nell’intenzione degli Autori,
fornire utili spunti di riflessione rispetto al tema dell’alleanza terapeutica. Nello specifico, la possibilità
di definire e realizzare un obiettivo terapeutico condiviso viene interpretata come processo dinamico in
cui hanno particolare rilievo sia l’evoluzione delle dimensioni del funzionamento mentale del paziente
considerate, sia la reciproca influenza che queste hanno con la capacità del terapeuta di garantire uno
spazio per l’elaborazione delle emozioni emerse nella relazione.
PREDITTORI DI ESITO E DI DROP OUT E ALLEANZA TERAPEUTICA
E. Fava, C. Masserini, P. Camarda, M. Cossa, S. Freni.
Università degli Studi di Milano, Unità Operativa Psichiatrica n.48, D.S.M. Niguarda Ca’Granda
Nella definizione di drop out, come interruzione non concordata di trattamento (Garfield) (1), è
implicita la rottura dell’alleanza terapeutica o il suo non essersi mai costituita in un modo funzionale a
contenere le tensioni, che determineranno l’abbandono non consensuale della terapia. Una delle
questioni fondamentali relative al concetto di alleanza terapeutica è la definizione dell’alleanza
terapeutica come prodotto piuttosto che precondizione dei cambiamenti in psicoterapia (Verga et al.).
Prendere in considerazione i fattori che predicono il drop out e i fattori che predicono gli esiti, secondo
gli autori, può essere utile per definire il contesto in cui si costituisce l’alleanza di lavoro.
Materiali e metodi: in due differenti studi (Fava et al.).è stato utilizzato l’Indice Prognostico per
la Psicoterapia (Auerbach et al.), intervista semistrutturata, compilata dal terapeuta, che indaga l’entità di
29 variabili, desunte sia dalla ricerca che dalla riflessione clinica per valutare i possibili predittori di
drop out e d’esito insoddisfacente, in un campione (n=93) di pazienti in psicoterapia. Altre misure
utilizzate in questi studi sono state la SCL-90R, la HSRS e la scheda del Sistema Informatico della
Regione Lombardia.
I risultati degli studi mostrano l’esistenza di aree significativamente correlate al rischio di drop
out che riguardano la motivazione del paziente (che nella definizione dell’Indice Prognostico per la
Psicoterapia comprende sia il livello di disponibilità al metodo di lavoro sia l’intensità del desiderio di
aiuto, la natura dell’aiuto desiderato e la comprensione del modo di lavorare in psicoterapia), l’interesse
iniziale per il paziente da parte del terapeuta e la presenza di difficoltà interpersonali del paziente che gli
rendono difficile accedere a relazioni di aiuto. A differenza dei drop out, i pazienti non responders, che
hanno continuato il trattamento, risultano maggiormente condizionati dalla gravità iniziale, tuttavia la
motivazione iniziale è correlata positivamente agli esiti.
Le nostre conclusioni sono che il contesto in cui si sviluppa l’alleanza terapeutica è influenzato
da aspetti razionali, come la condivisione del modello di lavoro e la critica dello stato di malattia, ma
anche dall’atteggiamento emotivo del terapeuta e dalla percezione che il paziente ha di lui, nonché dalla
capacità della coppia terapeutica di affrontare sin dall’inizio gli assetti maladattativi che interferiscono
con il lavoro terapeutico e lo stabilirsi di una relazione di aiuto.
Riferimenti bibliografici
Auerbach A.H., Luborsky L. & Johnson M. (1972), Clinicians’ predictions of outcome of
psychotherapy: a trial of a prognostic index, American Journal of Psychiatry 128 (7), pp.
830-835.
Fava E., Masserini C., Borghetti S., Camarda P., Fontolan M., Duca P., Pazzaglia P., Le
interruzioni non concordate di trattamento in un servizio di psicoterapia: frequenza,
relazione con gli esiti e variabili con possibile significato predittivo, Rivista Sperimentale
di Freniatria vol.CXXV, 1, pp.23-36, 2001.
Fava et al., Esiti e predittori di esito in psicoterapia dinamica (in preparazione)
Garfield S.L. (1994). Research on client variables in psychotherapy. In Handbook of
Psychotherapy and Behaviour Change S.L.Garfield & A.E. Bergin (Eds), pp. 213-256 John
Wiley e Sons: New York.
Verga M.C., Azzone P., Viganò D., Freni S. (1999). Approccio empirico al concetto di alleanza in
psicoterapia: alleanza di aiuto, di lavoro, terapeutica. Ricerca in Psicoterapia 2 (1-2-3) pp.
34-62.
(1) Garfield definisce come drop out i pazienti che hanno avuto almeno una seduta di
psicoterapia e che hanno interrotto il trattamento di propria iniziativa, non
presentandosi ai successivi incontri, mentre il terapeuta considerava la terapia come
appena iniziata, in evoluzione e comunque non conclusa.
LA MISURAZIONE DELL’ALLEANZA NELLA PSICOTERAPIA
DI PAZIENTI CON DIAGNOSI DI DISTURBO DELLA PERSONALITÀ
L. Filippucci, V. Lingiardi
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione
L'Alleanza Terapeutica (AT) è una componente fondamentale di ogni relazione terapeutica.
Solo recentemente, però, in seguito alla creazione di strumenti adeguati [Working Alliance Inventory
(WAI) di Horvath; California Alliance Psychotherapy Scale (CALPAS) di Gaston, Marmar – per
entrambi, vedi Horvath, Greenberg, 1996], l'AT è stata considerata un costrutto adeguato (cioè
misurabile) per la ricerca empirica. La maggior parte delle ricerche (Horvath, Gaston, Luborsky, 1993)
ha mostrato importanti correlazioni tra AT, outcome della psicoterapia e markers indicativi di un
miglioramento del paziente nel corso della terapia. È stato anche rilevato un legame tra indici di AT e
outcome (Orlinsky, Howard, 1978; Luborsky, 1996). In particolare, la qualità dell'AT nelle fasi iniziali
del trattamento viene considerata significativamente predittiva dell'outcome finale (Horvath, Symonds,
1991). Sono ancora pochi i dati relativi al ruolo dei disturbi di personalità (DSM-IV), dei sintomi
psicopatologici e delle funzioni dell'Io (per es. meccanismi di difesa) nel processo di costruzione
dell'AT, in particolare con pazienti borderline e più in generale con disturbi gravi della personalità. Su
questi soggetti l'indagine sull'AT (caratteristiche, predittività, correlazioni) è particolarmente
importante, date le alte percentuali di dropout dalla psicoterapia. L’Autore presenta uno studio
esplorativo che si propone di indagare la presenza e il significato di eventuali associazioni tra le seguenti
variabili: AT, disturbi di personalità, meccanismi di difesa, sintomi psicopatologici, dropout.
Metodo
Il campione è composto da 50 coppie paziente-terapeuta. I pazienti hanno tutti ricevuto diagnosi
di disturbo della personalità e indicazione al trattamento in psicoterapia espressiva individuale. Tutti i
terapeuti che hanno accettato di partecipare alla ricerca sono soci SPR. Tutti i soggetti sono stati
diagnosticati mediante DSM-IV-SCID-II (First et al., 1994) e valutati con Defense Style Questionnaire
(DSQ, Bond, 1992) e Symptoms Check-List 90 (SCL-90, Derogatis et al. 1973). Nei tempi stabiliti,
CALPAS e WAI sono state compilate nelle versioni per il terapeuta e per il paziente. CALPAS è
costituita da quattro sottoscale che misurano: Capacità di lavoro del paziente (PWC); Impegno del
paziente (PC); Consenso sulla strategia di lavoro (WSC); Comprensione e coinvolgimento del terapeuta
(TUI). WAI è composto da tre sottoscale: Compiti (Tasks); Legame (Bond); Obiettivi (Goals).
Il coefficiente r di Spearman ha fornito la misura della correlazione bivariata tra le variabili
continue. Il test di Mann-Whitney (U) è stato utilizzato per valutare l’associazione tra le variabili
dicotomiche e quelle continue. Il test di Wilcoxon è stato impiegato per analizzare la presenza di
differenze significative nelle misure ripetute delle variabili continue.
Risultati
L’analisi dei dati mostra che nessuna delle seguenti caratteristiche del campione è
significativamente associata al fenomeno del dropout: età, genere, scolarità, stato civile, precedenti
ricoveri in strutture psichiatriche, precedenti esperienze di psicoterapia, diagnosi sull’Asse II del
DSM-IV, livello di funzionamento difensivo, sintomatologia. In altre parole, nessuna delle elencate
variabili intrinseche al paziente è utile al fine di discriminare i soggetti che vanno incontro a dropout da
coloro che rimangono in terapia. Invece, due indici di AT (Consenso sulla strategia di lavoro e
Comprensione e coinvolgimento del terapeuta), valutati dal terapeuta nella fase iniziale della terapia,
correlano in modo significativo con l’andamento della terapia e il fenomeno del dropout.
Conclusioni
L’AT è oggi uno dei costrutti più idonei per lo studio della relazione terapeutica. Una ricerca
che si propone di valutare l’andamento e l’esito della psicoterapia non può prescindere dalla misurazione
delle dimensioni che ne compongono il costrutto.
I risultati di questo lavoro esplorativo ci hanno indicato due ulteriori direzioni di ricerca:
a) costruire uno strumento che valuti l’AT a partire dai trascritti delle sedute;
b) affiancare, agli strumenti utilizzati nella presente ricerca, altri strumenti quali: CCRT (Core
Conflictual Relationship Theme di L. Luborsky), DMRS (Defense Mechanism Rating Scale di J.C.
Perry), RA (Referential Activity, W. Bucci).
Riferimenti bibliografi
Bond, M. (1992) An empirical Study of Defensive Styles: The Defense Style Questionnaire. In
Vaillant, G.E. (a cura di), Ego Mechanisms of Defense: A Guide for Clinicians and
Researchers. American Psychiatric Press, Washington, D.C.
Bordin, E. (1979) The generalizability of the psychoanalytic concept of the working alliance.
Psychotherapy: Theory, research and practice, 16, pp. 252-260.
Derogatis, L.R., Lipman, R.S., Covi, L. (1973) An outpatient psychiatric rating scale.
Psychopharmacology Bulletin, 9, pp.13-28.
First, M.B., Spitzer, R.L., Gibbon, M., Williams, J.B.W., Benjamin, L. (1994) Structured Clinical
Interview for DSM-IV Axis II Personality Disorders (SCID-II) (version 2.0), New York
State Psychiatric Institute, New York.
Horvath, A.O., Symonds, B.D. (1991) Relation Between Working Alliance and Outcome in
Psychotherapy: a meta-analysis. Journal of Counseling Psychology, 38, pp. 139-149.
Horvath, A.O., Gaston, L., Luborsky, L. (1993) The therapeutic alliance and its measures. In
Miller, N.E., et al. Psychodinamic treatment research. A Handbook for clinical practice.
Basic Books, New York, pp.247-73.
Horvath, A.O., Greenberg L.S. (1996, a cura di) The Working Alliance: Theory, Research and
Practice, John Wiley & Sons, New York.
Luborsky, L. (1996) Therapeutic alliances as Predictors of Psychotherapy Outcomes: Factors
Explaining the Predictive Process. In Horvath, A.O., Greenberg, L.S. (1996, a cura di), pp.
51-84.
Orlinsky, D.E., Howard, K.I. (1989) The relation of process to outcome in psychotherapy. In
Garfield, S.L., Bergin, A.E., Handbook of Psychotherapy and Behavior Change, John
Wiley & Sons, New York.
Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa
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ESITI E PREDITTORI DI ESITO NELLE PSICOTERAPIE DINAMICHE:
I RISULTATI DI UNO STUDIO OSSERVAZIONALE
NEL CONTESTO DI UN SERVIZIO DI PSICOTERAPIA
P. Camarda, E. Fava, C. Masserini., M. Cossa, G. Pogliani, A. Ferrari, S. Freni.
Unità Operativa Psichiatrica a Direzione Universitaria n. 48
Azienda Ospedaliera “Ospedale Niguarda Ca’ Granda”
Istituto di Scienze Biomediche - Università degli Studi di Milano – Ospedale L. Sacco.
Introduzione
Negli ultimi anni si sta affermando la necessità di affiancare agli studi sperimentali classici
studi osservazionali che valutino l’efficacia reale o “effectiveness” di trattamenti attuati in contesti di
cura tipici (Barbui, 2001; Fonagy, 1999). L’obiettivo della ricerca descritta in questo lavoro è la
valutazione dell’effectiveness dei trattamenti in un Servizio di Psicoterapia e l’individuazione dei
possibili fattori predittivi dell’esito dei trattamenti stessi.
Metodo
Lo studio è di tipo osservazionale. Sono stati reclutati 93 pazienti ambulatoriali afferenti al
Servizio di Psicoterapia dell’U.O.P. a Direzione Universitaria n. 48 di Milano presi in carico tra il 1994 e
il 1998. I soggetti inclusi nello studio presentavano una diagnosi psichiatrica e, dopo alcuni colloqui di
consultazione, hanno incominciato una psicoterapia dinamica. Le psicoterapie ancora in corso sono 17,
mentre quelle concluse sono 44. Durante lo studio 23 pazienti hanno interrotto il trattamento di propria
iniziativa, non presentandosi agli incontri successivi, mentre altri 5 pazienti hanno proseguito il
trattamento psicoterapico in altra sede; per 2 pazienti il trattamento psicoterapico si è modificato in
trattamento esclusivamente farmacologico e altri 2 pazienti non hanno dato il loro consenso al
trattamento dei dati. Il cut-off di inclusione all’Indice di Severità Globale dell’SCL-90-R ha escluso
ulteriormente 4 pazienti, considerati non valutabili. Il campione oggetto delle successive analisi
statistiche è quindi costituito da 57 pazienti. Gli strumenti di misura utilizzati sono: scheda del Sistema
Informativo Psichiatrico della Regione Lombardia; SCL-90-R; Health-Sickness Rating Scale;
Prognostic Index for Psychotherapy (Auerbach et al., 1980). Utilizzando l’RCI (Reliable Change Index Jacobson et al., 1984) calcolato sulla base dell’Indice di Severità Globale dell’SCL-90-R è stato
possibile dividere il campione in pazienti migliorati, invariati e peggiorati. Per ogni paziente è stata poi
effettuata la valutazione del cambiamento nelle singole sottoscale dell’SCL-90-R. I valori espressi al
momento della presa in carico dagli strumenti di misura adottati sono quindi stati correlati con l’esito per
evidenziarne il possibile valore prognostico.
Risultati
I pazienti globalmente migliorati costituiscono il 65% del campione in esame, mentre i non
migliorati sono il 35%. Il gruppo dei non migliorati comprende 5 pazienti complessivamente peggiorati e
15 pazienti invariati. Per quanto riguarda il cambiamento dei pazienti complessivamente invariati nelle
singole sottoscale dell’SCL-90, si evidenzia che: 4 pazienti risultano invariati in tutte le sottoscale; 5
pazienti risultano migliorati in una sola sottoscala e invariati nelle rimanenti; 1 paziente è migliorato in
più di una sottoscala; 4 pazienti risultano migliorati in alcune sottoscale e peggiorati in altre; 1 paziente
risulta peggiorato in una singola sottoscala e invariato nelle rimanenti. I fattori correlabili in modo
significativo con l’esito sono: Sesso, Età, Precedenti contatti psichiatrici, Occupazione, Valutazione
globale salute-malattia, Livello di funzionamento, autonomo, Grado di utilizzazione delle proprie
capacità, Tendenza al diniego, Motivazione alla psicoterapia, Maturità sociale, Giudizio del ratificatore
sull’esito. CONCLUSIONI: Per quanto riguarda le variabili socio-demografiche (1-4) è presente un
effetto di confondimento legato alla distribuzione della gravità. È quindi necessario un ulteriore
approfondimento statistico. La gravità si conferma (cfr. Luborsky et al., 1988) un predittore importante
di esito, e altri fattori (3-6-7) appaiono correlati ad essa. La tendenza al diniego e la bassa maturità
sociale appaiono attribuibili alla specifica forma di funzionamento mentale del paziente. La scarsa
motivazione alla psicoterapia è predittore sia di esito che di drop-out. Il valore predittivo di questa
variabile sostiene l’importanza dello studio dei fattori relativi al costituirsi dell’alleanza terapeutica.
Riferimenti bibliografici
Barbui C., Per l’introduzione di attitudini di ricerca nella pratica clinica quotidiana, Rivista
Sperimentale di Freniatria, CXXV, 1 (2001): 13-22.
Fonagy P., Process and outcome in mental health care delivery: A model approach to treatment
evaluation, Bulletin of the Menninger Clinic 63, 3 (1999): 288-304.
Jacobson N.S., Follette W.C., Revenstorf D. Psychotherapy Outcome Research: Methods for
Reporting Variability and Evaluating Clinical Significance, Behavior Therapy 15 (1984):
336-352.
Luborsky L., Crits-Christoph P., Mintz J., Auerbach A. Who will benefit from psychotherapy?
Basic Books, Inc., Publishers New York, 1988.
Tingey R.C., Lambert M.J., Burlingame G.M., Hansen N.B. Assessing Clinical Significance:
Proposed Extensions to Method, Psychotherapy Research 6, 2 (1996): 109-123.
STRUTTURA DI PERSONALITA’ E DISABILITY: VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI
UN TRATTAMENTO RIABILITATIVO RESIDENZIALE IN PAZIENTI CON GRAVI
DISTURBI PSICHIATRICI
M. L. Caviglia *, E. Mongelli °, A. Ferrero ^, V. Plastino “
* Ricercatore A.Fa.R., Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se
(TO)
° Ricercatore A.Fa.R., Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se
(TO)
^ Psichiatra Dirigente DSM ASL 7 Torino
“ Direttore Sanitario Ospedale Riabilitativo Beata Vergine della Consolata - Fatebenefratelli, S. Maurizio C.se
(TO)
Numerosi studi hanno dimostrato che non esiste una corrispondenza diretta e univoca tra
gravità della sintomatologia clinica e gravità della disability: i fattori legati al contesto, come le norme
culturali, le reti di supporto sociale e le possibilità economiche sembrano giocare un ruolo altrettanto
importante dei sintomi nel determinare quale sarà il livello di funzionamento raggiunto con un
trattamento terapeutico - riabilitativo. Scarsi invece i dati riguardanti i legami tra struttura di personalità
e capacità di funzionamento autonomo sociale e lavorativo.
Questo studio si propone di valutare le correlazioni tra caratteristiche cliniche, misurate
mediante il KAPP (Karolinska Psychodinamic Profile), e grado di disability, misurato mediante la
SOFAS (Social Occupational Functioning Assestment Schedule) in pazienti psichiatrici gravi.
Offre inoltre la più ampia casistica disponibile su pazienti psichiatrici valutati col Kapp.
Il campione risulta all’ingresso composto da 91 soggetti, di cui 39 presentano una diagnosi al
DSM IV di disturbo borderline di personalità e 52 di psicosi schizofrenica; a 6 mesi il numero totale dei
soggetti risulta ridotto a 80 a causa di dimissioni o trasferimenti.
Attraverso misurazioni seriate compiute all’ ingresso e dopo 6 mesi di trattamento intensivo in
regime di ricovero ospedaliero vengono messe a confronto le variazioni di punteggio ottenute nei due
sottogruppi.
Si intende valutare quali aspetti della struttura di personalità influenzino il livello di
funzionamento autonomo a livello sociale e lavorativo ed i miglioramenti che in tale area si conseguono.
L’attenzione viene in particolare focalizzata su alcuni item del Kapp che paiono
significativamente correlati con la disability: le caratteristiche qualitative delle relazioni interpersonali
(intimità e reciprocità, dipendenza e separazione, bisogno di controllo), il funzionamento della
personalità (tolleranza alla frustrazione, controllo degli impulsi, regressione al servizio dell’Io, gestione
dell’aggressività) e la percezione individuale della propria importanza sociale (senso di appartenenza,
sensazione di essere necessari, disponibilità di consigli ed aiuti). L’analisi dei dati è stata effettuata con
SPSS (Statistical Package for Social Science).
I risultati dimostrano che nel campione dei pazienti con psicosi schizofrenica gli item che
rivestono un ruolo significativo nel determinare la capacità di funzionamento autonomo riguardano
l’intimità e la reciprocità, la dipendenza e separazione, il bisogno di controllo, la tolleranza alla
frustrazione, la sensazione di essere necessari e l’organizzazione della personalità; nel gruppo dei
pazienti con organizzazione borderline di personalità tali item sono l’importanza del corpo come fattore
di autostima, l’immagine corporea attuale e l’organizzazione della personalità.
Vengono discussi criticamente tali risultati; vengono, altresì, discusse le implicazioni per future
linee di ricerca concernenti processi ed esiti di trattamenti. In particolare, si auspica un confronto con
pazienti affetti da analoga patologia in regime di residenzialità protratta, ma con protocolli
terapeutico-riabilitativi differenti
e con pazienti che ricevono interventi di tipo esclusivamente
ambulatoriale.
Riferimenti bibliografici
Hilsenroth M.J., Ackerman S.J., Blagys M.D., Baumann B.D. et al. (2000), Reliability and validity
of DSM Iv axis V, Am. J. Psychiatry, 157 (11), 1858-63
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Editoria, Milano, 1994.
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Vacca L., Psichiatria e Psicoterapia Analitica, 12, 2, 85-114.
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Scandinavica, Suppl. 363, vol. 83, Munksgaard, Copenaghen, 1991. Versione Italiana a
cura di Nese G., Voria F., De Rosa A..
UNA RICERCA SULL'ESITO DELLE PSICOTERAPIE CONDOTTA
NEL SERVIZIO PUBBLICO.
PRIME ELABORAZIONI (1)
E. Fusco, G. Galli, M. A. Ciavarella, E. Coco.
Operatori D.S.M. RMA III MDT: Responsabile Dott. Giorgio Campoli.
La ricerca riguarda i pazienti in trattamento psicoterapeutico in due ambulatori di due
Dipartimenti di salute mentale di Roma. Essa si avvale della collaborazione della professoressa
Alessandra De Coro e del professor Giuseppe Vetrone.
In questa relazione si vogliono presentare i primi risultati di una ricerca sull'esito della
psicoterapia nel servizio pubblico, le cui premesse epistemologiche, metodologiche ed operative erano
state descritte nel convegno della S.P.R. Italia dello scorso anno. La ricerca utilizza come strumenti di
misurazione i seguenti test: ACL (Adjective Check List) sia per l'autovalutazione che per la valutazione
del paziente da parte del terapeuta, scala dello Stato di benessere, Symptom check List 90 (SCL90),
Scala del Funzionamento Globale (VGF) . Tali test vengono ripetuti con cadenza semestrale.
Nella prima relazione evidenziavamo la necessità che nei servizi si sviluppi una cultura della
“verifica”, e che la ricerca sia maggiormente vicina ai contesti clinici, arrivando a postulare un uso quasi
“pragmatico” e operativo della ricerca e in questa direzione ci siamo mossi.
Abbiamo analizzato finora i dati riguardanti 25 pazienti in trattamento psicoterapeutico da
almeno sei mesi, concentrando l'attenzione sui drop out, e mettendo questi in relazione con le valutazioni
iniziali. Nonostante l'esiguità del numero dei casi finora presi in esame, che ci impedisce di formulare
delle conclusioni, siamo arrivati alla definizione di alcune linee di tendenza:
1) Dal confronto tra il gruppo di pazienti che abbandona la terapia (N=11) e il gruppo di pazienti
che continua la psicoterapia (N=14) non risultano differenze statisticamente significative in relazione
alle valutazioni iniziali per quanto riguarda la diagnosi, il VGF, i tratti sintomatologici derivanti dalle
sottoscale del SCL90.
Questi risultati appaiono concordanti con altre ricerche da cui si evince che non è possibile
predire il drop out in base alle caratteristiche sintomatologiche iniziali del paziente, mentre è possibile
prevederlo in base alle differenti caratteristiche dell'alleanza terapeutica, cioè spostando l'attenzione dal
paziente alla coppia terapeutica.
2) Per quanto riguarda invece i tratti di personalità misurati dall'ACL, sono emerse differenze
statisticamente significative tra i due gruppi. I pazienti del gruppo drop out ottengono risultati
significativamente più alti del gruppo terapia alle seguenti scale: Het-Essere in relazione con l'altro sesso
(U=38, p<0,05) e Nur-Bisogno di proteggere ed aiutare gli altri (U=38, p<0,05). Nell'eterovalutazione, i
terapeuti attribuiscono ai pazienti del gruppo drop-out punteggi significativamente più alti del gruppo
terapia alla scala Exh-Bisogno di esibizione (U=43,5, p<0,05). Inoltre, in base all'analisi dei singoli
aggettivi contrassegnati, abbiamo osservato che c'è una differenza nelle distribuzioni di frequenza di
alcuni aggettivi a livello dei due gruppi; questo ci fa pensare che alcuni tratti della personalità che quindi
potrebbero esprimersi nel transfert, possono essere predittivi rispetto al Drop Out.
Un altro fattore che risulta indicativo rispetto all'esito è il numero di aggettivi contrassegnati,
(nell'autovalutazione e nell'eterovalutazione) che è mediamente più alto nel gruppo dei pazienti che
proseguono la terapia rispetto al gruppo drop out. Questo indice aspecifico può far pensare a una serie di
elementi della relazione terapeutica (quali curiosità, interesse, espressività, rappresentazione mentale
ecc.) come determinanti del drop out.
3) Per approfondire i diversi significati del drop-out nella probabile esperienza dei pazienti, il
gruppo di questi soggetti è stato diviso in tre differenti sottogruppi, sulla base delle risposte fornite dai
loro terapeuti ad un breve questionario volto ad approfondire la tipologia di abbandono.
I dati ottenuti, benchè non significativi a livello statistico, lasciano ipotizzare che il drop out
abbia a che fare più con una specifica difficoltà di elaborare le emozioni nell’area delle esperienze di
separazione, e che non sia direttamente sovrapponibile con il fallimento dell’intervento. Questo forse è
maggiormente evidente in un servizio pubblico in cui l’assetto del setting ha connotati particolari.
In questo primo screening dei risultati possiamo quindi ipotizzare che alcuni aspetti della
personalità ed alcuni elementi aspecifici della relazione terapeutica e quindi dei modelli transferali
possano essere predittivi rispetto all'esito drop out. Inoltre, possiamo supporre che il drop out non sia un
indice esclusivamente correlato all'esito negativo delle psicoterapie, e come rilevato in altre ricerche che
un paziente si possa valere comunque del trattamento terapeutico nonostante la sua brusca interruzione.
Questa prima analisi dei dati suggerisce comunque la necessità di avere un numero di casi più
ampio, una valutazione più precisa ed estesa al funzionamento della coppia terapeutica e possibilmente
un follow-up dei casi di drop out.
(1) Hanno contribuito: Dott. Altamura Roberto, Dott. Stefano Angeli, Dott.ssa Maria Giovanna
Argese, Dott. Angelo Campora, Ass. soc. Tiziana Chiodetti , Dott.ssa Claudia Filippelli, Dott.ssa
Giuliana Rocchetti ( Operatori DSM RMA e RMB ).
IL PROBLEMA DELLA COMORBILITÀ NEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI OSPEDALIZZATI: ASPETTI EPIDEMIOLOGICI,
IMPLICAZIONI CLINICHE E POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE
F. Didonna, P. Zordan, M. Bateni
Divisione di Psichiatria
Servizio per i Disturbi d’Ansia e dell’Umore
Casa di Cura “Villa Margherita” – Arcugnano (Vicenza)
La comorbilità nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) rappresenta una condizione
estremamente frequente (60-70%), sia che essa riguardi la coesistenza di patologie psichiatriche in asse I
(DSM IV) sia che interessi la compresenza di disturbi della personalità. La comorbilità può
rappresentare in diversi casi una complicazione importante sia in sede diagnostica che in relazione al
progetto terapeutico e spesso costituisce un fattore predittivo di non rispondenza al trattamento. Lo
scopo del presente lavoro è quello di illustrare le caratteristiche delle più comuni forme di comorbilità
nel DOC e di evidenziare gli ostacoli che esse pongono a livello psicoterapeutico proponendo alcune
possibili strade da percorrere per fronteggiare tali ostacoli. Si mostrerà infine come tali comorbilità sono
rappresentate in un campione di pazienti affetti da disturbo ossessivo-compulsivo sottoposti ad un
intervento residenziale all'interno di un Servizio per il trattamento dei disturbi d'ansia del Veneto.
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VALIDAZIONE DI UN QUESTIONARIO AUTOSOMMINISTRATO
PER LE CONVINZIONI DELIRANTI
E LE ESPERIENZE SENSORIALI ANOMALE
(DEBEASE-Q)
A.Pinto*, S. La Pia°, G. Polidori^, P. Morosini^
*Università degli Studi dell’Aquila
°DSM ASL Na 4
^ Istituto Superiore di Sanità
Introduzione
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC), classicamente utilizzata per i disturbi afferenti
all’area delle psicosi, ed in particolare al trattamento dei sintomi psicotici resistenti al trattamento,
dell’umore e per i disturbi d’ansia è stata estesa recentemente anche al trattamento dei disturbi precedenti
trattamenti.Molti studi suggeriscono l’importanza di un questionario autosomministrato ,in un contesto
di TCC, per la valutazione delle allucinazioni uditive e dei deliri.Tuttavia i questionari autosomministrati
disponibili sono stati sviluppati esclusivamente nel mondo anglosassone e quindi in lingua inglese.. Non
sappiamo pertanto se i risultati ottenuti con questo strumento sono generalizzabili anche in altri contesti
socio-culturali.Nel presente studio presentiamo i dati delle caratteristiche psicometriche di base di un
questionario autosomministrato, il DEBEASE-Q (“Delusional Beliefs and Abnormal Sensory
Experiences Questionnaire),indirizzato alla valutazione dei principali componenti dei deliri e delle
allucinazioni (le voci), analizzate però dal punto di vista del paziente, e strutturato a partire dagli
analoghi modelli Inglesi, ma adattato per essere usato nel nostro contesto socio-culturale.
Metodi
Il DEBEASE-Q è un questionario autosomministrato a 15 items che valuta le credenze, e le
idee dei pazienti sui propri deliri e sulle proprie esperienze dispercettive, e le loro reazioni emotive e
comportamentali ad esse. Lo strumento si articola in due sezioni: a) La scala dei “deliri”, che consta di 5
items e che valuta l’idea dominante su cui si è concentrata l’attenzione del paziente nell’ultimo mese, e
b)la scala delle”voci”, che consta di 10 items e che esplora le allucinazioni uditive prevalenti del paziente
in un periodo di tempo compreso tra i 30 giorni ed i 6 mesi. Tutte le risposte sono state valutate su di una
scala a 4 punti, di cui il punteggio 0 rappresenta il più basso livello di gravità, ed il punteggio 3 il più
elevato grado di compromissione psicopatologica.Il punteggio totale per ciascuna scala del
DEBEASE-Q è stato ottenuto sommando i punteggi di ciascun item . Ogni scala del DEBEASE-Q è
stato somministrata due volte a 70 pazienti schizofrenici (diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV),
con un intervallo di 6 giorni tra la prima e la seconda somministrazione. Nel momento in cui il
DEBEASE-Q è stato somministrato per la prima volta ,uno degli autori
(A.P.) ha attribuito,
indipendentemente, i punteggi sia alla scala dei deliri che delle allucinazioni. La correlazione intraclasse
(ICCs), ed il coefficiente dell’alfa di Cronbach sono stati calcolati per determinare , rispettivamente, la
riproducibilità test-retest e la consistenza interna. La validità discriminante e convergente sono state
calcolate usando il punteggio totale e dei sintomi positivi della BPRS (Brief Psychiatric Rating Scale),
ed i punteggi agli item 10 (comportamento allucinatorio),11 (anomalo contenuto del pensiero), 12
(comportamento bizzarro), a 15 (disorganizzazione concettuale). Infine., è stata effettuata, per ciascuna
scala, un’analisi fattoriale esplorativa, con rotazione varimax.
Risultati
L’ ICCs per ciascun item è stata eccellente sia nella scala dei deliri che delle voci, con dei
punteggi compresi rispettivamente tra 0.84e 0.91 e tra 0.86 e 0.9. L’ICCs ha evidenziato un buon
accordo sul test tra le risposte fornite dal paziente e dal terapeuta. Il punteggio dell’alfa di Cronbach è
stato di 0.87 sulla scala dei deliri, e di 0.83 sulla scala delle voci.La scala dei deliri ha rivelato una forte
correlazione con il punteggio totale della BPRS, con il punteggio dei sintomi positivi e con l’item 11. Il
punteggio totale della scala delle voci ha rivelato una stretta correlazione con il punteggio dei sintomi
positivi alla BPRS e con i punteggi degli items 10 e 11. L’analisi fattoriale ha identificato un fattore sulla
scala dei deliri e tre sulla scala delle voci che spiegavano più del 60% della varianza.
Discussione
L’assunto di base nell’approccio cognitivo-comportamentale è che le manifestazioni
psicopatologiche derivino dalle distorsioni nella formazione o nell’uso di schemi cognitivi cui il paziente
fa ricorso nel tentativo di attribuire un senso a precedenti esperienze (interne o esterne).
Indipendentemente dai meccanismi coinvolti nella loro genesi, le credenze disfunzionali sono
considerate essere fondamentalmente simili a quelle che costituiscono i normali processi cognitivi. Uno
degli scopi finali di un intervento cognitivo comportamentale consiste nell’aiutare il paziente a sostituire
le credenze deliranti con altre più adattive, ed a ridurre l’impatto emozionale e comportamentale
esercitato da esperienze sensoriali anomali quali le allucinazioni uditive persistenti. Le scale di
valutazione solitamente adoperate in ambito clinico rivolte prevalentemente agli aspetti quantitativi
della sintomatologia psicotica, sono solo marginalmente adeguate agli scopi di una TCC. Il
DEBEASE-Q è uno strumento autosomministrato riproducibile per la valutazione dei pensieri deliranti
e per le allucinazioni uditive nei pazienti schizofrenici .I vantaggi di questa scala includono la sua
brevità, la semplicità di somministrazione ed il fatto che fornisce informazioni su alcune caratteristiche
dei deliri e delle allucinazioni,basate sul punto di vista dei pazienti e sulle loro esperienze soggettive.
L’impiego del DEBEASE-Q potrebbe contribuire a dirimere la controversia circa la riproducibilità e la
validità degli strumenti autosomministrati nei pazienti schizofrenici severamente disturbati.
Conclusioni
Per quanto ci risulti, allo stato attuale il DEBEASE-Q è’ la prima scala autosomministrata
riproducibile, specificamente sviluppata in lingua non Inglese per la valutazione di sintomi psicotici in
corso di TCC.
Riferimenti Bibliografici
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John Wiley & Sons Ltd, Chichester, West Sussex, England, 1998.
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UN QUESTIONARIO SUL
SENSO DI APPARTENENZA E DI CONDIVISIONE (S.A.C.):
COSTRUZIONE E VALIDAZIONE
P. Conversano^, M. Procacci^, G. Candilera*, L. Rigante°, A. Riportella°, A. Semerari^
^III Centro di Psicoterapia Cognitiva O.N.L.U.S., Roma
*Psicologo, psicometrista
° Scuola di formazione in Psicoterapia Cognitiva A.P.C. Roma
Lo studio dei disturbi di personalità, nel corso degli ultimi anni, si è rivolto, vieppiù, verso
l’individuazione e la definizione di aree “dimensionali” problematiche. Tra queste è emersa, da alcune
ricerche preliminari (Procacci et al, 2000), la “dimensione di appartenenza e condivisione” che include
il “senso di appartenenza e condivisione”; quest’ultimo è definito da Procacci e Semerari (‘98) in termini
di "… percezione di condivisione di contenuti mentali quali valori, credenze, esperienze, affetti, abilità,
interessi, caratteristiche che definiscono un determinato gruppo, per condivisione intendiamo l'analogo
della appartenenza riferita ad una relazione duale invece che di gruppo".
Abbiamo pertanto elaborato un questionario in grado d’indagare la dimensione di appartenenza
e di condivisione tanto nella popolazione normale quanto in quella affetta da disturbi. Il questionario è
stato costruito tenendo conto di tre aree fondamentali: l’area delle capacità metacognitive (in particolare
–autoriflessività e rappresentazione della mente altrui-), l’area delle strategie relazionali, l’area emotiva.
Rispetto alle prime due aree, ci siamo dati l’obiettivo di rilevare i possibili deficit, rispetto all’ultima
quello di cogliere i vissuti emozionali coinvolti. Il questionario consta complessivamente di n°90 items:
di questi n°20 fanno parte di n°2 scale di controllo rivolte ad indagare l’atteggiamento del soggetto
durante la compilazione (si tratta in particolare della scala Lie e della scala Frequency). Gli items sono
stati costruiti in modo da indagare in forma differenziata l’aspetto dell’appartenenza e quello della
condivisione. Le risposte agli items si dispiegano lungo una scala Likert a 7 punti.
Il questionario è stato sottoposto al processo di validazione, costituito da tre fasi differenti per
ciascuna delle quali sono stati utilizzati dei campioni costituiti dalla popolazione normale. Sono stati
effettuati lo studio della validità di costrutto (attraverso l’analisi delle componenti principali e l’analisi
dello Scree-test) e lo studio dell’attendibilità dello strumento (attraverso il coefficiente Alpha di
Cronbach per valutare la coesione interna degli items; attraverso il coefficiente di correlazione test-retest
per valutare la stabilità nel tempo).
SSS SCHEDA DI SINTESI DELLA SEDUTA
F. Veglia, C. Vandoni, A. Pardey
Centro Clinico Crocetta, Torino.
E’ probabile che il cervello, quando cerca di comprendere ciò che accade in una conversazione,
segnali le operazioni in corso e alcune delle sue conclusioni facendo emergere alla coscienza stati
emotivi, immagini significative, nuove idee, conferme delle previsioni, brevi sequenze narrative, schemi
ideativi finalizzati all’esercizio del controllo e della condivisione di significati.
Tutte queste operazioni tacite ed esplicite, parallele e sequenziali, numerose e complesse, sono
spesso ignorate dal terapeuta che, proprio perché troppo concentrato sui problemi del paziente, opera ad
un livello di consapevolezza precedente o immediatamente successivo.
L’enorme difficoltà di tenere sotto controllo così tanti processi mentali ed interpersonali e la
contemporanea, assoluta necessità di poterlo fare ci hanno spinti a costruire una scheda (mappa)
riassuntiva e sintetica che contenesse la rappresentazione nel terapeuta (eventualmente negoziata con il
paziente) degli eventi chiave di ogni seduta significativa. La ricerca è dunque orientata sugli eventi
sintetici della seduta, così come sono stati colti, riconosciuti, sentiti, spiegati dal terapeuta.
La SSS è molto semplice nella sua struttura concettuale, ma è cognitivamente impegnativa
proprio perché “costringe” a rendere consapevoli e dichiarative molte operazioni automatiche e tacite
che avvengono prima, durante e dopo la seduta. È ovvio che non è necessario verbalizzare tali attività
mentali perché esse siano adeguate ed efficaci (è ciò su cui facciamo affidamento quando siamo terapeuti
“esperti”), ma dopo averle rese esplicite, messe in sequenza e criticate è più probabile poter correggere
gli errori che contenevano, recuperare i contenuti dispersi, riorganizzare le intuizioni confuse,
trasmetterli in modo comprensibile ad altre persone (il paziente stesso, i propri allievi, un supervisore) e
offrire dati alla ricerca clinica.
La raccolta sistematica di questi dati permette, infatti, di sviluppare ricerche tematiche sui
contenuti ricorrenti nelle diverse tipologie di pazienti (organizzazioni cognitive?), sulle sequenze e sugli
stili terapeutici, sulle ricorrenze e le divergenze metodologiche caratteristiche di terapeuti diversi. Lo
strumento non consente di verificare in modo imparziale cosa davvero il paziente ha detto e voluto dire,
ha fatto e voluto fare, ha sperimentato e mostrato di sé, ma, al contrario come tutti questi eventi hanno
“toccato” la mente, le emozioni ed il corpo del terapeuta, come questi li ha organizzati in termini di
significato, come ha cercato di condividerli e come ha potuto, voluto, saputo agire nella relazione
terapeutica.
La scheda propone al terapeuta una serie di domande “ovvie”, ma molto spesso disattese. Con
quale persona mi sono incontrato in relazione al disturbo che presenta, allo stile di attaccamento,
all’organizzazione cognitiva, alle sue storie di vita? In quale fase del piano terapeutico può essere
collocata la seduta di oggi? Di quale area dell’esperienza del paziente e di quali temi ci siamo occupati?
Che cosa il paziente mi ha raccontato, che cosa mi ha colpito del suo racconto, quali emozioni ha
espresso, come ha interagito con me? Che cosa ho fatto, un intervento cognitivo, mansionale, relazionale
o che altro? Cosa è accaduto di significativo durante la seduta? In relazione a tali eventi devo modificare
la strategia o la metodologia terapeutica? Alla luce di ciò che è successo in questa seduta, come
immagino di condurre quella successiva?
Tutte domande che presentano le difficoltà, a volte estreme, delle cose semplici.
Utilizzando la SSS al termine di ogni seduta e ristudiandola, la settimana successiva, prima di
incontrare nuovamente il paziente, si riduce il rischio di tempi morti, di circuiti viziosi, di
disorientamenti. Soprattutto, però, si conserva il filo del discorso ed il senso complessivo della storia, di
quella storia straordinaria (vale a dire fuori dall’ordinario) che paziente e terapeuta intessono insieme nel
breve spazio delle sedute (ma un poco, anche nel tempo che intercorre tra i loro incontri, quando, ogni
tanto, si ricordano l’uno dell’altro).
Una parte importante di questa storia “terapeutica” e delle più ampie storie personali che la
contengono, viene raccontata. La scheda mette il terapeuta sulla traccia delle parole, di quelle poche
parole chiave che aprono alla comprensione dell’altro e che sintetizzano la seduta. La ricerca non è
semplice, ma può risultare appassionante soprattutto se non si dimentica il richiamo delle parole capaci
di far emozionare, parole che, collegate a quelle che danno invece accesso a qualche teoria e che
permettono di formulare ipotesi o predizioni, svelano la trama narrativa delle nostre conversazioni
cliniche. È molto interessante osservare come le parole insieme alle emozioni permettano di attraversare
le organizzazioni cognitive in modo originale: com’è diverso il senso che viene dato, per esempio, ai
termini “controllo”, “valore”, “sicurezza” da chi pensa e sente con modalità ossessive, psicosomatiche o
fobiche e come non è vero che il controllo è un tema critico degli ossessivi e la sicurezza lo è dei fobici e
come, usando le parole/emozioni più che le parole/ragionamento, scopriamo la complessità, la
molteplicità e la trasversatilità della sofferenza umana.
La compilazione della scheda non deve corrispondere ad una trascrizione della conversazione,
ma a delle annotazioni sintetiche relative ad ognuno degli otto quadri presentati ed alle diverse immagini
mentali che li compongono nella mente del terapeuta. Corrisponde a ciò che ogni terapeuta, in
innumerevoli altri modi originali e personali, fa della seduta (o almeno delle sedute chiave), ma la
portata euristica di tali operazioni condotte in modo sistematico e tradotte in forma dichiarativa sintetica
è davvero impressionante. È come se qualcosa di intuibile ed implicito si svelasse all’improvviso
diventando visibile e adatto al racconto: si tratta della trama narrativa, del farsi e disfarsi, dell’apparire e
celarsi delle nostre diagnosi, dei piani terapeutici, dei personaggi (i Sé situati del paziente e del
terapeuta), delle storie.
IL PROCESSO TERAPEUTICO NELLE NARRAZIONI E NELLE RAPPRESENTAZIONI
DEL PAZIENTE E DEL TERAPEUTA:
STRUMENTI DI INDAGINE PER UN CONFRONTO
F. Manaresi, P. Castelli, A. Cotugno, A. Mazzucchelli, G. Morganti
2° Centro di Psicoterapia Cognitiva
Il presente contributo si propone di illustrare le linee metodologiche seguite per la costruzione
di strumenti in grado di rilevare e valutare le possibili connessioni esistenti tra rappresentazioni interne
e competenza narrativa. Il nostro lavoro parte dall’osservazione, sia clinica che sperimentale, che un
buon funzionamento psicologico appare associato alla capacità di fornire descrizioni di sé e dell’altro
all’interno di una narrazione coerente, che risponda alle caratteristiche di buona completezza,
verosimiglianza, comprensibilità e chiarezza. L’ipotesi che abbiamo voluto valutare è che il racconto
della terapia da parte del paziente possa essere considerato un indice di esito. E’ chiaro, comunque, che
lo sviluppo di una buona competenza narrativa da parte del paziente è strettamente connessa al gioco
relazionale che caratterizza il processo terapeutico. Pertanto, ci è parso utile valutare non soltanto gli
aspetti psicolinguistici propri del racconto del paziente (indice individuale), ma anche il grado di
concordanza tra racconto del paziente e quello del terapeuta, relativi alle aree problematiche individuate
durante la terapia e a come siano state affrontate (indice interindividuale o relazionale).
Abbiamo costruito due questionari che potessero esplorare, dal punto di vista del paziente e
del terapeuta, le rappresentazioni coscienti relative alla
relazione terapeutica e ad
altre relazioni
interpersonali significative. I due questionari sono stati costruiti in modo da fornire una serie di risposte
chiuse disposte su una scala Likert a 5 punti: questo ci ha consentito di confrontare il tipo di risposta
fornita dal paziente e dal terapeuta. I dati così raccolti sono stati sottoposti ad analisi delle correlazioni e
della varianza multivariata.
Inoltre, le risposte fornite ai due questionari strutturati, sono state poi
confrontate con il racconto, del paziente e del terapeuta, relativo all’andamento della terapia: tale
racconto è stato sollecitato mediante un’intervista semistrutturata effettuata da uno sperimentatore non
coinvolto nella terapia. I dati raccolti all’intervista sono stati sottoposti a quattro livelli d’analisi: 1)
Comprensibilità del testo, 2) Analisi della forma (organizzazione della memoria e indici relazionali); 3)
Analisi del contenuto; 4) Indici metacognitivi.
La raccolta dei dati attraverso il questionario e
l’intervista ci consente un doppio confronto incrociato, che permette di valutare a) la coerenza interna
(indice individuale di esito) tra rappresentazioni (raccolte attraverso il questionario) e narrazioni
(raccolte attraverso l’intervista semistrutturata); (b) la concordanza narrativa tra paziente e terapeuta
(indice interindividuale di esito).
Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa
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PSICOTERAPIA DI GRUPPO BREVE
DEL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO: PRIMI RISULTATI
S. Mancioppi* °, G. Nicolò* °, C. De Bonis*, M. Caciolo*, B. Auletta*
*Azienda Sanitaria Locale Roma E Centro di Salute Mentale Valcannuta
°III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Introduzione
Il Disturbo da Attacchi di Panico rappresenta una patologia discretamente frequente nella
popolazione e che può risultare estremamente invalidante per chi ne è affetto. La letteratura scientifica è
concorde per ritenere l’approccio proposto dalla psicoterapia cognitiva quello a maggior successo. Di
fatto nei servizi pubblici la sproporzione tra numero di pazienti e numero di operatori rende impossibile
il trattamento individuale dei pazienti affetti da DAP. Lo studio condotto si propone di verificare
l’efficacia del trattamento di gruppo breve del disturbo da attacchi di panico diagnosticato secondo i
criteri del DSM IV, in particolar modo l’efficacia dell’uso contemporaneo di tecniche terapeutiche
mutuate dalla psicoterapia cognitiva coniugate con tecniche rilassamento. Si inserisce all’interno di un
più ampio progetto di ricerca che interessa
servizi pubblici di tutta Italia ed è coordinato dal
Dipartimento di Salute Mentale di Grosseto.
Metodo
Vengono costituiti gruppi composti da un numero massimo di 10 pazienti affetti da D.A.P., con
o senza supporto farmacologico, che abbiano meno di 5 anni di storia clinica di DAP. Il trattamento
prevede dieci incontri a frequenza settimanale di un ora e mezza, il gruppo è condotto da uno psichiatra
ed da un infermiera professionale.
Sono stati sottoposti a questo trattamento in totale 12 pazienti 9 donne e 3 uomini di età
compresa tra i 30 e i 60 anni.
Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione testologica prima dell’inizio del trattamento,
alla fine del ciclo di incontri, dopo 6 mesi e a 1 anno dalla fine del trattamento con: PAAAS (Panic
Attack and Anticipatory Anxiety Scale) per una stima quantitativa degli attacchi di panico, la HAM-D
(Hamilton Rating Scale for Depression) a 21 items per la valutazione clinica del grado di depressione e
un questionario di 8 domande per la valutazione della qualità della vita. La presenza dei partecipanti al
gruppo è registrata su una scheda di presenza che permette di valutare eventuali drop out.
Vengono utilizzate le seguenti tecniche:
a) Informazione dettagliata sul D.A.P. b)
materiale psicoeducazionale informativo per i
pazienti c) tecnica dell’A.B.C. (Ellis 1970) per interrompere il circolo emotivo-ideativo che sostiene
l’attacco di panico, (i pazienti imparano a riconoscere i pensieri automatici che suscitano la reazione
emotiva di paura e a valutarli realisticamente), d) diario giornaliero: i pazienti sono incoraggiati ad
annotare ogni attacco di panico, a valutarne l’intensità (valutata in base al numero di sintomi) e la
prevedibilità; lo scopo è di migliorare la consapevolezza e di conseguenza il padroneggiamento degli
stati problematici.
Risultati
I risultati di tale trattamento sono stati sorprendenti anche in pazienti affetti da forme di
patologia altamente invalidante; tutti i pazienti hanno presentato scomparsa degli episodi di panico già al
6° incontro, nonché un miglioramento dei sintomi depressivi e un generale miglioramento dello stato
psicofisico. Verranno presentati le valutazioni soggettive ed oggettive a fine trattamento e dopo sei mesi.
Riferimenti bibliografici
Ellis A (1978) A note on treatment on agoraphobics with cognitive modification versus prolonged
exposure in vivo. Behaviour Research and therapy.
Faloon IRH (2000) Che cos’è l’ansia? In Trattamento integrato per la salute mentale: guida pratica
per operatori e utenti. Ecomind Publication Salerno.
Hamilton M (1960) A rating Scale for Depression. J Neurol Psychiatry 23:56.
Hamilton M Development of rating Scale for Primary depressive illness Br. Journal Social
Clinical Psychology 6:278 , 1967.
Sheehan DV (1983) Sheehan Anxiety and Panic Attack Scales. Upjohn, Kalamazoo, MI.
VALUTAZIONE DELLE EMOZIONI E PARTECIPAZIONE
AL SETTING DI GRUPPO PSICOEDUCATIVO
NEL MODELLO DI M.M. LINEHAN
L. Barone, M. Bateni, R. Framba, E. Prunetti
Villa Margherita Psichiatria - Arcugnano (Vicenza)
Obiettivo del presente lavoro è illustrare l’utilità della parte psicoeducazionale del programma
di terapia dialettico-comportamentale di M.M. Linehan, rispetto a uno dei temi centrali dei target
terapeutici compresi al suo interno: la regolazione emozionale.
Verranno illustrati gli obiettivi dei gruppi di skills training e sarà fornita una breve descrizione
dei setting della terapia applicata in ambito ospedaliero presso il Servizio per i Disturbi di Personalità di
Villa Margherita.
All’interno dell’esperienza terapeutica con i gruppi è stato messo a punto uno strumento di
valutazione self-report mirato a rilevare e monitorare la capacità del paziente di esperire le proprie
emozioni in maniera accurata, considerando tale capacità come propedeutica alla più comprensiva e
complessa capacità di regolazione emozionale.
A tale strumento si associa una griglia osservativa di valutazione usata dal terapeuta per
registrare le reazioni dei pazienti sia nei confronti delle emozioni espresse sia rispetto alla partecipazione
al gruppo.
I dati raccolti individuano alcune aree importanti rispetto alla efficacia del setting e del
programma terapeutico proposto. In particolare, questo lavoro si propone come ricerca pilota che indaga
il livello di corrispondenza tra le valutazioni date dai pazienti sulle proprie emozioni e le valutazioni date
dai terapeuti.
Questi due indicatori sono stati, infine, correlati con altri indicatori finalizzati a valutare le
capacità mostrate dai pazienti di partecipare ai gruppi.
UNO STUDIO EMPIRICO IN UN SETTING PSICOTERAPEUTICO ISTITUZIONALE:
L’APPLICAZIONE DEL CCRT DI LUBORSKY
AI TRASCRITTI DI UNA PSICOTERAPIA DI GRUPPO AD ORIENTAMENTO
PSICODINAMICO
M. A. Ciavarella, T. Cappellucci, E. Fusco, A. Cangiano, V. Capobianco
Operatori D.S.M. RMA III MDT: Responsabile Dott. Giorgio Campoli
In questo lavoro, svolto in collaborazione con Alessandra De Coro, gli autori si sono proposti di
verificare l’applicazione del metodo di analisi dei contenuti narrativi, elaborato da Luborsky, il CCRT ,
al fine di misurarne il cambiamento per effetto di un trattamento psicodinamico, in un contesto di
psicoterapia di gruppo.
Il gruppo a cui si riferiscono le trascrizioni delle sedute registrate è ambientato in un setting
istituzionale (ambulatorio DSM ), ed è composto da sette pazienti giovani con patologie miste di
personalità (disturbi alimentari, disturbo evitante di personalità , borderline, etc. ). Il gruppo condotto da
due terapeuti ad orientamento psicodinamico , è “aperto” e la frequenza delle sedute è settimanale. I
membri del gruppo hanno accettato che venissero registrate le sedute e utilizzate in modo anonimo a fini
scientifici.
Il CCRT nasce come strumento di ricerca per lo studio dei modelli relazionali nella terapia
individuale. Nella nostra ricerca il metodo viene utilizzato in un contesto gruppale , proponendone
dunque un’applicazione particolare rispetto a quella proposta da Luborsky. Le teorie gruppali si
diversificano a secondo dell’accento posto sull’individuo o sul gruppo, e diversi sono i tentativi di
sintesi fra questi due estremi. Considerando questo e semplificando, gli affetti sollecitati in un setting di
gruppo si dispiegano tra identità gruppale e narcisismo , fra fusionalità e individuazione,
fra
concretizzazione e simbolismo ecc…, abbiamo pertanto applicato il CCRT in due diversi modi:
- a Agli “episodi relazionali” nella narrativa individuale di alcuni pazienti del gruppo .
- b Agli “episodi relazionali” nelle narrative emergenti del gruppo considerato come totalità.
In questo modo abbiamo analizzato le trasformazioni del CCRT per quanto riguarda il singolo
paziente, per quanto riguarda il gruppo nella sua totalità e le relazioni reciproche.
La serie sulla quale si è applicato il CCRT
è composta da 4 sessioni di tre sedute
audioregistrate e trascritte, distanziate fra loro da un periodo di circa tre mesi. Abbiamo arbitrariamente
scelto un tale intervallo di tempo perché la composizione del gruppo fosse , tra un’applicazione del
CCRT e l’altra, la più omogenea possibile vista la sua natura di gruppo “aperto”. Ogni applicazione del
CCRT di norma è stata effettuata su tre sedute consecutive per avere un sufficiente numero di episodi
relazionali. (La quantità auspicata da Luborsky di episodi relazionali è di una decina per ciascun periodo
considerato).
Quindi il nostro tentativo è quello di verificare l’applicabilità del CCRT al gruppo
psicoterapeutico, e di fornire, attraverso questo un’evidenza empirica all’assunto di Nebbiosi secondo
cui “i membri di un gruppo co-costruiscono principi organizzatori che definiscono l’identità emotiva di
quel particolare gruppo”, secondo “una influenza reciproca bi-direzionale individuale/gruppale”.
Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa
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STRUMENTI A CONFRONTO
PER LA DIAGNOSI E LA PREVISIONE DEI RISULTATI
DEL TRATTAMENTO DI PROBLEMATICHE INSORTE NELLE MADRI IN GRAVIDANZA
A. Zennaro, C. Mazzeschi, S. Salcuni
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Università di Padova
Introduzione
Scopo del presente lavoro è quello di discutere sulla possibilità di utilizzare due classici
strumenti diagnostici per la diagnosi e previsione dei risultati del trattamento di problematiche insorte in
madri in gravidanza.
Com’è ben noto dalla letteratura, la gravidanza costituisce un momento molto delicato di
cambiamento sia relativamente al senso di sé - e alla strutturazione della personalità della madre - che
relativamente al suo ruolo sociale ed alla sua relazione col partner. Se il dare spazio al nascituro risveglia
normali problematiche psicologiche, più complicato risulta il processo qualora la personalità della madre
risulti fragile o addirittura patologica.
In ambito diagnostico nel periodo della gravidanza due strumenti ci sono sembrati
particolarmente rilevanti: il test di Rorschach (valutato col metodo Exner) e l’Adult Attachment
Interview. Il test di Rorschach, valutato col metodo Exner, consente di differenziare una psicopatologia
in atto da situazioni di crisi acute e dalla prevalenza di specifici stili di personalità. L’Adult Attachment
Interview (AAI; George, Kaplan & Main, 1985) consente di evidenziare stili di attaccamento con
caratteristiche di intergenerazionalità.
Come nella tradizione del nostro gruppo di ricerca le nostre previsioni sul piano clinico si
basano sull’acquisizione di dati normativi.
Campione
Il campione è costituito di 55 madri in attesa del figlio primogenito al nono mese di gravidanza,
che non erano state in precedenza riferite e/o non si erano segnalate a servizi di salute mentale e/o a
consultori familiari ad eccezione dei consueti controlli ginecologici e/o corsi di preparazione al parto.
A tali madri sono stati applicati il Rorschach e l’Adult Attachment Interview.
Risultati
I risultati indicano dei profili al Rorschach congruenti con il fatto che le madri stanno
attraversando un periodo delicato, di modifica nella percezione di sé, delle relazioni interpersonali,
relativamente all’equilibrio tra risorse e stress situazionale e abituale. Per quanto riguarda l’Adult
Attachment Interview non si riscontra una correlazione tra stili di attaccamento e profili al Rorschach.
I risultati ottenuti sembrano indicare due aspetti fondamentali nella diagnosi dei disturbi
psicologici insorgenti nel periodo della gravidanza:
a)
la psicopatologia dovrebbe essere valutata a partire da profili di madri che rientrano
nell’ampia gamma della normalità; tuttavia, i dati del nostro campione sembrano
indicare come normalità per le madri in attesa non corrisponda alla normalità degli
adulti in generale.
b)
la necessità dell’utilizzo, qualora si sia interessati ad una diagnosi che tenga conto
degli stili di attaccamento, di due strumenti paralleli e complementari (Adult
Attachment Interview e Rorschach) perché essi forniscono tipologie di
informazioni differenti.
IL COLLOQUIO PER GENITORI IN GRAVIDANZA
COME STRUMENTO DIAGNOSTICO E DI PREVISIONE DEL TRATTAMENTO
A. Lis, V. Calvo, M. Pinto
Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione
Università di Padova
Se sul piano del buon senso la gravidanza costituisce un momento normale della vita della
donna, la letteratura sull’argomento evidenzia come si tratti di una fase delicata, ricca di significati
psicologici, che rappresenta un nuovo momento evolutivo verso l’acquisizione di una nuova funzione
adulta definita da alcuni autori genitorialità (cfr. Belsky, Gilstrap, Rovine; 1984). Nel caso in cui una
madre in gravidanza si presenti per una qualche problematica relativa al figlio in attesa, è molto
importante avere a disposizione strumenti adeguati per identificare i suoi vissuti relativamente al periodo
che sta attraversando. In particolare si tratterà di distinguere tra: a) vissuti che cadono nell’ampia gamma
della normalità; b) vissuti che indicano una preoccupazione più acuta e che probabilmente richiedono un
intervento di sostegno breve; c) situazioni di vera e propria psicopatologia.
Da alcuni anni ci siamo occupati di validare uno strumento che ci permettesse di entrare nel
mondo dei vissuti genitoriali nel corso della gravidanza. Si tratta del CGG (Colloquio per Genitori in
Gravidanza) che, pur essendo nato in un contesto di ricerca, risulta utilizzabile anche in ambito clinico.
Le aree investigate dal colloquio riguardano infatti i vissuti e le rappresentazioni nei confronti del futuro
figlio, il rapporto di coppia, la relazione dei genitori con i propri genitori.
Il colloquio CGG consente di valutare, sia a livello quantitativo che qualitativo, le dinamiche
della coppia in relazione alla presenza del nascituro.
Relativamente agli aspetti quantitativi essi sono basati riguardano le descrizioni del futuro
bambino, i comportamenti, atteggiamenti ed affetti nei confronti dello stesso, la capacità di riflettere sul
nascituro, ecc.
Scopo del presente lavoro è quello di presentare tali aspetti quantitativi e qualitativi sotto forma
di profili normativi che descrivano le rappresentazioni genitoriali; l’obiettivo applicativo di tale lavoro
riguarda, quindi, la possibilità di delineare alcuni elementi normativi delle rappresentazioni e delle
narrazioni materne in gravidanza, rispetto ai quali le madri più in difficoltà dovrebbero discostarsi.
Campione
Il campione è costituito da 112 coppie in attesa del loro primo figlio. Il reperimento dei
partecipanti è avvenuto attraverso i reparti di Ginecologia di alcuni ospedali, i consultori familiari o i
servizi materno infantili e i corsi di preparazione al parto e si è realizzato in base all’adesione delle
coppie alla proposta di collaborazione. Dal momento che l’indagine verteva sul “normale”, nella scelta
dei soggetti, è stato adottato come unico criterio l’assenza di patologia gravidica.
Strumenti e misure
Per esplorare le rappresentazioni dei genitori si è scelto di utilizzare un approccio di tipo
qualitativo e quantitativo, basato sul colloquio di ricerca CCG, che prende in considerazione diverse aree
di indagine relative ai vissuti e alle dinamiche psicologiche che caratterizzano il settimo mese di
gravidanza Il colloquio prevedeva, inoltre, un approfondimento della situazione di coppia dei due
genitori, della loro percezione della genitorialità e del bambino.
Risultati attesi
L’andamento dei profili previsto per le madri preoccupate è simile a quello delle madri normali
ma con indici spostati verso valori estremi, mentre le madri psicopatologiche dovrebbero presentare
delle chiare distorsioni sia a livello delle descrizioni, degli atteggiamenti che degli affetti.
HANDICAP E RIORGANIZZAZIONE FAMILIARE
A. Salerno, P. Miano
Cattedra di Psicodinamica dello Sviluppo e delle Relazioni Familiari (Prof.ssa Angela Maria Di Vita) Dipartimento
di Psicologia Università degli Studi di Palermo
Tra gli eventi non normativi del ciclo di vita familiare, la nascita di un bambino con handicap è
certamente uno dei più destabilizzanti per l’intera famiglia. Le reazioni dei membri della famiglia
all’evento handicap, sono fortemente determinate dal tipo di disabilità, ovvero dalla presenza di
handicap psichici e/o fisici, dal grado di partecipazione/restrizione della partecipazione del soggetto alle
cure personali, alla mobilità, allo scambio di informazioni, alle relazioni sociali, alle attività di
istruzione, lavoro, tempo libero, spiritualità, alla vita economica, alla vita civile e di comunità.
Indipendentemente dalle variabili appena citate, vi sono alcune caratteristiche comuni che il sistema
familiare tende a esprimere in risposta alla disabilità di uno dei suoi membri, tra questi i più significativi
sembrano essere il senso di colpa vissuto dai genitori e in particolare dalla madre, il rifiuto, la vergogna,
il sentimento di fallimento, la ricerca ossessiva di soluzioni e la negazione.
In particolare, in entrambi i genitori, il sentimento più comunemente riscontrato riguarda la
necessità di affrontare il lutto derivato dalla perdita simbolica del bambino atteso, con le sue
caratteristiche di perfezione ideale e di totale conformità all’immagine parentale. L’elaborazione del
lutto è spesso ostacolata da sentimenti di depressione, frustrazione e dalla tendenza all’autopunizione; i
genitori attraversano le classiche fasi di elaborazione del lutto: negazione, indignazione, rassegnazione e
accettazione; quest’ultima fase viene raggiunta solo raramente e richiede un intenso lavoro personale.
In funzione del sesso e dell’età, i fratelli e le sorelle del soggetto disabile mostrano reazioni
particolari, connesse alle conseguenze della disabilità, che si definisce come fattore di stress cronico.
Come i genitori, anche i fratelli e le sorelle si trovano in una situazione di deprivazione, che tende a
responsabilizzarli in maniera eccessiva e li spinge a rispondere alle pressioni derivanti dal desiderio di
compensare le mancanze del fratello o della sorella disabile, dimostrandosi più intelligenti, più sani, più
belli...
Uno degli obiettivi del nostro contributo è di delineare gli aspetti peculiari della struttura
familiare che permettono ai membri della famiglia di adattarsi alla nuova organizzazione familiare.
Attraverso l’analisi delle caratteristiche di un campione di famiglie con un membro disabile, abbiamo
ipotizzato che le famiglie caratterizzate da coesione, da coinvolgimento emotivo e affettivo, e da
interazioni comunicative efficaci siano maggiormente in grado di gestire lo stress. La peculiare
condizione all’interno del ciclo di vita familiare in cui si trovano le famiglie del nostro campione,
permette di rilevare come il gruppo familiare assuma un ruolo di supporto, protezione, aiuto, guida e
incoraggiamento.
La maggiorparte delle famiglie è capace di reazioni funzionali ed è in grado di affrontare gli
eventi critici in maniera efficace. Quanto più una famiglia è caratterizzata da flessibilità, coesione,
adattabilità e da una buona comunicazione tra i membri, tanto più sarà probabile che riesca a
riorganizzarsi in seguito a eventi di qualsiasi tipo.
LE RELAZIONI FAMILIARI TRA ISTANZE PSICOLOGICHE E
ISTANZE GIURIDICHE
A. M. DiVita, M. Garro, V. Granatella, A. Merenda
Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Psicologia, Sezione di Psicologia giuridica
La separazione, il divorzio e le famiglie ricostituite non possono più essere considerate
fenomeni occasionali di questo momento storico, bensì elementi strutturali della nostra società. In
particolare, la separazione è stata oggetto di diversi studi che hanno cercato di inquadrarla nei suoi
svariati aspetti, riferendosi a diversi ambiti disciplinari (giuridico, psicologico, sociologico ecc.) ed
altrettanti quadri di riferimento che inducono ad interventi specifici, realizzati da nuove figure
professionali (C.T.U., mediatore familiare e così via).
La separazione dei coniugi si configura, negli attuali studi psicologici, come un processo
complesso che comporta un’evoluzione ed una trasformazione delle relazioni familiari e generazionali
nel tempo. Essa, in genere, trova la propria stabilizzazione solo qualche anno dopo la separazione legale
(cfr. Mombelli, 1989), intervallo temporale necessario per il riadattamento agli inevitabili fattori di stress
personali e familiari che la separazione comporta: frustrazione, senso di perdita e inadeguatezza negli
adulti; paura, solitudine, diverse modalità di rielaborazione dell’esperienza dell’essere contesi, nei figli
(Cfr. Dell’Antonio, 1983).
L’attenzione si sposta, dunque, a parere di Santi, sui modelli interattivi esistenti nel periodo di
post-separazione e sulle variabili dei processi familiari nei vari stadi di sviluppo dopo la separazione
stessa (qualità della comunicazione tra gli ex partner, assenza o meno di conflittualità tra loro, tipo di
rapporto tra il figlio e ciascun genitore).
La ricerca-intervento sulla famiglia in difficoltà ha, pertanto, focalizzato la sua attenzione sugli
aspetti relativi alle tipologie del conflitto familiare, alle possibilità di risoluzione dello stesso, nonché
alle ripercussioni sui diversi membri del sistema familiare.
La complessità e gli elementi di sfida epistemologico-operativa tra i due sistemi, psicologico e
giuridico, è stata messa in evidenza attraverso il confronto da noi effettuato, nelle nostre ricerche, tra i
criteri di valutazione utilizzati dagli operatori del mondo giuridico (giudici), e quelli del mondo
psicologico (psicologi e pedagogisti).
Abbiamo, infatti, analizzato, le sentenze di separazione emesse dai Tribunali di alcuni
capoluoghi siciliani (Palermo, Trapani e Caltanissetta), nell’ultimo quinquennio, attraverso i dati emersi
da una scheda di rilevazione che ha evidenziato gli elementi cui i giudici attribuiscono importanza
rispetto alla decisione circa l’affidamento dei figli.
Nella nostra ricerca, dunque, particolare importanza è stata attribuita, tra gli altri elementi, alle
fonti d’informazione a cui il giudice può attingere per definire l’interesse del minore. Sono state prese in
considerazione il minore stesso, i suoi genitori, i suoi parenti, fonti tecniche come i consulenti d’ufficio
ed i servizi socio-assistenziali.
Dalle sentenze analizzate nei tre Tribunali si è evidenziato che il ricorso a consulenze tecniche e
all’audizione dei minori appare ridotto; tuttavia, va precisato che, nel corso dei cinque anni, i giudici
hanno sempre più fatto ricorso a queste fonti d’informazione.
Riguardo ai criteri considerati importanti dagli operatori dell’area psicosociale (psicologi e
pedagogisti), abbiamo preso in esame un sub-campione rappresentativo dei due sottogruppi che ha
fornito indicazioni molto interessanti sia rispetto al confronto con il gruppo degli operatori giuridici, sia
rispetto all’intreccio tra il sistema di credenze, il sistema teorico di riferimento degli operatori e
l’intervento professionale degli stessi.
Attraverso le nostre indagini, è stato sottolineata la significatività del supporto che può essere
offerto al giudice dagli “specialisti in materia”, dai servizi sociali, dagli operatori psicosociali ed in
particolare dalla consulenza, intesa come strumento atto a fornire un quadro di riferimento adeguato alle
esigenze proprie di una certa età, di un certo sesso e delle necessità specifiche nel caso concreto
(cfr.Sparpaglione, 1997).
In tal senso, ulteriori nostri lavori hanno focalizzato le finalità, la tipologia e lo spazio per il
cambiamento, che possono scaturire attraverso l’esperienza della Consulenza Tecnica d’Ufficio.
Riteniamo che il ricorso al mondo psicologico e la richiesta d’aiuto e di collaborazione, indichi il
progressivo convincimento da parte del mondo giuridico che esista la reale possibilità di avvalersi
utilmente di una disciplina che, come la psicologia, possa offrire modelli d’intervento e criteri
interpretativi per situazioni personali ed interpersonali complesse che il diritto, da solo, non riesce ad
affrontare e risolvere.
Si riconosce, pertanto, la “possibilità evolutiva” offerta al nucleo familiare in difficoltà,
mediante l’attuazione delle consulenze tecniche, nonostante il quesito posto dal giudice definisce il
campo d’osservazione della consulenza, legandolo al “qui ed ora”; esso risulta, infatti, spesso limitante
l’attività psicologica, in quanto la consulenza non può affrontare indiscriminatamente ogni aspetto della
storia familiare, né può trasformarsi da valutazione diagnostica in intervento terapeutico o educativo e
neppure in esplicita mediazione tra le parti.
Attraverso un’indagine da noi realizzata su coppie in fase di separazione, è stato possibile
individuare alcune caratterizzazioni peculiari della famiglia che affronta questo evento: tra queste sono
risultate costanti le difficoltà a condividere la funzione genitoriale dei due ex partner, l’interferenza della
famiglia d’origine, la tendenza a triangolare i figli nella contesa.
Parallelamente, il nostro interesse ha focalizzato l’utilizzo di strumenti e tecniche che
permettano di ricostruire l’intreccio delle relazioni familiari, anche in quelle situazioni che evidenziano
la tendenza alla rottura definitiva dei legami.
Nel contesto peritale, sui nuclei familiari divisi è stato pertanto utilizzato uno strumento
grafico-simbolico di tipo proiettivo, il Disegno Simbolico dello Spazio di Vita Familiare (DSSVF), che
ha consentito la delineazione di indicatori utili al fine di valutare le risorse educative dei genitori, nonché
le modalità di elaborazione dell’evento separazione, negli stessi e nei loro figli.
Lo strumento, basato sulla rappresentazione “spaziale” delle relazioni familiari, è applicabile
all’intera famiglia o al singolo e consente di valutare la percezione delle relazioni familiari da parte di
ogni membro del sistema, rispetto all’evento critico. Esso ha consentito, inoltre, di indagare, le
potenzialità trasformative delle famiglie, attraverso la somministrazione di una versione del DSSVF
relativa ad un ipotetico futuro, in cui viene chiesto ai familiari di immaginare e rappresentare la loro
famiglia, in seguito all’esperienza della separazione.
Tale tecnica, utilizzata nella ricerca italiana in molteplici campi di applicazione e intervento
sulla famiglia durante il suo ciclo di vita, con una modalità congiunta (Cigoli,1997; Gilli e coll.,1989),
nella nostra indagine è stata applicata singolarmente ai componenti familiari, consentendo in tal modo,
un confronto tra le percezioni dei due ex partner e quelle della prole rispetto ai cambiamenti relazionali
suscitati e percepiti in seguito alla separazione. E soprattutto è stato utile per indagare l’evoluzione dei
rapporti intergenerazionali tra le giovani coppie e le rispettive famiglie d’origine in presenza dell’evento
parenthood, o, ancora, per focalizzare le dinamiche del processo di separazione-individuazione in
famiglie “trampolino di lancio” con i figli post-adolescenti (Gilli e coll., 1989).
Riferimenti bibliografici
Cigoli V., Gulotta G., Santi G. (1983), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè,
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Milano.
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dell’interesse del minore: criteri della gente comune, in press.
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Santi G., Separazione, divorzio e affidamento dei figli, Giuffrè, Milano.
Vegetti Finzi S.(1992), Il romanzo della famiglia, Mondadori, Milano.
“LA FAMIGLIA DEGLI ORSI”:
DIAGNOSI E VALUTAZIONE DELL’INTERVENTO IN SOGGETTI
IN ETÀ PRESCOLARE
P. Venuti
Dipartimento di Psicologia- Seconda Università degli studi di Napoli
Il metodo della ‘Famiglia degli orsi’ è stato proposto (Venuti, Cesari, 1998) da alcuni anni come
metodo proiettivo per bambini tra quattro e cinque anni. Esso si basa sull’ assunto che il bambino tramite
il gioco e la narrazione può esprimere contenuti interni relativi alle sue modalità di vivere le relazioni
con i membri della sua famiglia.
Il materiale è costituito da una famiglia di orsi antropomorfizzati, da un dottore ed un poliziotto,
da un coniglio e un’oca con cui il bambino può giocare in ambienti tipici della vita familiare (soggiorno
e cucina) e di quella sociale (parco giochi). Ai soggetti, in età prescolare, viene richiesto di giocare per 10
minuti con il materiale fornito e poi di raccontare una storia basata sui personaggi con cui ha giocato. E’
evidente che per la sua caratterizzazione, il materiale presentato porta prevalentemente alla rievocazione
di rappresentazioni della vita familiare del bambino. I contenuti emotivi e affettivi, nonché gli elementi
proiettivi sono veicolati, oltre che dal gioco, dalla narrazione linguistica. Entrambi i canali comunicativi
sono considerati adeguatamente organizzati nella fase evolutiva considerata e arricchiti, oltre che dal
significato di cui sono vettori, anche dalle modalità espressive di ciascun bambino. Pertanto, il bambino
può utilizzare gli oggetti del metodo a suo piacimento, semplicemente per manipolarli
oppure
arricchendoli di significato simbolico, identificandosi con i diversi personaggi, assumendone il ruolo,
trasformandoli o non utilizzandoli proprio
In questo ambito si vuole presentare come il metodo possa essere utilizzato nell’ambito della
valutazione clinica. Esso, infatti, attraverso variabili operazionalizzate, costituisce un utile strumento per
conoscere il mondo relazionale del bambino e le sue modalità di gestione dei conflitti.
Le variabili che si prendono in considerazione, a tal fine, sono relative a:
a) capacità di esplorare che il bambino manifesta nell’approccio iniziale con il materiale e nella
gestione degli spazi e dei diversi ambienti in cui si svolgono il gioco e la storia ;
b) reazioni alla separazione e al ricongiungimento che il bambino attribuisce ai diversi
personaggi che utilizza ed, in particolare, al protagonista del gioco e della storia.
c) modalità di gioco e modalità narrative come indicatori del funzionamento cognitivo, ad
esempio, la capacità di utilizzare funzionalmente o simbolicamente il materiale o la complessità del
discorso.
Sia il gioco prodotto dal bambino che la storia da lui creata sono considerati nei loro aspetti
formali (come sono organizzati) e contenutistici (i temi che ne emergono) e la loro analisi congiunta è
alla base delle indicazioni diagnostiche circa i conflitti ed i modi di affrontarli nell’ambito familiare .
I dati di tipo formale sono considerati come indicativi delle modalità cognitive utilizzate dal
bambino che si suppone, siano profondamente legate alla qualità dell’attaccamento. Nel foglio di analisi
del gioco, questi dati emergono negli items riguardanti il modo in cui il bambino si approccia al gioco, il
tipo di gioco che egli compie, come organizza ed usa gli spazi. Nell’analisi della storia, invece, le
componenti formali fanno riferimento alla complessità con cui è organizzata la storia, al livello logico
che essa presenta, all’espressione, o meno, delle emozioni.
I dati di tipo contenutistico sono maggiormente indicativi degli aspetti rappresentazionali di sé e
dell’altro ed emergono, negli items riguardanti l’uso dei personaggi, l’uso degli spazi in relazione ai
personaggi, gli eventi di separazione e di ricongiungimento,. Nel foglio di analisi della storia gli elementi
riguardanti il contenuto sono leggibili negli items riguardanti la risposta del bambino alla richiesta di
raccontare una storia con la famiglia degli orsi, l’organizzazione e l’uso degli spazi e dei personaggi, i
temi espressi e le emozioni manifestate dal bambino, gli eventi di separazione e ricongiungimento.
Una conoscenza approfondita del mondo relazionale se da una parte è un punto di partenza nella
valutazione diagnostica di un soggetto in età prescolare, dall’altra costituisce anche un punto nodale di
ogni intervento psicoterapeutico con i bambini piccoli. Il metodo “la famiglia degli orsi” proprio per le
sue caratteristiche di gioco diviene quindi anche utile per valutare nel corso del trattamento come si
modificano i conflitti, come il bambino cambia le sue dinamiche relazionali, quali figure sono centrali
nel conflitto e nella sua risoluzione. Proprio per questo il metodo potrebbe anche essere una misura del
cambiamento nell’ambito di un intervento psicoterapeutico.
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UNO STUDIO SUL PROCESSO ATTRAVERSO L'EMPATIA
C. Morandi, C. Masserini, A. Ferrari, M. Cossa, E. Fava
Unità Operativa Psichiatrica n°. 48. Università degli Studi di Milano. DSM Niguarda Ca' Granda.
Introduzione
Dal transfert-controtransfert al concetto di empatia.
Questo lavoro si inserisce nel filone di ricerca relativo al considerare la "coppia terapeutica"
come "altro" riguardo ai singoli componenti e come tale bisognosa di metodi di studio più specifici. Pur
avendo un'identità propria e pur essendone ricosciuti valori e processi autonomi interni, continua ad
essere terribilmente difficile focalizzare gli studi su quello che succede all'interno di essa, senza ricadere
nella differenziazione transfert-controtransfert, nell'attribuire cioè all'uno o all'altro fenomeno ciò che
accade. Ancora più difficoltoso, poi, sembra il trovare metodi di misurazione empirica che non ricadano
in questa dicotomia terapeuta-cliente, che non siano cioè relativi ad uno dei due poli della coppia.
L'empatia intesa come "struttura" e come elemento "fondativo" dell'esperienza
psicoterapeutica.
La proposta consiste nel provare a fare questo salto considerando, come prima riflessione,
l"empatia" come elemento fondativo della relazione. Questi sono termini forti proprio perché si vuole
considerare l' "incontro" terapeutico come un tipo particolare di esperienza, che ha una sua struttura e che
può modificare la struttura della personalità. In questo senso può essere valutata come un indicatore di
cambiamento.
Perché i risultati di questa ipotesi di lavoro siano poi riversabili sulla clinica è necessario che la
ricerca renda evidente questa struttura mostrandone i nodi e le articolazioni, per iniziare a scolpire lo
scheletro e la forma caratteristica dell'esperienza psicoterapeutica come esperienza empatica. e poterla
poi confrontare con altri indicatori di cambiamento.
Metodo e risultati
L'articolo vuole suggerire alcuni temi su cui orientare la ricerca, temi che siano costitutivi di
questo tipo di esperienza con il progetto di creare una scala di valutazione delle sedute che sia
confrontabile con altre scale quali ad esempio la Scala dell'Alleanza di aiuto, la TIRS, i Modelli di
Attaccamento e altre.
Riferimenti bibliografici
L. Boella, A Buttarelli (2000). "Per amore di altro". L'empatia a partire da Edith Stein.
T.H.Odgen, (1984). "Soggetti dell'analisi".
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controtransfert".
Del Piccolo (1998). "L'interazione medico-paziente: sistemi di analisi a confronto”.
ANALISI DEL PROCESSO MEDIANTE IL METODO CCRT
IN PSICOTERAPIA BREVE DINAMICO-ESPERIENZIALE
S. Gatta, C. Podio, F. Noseda, E. Fava, C. Masserini, F. Osimo, S. Freni
Università degli Studi di Milano, Unità Operativa Psichiatrica n.48, D.S.M. Niguarda Ca’Granda
La psicoterapia Breve Dinamico-Esperienziale (PED-E) si sta delineando come modalità di
intervento rapido ed efficace in grado di promuovere cambiamenti psicodinamicamente autentici, rapidi
e stabili. Punto cruciale di tale forma di psicoterapia risiede nella piena esperienza dei vissuti e delle
emozioni che si attivano fin dal primo incontro, anche a livello transferale e che conducono all'attuarsi
dell'"Esperienza Emotiva Correttiva" (Alexander 1946; Malan e Osimo 1992; McCullough e Winston
1991; McCullough 1991a; Laikin, Winston, McCullough 1991; Osimo et al. 1998; Osimo 2001).
Intendendo come cambiamento la modificazione strutturale della capacità del paziente di relazionarsi
con gli altri e con se stesso, ovvero i modelli relazionali principali del paziente, si pone quindi come
quesito fondamentale quello di stabilire la natura dei cambiamenti, che avvengono durante e in seguito
una PED-E e la loro eventuale specificità. A tale scopo nel nostro studio abbiamo utilizzato il metodo
CCRT di Luborsky (Core Conflictual Realationship Theme) (Luborsky, Crits-Christoph 1990;
Luborsky, Diguer et al 2000), in quanto misura operazionalizzata del transfert che permette di valutare la
sua evoluzione e modificazione a partire dagli "episodi relazionali", individuati nelle sedute
terapeutiche. Abbiamo infatti applicato tale strumento alle prime ed ultime sedute di un campione di 6
pazienti consecutivi, 5 dei quali trattati con PED-E da un terapeuta esperto e uno da un terapeuta in
formazione, presso la Clinica Psichiatrica Universitaria dell'Università di Milano, sede di Affori, UOP
48. Riportiamo i risultati delle modificazioni del CCRT in ciascuno dei 6 pazienti correlando tale
modificazione all'evoluzione della sintomatologia, stimata tramite SCL-90 R e alla valutazione
psicodinamica del cambiamento con il metodo di Malan (Osimo, 1984). Il nostro studio prevede inoltre
l'applicazione del CCRT a sedute di follow-up, nei casi in cui sia disponibile, al fine di valutare eventuali
cambiamenti dei modelli relazionali in tempi successivi alla conclusione del trattamento e correlabili
allo stesso.
Riferimenti bibliografici
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Trad. It.: Capire il transfert. Milano: Raffaello Cortina, 1992.
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Malan D. H., Osimo F., (1992) Psychodynamics, training and Outcome in Brief Psychotherapy.
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Osimo F., Merlo A., Arduini L., Landra S., Fava E., Masserini C., Carta I., Pazzaglia P. (1998) La
scala ATOS: Achievement of Therapeutic Objectives Scale. Ricerca in Psicoterapia 1(2),
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Osimo F. (2001) Parole Emozioni e videotape. Manuale di Psicoterapia Breve Dinamica
Esperienziale. In corso di pubblicazione per Franco Agneli.
UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE DELLE CATEGORIE A CLUSTER DEL CCRT,
SULLA BASE DELLA TEORIA DEI SISTEMI MOTIVAZIONALI
DI LICHTENBERG
A. De Coro, S. Andreassi, A. Cascioli, N. Dazzi
Universita’ degli studi di Roma “La Sapienza”
Il metodo del CCRT di Luborsky consente di monitorare empiricamente l’evoluzione dei
principali paradigmi di transfert nel corso di trattamenti psicoterapeutici.
In particolare, nella definizione di un “tema relazionale conflittuale centrale”, particolare
rilevanza assume la componente desiderio (W) che, esprimendo le intenzioni e le aspettative del soggetto
nelle interazioni con gli altri, organizza attivamente l’articolazione del modello interpersonale e
determina il significato specifico assunto dalle risposte dell’altro (RO) e dalle risposte del sé (RS).
L’attribuzione delle categorie per la codifica di questa componente richiede un livello di inferenza
maggiore, il che contribuisce a spiegare il minor grado di accordo tra i giudici rispetto alle altre due
componenti (Luborsky, Diguer 1998).
In uno studio precedente (Dazzi et al. 1998) sull’analisi dell’accordo esistente tra i giudici
nell’attribuzione delle singole categorie per ciascuna componente, sono state individuate le categorie la
cui assegnazione risulta maggiormente problematica. Per la componente W (desideri-bisogni-intenzioni)
5 categorie su 35 risultano avere un basso grado di accordo tra i giudici, a fronte di un buon grado di
accordo complessivo tra i giudici valutato attraverso il cappa di Cohen. Attraverso l’analisi delle
categorie standard risultate problematiche e lo studio del passaggio nelle rispettive categorie a cluster, si
sono resi evidenti problemi di sovrapposizione dei cluster. Ipotizziamo che tali sovrapposizioni
rappresentino l’esito inevitabile della costruzione su base empirica del set dei cluster individuati da
Luborsky, a partire da un campione di pazienti relativamente ridotto (N.=16).
Presentiamo una riorganizzazione delle categorie a cluster per la componente W, raggruppando
le esistenti categorie standard in cinque cluster, riferiti ai cinque sistemi motivazionali proposti dalla
teoria della motivazione di Lichtenberg (1989). Sulla base del significato clinico suggerito dalla
formulazione verbale della categoria standard, abbiamo assegnato ciascuna categoria standard
(aggiungendone un piccolo numero alla lista esistente) ad un cluster specifico, definito nei termini di uno
specifico sistema motivazionale, e abbiamo codificato con questo sistema i trascritti di 53 sedute tratte
dalla fase iniziale di 20 psicoterapie con diversi orientamenti.
Illustriamo i risultati dell’applicazione, evidenziando le differenze riscontrate nel grado di
accordo fra i giudici e la minore sovrapposizione fra i cluster assegnati alla stessa unità di codifica. Viene
inoltre discussa la rilevanza clinica di queste nuove categorie per l’applicazione del CCRT allo studio del
processo psicoterapeutico. Attraverso i cambiamenti rilevati in due studi sul caso singolo, indichiamo la
nuova potenzialità di tali categorie, tanto per la valutazione iniziale del modello relazionale
disfunzionale, quanto per le valutazioni successive del transfert e del cambiamento terapeutico.
Riferimenti bibliografici
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Psychoanalytic Association, Washington D. C.
L'UTILIZZO DI SUPPORTI MULTIMEDIALI
NELLO STUDIO DEL PROCESSO TERAPEUTICO
S. Gelsomino *, E. Fava °, F. Osimo °, Y. Fahmy ^
* Società Medicina Psicosomatica, sezione di Catania.
° Istituto di Clinica Psichiatrica, Università degli Studi di Milano, sede Affori, UOP a Direzione Universitaria n.48.
^ Associazione Analisti di Sistemi
E' di recente attualità l'introduzione nella ricerca scientifica sul processo terapeutico
dell'utilizzo di supporti audio e video.
L'applicazione di supporti, come registratori e videoregistratori, nello studio empirico del
processo terapeutico, ha reso numeroso e complesso il numero di variabili oggetto di studio e creato, per
via della loro diversa struttura (suoni e immagini), difficoltà di archiviazione.
Al fine di rappresentare, il più possibile, la complessità del processo terapeutico riportata da
differenti supporti, si rende opportuno, nella fase di rappresentazione delle informazioni, l'utilizzo di
strumenti in grado di gestire la numerosità e l'eterogeneità delle variabili oggetto di studio.
In tal senso l'utilizzo del supporto cartaceo, quale strumento di rappresentazione di dati
risultanti dalla ricerca empirica di fenomeni complessi, caso dei processi terapeutici, pone alcuni limiti
dati dalle caratteristiche intrinseche al supporto stesso.
Nel processo terapeutico le variabili oggetto di osservazione sono numerose e in continua e
mutevole interazione durante tutto lo svolgersi del processo stesso, inoltre, frequentemente, le
informazioni sono riportate, come nel caso di aspetti legati alla comunicazione non verbale, in forma di
suoni o/e immagini.
Per tali aspetti l'utilizzo del supporto cartaceo non appare essere un buon strumento. Inoltre,
l'uso di testo accompagnato da suoni ed immagini rende necessario l'applicazione di supporti
multimediali in grado di rendere continuamente visibili i dati emersi dallo studio empirico unitamente
alle registrazioni audio o audio-video, e mostrare l'andamento di variabili durante tutto lo svolgimento
del processo.
In conformità a tali osservazioni nasce Mediatherapy, software progettato per la gestione di
informazioni complesse di un processo terapeutico.
Il lavoro proposto, mostra un esempio concreto dell'applicazione del software Mediatherapy
alla scala ATOS (achievement of therapeutic objectives scale) validata sperimentalmente presso la
Clinica Psichiatrica Universitaria, sede Affori, dal Dott. Osimo, dove quaranta segmenti di sedute di
psicoterapia dinamica breve videoregistrate sono stati valutati da un gruppo di giudici.
Considerando come variabili i quattro indici proposti dalla scala ATOS (riconoscimento delle
difese, rinuncia delle difese, esperienza degli affetti e rinuncia degli affetti) e il "conflitto psicodinamico
centrale" manifesto dal paziente, attraverso l'uso di particolari interfacce visibili unitamente allo scorrere
del filmato, si è reso possibile l'osservazione dell'andamento delle suddette variabili durante tutto lo
svolgersi della terapia.
I principali vantaggi offerti da questo tipo di strumento sono dati dalla possibilità di: gestire
informazioni complesse potendo contemporaneamente averne lettura in modo semplice ed immediato;
seguire l'andamento delle variabili durante l'intera visione del processo terapeutico; inserire eventuali
indici in qualsiasi posizione del filmato; osservare in tempo reale rappresentazioni grafiche
sull'andamento delle variabili individuate e approfondire, immediatamente, eventuali relazioni
sull'andamento delle medesime.
Riferimenti bibliografici
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Therapeutic Objectives Rating Scale ATOS, (non pubblicato).
McCullough VAILLANT L. (1997), Changing Character, Basic Books, New York.
LA CONDIVISIONE NELL’ANALISI
DEL PROCESSO PSICOTERAPEUTICO
B. G. Bara, R. B. Ardito
Centro di Scienza Cognitiva - Università e Politecnico di Torino
Introduzione
In questo lavoro intendiamo presentare i risultati della validazione di uno strumento, l’Indice di
condivisione (Bara 1999; Bara e Bosco, 2000), che rileva i momenti in cui, nel corso di una psicoterapia,
paziente e terapeuta arrivano alla costruzione di una forma particolare di conoscenza condivisa: la
conoscenza condivisa terapeutica, quella condivisione cioè che il paziente esplicitamente dichiara di
condividere con il terapeuta. Intendiamo la psicoterapia come un processo duale di costruzione condivisa
di significati (Bara, 1996) e riteniamo che la comunicazione linguistica, sebbene non esaurisca il lavoro
che la coppia terapeuta/paziente svolge in seduta, costituisca il mezzo principe attraverso il quale ha
modo di svilupparsi la relazione ed il processo terapeutico. È proprio a livello della comunicazione
linguistica che l’Indice di condivisione si pone (Ardito, 2000). Il concetto di conoscenza condivisa, che
sta alla base dell’Indice di condivisione, è stato mutuato dalla teoria della Pragmatica cognitiva (Airenti,
Bara e Colombetti, 1993) che definisce la conoscenza condivisa come quella conoscenza che un
individuo ritiene soggettivamente di condividere con il proprio interlocutore.
Procedura sperimentale
L’Indice di condivisione si compone di alcuni item (ad esempio il linguaggio figurato, la
rilettura, la spiegazione) che segnalano il tipo di condivisione che può avvenire durante il colloquio
terapeutico. L’obiettivo è quello di rilevare, dalla trascrizione dei colloqui, la condivisione terapeutica.
L’ipotesi che sta alla base della costruzione di questo strumento è che un alto livello di condivisione sia
un indicatore del successo della terapia. Alla luce dell’Indice di condivisione sono state quindi lette le
trascrizioni delle sedute di tre cicli psicoterapeutici. Le psicoterapie, interamente audioregistrate, sono
state condotte da terapeuti di impostazione cognitivista didatti della SITCC (Società Italiana di Terapia
Comportamentale e Cognitiva).
Discussione
Durante i lavori del congresso verranno presentati i risultati dell’applicazione dell’Indice ai tre
cicli di psicoterapia. Questi paiono interessanti per più motivi. Infatti, oltre a costituire la validazione
dell’Indice e quindi ad affinare lo strumento stesso, possono informare di ciò che avviene in seduta, e
cioè della quantità e qualità della condivisione terapeutica. Ed ancora, pare interessante vedere quali
sono le categorie di condivisione che ricorrono più spesso in ciascuna delle terapie ed, eventualmente,
rilevare le varianti che sono proprie di ciascun terapeuta o, meglio, di ciascuna coppia paziente/terapeuta
ingaggiata in una relazione terapeutica.
Riferimenti bibliografici
Airenti G., Bara B.G., e Colombetti M. (1993). Conversation and behavior games in the
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Congresso Nazionale della Sezione di Psicologia Clinica dell’Associazione Italiana di
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UNA PROPOSTA DI VALUTAZIONE DELL'ALLEANZA TERAPEUTICA A PARTIRE DAI
TRASCRITTI DELLE SEDUTE:
IL SISTEMA IVAT
A. Colli, V. Lingiardi
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione
L’IVAT (Indice di Valutazione dell’Alleanza Terapeutica) è uno strumento che abbiamo
costruito con l’obiettivo di “misurare” l’Alleanza Terapeutica (AT) a partire dall’analisi di trascritti di
sedute di psicoterapia. Tutti gli strumenti fino ad oggi disponibili, come il Working Alliance Inventory
(WAI, Horvath, Greenberg, 1996) o la California Psychotherapy Alliance Scale (CALPAS, Gaston,
1991), valutano invece l’AT per mezzo di questionari autosomministrati (in versioni per il terapeuta, per
il paziente, per l’osservatore).
La definizione teorica cui abbiamo fatto riferimento per la costruzione dell’IVAT è quella
proposta da Bordin (1979), il quale scompone il concetto di AT in tre dimensioni: i “compiti”, gli
“obiettivi”, il “legame” (Tasks, Goals, Bond). La struttura dell’IVAT è anche parzialmente ispirata alle
quattro dimensioni proposte dalla Gaston per la valutazione dell’AT: Capacità di lavoro del paziente
(Patient Working Capacity – PWC), Impegno del paziente (Patient Commitment – PC), Consenso sulla
strategia di lavoro (Working Strategy Consensus – WSC), Comprensione e coinvolgimento del terapeuta
(Therapist Understanding and Involvement – TUI). Infine, per selezionare i markers di rottura e
risoluzione dell’alleanza da parte del paziente e del terapeuta, ci siamo attenuti al modello proposto da
Safran e Muran (2000).
Descrizione dello strumento
L’IVAT si compone di una sezione dedicata all’analisi degli interventi del paziente (IVAT-P) e
una dedicata agli interventi del terapeuta(IVAT-T). L’IVAT-T è ulteriormente divisa in una sezione che
raccoglie i markers “diretti” del paziente (per esempio, attacchi espliciti al terapeuta e/o alla terapia) e in
una sezione che raccoglie i markers “indiretti” (per esempio, strategie di evitamento, operazioni di
sicurezza, ecc.).
Campi di applicazione
L’IVAT trova applicazione in diversi campi della ricerca in psicoterapia: 1) Studio delle
differenze nell’andamento della relazione terapeutica in diversi tipi di psicoterapia (per esempio,
confronto tra trascritti di sedute di psicoterapia dinamica vs cognitiva). 2) Studio delle differenze nel
processo di formazione/rottura dell’alleanza tra pazienti con diverse diagnosi (Lingiardi et al., 2000). 3)
Studio delle possibili correlazioni tra AT e altri fattori interni alla terapia (per esempio: meccanismi di
difesa (Defense Mechanism Rating Scale, DMRS, Perry, 1990; Lingiardi et al., 1999), capacità
metacognitiva (Semerari, 1999), CCRT (Core Conflictual Relationship Theme, CCRT, Luborsky,
Crits-Christoph,1990), Attività Referenziale (Bucci, 2000). 4) Studio del processo di formazione
dell’alleanza e della sua rottura (per esempio, individuazione di markers precoci di rottura dell’alleanza).
Osservazioni conclusive
L’IVAT è una scala che consente di valutare la qualità dell’AT partendo dall’analisi dei
trascritti di sedute. Tale strumento, se da una parte presenta i limiti propri di tutti quei metodi di
valutazione che si basano sulle trascrizioni di sedute (ignorando, quindi, tutti gli aspetti non trascrivibili
della relazione), dall’altra ha l’indubbio pregio di cogliere dei fenomeni in modo naturale, in quanto non
sollecitati da domande ad hoc, come avviene nel caso della somministrazione di questionari (per
esempio: WAI, CALPAS). L’IVAT è nata facendo riferimento a un particolare orientamento
terapeutico, la psicoterapia cognitiva e interpersonale; quindi tende a valutare gli interventi terapeutici
volti alla risoluzione delle rotture dell’alleanza secondo i criteri propri di tale orientamento. Uno
sviluppo futuro della scala potrebbe essere quello di individuare nuovi item riconducibili anche a
interventi terapeutici di altri orientamenti. L’utilità principale dello strumento è quella di permettere
un’analisi articolata del processo di rottura e ricostruzione dell’alleanza fornendo indicazioni per
l’individuazione di strategie mirate di intervento e di markers precoci di “cattive” alleanze.
Riferimenti bibliografici
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Semerari A. (1999) Psicoterapia cognitiva del paziente grave. Raffaello Cortina Editore, Milano.
LA VALUTAZIONE DELL’ATTACCAMENTO:
UNO STUDIO DI VALIDITÀ CONVERGENTE FRA L’INTERVISTA
SULL’ATTACCAMENTO E GLI STRUMENTI “SELF REPORT”
F. Ortu. A.M. Speranza, C. Pazzagli, A. Tagini, S. D’Antuono, S. G. Pizzuti.
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
Introduzione
A partire dagli anni ‘80 l’interesse dei ricercatori si è sempre più concentrato sullo studio
dell’attaccamento nel ciclo di vita e gli ultimi dieci anni hanno assistito al moltiplicarsi degli studi
sull’attaccamento adulto (Main, 1999). Tali studi sono essenzialmente riconducibili a due differenti
tradizioni di ricerca, quella inaugurata da Mary Main che utilizza l’Adult Attachment Interview per
identificare “gli stati della mente nei confronti dell’attaccamento” e quella portata avanti da Hazan e
Shaver che si focalizzano sulle relazioni affettive in adolescenti e giovani adulti per valutare lo Stile di
attaccamento sulla base delle risposte date ad un questionario.
Questo incremento di studi e di metodologie di ricerca solleva una serie di interrogativi relativi
alla compatibilità degli strumenti utilizzati e alla confrontabilità dei dati ottenuti dalla loro applicazione.
Gli strumenti utilizzati differiscono infatti per le aree tematiche per la metodologia utilizzata per gli
assunti teorici a cui fanno riferimento, per l’operazionalizzazione dei concetti che intendono indagare e
per la struttura e il formato scelto (interviste, questionari, autodescrizioni ). Alla luce di queste
considerazioni appare rilevante lo studio dei costrutti e delle metodologie di indagine utilizzate per la
valutazione dell’attaccamento adulto In particolare ci si può chiedere quale sia la relazione tra i diversi
strumenti, cosa in effetti misurino e cioè se rappresentino diverse misure di uno stesso costrutto, misure
simili di differenti costrutti o differenti misure di differenti costrutti
Presentiamo qui i primi dati di uno studio di validità convergente fra alcuni degli strumenti self
report più frequentemente utilizzati in letteratura: il P.B.I. (Parker et al. 1979);l’ EMBU (Perris et al.,
1980), l’ IPPA (Armsden e Greenber, 1987,88), l’ASI (Sperling e Berman, 1991) e l’ASQ.( Feeney et
al., 1994) e l’intervista AAI. In particolare l’EMBU e il P.B.I. valutano le relazioni passate, l’IPPA e
l’ASI si propongono di valutare le relazioni attuali mentre l’ASQ si propone specificamente la
rilevazione di aspetti del modello operativo interno direttamente disponibili per la regolazione affettiva e
delle relazioni interpersonali.
Metodo
Il campione è costituito da 189 studenti che frequentavano i corsi del 2° anno della Facoltà di
Psicologia di Roma. Ai soggetti è stato chiesto di partecipare alla ricerca in forma anonima. Sono state
distribuite 4 versioni dell’intero protocollo di questionari, ordinate in modo diverso. IL 20% dei soggetti
è stato sottoposto all’intervista AAI.
Risultati
I risultati di questa indagine sembrano sostenere l’ipotesi che sia possibile rintracciare una
dimensione unitaria relativa all’attaccamento che permette di confrontare esperienze di attaccamento
appartenenti ad ambiti relazionali differenti (genitori-pari) e a differenti dimensioni temporali
(passato-presente).
In particolare, l’esperienza infantile di sicurezza derivante dalla positiva capacità di
accudimento di almeno un genitore si riflette nella capacità dell’individuo di stabilire relazioni
interpersonali soddisfacenti e di utilizzare l’altro come fonte di sostegno.
Conclusioni
Questi strumenti, nonostante le loro caratteristiche eterogenee, sembrano dunque cogliere un
aspetto fondamentale del sistema di attaccamento, cioè la capacità di utilizzare l’altro come base sicura
in situazioni di tensione e di bisogno, e non una generica e aspecifica capacità relazionale.
Dal punto di vista metodologico, l’ipotesi di una validità convergente sembra essere sostenuta
sia dalle analisi fattoriali che dalle analisi di correlazione.
Riferimenti bibliografici
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Medical Psychology, 52, 1-10.
Sperling M.B., Berman W.H. (1991), An attachment classification of desperate love. Journal of
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CHECK LIST PER LA VALUTAZIONE DEI MINORI CHE COMMETTONO REATI
A. Maggiolini *, C. De Colle °, R. Grassi ^, C. Trionfi ”
* Università degli Studi di Milano – Bicocca
° Istituto Minotauro, Milano
^ Università degli Studi di Trento
“ Istituto Minotauro, Milano
Disporre di strumenti di valutazione dei minori che sono sottoposti a procedimenti penali è
un’importante premessa per un trattamento mirato. Poiché la tendenza degli adolescenti a compiere atti
trasgressivi è fase specifica, è utile discriminare i ragazzi autori di reati in cui la componente
psicopatologica è prevalente sulla componente del disadattamento evolutivo o psicosociale. Nella
letteratura internazionale sono state mosse numerose critiche alla definizione del disturbo antisociale di
personalità, per la prevalenza che accorda ai tratti comportamentali a scapito d’aspetti più strutturali e
dinamici. Negli ultimi anni sono stati elaborati diversi strumenti specifici di valutazione della
delinquenza adulta e minorile e tra questi la PCL-R di Hare (psychopathy check list revised) ha mostrato
di possedere una buona affidabilità e validità, di cui è stata predisposta una versione per adolescenti, in
corso di pubblicazione (Forth, 2000).
All’interno del lavoro con i minori sottoposti a procedimenti penali nei Servizi della giustizia
minorile di Milano (Centro giustizia minorile, Centro prima accoglienza, Ufficio servizio sociale minori,
Istituto penale minorile “Beccaria”) abbiamo messo a punto uno strumento di valutazione composto da
50 item, che descrivono atteggiamenti e comportamenti dell’adolescente. Gli item mettono a fuoco
atteggiamenti narcisistici, difficoltà di controllo dell’impulsività, difficoltà nell’assunzione di
responsabilità, atteggiamenti persecutori, presenza o assenza di legami d’attaccamento, e altro. Più che
essere volto a misurare il livello di psicopatia, come nella PCL-R, questo strumento cerca di ricavare un
profilo individuale nelle diverse aree significative, nel presupposto che diverse caratteristiche soggettive
possano costituire degli ostacoli al processo di assunzione di responsabilità che appare una variabile di
particolare interesse per orientare l’intervento dei Servizi della Giustizia Minorile (De Leo, 1998).
Il campione è costituito da 95 minorenni sottoposti a procedimenti penali per diversi tipi di reati
(sia detenuti sia con altre misure cautelari o provvedimenti).
In questa fase il primo obiettivo è di valutare la coerenza interna dello strumento, misurando i
livelli di correlazione interna tra gli item che compongono le diverse aree dello strumento e la presenza
d’eventuali sovrapposizioni o dimensioni trasversali.
Le check list sono state compilate da psicologi che lavorano all’interno dei diversi servizi della
Giustizia minorile.
Lo strumento potrebbe essere correlato ad altre valutazioni. All’interno degli stessi servizi
stiamo predisponendo un sistema di valutazione dei fattori di rischio psicosociale e una griglia
d’osservazione del comportamento dei minori da parte degli educatori nella fase di detenzione al Centro
di prima accoglienza o nell’Istituto penale.
Riferimenti bibliografici
De Leo G. (1998) Psicologia della responsabilità. Laterza, Bari.
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DELINQUENZA MINORILE E CAPACITÀ RIFLESSIVA: ELEMENTI DIAGNOSTICI
AL TEST DI RORSCHACH
E. Riva *, C. Trionfi *, C. Saottini *, D. Viganò °
* Istituto Minotauro, Milano
° Ospedale “S. Gerardo”, Monza
La ricerca che presentiamo si propone di utilizzare il test di Rorschach come strumento di
valutazione di specifici aspetti della personalità degli adolescenti sottoposti a procedimenti penali per
aver commesso reati.
Alcuni autori individuano il nucleo patologico della delinquenza minorile nella psicopatia scarso controllo degli impulsi, carenza di capacità empatiche, aspetti narcisistici patologici - (Hare,
1991,Forth, Mailloux, 2000), mentre altri, in una prospettiva ad orientamento psicosociale, sottolineano
della dimensione psicodiagnostica in età adolescenziale i rischi di un processo d’etichettamento (Emler,
Reicher, 1995), o interpretano l’agito deviante non come espressione di un sottostante disturbo di
personalità, ma come manifestazione agita di una conflittualità intrapsichica che si esprime nello “spazio
psichico allargato” della relazione con l’ambiente (Jeammet, 1992).
Recenti teorie sui disturbi del comportamento dirompente nell’infanzia e sul disturbo
antisociale di personalità in adolescenza e nell’età adulta, si riferiscono alla teoria dell’attaccamento per
sottolineare come la carenza di funzioni di contenimento/rispecchiamento nella relazione primaria,
comporti la mancata attivazione di una funzione riflessiva (Fonagy, 2001). Nei soggetti con
comportamenti antisociali tale carenza appare con particolare evidenza nella difficoltà a mentalizzare,
che si esprime nella tendenza ad agire la conflittualità psichica, e a riconoscere, anche a posteriori,
significati e motivazioni del comportamento deviante.
La ricerca si propone di individuare nel funzionamento psichico degli adolescenti che
commettono reati alcune caratteristiche specifiche, che pur non essendo ancora cristallizzate in una
struttura di personalità psicopatologica, esprimono le stesse linee di tendenza che si ritrovano nelle
definizioni di disturbo di personalità antisociale e di personalità psicopatica.
In questo studio abbiamo considerato alcune variabili nelle risposte al test di Rorschach
clinicamente correlate con questi aspetti del funzionamento psichico dell’adolescente deviante.
Nello specifico sono stati considerati nei protocolli gli indici formali correlati con la capacità di
mentalizzazione (risposte di movimento umano, livello di coartazione del protocollo, risposte banali vs
risposte originali), gli indicatori del controllo degli impulsi (risposte di colore non sostenute dalla
componente formale, risposte di forma +, risposte di movimento inanimato) e gli indici di carattere
narcisistico (indice di egocentrismo, risposte speculari, risposte spaziali, contenuti grandiosi)
Sono stati analizzati 20 protocolli Rorschach di adolescenti che hanno commesso reati e che
sono sottoposti a procedimenti penali e 20 protocolli di adolescenti in crisi, che non hanno commesso
reati, ma hanno richiesto una consultazione. L’inquadramento diagnostico degli adolescenti appartenenti
al gruppo di controllo (adolescenti non sottoposti a procedimenti penali) è stato confrontato con quello
degli adolescenti appartenenti al gruppo sperimentale (adolescenti sottoposti a procedimenti penali), così
da rendere più facilmente confrontabili i dati.
La siglatura del materiale è stata eseguita utilizzando il metodo Klopfer, clinicamente più
utilizzato in Europa, che sebbene meno formalizzato d’altri sistemi di siglatura, consente un miglior
utilizzo clinico dei risultati. Per l’analisi dei dati si sono confrontati innanzitutto i singoli indicatori
quantitativi dei protocolli di Rorschach con l’obiettivo di verificare differenze significative nei due
gruppi. In secondo luogo, i singoli indicatori quantitativi sono stati raggruppati in base alle categorie
prese in esame (livello di mentalizzazione, controllo degli impulsi, problematiche narcisistiche).
L’esiguità del campione analizzato e i problemi d’attendibilità della siglatura Klopfer possono
rappresentare dei limiti per questo studio; ciò nonostante, la possibilità di avere un riscontro quantitativo
degli indicatori della condotta deviante può fornire uno stimolo per ulteriori ricerche.
Riferimenti bibliografici
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LA PSICOPATOLOGIA COGNITIVA DELL'ANSIA:
RIMUGINIO, OBBLIGO DI CONTROLLO, TIMORE DEL DANNO, RIMPROVERO E
PERFEZIONISMO PATOLOGICO
S. Sassaroli, G. M. Ruggiero
“Studi Cognitivi”, Centro di psicoterapia e ricerca - Milano
Si presenta un modello gerarchico della psicopatologia cognitiva dell'ansia. Lo scopo è ricavare
una metodologia affidabile e riproducibile di valutazione dei contenuti cognitivi di un soggetto ansioso
mediante la misurazione di poche variabili. In base alla letteratura scientifica sia italiana che
internazionale il sistema cognitivo di un soggetto ansioso è un sistema ad elevata tendenza alle
predizioni negative. Esso ha come scopo terminale l'obbligo di controllo e come credenza di base il
timore del danno vago e irreparabile. Inoltre, una variante caratteristica dei soggetti ansiosi con scopi
perfezionistici è il timore dell'errore. Le basi evolutive e relazionali dell'ansia sono il rimprovero ed il
criticismo percepiti. La fenomenologia concreta dell'obbligo di controllo del soggetto ansioso è il
rimuginio, caratterizzato da una tendenza alla ripetizione pervasiva di pensieri negativi riguardanti
eventi temuti o valutazioni negative su sé, sugli altri o sul mondo. Gli scopi terminali del rimuginio sono:
la preparazione illusoria ai danni eventuali, la distrazione ovvero l'evitamento della rappresentazione di
paure ancora peggiori, il sollievo fisiologico dello stato di ansia acuta.
LA VALUTAZIONE CONTROLLABILE
DEL RIMUGINIO, DELL'OBBLIGO DI CONTROLLO, DEL RIMPROVERO E
DEL PERFEZIONISMO PATOLOGICO
G. M. Ruggiero, M. Apparigliato, S. Lissandron, G. Piccione, S. Sassaroli
“Studi Cognitivi”, Centro di psicoterapia e ricerca - Milano
Gli strumenti elaborati per la valutazione delle diverse variabili descritte nella presentazione di
Sassaroli e Ruggiero in questo stesso congresso sono: 1) una intervista strutturata, la Valutazione ad
Intervalli Temporali dell'Anamnesi (VITA), adattata dalla Long Interval Follow-up Evaluation (LIFE)
(Keller, M.B., Lavori, P.W., Friedman, B., Nielsen, E., Endicott, J., McDonald-Scott, P. e Andreasen,
N.C., 1987); 2) questionari autosomministrati: il GOals of Worry Inventory (GOWI) (Sassaroli, e
Ruggiero, 2001) che misura gli scopi del e la tendenza al rimuginio; il Perceived Criticism Inventory
(PCI) (Apparigliato, Gianotti, Ruggiero e Sassaroli, 2001) sul rimprovero e criticismo percepiti;
l'Anxious and Perfectionistic Beliefs Inventory (APBI) (Ruggiero e Sassaroli, 2001) sull'obbligo di
controllo, sul timore del danno e sul perfezionismo patologico; il Multidimensional Perfectionistic
Inventory (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate, 1990); Il Self-liking and Competence Scale
(SLCS) (Tafarodi e Swann, 1995) sull'autovalutazione negativa; 3) la Cognitive Prototypical Analysis
(CPI) (Ruggiero, Lissandron, Piccione e Sassaroli, 2001) una scala di valutazione delle strutture
cognitive considerati in materiale proveniente da sedute registrate.
ANALISI DEI PRIMI DATI IN UNO STUDIO PILOTA
SU UN GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA DISTURBO ALIMENTARE
IN UN DAY HOSPITAL DELLA LOMBARDIA
G.M. Ruggiero *, S. Bertelli °, D. Longoni °, L. Zappa °, C. Pruneri °, S. Sassaroli*
* “Studi Cognitivi”, centro di psicoterapia e ricerca - Milano
° Centro Disturbi Alimentari (Eating Disorders Centre), Azienda Ospedaliera “S. Gerado”, Monza, Italy.
Vengono presentati i primi dati di uno studio in corso nell'Ospedale "San Gerardo" di Monza. I
dati riguardano la valutazione del rimuginio e dell'obbligo di controllo in soggetti affetti da disturbo
alimentare secondo il DSM-IV. Gli strumenti utilizzati sono l'intervista Valutazione ad Intervalli
Temporali dell'Anamnesi (VITA) (Ruggiero, Alberti e Sassaroli, 1996-2001), il GOals of Worry
Inventory (GOWI) (Sassaroli, e Ruggiero, 2001), il Perceived Criticism Inventory (PCI) (Apparigliato,
Gianotti, Ruggiero e Sassaroli, 2001), l'Anxious and Perfectionistic Beliefs Inventory (APBI) (Ruggiero
e Sassaroli, 2001), la Multidimensional Perfectionistic Scale (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate,
1990) e il Self-liking and Competence Scale (SLCS) (Tafarodi e Swann, 1995). Lo studio è sostenuto da
una borsa di studio concessa dalla Fondazione "Maria Bianca Corno - lotta all'anoressia" di Monza.
ANSIA DA PRESTAZIONE, PERFEZIONISMO PATOLOGICO
E OSSESSIONE ALIMENTARE IN UN CAMPIONE DI 60 STUDENTESSE
DI UN ISTITUTO SUPERIORE: UNO STUDIO SPERIMENTALE
A. Ciuna, D. Levi, G. M. Ruggiero, S. Sassaroli
“Studi Cognitivi”, centro di psicoterapia e ricerca - Milano
Secondo la letteratura scientifica, il perfezionismo patologico è un sicuro fattore di rischio
cognitivo per i disturbi alimentari. Questo studio ipotizza che in condizioni di ansia da prestazione
elevata vi sia un innalzamento sia del perfezionismo patologico che delle ossessioni tipiche dei disturbi
alimentari: paura del cibo, paura di ingrassare, insoddisfazione corporale, desiderio di dieta, ecc. 60
studentesse di un istituto superiore hanno compilato l'Eating Disorder Inventory (EDI) (Garner, 1991) e
la Multidimensional Perfectionism Scale (MPS) (Frost, Marten, Lahart e Rosenblate, 1990) in tre
occasioni: un giorno qualunque, un giorno con un importante compito in classe e il giorno in cui
venivano comunicati i voti del compito. L'ipotesi è che i punteggi dei due test siano significativamente
più elevati nella seconda e nella terza somministrazione.
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Premessa
Il simposio si prefigge di esporre e discutere, alla luce delle teorizzazioni e delle ricerche, svolte
presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania, il ruolo della teoria dell’attaccamento
nell’ambito di una concettualizzazione dei disturbi psichiatrici e della eziopatogenesi degli stessi,
informata alla teoria dei sistemi biologici complessi e lontani dall’equilibrio.
La rilevanza delle tematiche dell’attaccamento sarà discussa anche per quanto concerne i
protocolli terapeutici e riabilitativi di ispirazione costruttivista elaborati dagli Autori.
Nell’ambito di quattro relazioni verranno esposti i diversi aspetti della topica, secondo
un’articolazione che parte dalla concettualizzazione del ruolo dei processi di attaccamento, nelle diverse
e specifiche fasi del ciclo di vita, per arrivare a considerarne le implicazioni cliniche.
Una serie di dati sperimentali, scaturiti da ricerche recenti, effettuate dagli Autori, presso la
Clinica Psichiatrica della Università di Catania, sarà esposta e discussa nel corso del simposio.
TEORIE DELL’ATTACCAMENTO E TEORIA DEI SISTEMI COMPLESSI IN
PSICHIATRIA
T. Scrimali
Università degli Studi di Catania, Scuola di Psicoterapia Cognitiva Aleteia
L’approccio cognitivista in Psichiatria e psicoterapia si è sviluppato, nella seconda metà del
secolo scorso, a partire da una ottica influenzata dalla teoria della Informazione e dalla Cibernetica.
Dalla fine degli anni Settanta è stato proposto, grazie ai contributi di Guidano e Liotti, di
Guidano, di Mahoney ed altri, un approccio costruttivista in Psicoterapia Cognitiva, caratterizzato dalla
notevole enfasi riservata al ruolo del parenting nel determinismo delle modalità di sviluppo del Sé.
Negli ultimi anni una terza rivoluzione sembra prospettarsi, grazie alla adozione, in Psichiatria,
della logica dei Sistemi Complessi.
Di recente Scrimali e Grimaldi (Scrimali & Grimaldi, Complessità & Cambiamento, Vol. IX,
N.1, 2000) hanno proposto un originale modello concettuale, in Psicopatologia ed Eziopatogenesi,
orientato alla logica dei Sistemi Complessi.
Il modello sviluppato, che verrà illustrato nell’ambito della relazione, si riferisce ad una
dimensione biologica (il cervello modulare) a quella psicologica (la mente coalizionale) e relazionale
(parenting nell’età evolutiva e attaccamento tra pari nell’adulto).
Il ruolo del parenting, nell’ambito della eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici, verrà
debitamente analizzato anche alla luce di una serie di ricerche effettuate con pazienti psichiatrici, presso
la Clinica Psichiatrica della Università di Catania.
ATTACCAMENTO NELL’ADULTO E
PSICOTERAPIA COGNITIVA
L. Grimaldi
La relazione illustra le implicazioni, nel trattamento psicoterapico dell’attaccamento nell’adulto
con particolare riferimento al disturbo depressivo.
Il modello di riferimento è costituito, dal Bartholomew’s Two-Dimensional Four Category
Scheme.
Il modello rappresenta la sistematizzazione della teoria di Bowlby sui modelli operativi in
quattro diversi patterns di attaccamento: secure, preoccupied, fearful, dismissing. L’autrice analizza le
caratteristiche dei modelli operativi di ognuno dei patterns, così come le specifiche modalità relazionali.
Viene, inoltre, sinteticamente descritta, nel corso della relazione, l’importanza dei modelli
operativi, ed in particolare delle loro caratteristiche di flessibilità o rigidità, per quel che riguarda la
dimensione emotiva, l’information processing e l’eventuale emergenza di distorsioni cognitive.
La parte della relazione, relativa ai dati sperimentali, prevede la esposizione dei risultati emersi
dalla somministrazione dell’Experiences in Close Relationships Inventory in un campione di 20 soggetti
affetti da depressione.
I risultati ottenuti, che appaiono coerenti con la sintomatologia depressiva, vengono discussi,
specie sotto l’aspetto inerente il trattamento psicoterapico.
Sulla base di questi dati e dell’esperienza clinica dell’Autore, viene descritta una strategia
psicoterapica orientata al cambiamento dei modelli operativi, perseguito, non solo mediante la
ricostruzione della storia di sviluppo, ma anche attraverso l’analisi e la modificazione dei patterns di
attaccamento attuali.
STILE GENITORIALE E ATTACCAMENTO NELL’ADULTO
NEI DISTURBI D’ANSIA E NELLA DEPRESSIONE
M. De Leonardis
L’Autore descrive i risultati di una ricerca, condotta sul parenting e l’attaccamento nell’adulto
nell’ambito dei disturbi d’ansia e della depressione.
Il campione su cui è stata svolta l’indagine, era costituito da 20 soggetti affetti da depressione,
20 sogggetti affetti da disturbi d’ansia e 20 soggetti di controllo.
All’intero campione, al fine di valutare le caratteristiche del parenting e dei patterns di
attaccamento nell’adulto, sono stati somministrati il Parental Bonding Instrument di Parker, Tupling &
.....e il Reciprocal Attachment Questionnaire di West & Sheldon.
I risultati emersi, significativamente diversi tra pazienti e controlli, verranno, nell’ambito della
relazione, illustrati e discussi.
EMOTIVITA’ ESPRESSA E PATTERN RELAZIONALI.
ASPETTI TEORICI E SPERIMENTALI
M. Sciuto
La tematica della Emotività Espressa costituisce una delle più importanti acquisizioni della
Psichiatria Contemporanea.
La dimostrazione che il clima emotivo familiare eserciti una fondamentale influenza sul
decorso e sulla prognosi dei disturbi mentali e, secondo quanto di recente dimostrato, anche cardiologici,
fa di questa variabile un elemento cruciale da tenere in debito conto nell’ambito del progetto terapeutico
e riabilitativo.
Nella letteratura classica sulla tematica, la problematica dell’Emotività Espressa è affrontata
secondo una ottica razionalistica.
Le caratteristiche del parente ad alta Emotività Espressa vengono descritte sulla base di una
valutazione effettuata dall’operatore e considerate intrinseche al parente stesso.
Presso la Clinica Psichiatrica della Università di Catania è stato di recente sviluppato un
originale ed innovativo approccio alla tematica della Emotività Espressa.
Il parametro viene studiato come processo relazionale e quindi come realtà “costruita” piuttosto
che come caratteristica intrinseca esibita di ogni singolo familiare.
E’ stata così sviluppata una nuova metodica di assessment che tiene conto del punto di vista del
paziente, di quello dei parenti, della valutazione dell’operatore e di parametri psicofisiologici relazionali.
In tal modo tutti i dati acquisiti vengono interfacciati in un quadro d’insieme che non indica variabili
descrittive intrinseche a ciascun membro della famiglia ma piuttosto realtà narrative di ciascun
individuo.
Compito dell’approccio terapeutico non sarà quindi quello di “modificare” una serie di variabili
ma piuttosto di far evolvere il processo di costruzione della realtà di ciascun membro della famiglia
verso una nuova e più adattiva narratizzazione.
Nel corso della relazione verranno esposti una serie di dati sperimentali in grado di corroborare
la concettualizzazione appena esposta.
Seessssiioonnee tteemmaattiiccaa
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COMPRENSIONE E TERAPIA
DEL DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO
COME EQUIVALENTE MENTALE DELLE MALATTIE AUTOIMMUNI
A. Pinto *, S. Collaro ^, C. Lalla °
* Università degli Studi dell’Aquila
^ Psicologa – Napoli
° III Centro di Psicoterapia Cognitiva – Roma
Introduzione
L’ipotesi proposta e controllata dalla ricerca che gli autori presentano considera il DOC con
elevato insight come il prodotto di una metacognizione patogena. Tale metacognizione costruisce la
coscienza dell’evento temuto come causa di un’insostenibile compromissione di basilari scopi personali.
Conseguentemente, il sistema mentale dell’individuo mette in atto delle strategie finalizzate ad attaccare
ed eliminare la coscienza dell’evento temuto. Tale risposta è paragonabile a una reazione autoimmune in
quanto in entrambi i casi il ‘Self’ attacca una parte di sé come se fosse estranea.
Viene inoltre ipotizzato che il tema dominante dei pensieri ossessivi possa essere correlato con
i significati prevalenti nella struttura di personalità del soggetto.
Gli autori pertanto presentano un modello terapeutico di intervento finalizzato a disattivare
l’aggressione e quindi a rendere accettabile la coscienza dell’evento temuto. Inoltre, sulla base della
differenza patogenetica individuata fra il DOC con alto e basso insight, sono state delineate e
sperimentate due rispettive modalità di approccio terapeutico.
Metodi
Lo studio è stato eseguito su un campione di 20 pazienti con diagnosi di DOC secondo il DSM
IV, inseriti in un protocollo di intervento psicoterapeutico svoltosi nell’arco di 12 mesi con sedute a
cadenza settimanale.
Sono stati utilizzati i seguenti strumenti di valutazione: a) Yale-Brown Obsessive Compulsive
Scale; b) Brown Assessment Beliefs Scale; c) SCID II. Inoltre è stato impiegato un esperimento mentale
denominato “Test del farmaco mnemolitico”.
Risultati
I risultati ottenuti sono in accordo con l’ipotesi patogenetica formulata e la strategia terapeutica
messa in opera.
USO DELL’INTERVISTA R.A.P. CON CODIFICA C.C.R.T. E S.A.S.B.
PER INDIVIDUAZIONE FOCUS TERAPEUTICO E VERIFICA DELL’ESITO DI DUE
PSICOTERAPIE A TEMPO DEFINITO
A INDIRIZZO PSICODINAMICO SUPPORTIVO-ESPRESSIVO
L. Contiero, S. Calloni, M. Gatti, S. Giussani, M. Pastori, C. Rodini, C. Pruneti.
Azienda Ospedaliera San Gerardo, Unità Operativa di Psichiatria, 36, Brughero, Milano.
Il campione è costituito da due pazienti con disturbo nell’area nevrotica.
Gli strumenti utilizzati sono stati: SCL-90 R di Derogatis per il profilo sintomatologico e livello
di distress; l’intervista R.A.P. per individuare gli RE, in fase iniziale e fase finale,sui quali è stata
effettuata la codifica tramite il C.C.R.Te il S.A.S.B.
Le ipotesi di lavoro sono state:
1) se e come l’assessment utilizzato potesse essere in grado di fornire dati per formulare un
focus terapeutico, creando un’alleanza di lavoro su un obiettivo definito;
2) come la psicoterapia così definita possa portare al cambiamento di pattern maladattivi (in
tempi brevi, sei mesi circa) e quindi ad un maggior benessere (accettabile livello di distress), ottenuto
alla fine dei trattamenti.
Parole chiavi
C.C.R.T., S.A.S.B.,psicoterapie a tempo definito, esiti.
ON NEUROTIC DISORDERS
IN VENEROLOGIC AND DERMATOLOGIC CLINIC
E.A.Shembeleva
Ukraine, Kiev´s Institute of Psychology
of Ukrainian Academy of Pedagogical Sciences
More complete and deep understanding of the process of neurotisation in dermatologic and
venereologic practice) needs the further research and analysis of factors, determining the process of
neurotisation, as well as that pathopsychologic features of the personality, the ways of patient's reaction
to the disease and motivation of his behaviour.
In this connection a realization of complete clinical check up of the patient (including an
assesment of his psychical state ) considering nosology, social, professional and age factors, are actual
and necessary. Arising during clinical current of venereal and dermatologic illnesses and their treatment
in hospital the negative emotional disorders often have depressive character.
Note that in contrast to depressions of another ethyology, in behaviour of this category of
patients anxiety prevails over melancholy.
The combination of anxiety, alarm and fears for the recovery unmotivated by gravity of clinical
semiology is typical. The states of euphoria, excessive motor-psychological mobility, overexcitement
and verbosity are observed incidentally. Long psychoemotional stress that patients of this category
develop gradually, promotes change in dynamics of mental activity. It is frequently shown in mental
inertness, difficulties of psychological switching from ideas on illness, fluctuations of ability to work, a
nervous exhaustion. Inadequate reaction of the person to illness may be caused by necessity of changing
developed habits and other socially motivated factors, determining character of the person. Dermatosis
or venereal illness occurred form the internal picture of illness (IPI) not always adequately reflecting a
present situation of a somatic pathology and a psychological stress caused by it. During the clinical
experimental research carried out in female venereologic ward of the Crimean Health Center for Skin
and Venereal diseases when it was examined 125 women with disease Lues (Lues II recidiva, Lues
latens praecox), the following most frequently occured pathopsychologic disorders were revealed:
asthenic syndrome is observed practically with every, with the small exception, ill woman. To a slight
degree astheny - the permanent concomitant of almost any disease. However, the asthenic syndrome
arises always only in clinical modification and then not just astheny, but, for example, neurotic astheny
occurs.
The main symptoms with such ill women are undue fatiguability, exhaustion of psychological
processes (the attention decreases, the absent-mindedness accrues, the concentration becomes
problematic). The behaviour of patients reveals itself in impatience, a fast exhaustion of purposeful
activity.The psychological and physical ability to work are reduced. Such complaints, as weariness, an
insomnia, slackness are characteristic for patients. Frequently on an astheny background of such patients
also other neurotic and neurosis-like symptoms and disorders proceed. Syndromes of obtrusiveness also
usually proceed on a background of this or that asthenic complex of symptoms. Obtrusive disorders are
subdivided into obsessive (in intellectual sphere), phobic (in emotional sphere) and compulsive (in
motor sphere). In clinic of venereal and dermatologic diseases more often the subdepressive
(nonpsychotic) and asthenic-subdepressive comlexes of symptoms are observed.
Concerning persons of a female contingent with diagnosis Lues it is necessary to note, that
frequently subdepressive state, and sometimes even evident depressions are combined with unmotivated
swings of mood. Incidentally a state of the euphoria, an inadequate estimation of the disorder, the
increase of motor-psychical mobility characterized by fussy activity, verbosity are sometimes observed.
At women in a subdepression disorder the uneasiness is raised, suspiciousness and tearfulness is marked.
Other
variants
are
asthenic-hypochondric
and
obsessive-hypochondric
syndromes.
Hypochondric manifestations represent first of all neurotic hypochondric processing of neurovegetative
and neurosomatic frustration that are typical for modern forms of neuroses.
Hysterical syndromes. The hysteria is the second by frequency, after a neurasthenia, form of a
neurosis, and can be observed with women much more often, than with men. A hysterical syndrome is
rather frequently observed at a female contingent in clinic of disease Lues.
These five above mentioned positive psychopathological syndromes are most frequently
observed with persons of a female contingent that suffer from the disease Lues.
QUEL CHE RESTA DELLA PSICOTERAPIA:
ANALISI DELLE NARRAZIONI E DELLE RAPPRESENTAZIONI
DEL PAZIENTE E DEL TERAPEUTA IN UNO STUDIO PILOTA DI FOLLOW-UP
A. Cotugno, P. Castelli, F. Manaresi, A. Mazzucchelli, G. Morganti
2° Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Il concetto di rappresentazione ha una lunga storia nel campo sia della psicologia sperimentale
che clinica. Termini quali schema, immagine interna o modello operativo appaiono fortemente connessi
al concetto di rappresentazione, e hanno costituito per lungo tempo i costrutti di base per lo studio del
funzionamento mentale e per la comprensione dell’organizzazione del Sé. Dalla metà degli anni ottanta
l’attenzione si è spostata sul modo in cui l’individuo organizza le sue rappresentazioni in una narrazione
coerente e integrata: l’enfasi sulla narrazione, ha sicuramente
permesso di cogliere la funzione
sintetica della coscienza e il suo ruolo nell’organizzare le memorie in un continuum temporale. Recenti
lavori del cognitivismo sperimentale mettono in evidenza come il “sé narrativo” sia funzione del “sè
interpersonale”, il cui sviluppo si fonda sulla base di regole motivazionali innate (Neisser, 1993;
Trevarthen, 1998). Anche i lavori sperimentali della Main e quelli clinici di Fonagy evidenziano come lo
sviluppo di una buona competenza narrativa individuale sia fortemente correlata alle dinamiche della
dimensione interpersonale; non solo, indicano anche che una buona competenza narrativa è espressione
di buone capacità metacognitive (Fonagy, 1991, 1993; Main, 1991) .
Date queste premesse, appare evidente come il campo psicoterapeutico costituisca un’area
d’osservazione privilegiata per la comprensione dell’intersezione tra dimensione individuale e quella
interpersonale. L’ipotesi che abbiamo voluto verificare è che una buona capacità del paziente di
organizzare le proprie rappresentazioni in un racconto coerente (indice di esito intra-individuale) sia
associato a una
buona concordanza con il racconto del terapeuta (indice di esito inter-individuale): la
nostra ipotesi è che le terapie a buon esito siano caratterizzate sia da una buona
coerenza
intra-individuale (coerenza tra rappresentazioni e narrazioni) che da una concordanza inter-individuale
(concordanza tra narrazioni del paziente e del terapeuta).
Sono stati analizzati i resoconti di terapie concluse di 25 coppie di paziente-terapeuta. I
resoconti sono stati raccolti sia mediante questionari strutturati che attraverso interviste semistrutturate.
L’analisi, condotta secondo la metodologia presentata in altro lavoro, ci ha consentito di distinguere il
nostro campione in tre gruppi: terapie a buone esito completo, terapie a buone esito parziale e terapie ad
esito negativo. Nel gruppo di soggetti a buon esito abbiamo riscontrato una sostanziale convergenza
nelle rappresentazioni delle coppie di pazienti e terapeuti, elemento che non è stato riscontrato nel
gruppo a esito negativo. Un dato interessante è il diverso profilo di convergenza narrativa riscontrato nei
tre sottogruppi del nostro campione: l’analisi della convergenza è stata articolata in tre aree tematiche
(Problema, Relazioni Interpersonali, Relazione Terapeutica) e 10 indici di convergenza (Teoria del
Disagio, Cambiamento Teoria del Disagio, Facilitatori del Cambiamento Teoria del Disagio; Relazioni
Interpersonali, Cambiamento Relazioni Interpersonali; Eventi in Terapia, Significato Eventi in Terapia,
Linguaggio Condiviso). In particolare, il gruppo a buon esito presentava punteggi di elevata
convergenza rispetto ai punti Cambiamento Teoria Disagio e Significato Eventi in Terapia, punti in cui
nelle terapie a esito negativo si registrava la massima divergenza. Inoltre, nelle terapie ad esito negativo
abbiamo riscontrato anche livelli di incoerenza tra le risposte al questionario e all’intervista (bassa
coerenza intra-individuale). I dati preliminari, pur sostenendo l’ipotesi di partenza, ovviamente non ci
consentono di effettuare generalizzazioni conclusive, ma ci confortano nell’intento di allargare la nostra
ricerca ad altri casi.
Riferimenti bibliografici
Neisser U. (1993) The Perceived Self (a cura di), Cambridge Univerity Press
Fonagy P. (1991), Thinking about thinking: some clinical and theoretical considerations in the
treatment of a borderline patient, Int. J. Psycho-Anal., 72, 639-656.
Fonagy P. (1993): The predicitive specificity of Mary Main's Adult Attachment Interview:
implications for psychodynamic theories of normal and pathological emotional
development. Relazione presentata alla conferenza:John Bowlby Attachment Theory:
Historical, Clinical and Social Significance, Toronto, October 20-23, 1993.s
Main M. (1991), Metacognitive knowledge, metacognitive monitoring and singular (coherent) vs.
multiple (incoherent) model of attachment. In Parkes C.M., Stevenson-Hinde J. & Marris
P. (a cura di): "Attachment across the life cycle", London, Routledge.
Trevarthen C. (1998) Empatia e Biologia, Raffaello Cortina Editore
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ANALISI COMPARATIVA DEI PROFILI METACOGNITIVI
CONDOTTA SU CASI DI DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E FOBIA SOCIALE:
PRIMI RISULTATI
R. Popolo, M. Procacci, D. Petrilli, G. Vinci
III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Negli ultimi anni sempre maggiore attenzione è stata volta nel cercar di definire i “confini”
dell’ansia sociale, quadro clinico identificato da Marks (1970) ma introdotto nella nosografia corrente
con il DSM III. Le modificazioni ai criteri diagnostici apportate dal successivo DSM III-R, la possibilità
di formulare doppia diagnosi, hanno prodotto una serie di ricerche cliniche che hanno evidenziato
frequenti sovrapposizioni con altri disturbi psichiatrici, in particolare, con la diagnosi di Disturbo
Evitante di Personalità. Dal punto di vista clinico, l’evitamento sociale, l’ipersensibilità al giudizio
rappresentano elementi comuni ai due disturbi, tanto da renderli difficilmente distinguibili. Numerosi
ricercatori sostengono allora che Fobia Sociale generalizzata e Disturbo Evitante di Personalità possono
essere considerati all’interno di un continuum psicopatologico, dove le differenze sono di carattere
quantitativo, di gravità e pervasività, piuttosto che qualitative.
Da anni il nostro gruppo di ricerca del III Centro di Psicoterapia Cognitiva è impegnato nello
studio dei Disturbi gravi di Personalità.
Obiettivo di questo lavoro è quello di proporre un modello di funzionamento specifico per i
pazienti con diagnosi di FS e per quelli con diagnosi DEP, al fine di individuare aspetti specifici dei due
disturbi.
Sono state analizzate le trascrizioni integrali delle sedute di due trattamenti psicoterapeutici,
uno ad orientamento cognitivo, l'altro ad orientamento psicodinamico, interamente audioregistrati: il
primo, di un paziente con diagnosi di FS ( n° sedute = 40); il secondo, di un paziente con diagnosi di DEP
(n° sedute = 38 ). Sono stati selezionati due casi che secondo i criteri del DSM IV non presentavano
comorbidità delle due diagnosi in oggetto. L’analisi delle sedute è avvenuta attraverso la S.V.a.M. (Scala
di Valutazione della Metacognizione); in tale scala la funzione metacognitiva è suddivisa in tre
sottofunzioni principali (Autoriflessività, Comprensione della Mente altrui/Decentramento e Mastery). I
dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi statistica al fine di individuare le aree maggiormente
deficitarie; sono stati quindi comparati gli andamenti delle diverse sottofunzioni nei due casi considerati.
I primi risultati ottenuti possono essere così riassunti: 1) Autoriflessività: questa funzione
risulta maggiormente deficitaria nel DEP, dove i fallimenti sono ben rappresentati e prevalgono in
particolare nel “Ruolo delle variabili” e nell’ “Integrazione”; l’autoriflessività è invece funzionante nella
FS, con rari fallimenti; 2) Decentramento: nel caso di FS i fallimenti sono costantemente più numerosi
rispetto ai successi, a differenza di quanto accade nel DEP; tale funzione sembrerebbe quindi più
deficitaria nel FS; 3) Mastery: tale funzione sembra essere più deficitaria nel DEP, dove i fallimenti sono
sempre più numerosi dei successi, ad esclusione delle strategie di I livello; nel caso di FS possiamo
trovare un rapporto a favore dei fallimenti nella prima parte di terapia, per quanto riguarda le strategie di
II e III livello.
Questi dati preliminari sembrano confermare come diverse disfunzioni metacognitive correlino
positivamente a diversi quadri clinici che in tal modo possono essere distinti. Risultati incoraggianti che
preparano il campo ad un ampliamento del campione in esame, al fine di poter verificare quanto il
confronto tra casi singoli mostra.
Riferimenti bibliografici
Carcione, A. Semerari, G. Dimaggio, M. Falcone, G. Nicolò, I. Pontalti, M. Procacci
Metacognitive functions in the treatment of severe patients SPR Conference, Leiden, 7-10
marzo 2001.
Herbert JD, Hope DA, Bellack AS. Validity of the distinction between generalized social phobia
and avoidant personality disorders. J Abnorm Psychol 1992; 101:332-339.
Holt CS, Heimberg RG, Hope DA. Avoidant personality disorder and the generalized subtype of
social phobia. J Abnormal Psychol 1992; 101: 318-325.
Moutier CY, Stein MB. The history, epidemiology, and differential diagnosis of social anxiety
disorder. J Clin Psychiatry 1999; 60 (suppl 9): 4-8.
Procacci M., Popolo R., Vinci G., Semerari A., Carcione A., Dimaggio G., Falcone.M., Nicolò,
Pontalti I., Alleva G. Stati Mentali e funzioni metacognitive nel disturbo evitante di
personalità: studio su caso singolo Ricerca in Psicoterapia 2000,Vol.3, n°1, pp.66-89
Turner SM, Beidel DC, Dancu CV, Keys DJ. Psychopathology of social phobia and comparison to
avoidant personality disorder. J Abnorm Psychol 1986; 95: 389-394.
DEFICIT METACOGNITIVI E STATI PROBLEMATICI
NEL DISTURBO PARANOIDEO DI PERSONALITÀ:
RICERCA SU CASO SINGOLO
S. Nobile, E. Centenero, G. Nicolò, F. Porcari
III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Introduzione
Il presente lavoro si inserisce all’interno di un progetto di ricerca sulla identificazione dei profili
metacognitivi nei disturbi di personalità. Uno dei problemi alla cura è da ricercarsi proprio nelle
caratteristiche del funzionamento mentale dei pazienti affetti da gravi disturbi di personalità quasi
sempre caratterizzato
da stati problematici complessi o difficilmente identificabili, scarse abilità
metacognitive se non gravi deficit. La relazione terapeutica ha la potenzialità di vicariare il deficit o di
permettere lo sviluppo di strategie euristiche che permettano al paziente di fronteggiare particolari stati
problematici fonte di sofferenza.
Metodo
Viene analizzato un caso clinico di un paziente di 39 anni affetto da Disturbo paranoideo di
personalità secondo i criteri del DSM IV, il cui trattamento psicoterapeutico di 40 sedute, di cui solo 33
registrate, nell’arco di due anni e mezzo si è concluso con esito positivo misurato con BPRS, VGF,
AMDP. Tale psicoterapia previo consenso scritto del paziente, è stata interamente sbobinata, trascritta,
modificati tutti nomi per rendere anonimo il trascritto; il testo è stato suddiviso in episodi narrativi, e tali
segmenti sono stati valutati con la Griglia dello Stato Problematico e con la Scala di Valutazione della
Metacognizione.
Risultati
Sono stati identificati: a) profilo metacognitivo caratterizzato da deficit di due funzioni
metacognitive: Decentramento e Differenziazione, b) stati mentali problematici organizzati in clusters
discreti che permettono di formulare ipotesi sul funzionamento mentale del paziente e spiegare le
manifestazioni nonché il mantenimento della patologia. Tali riscontri possono costituire una base per la
costruzione di specifiche modalità di intervento terapeutico. Viene inoltre confermata l’utilità di tali
strumenti di indagine per la descrizione clinica del processo e dell’esito in psicoterapia.
Conclusioni
Verranno discussi i risultati e sulla base di questi stessi proposto un modello clinico del
funzionamento del paziente paranoideo e delle strategie che dovrebbero essere adottate in un trattamento
psicoterapeutico. Verranno mostrate tranche di terapia esemplificative.
DEFICIT METACOGNITIVI E CICLI INTERPERSONALI
NEL DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITÀ:
ANALISI DI UN CASO SINGOLO
D. Fiore, D. Petrilli, S. Mancioppi, G. Dimaggio
III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Introduzione
Questo lavoro si propone di ipotizzare la presenza di eventuali correlazioni tra deficit
metacognitivi e specifici cicli interpersonali specifici nei pazienti affetti da Disturbo Narcisistico di
Personalità.
In particolare ipotizziamo che il riconoscimento e la gestione dei cicli interpersonali nella
relazione terapeutica possa favorire un incremento delle capacità metacognitive significativamente
deficitarie.
Metodo
E’ stato analizzato il caso clinico di una paziente di 28 anni con diagnosi di disturbo
Narcisistico di Personalità secondo i criteri del DSM-IV. Sono state audioregistrate e trascritte, previo
consenso della paziente, le prime 27 sedute (primo anno di terapia) e valutate con la Scala di Valutazione
della Metacognizione (SVAM). Su tali trascritti è stata effettuata un analisi microtestuale qualitativa dei
Cicli Cognitivi Interpersonali nell’accezione di Safran e Segal.
Risultati
Dall’analisi del caso singolo si evince una significativa incapacità nell’accesso ai propri stati
emotivi e una difficoltà a connettere le varie componenti degli stati mentali tra loro e/o con variabili
relazionali e sociali. Lo studio microtestuale su tranche di sedute significative ha permesso di
evidenziare una variazione delle funzioni metacognitive in relazione al riconoscimento e alla gestione
dei cicli cognitivi interpersonali (sia nel racconto che nell’attivazione tranferale) da parte del terapeuta.
Conclusioni
Verranno discussi i risultati e sulla base di questi, improntati futuri progetti di ricerca volti ad
articolare e approfondire le modalità di funzionamento della Personalità Narcisistica e a sviluppare
appropriate strategie di intervento terapeutico.
DEFICIT METACOGNITIVI E STATI PROBLEMATICI
NEL DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITÀ:
ANALISI SU CASO SINGOLO
B. Rossi, L. Conti, A. Carcione
III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva, Associazione di Psicologia Cognitiva Roma
Il presente lavoro si inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca sui disturbi di
personalità condotto presso il III Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma. E’ stato evidenziato in altri
lavori (Semerari, 1999) come i Disturbi di Personalità si caratterizzino per un deficit nel funzionamento
metacognitivo che varia a seconda dello specifico disturbo e per la presenza di stati problematici
complessi a volte difficilmente identificabili proprio in relazione al malfunzionamento metacognitivo.
Riteniamo che il funzionamento mentale dei soggetti con disturbo dipendente di personalità sia
essenzialmente caratterizzato dall’oscillazione tra stati di autoefficacia, in cui il soggetto ha di sé
un’immagine positiva, forte ed adeguata, e stati di vuoto terrifico disorganizzato.
A questi stati mentali, più stabili, se ne aggiungono altri maggiormente legati all’andamento
delle relazioni interpersonali: lo stato di overwhelming e lo stato di coercizione (Carcione, et. al. in
press)
Riteniamo che gli stati mentali caratterizzanti la sintomatologia del disturbo dipendente siano
sostenuti da un deficit nel funzionamento metacognitivo caratterizzato dalla difficoltà ad accedere ad
una rappresentazione dei propri desideri, dei propri scopi e dei piani per raggiungerli (Carcione, Nicolò,
Semerari, 1999).
Nel presente lavoro vengono analizzati gli stati problematici ed il funzionamento metacognitivo
in una paziente con diagnosi di Disturbo Dipendente di Personalità secondo i criteri del DSM IV. Sono
state registrate 25 sedute ed è stata fatta una valutazione dello status psicopatologico e del
funzionamento sociale tramite alcune rating scale (BPRS, AMDP, VGF). Le sedute sono state valutate
tramite la Griglia degli Stati Problematici e con la Scala di Valutazione della Metacognizione.
Verranno discussi i risultati e sulla base di essi viene presentato un modello psicopatologico di
funzionamento del Disturbo Dipendente di Personalità e le implicazioni che ciò comporta per
l’impostazione del trattamento psicoterapeutico.
Riferimenti bibliografici
Semerari A. 1999. Psicologia cognitiva del paziente. Metacognizione e relazione terapeutica.
Cortina, Milano.
Carcione A., Conti L., 2001. Stati mentali, deficit metacognitivi e cicli interpersonali nel Disturbo
Dipendente di Personalità. Revista de Psicoterapia. In press
Carcione A., Nicolò G., Semerari A. (1999). Deficit di rappresentazione degli scopi. In Semerari
A. (ed.) Psicoterapia Cognitiva del Paziente Grave. Raffaello Cortina Milano.
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ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ, TIMORE DI COLPA E PROCESSI COGNITIVI
F. Mancini
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva.
Associazione di Psicologia Cognitiva – Roma
I modelli cognitivisti più recenti ed accreditati, riprendendo un’antica e robusta tradizione,
hanno riconosciuto all’assunzione di responsabilità ed al timore di colpa un ruolo cruciale nella
determinazione e nel mantenimento del DOC. Numerose e diverse ricerche sostengono questa ipotesi.
Le ricerche che sono presentate nella sessione rientrano in un più vasto filone di ricerca che parte dal
presupposto di un continuum tra DOC e funzionamento normale ed ha come obiettivo l’identificazione
delle condizioni cognitive, credenze e scopi, che determinano l’elaborazione delle informazioni e le
modalità decisionali alla base del DOC. La domanda a cui si cerca di rispondere è la seguente: che cosa
un individuo normale deve arrivare a credere e quali scopi deve arrivare a perseguire affinché egli
manifesti ossessioni e compulsioni? L’ipotesi generale è che lo stato cognitivo capace di generare e
sostenere ossessioni e compulsioni sia caratterizzato dalla previsione di poter causare un danno ingiusto
attraverso un atto o una omissione che si ritiene di poter evitare e si sente di dover evitare. Le ricerche
presentate esplorano l’influenza che, in soggetti normali, l’assunzione di responsabilità ed il timore di
colpa hanno su alcuni processi cognitivi come la decisione, il ragionamento condizionale, e sulla
soluzione di compiti di attenzione e di memoria visuo-spaziale. Si ipotizza che l’influenza del timore di
colpa sia tale da modulare i processi cognitivi studiati in senso ossessivo.
Preferenza tra scelte certe e scelte rischiose in condizioni di assunzione di colpa
F. Mancini, A. Gangemi
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva.
Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma
In questo paper esaminiamo come varia la preferenza tra scelte rischiose ed avverse al rischio a
seconda che l’individuo senta di aver violato un dovere o si senta vittima di un’ingiustizia. Ipotizziamo
che la scelta dell’individuo dipenda dal riconoscimento dei propri diritti e doveri più che dalla
formulazione della scelta in termini di perdite o guadagni (formulation effect) come sostenuto da
Tversky and Kahneman (1981). Abbiamo ipotizzato, in particolare, che la percezione di essere vittime di
un danno ingiusto implica la preferenza per scelte rischiose mentre la percezione di essere dalla parte del
torto implica la preferenza per scelte certe. Abbiamo anche ipotizzato che l’effetto delle assunzioni
morali prevale sul formulation effect. I risultati confermano le ipotesi. Sono discusse le implicazioni per
la comprensione dell’attitudine alla scelta certa tipica degli ossessivi.
RESPONSABILITÀ E PROCESSI DI CONTROLLO DELLE IPOTESI
A. Gangemi, B. Filippi, F. Lelli, M. Olivieri, L. Re, F. Mancini
Scuola di Psicoterapia Cognitiva – Associazione di Psicologia Cognitiva di Roma
È ampiamente riconosciuto il ruolo della responsabilità nella genesi e nel mantenimento del
DOC, in particolare è stato dimostrato come in soggetti normali l’assunzione di responsabilità si traduca
in comportamenti simil-ossessivi cioè ripetitivi e persistenti. Il problema che sorge è la mediazione
cognitiva di questo effetto del timore di irresponsabilità. Utilizzando una procedura sperimentale
analoga al ben noto Wason Selection Task, abbiamo dimostrato che soggetti normali in condizioni di
responsabilità posti di fronte ad una ipotesi di pericolo la controllano in modo confirmatorio e, al
contrario, posti di fronte ad un’ipotesi di sicurezza la controllano ricercandone i controesempi.
IL SENSO DI RESPONSABILITÀ NELLE OSSESSIONI E COMPULSIONI
F. D'Olimpio, L. Cieri e F. Mancini
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva.
Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma
Nella letteratura cognitivista (Rachman, 1997, 1998; Salkovskis 1985, Salkovskis et al., 1998;
OCCWG, 1997), si attribuisce ad un senso di responsabilità particolarmente spiccato (inflated
responsibility), un ruolo cruciale nello sviluppo e nel mantenimento del DOC. L'esistenza di una
relazione positiva tra responsabilità e DOC è stata interpretata sia in termini di associazione tra
ossessività e responsabilità, sia nei termini di un ruolo causale della responsabilità eccessiva nella genesi
e nel mantenimento del disturbo OC (Freeston et al., 1993; Rhéaume et al., 1995; Ladoucer et al., 1997;
Wilson & Chambless, 1999). Recentemente, Mancini (in press), analizzando gli ingredienti cognitivi che
costituiscono il senso di responsabilità, ha evidenziato come non sia tanto un senso di responsabilità
eccessiva a produrre un DOC, quanto il timore di una colpa per irresponsabilità. Il nostro lavoro si
propone di indagare in che modo e con quale intensità un aumento di responsabilità, ovvero la presenza
di un timore di una colpa, possano produrre un comportamento ossessivo. A questo scopo, seguendo la
definizione di responsabilità di Mancini, abbiamo manipolato questo ingrediente e il timore di una colpa
per irresponsabilità in soggetti normali, tramite istruzioni ad un semplice compito di memoria
visuo-spaziale. In particolare, ad alcuni soggetti (gruppo R) abbiamo fornito informazioni
responsabilizzanti rispetto al compito da svolgere, mentre ad altri soggetti (gruppo RA) sono state fornite
informazioni che fossero non solo responsabilizzanti rispetto al compito ma che destassero una
preoccupazione rispetto alla propria performance. I risultati mostrano che sia il gruppo R che RA hanno
un maggior numero di ripetizioni rispetto a soggetti che non hanno avuto istruzioni responsabilizzanti,
ma che il gruppo RA ha un incremento significativo dei comportamenti ossessivi rispetto al gruppo R.
Inoltre, è interessante sottolineare come ad un aumento del numero di controlli eseguiti dai soggetti non
ha fatto seguito un miglioramento della performance. Se da una parte i risultati sembrano confermare
l'importanza del costrutto di responsabilità nel DOC, dall'altra sottolineano l'importanza del timore di
una colpa per irresponsabilità per la manifestazione del DOC.
IL RUOLO DEL DISGUSTO NEL DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO
A. Gragnani, F. Mancini
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva
Associazione di Psicologia Cognitiva - Roma
Introduzione
Nonostante i pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) manifestino frequentemente
pensieri e compulsioni riguardo lo sporco e la contaminazione, poche evidenze sperimentali sono state
prodotte in letteratura a sostegno di una relazione tra il disgusto e il DOC. Power and Dalgleish (1997)
hanno suggerito che il disgusto potrebbe essere implicato nella genesi e nel mantenimento del DOC.
Phillips et al. (1998), basandosi su un’analisi dei contenuti dei pensieri e dei comportamenti di pazienti
con DOC, hanno proposto che i disturbi Washing siano strettamente connessi con il disgusto, mentre i
disturbi Checking all’ansia. Power and Dalgleish, hanno invece suggerito che anche i disturbi Checking
potrebbero essere connessi al disgusto. Le evidenze a favore di una relazione tra disgusto e DOC sono
supportate da osservazioni cliniche (ad es., Tallis, 1996). In letteratura sono presenti una serie di
evidenze neuropsicologiche e neuroradiologiche riguardo ad anomalie nelle regioni fronto–striatali nei
DOC (Abruzzese et al., 1997). I pazienti mostrano un incremento metabolico e di flusso sanguigno nelle
regioni orbito-frontali e striatali (Breiter & Rauch, 1996), regioni che risultano essere coinvolte anche
nell’emozione del disgusto (Sprengelmeyer, et al., 1997). Lo scopo di questa ricerca risiede nello
studiare la presenza di una specifica relazione tra il DOC e il disgusto, indipendentemente da altri
sintomi di psicopatologia generale.
Metodo
Abbiamo somministrato a 278 (100 maschi e 179 femmine; età media 25,5 anni, d.s. = 8)
soggetti non clinici la Disgust Scale (DS) (Haidt et al., 1994), il Padua Inventory-Revised (PI-R) (van
Oppen et al., 1995), lo State-Trait Anxiety Inventory (Spielberger, 1983) e il Beck Depression Inventory
(Beck & Steer, 1987). Lo specifico contributo del disgusto alla predizione delle ossessioni e compulsioni
è stato valutato attraverso una serie di analisi della regressione (gerarchica), effettuate sul punteggio
totale del PI-R e su ognuna della sottoscale del PI-R stesso. Per realizzare queste analisi abbiamo messo
sotto controllo l’età, la depressione e l’ansia.
Risultati
I risultati della regressione gerarchica mostrano una relazione positiva significativa tra disgusto
e sintomi ossessivi (alti punteggi delle scale del PI-R sono associati con alti punteggi del disgusto).
Comportamenti di lavaggio e di controllo sono predetti meglio dal disgusto, mentre impulsi e
ruminazioni sono meglio predetti dall’ansia e/o dalla depressione.
Discussione
La relazione tra disgusto e sintomi ossessivo-compulsivi può avere importanti implicazioni sia
per la pratica clinica sia per la teoria.
Riguardo agli aspetti clinici, alcune ossessioni e compulsioni, specialmente i comportamenti di
lavaggio, i rituali di ordine e di simmetria, potrebbero essere meglio spiegati in termini di paura. I loro
sintomi sono probabilmente focalizzati sull’idea di diventare sporchi e disgustosi, e potrebbero essere
meglio compresi come tentativi volti a ridurre la loro sensazione di disgusto, piuttosto che la loro ansia.
L’implicazione teorica più importante dei nostri risultati è che la sensibilità al disgusto consente
distinguere due sottogruppi di ossessioni e compulsioni in accordo con la proposta di Power and
Dalgleish (1997) e di Phillips et al. (1998) riguardo ad una distinzione tra due tipi di DOC: anxiety-based
OCD e disgust-based OCD. Il disgusto sembra essere correlato non solo ai disturbi Cleaning, ma anche
ai disturbi Checking, mentre l’ansia risulta preminente negli impulsi e nelle ruminazioni ossessive.
Ulteriori studi, condotti su campioni clinici, sono necessari per valutare il ruolo del disgusto
nella genesi e nel mantenimento del DOC, e per verificare se è possibile distinguere tra differenti
sotto-tipi di DOC sulla base della sensibilità al disgusto.
Riferimenti bibliografici
Abruzzese, M., Ferri, S. & Scarone, S. (1997). The selective breakdown of frontal function in
patients with obsessive-compulsive disorder and in patients with schizophrenia: a double
dissociation experimental finding. Neuropsychologia, 35, 907-912.
Beck, A.T. & Steer, R. (1987). Beck Depression Inventory Scoring Manual. The Psychological
Corporation. New York: Harcourt Brace Janovich.
Breiter, H.C. & Rauch, S.L. (1996). Functional MRI and the study of OCD: from symptom
provocation to cognitive-behavioural probes of cortico-stiatal systems and the amigdala.
NeuroImage, 4(suppl.), S127-S138.
Haidt, J., McCauley, C. & Rozin, P. (1994). Individual differences in sensitivity to disgust: a scale
sampling seven domains of disgust elicitors. Personality Individual Differences, 16,
701-713.
Phillips, M.L., Senior, C., Fahy, T. & David, A.S. (1998). Disgust – the forgotten emotion of
psychiatry. British Journal of Psychiatry, 172, 373-375.
Power, M. & Dalgleish, T. (1997). Cognition and Emotion. From Order to Disorder. Psychology
Press. East Sussex, UK: Erlbaum.
Spielberger, C.D., Gorsuch, R.L., Lushene, R., Vagg, P.R. & Jacobs, G.A. (1983). Manual for the
State-Trait Anxiety Inventory (Form Y). Palo Alto, CA: Consulting Psychologists Press.
Sprengelmeyer, R., Young, A.W., Pundt, I., Sprengelmeyer, A., Calder, A.J., Berrios, G., Winkel,
R., Vollomoeller, W., Kuhn, W., Sartory, G. & Przuntek, H. (1997). Disgust implicated in
obsessive-compulsive disorder. Proceedings of the Royal Society of London, Series B,
264, 1767-1773.
Tallis, F. (1996). Compulsive washing in the absence of phobic and illness anxiety. Behaviour
Research and Therapy, 34, 361-362.
Van Oppen, P., Hoekstra, R.J. & Emmelkamp, M.G. (1995). The structure of obsessive compulsive symptoms. Behaviour Research and Therapy, 33, 15-23.
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PSICOTERAPIE DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ:
UNA RILEVAZIONE DI VARIABILI OBIETTIVE SU CINQUE ANNI
C. Maffei
Università Vita-salute, San Raffaele - Milano
Obiettivo di questa ricerca è la rilevazione compiuta tramite schede compilate dai terapeuti di
variabili obiettive riguardanti psicoterapie di pazienti con disturbi di personalità nel corso degli ultimi
cinque anni.
Presso il Servizio di Psicologia Clinica e Psicoterapia dell’Istituto Scientifico Ospedale san
Raffaele-Università Vita-salute San Raffaele è attivo da anni un ambulatorio esclusivamente dedicato
alla psicoterapia dei disturbi di personalità in cui lavorano 20 terapeuti, sia in ambito individuale che di
gruppo.
I pazienti vengono inviati ai terapeuti dopo una valutazione clinico-diagnostica che comprende
la somministrazione dell’intervista SCID-II da parte di un’équipe di cui è costantemente monitorata
l’interrater reliabilty, in modo tale da garantire una uniformità diagnostica. Tale procedura è in atto da
circa cinque anni ed ha sottoposto a valutazione più di 1500 pazienti.
In questa ricerca vengono rilevati, tra i pazienti che hanno effettivamente iniziato una
psicoterapia, una serie di parametri obiettivi tra cui: durata della terapia, interruzione della terapia,
presenza di terapia farmacologia, ospedalizzazioni, adattamento relazionale, sociale, lavorativo
all’inizio della terapia ed alla fine, o all’interruzione, di essa.
Gli scopi di questa raccolta di dati sono molteplici: tra di essi quello di rilevare eventuali
associazioni tra caratteristiche diagnostiche categoriali/dimensionali, e durata o interruzione della
terapia; confronto per i medesimi parametri tra terapie individuali e di gruppo; influenza del trattamento
farmacologico rispetto all’assenza di esso; frequenza di interruzioni e riprese delle psicoterapie ed
eventuale influenza di essa sulle variabili di adattamento, rispetto a psicoterapie condotte in maniera
continuativa.
VALUTAZIONE DEL FUNZIONAMENTO METACOGNITIVO
NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ (1)
A. Carcione, L. Conti, G. Dimaggio, M. Falcone, I. Pontalti, G. Nicolò, M. Procacci, A. Semerari
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cogntiva (A.P.C.) - III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma.
La premessa da cui parte il nostro lavoro è che alcuni tipi di psicopatologia si caratterizzano per
la presenza di deficit più o meno gravi del funzionamento metacognitivo. Per funzione metacognitiva
intendiamo quell'insieme di attività mentali che ci consentono di comprendere, monitorare e regolare
stati mentali propri ed altrui, e di operare su di essi per la risoluzione di compiti e per padroneggiare stati
mentali problematici (Carcione et al. 1997; Carcione e Falcone 1999). Il punto centrale del nostro lavoro,
che lo differenzia da altri studi e ricerche sulle attività di mentalizzazione, è la tesi secondo cui la
metacognizione non è una funzione unica, ma è un’attività mentale complessa, costituita da
sottofunzioni differenti indipendenti le une dalle altre. Pertanto, salvo in casi di particolare gravità, non
osserviamo deficit della metacognizione in generale, ma in specifiche sottofunzioni,
mentre,
contemporaneamente, altre saranno correttamente operanti. Ad esempio è possibile osservare
un'incapacità nel definire le propri emozioni e le cause della condotta, ma un buon funzionamento nella
capacità di distinguere tra fantasia e realtà e di integrare stati mentali diversi in narrazioni coerenti.
L'osservazione indipendente dell'andamento delle
singole sottofunzioni nel corso della
psicoterapia, valutate su trascritti di sedute tramite la Scala di Valutazione della Metacognizione
(S.Va.M.) (Carcione et al., 1997), consente di descrivere profili di deficit metacognitivi differenti in
diversi disturbi di personalità (Semerari et al., 2001).
Ciascun profilo influenzerà in modo peculiare il quadro clinico e porrà problemi diversi al
trattamento psicoterapeutico (Semerari et al., 2000). Il tentativo è quello di riuscire a delineare dei profili
di deficit metacognitivi specifici per classi di disturbi.
Nel presente lavoro illustreremo la metodologia di indagine e mostreremo i dati derivanti
dall'osservazione di pazienti con diversi disturbi di personalità (Narcisistico, Evitante, Borderline,
Dipendente, Paranoide) e di alcuni pazienti con diagnosi esclusivamente sulla'Asse I del DSM IV,
mettendone in evidenza le caratteristiche peculiari e le implicazioni che ne derivano per il trattamento.
Riferimenti bibliografici
Carcione A., Falcone M., Manaresi F., Magnolfi G. (1997). La funzione metacognitiva in
psicoterapia: Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.). Psicoterapia, 9,
pp.91-107.
Carcione A., Falcone M. (1999). Il concetto di metacognizione come costrutto clinico
fondamentale per la psicoterapia. In: Semerari A. (a cura di), Psicoterapia cognitiva del
paziente grave, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Semerari A., Carcione A., Falcone M., Nicolò G. (2001), È possibile osservare diversi profili
metacognitivi in diversi disturbi di personalità? Come misurare la funzione metacognitiva
in psicoterapia. Sistemi Intelligenti, 1.
Semerari A, Carcione A, Nicolò G. (2000). Metacognition y relation terapeutica en el tratamiento
de pacientos con trastornos de la personalidad. Revista Argentina de Clinica Psicologica,
IX, pp 257-270.
(1) Questo studio è parte di un progetto di ricerca diretto da Antonio Semerari e Giuseppe Ruggeri,
finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità, Contratto Nr. 96Q/T/23.
CONDIVISONE E COMPETENZE METACOGNITIVE:
ANALISI DI SEDUTE PSICOTERAPEUTICHE ATTRAVERSO L’INDICE DI
CONDIVISONE E LA S.VA.M. (1)
L. Conti, A. Semerari, A. Carcione, G. Dimaggio, G. Nicolò, M. Procacci
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cogntiva (A.P.C.) - III Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma.
In questo lavoro verranno presentati i primi risultati di un programma di ricerca il cui scopo è
esplorare la relazione tra funzioni metacognitive e conoscenza condivisa nel processo psicoterapeutico.
L’ipotesi teorica è che vi sia un’influenza reciproca tra le due variabili, nel senso che l’aumento della
conoscenza condivisa tra terapeuta e paziente può incrementare le competenze metacognitivo di
quest’ultimo; a sua volta, il miglioramento del funzionamento metacognitivo costituisce un fattore in
grado di facilitare la costruzione di nuova conoscenza condivisa. La rilevanza clinica dell’ipotesi è
basata sul fatto che tanto la costruzione di conoscenza condivisa (Bara e Bosco, 2000), quanto i processi
metacognitivi sono stati ritenuti fattori importanti per lo sviluppo del processo ed il buon esito della
psicoterapia (Semerari, Nicolò, Carcione, 2000).
Tale lavoro si sviluppa nell’ambito di una collaborazione tra il III Centro di Psicoterapia
Cognitiva di Roma ed il Centro di Scienza Cognitiva dell’Università di Torino.
L’Indice di Condivisione è uno strumento che consente di rilevare quando, nel corso di una
psicoterapia, il paziente condivide con il terapeuta una serie di conoscenze che il paziente ha su se stesso
e sul mondo (Bara e Bosco, 2000).
La Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.) valuta le caratteristiche funzionali
della metacognizione e le sue sottoclassi, nell’espressione sia positiva che deficitaria (Carcione, Falcone,
Magnolfi, Manaresi, 1997).
Verranno presentati i risultati dell’applicazione dei due strumenti, la loro correlazione e alcuni
brani esemplificativi dei risultati ottenuti, nella valutazione di una psicoterapia di una paziente con
Disturbo Narcisistico di Personalità (DSM IV).
Riferimenti bibliografici
Bara B.G. e Bosco F.M. 2000. L’Indice di condivisione: Uno strumento di analisi delle sedute
psicoterapeutiche. Psicoterapia, in corso di stampa.
Semerari A., Carcione A., Nicolò G., Metacognicion y relacion terapeutica en el tratamiento de
pacientes con trastornos de la personalidad Rivista Argentina de Clinica Psicologica; 9,3: p
257-270 2000
Carcione A., Falcone M., Magnolfi G. e Manaresi F. 1997. La funzione metacognitiva in
psicoterapia: scala di valutazione della metacognizione (S. Va. M.). Psicoterapia. 9, 91-107
(1) Questo studio è parte di un progetto di ricerca diretto da Antonio Semerari e
Giuseppe Ruggeri, finanziato dall’Istituto Superiore di Sanità, Contratto Nr. 96Q/T/23.
UNA SCALA PER LA VALUTAZIONE CLINICA
DELLA TEORIA DELLA MENTE
F. M. Bosco, L. Colle, R. Pecoraia, M. Tirassa
Centro di Scienza Cognitiva, Università di Torino
Introduzione teorica
La teoria della mente è la capacità di attribuire stati mentali a sé e agli altri e di usare tali
rappresentazioni mentali per decidere del proprio comportamento e prevedere quello altrui (Premack e
Woodruff, 1978). Intorno a tale concetto si è avuto grande interesse negli ultimi venti anni, sia in
psicologia generale sia in psicologia clinica; è stato proposto, ad esempio, che patologie come l'autismo
o la schizofrenia siano spiegabili sulla base di un cattivo funzionamento di questa capacità cognitiva.
I compiti sulle false credenze, classicamente utilizzati per indagare la teoria della mente,
sembrano per˜ richiedere abilità cognitive diverse e più sofisticate rispetto a quelle incluse nella
definizione originaria di teoria della mente (Bloom e German, 2000). Essi sono, inoltre, poco utilizzabili
in ambito psicoterapeutico, dove il problema riguarda più il buon funzionamento della teoria della mente
che una sua dicotomica presenza o assenza. E', infatti, possibile concepire la teoria della mente non come
una capacità tutto-o-nulla, ma come una funzione cognitiva che evolve o decade a seconda del gradiente
di sviluppo (Bosco, Colle e Tirassa, 2000).
In ambito clinico, il concetto di teoria della mente viene spesso legato a quello di
metacognizione, che è tuttavia più ampio, in quanto comprende anche funzioni cognitive come la
capacità di utilizzare la conoscenza su sé e sugli altri a fini strategici, per la soluzione di compiti e per
padroneggiare specifici stati mentali fonte di sofferenza soggettiva (Carcione et al., 1997). Alcuni autori
hanno sottolineato l'importanza di deficit metacognitivi nello spiegare i sintomi di pazienti gravi
(Linehan, 1993; Liotti, 1994); Semerari (1999) considera la capacità metacognitiva del paziente un
elemento essenziale per l'esito di una psicoterapia.
Lo strumento: Theory of Mind Assessment Scale (Th.O.M.A.S.)
Th.O.M.A.S. è una intervista semi-strutturata che si propone di indagare il livello di conoscenza
che un soggetto ha degli stati mentali propri e di quelli altrui. Queste due dimensioni sono indagate in
due differenti scale: Funzionamento della propria mente e Funzionamento della mente altrui. Ogni scala
si articola in tre componenti:
a) Emozione/Credenza/Intenzione: evidenzia la capacità del soggetto di discriminare (in sé e
negli altri) tra stati affettivi, stati epistemici e stati volizionali, e di caratterizzarne ed esplicitarne le
interazioni.
b) Tonalità emotiva positiva/negativa: evidenzia la capacità del soggetto di riconoscere ed
elaborare la tonalità emotiva che caratterizza i differenti contenuti mentali propri e altrui.
c) Conoscenza teorica/Mastery: mette in rilievo come e quanto il soggetto abbia
consapevolezza di possedere (e che gli altri possiedono) stati mentali che influenzano la
rappresentazione della realtà circostante, e come e quanto riesca ad utilizzare tale conoscenza per
comprendere e prevedere i propri (ed altrui) stati mentali e comportamenti.
In base alle risposte dell'intervistato è possibile individuare la sua abilità nel trattare gli stati
mentali propri ed altrui, sistemandolo, per ciascuna scala, su un livello da 1 (conoscenza pressoché nulla
degli stati mentali propri o altrui) a 4 (ottima conoscenza del funzionamento della mente propria e altrui).
Gli strumenti clinici ai quali Th.O.M.A.S. maggiormente si avvicina sono l’Indice di
Condivisione (Bara e Bosco, 2000) e la Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.: Carcione
et al., 1997) elaborata da Semerari con i colleghi del Terzo Centro di Psicoterapia di Roma. Il nostro
strumento si differenzia tuttavia da entrambi per diversi aspetti. Da un punto di vista teorico si concentra
esclusivamente sul concetto di teoria della mente, senza prendere in considerazione quanto è condiviso
tra paziente e terapeuta o senza considerare abilità metacognitive più complesse. Sempre sul piano
teorico poi, assume una prospettiva originale sul concetto di teoria della mente considerandola una
capacità cognitiva innata che si sviluppa lungo differenti fasi evolutive (Bosco e Tirassa, 1998). Sul
piano metodologico è uno strumento più fruibile in quanto si realizza come una intervista
semi-strutturata che non necessita dei trascritti delle sedute, come avviene invece per l’Indice di
Condivisione e per la S.Va.M.
Riferimenti bibliografici
Bara B.G., Bosco F.M (2000). L’Indice di Condivisione: Uno strumento di analisi delle sedute
psicoterapeutiche. Psicoterapia, 19/20, 38,49.
Bloom P., German T. (2000). Two reasons to abandon the false belief task as a test of theory of
mind. Cognition, 77, 25-31.
Bosco F.M., Colle L., Tirassa M. (2000). Teoria della menente: Qualche problema? X Congresso
SITCC, Orvieto [Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, 6, 52-53].
Bosco, F.M., Tirassa, M. (1998) Sharedness as an innate basis for communication in the infant.
Proc. 20th Annual Conference of the Cognitive Science Society, Madison, WI.
Carcione A., Falcone M., Magnolfi G., Manaresi F. (1997). La funzione metacognitiva in
psicoterapia: Scala di Valutazione della Metacognizione (S.Va.M.). Psicoterapia, 9,
91-107.
Linehan M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. New York:
Guilford Press.
Liotti G. (1994). La dimensione interpersonale della coscienza. Roma: La Nuova Italia Scientifica.
Premack D., Woodruff G. (1978). Does the chimpanzee have a theory of mind? Behavioural and
Brain Sciences, 1, 512-526.
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PSICOTERAPIA DI GRUPPO E CODICE DI ANALISI DELLO STILE DEL CAMPO
TERAPEUTICO (S.CA.T.):
ANALISI DI UN TRATTAMENTO IN UNA COMUNITÀ TERAPEUTICA
S. Colatosti *, D. Fiore*, P. Bianconi *, A. Mellace *, C. Pontalti °
* Comunità Terapeutica "Le Palme" (FR)
° Servizio di psicoterapia Familiare UCSC di Roma
Introduzione
Il presente lavoro si inserisce all’interno di un progetto di ricerca sull'applicazione del Codice di
Analisi dello Stile del Campo Terapeutico (S.Ca.T.) alla psicoterapia di gruppo.
Metodo
Vengono analizzate i trascritti integrali delle sedute di un trattamento in gruppo, a frequenza
bisettimanale e ad orientamento cognitivo, interamente videoregistrato. Sono stati selezionati quattro
pazienti ricoverati da circa un anno in una comunità terapeutica, affetti da Sindrome Schizofrenica
secondo i criteri del DSM IV. Tale psicoterapia previo consenso scritto dei pazienti, è stata interamente
sbobinata, trascritta, modificati tutti nomi per rendere anonimo il trascritto. A tale trattamento è stato
applicato il Codice di analisi dello Stile del Campo terapeutico (SCAT) elaborato presso il Servizio di
psicoterapia Familiare UCSC di Roma. Tale codice permette di classificare gli interventi verbali di
pazienti e terapeuta. Il codice identifica un’Area Organizzativa, un’ Area Connettiva ed un’Area
Interpretativa.
Conclusioni
Verranno discussi i risultati e sulla base di questi stessi proposto un modello dell’andamento
della psicoterapia.
CAMPI TERAPEUTICI A CONFRONTO:
IL PERCORSO DI DUE GRUPPI ANALIZZATI ATTRAVERSO
IL CODICE DI ANALISI DELLO STILE DEL CAMPO TERAPEUTICO
G. Lo Coco, R. Mineo, C. Giordano, M. Di Blasi, F. Giannone
Dipartimento di Psicologia, Università di Palermo
Introduzione
Il lavoro si è sviluppato all’interno della sezione del progetto Val.Ter. che si occupa della
valutazione dell’analisi del processo nei gruppi terapeutici. Un tema che ha suscitato grande interesse è
lo stile di conduzione dei gruppi terapeutici, che si differenzia notevolmente da quello delle terapie
individuali. Nel presente lavoro verrà presentato un confronto tra due gruppi terapeutici privati, uno a
breve termine ed uno tradizionale, condotti dallo stesso terapeuta. Il gruppo a termine, composto da otto
pazienti con patologia organica (retinite pigmentosa) è stato condotto per dieci sedute a cadenza
quindicinale nell’arco di cinque mesi. Il gruppo analitico classico, composto da cinque pazienti con
diagnosi di disturbo del comportamento alimentare (DCA) ha avuto la durata di due anni e sei mesi, con
sedute a cadenza settimanale. Le dieci sedute del gruppo a termine sono state integralmente registrate e
trascritte secondo il codice di Mergenthaler. Nel gruppo classico sono state invece campionate dieci
blocchi di sedute (ogni blocco composto da tre sedute consecutive) nell’intero arco della terapia. Anche
queste sedute sono state registrate e trascritte con il codice di Mergenthaler.
Obiettivi
Scopo della ricerca è di effettuare un confronto tra lo stile di conduzione di uno stesso terapeuta
rispetto a due gruppi differenti sia per patologia dei pazienti che per durata della terapia. La nostra ipotesi
è che il terapeuta segua nel gruppo classico uno stile di conduzione caratterizzato da una progressiva
diminuzione degli interventi di tipo organizzativo e da un crescente peso degli interventi di tipo
interpretativo, rispetto al gruppo a termine. Verrà anche valutato il differente apporto dato dai pazienti
nei due gruppi rispetto alla costruzione del campo terapeutico, in termini di quantità di interventi e di
tipologia degli stessi (organizzativi o interpretativi).
Metodo
Le sedute dei due gruppi verranno analizzate sia separatamente, considerando l’andamento
delle dieci sedute del gruppo a termine e dei dieci blocchi di sedute del gruppo classico, che confrontate
rispetto ad un andamento per fasi della terapia (iniziale, intermedio e finale).
Come strumento di codifica degli interventi del terapeuta abbiamo utilizzato lo SCAT (Codice
dello Stile del Campo Terapeutico) (Pontalti C. et all., 1997), elaborato presso l’Università Cattolica del
Sacro Cuore. Il codice, in relazione ai modelli terapeutici della gruppoanalisi, identifica tre categorie di
interventi verbali nel terapeuta (Area Organizzativa, Connettiva ed Interpretativa) e due di interventi dei
pazienti (Area Organizzativa ed Interpretativa). La codifica è stata effettuata da tre giudici indipendenti,
precedentemente addestrati all’utilizzo dello strumento. Sui punteggi standardizzati delle diverse sedute
sono stati calcolati i pesi percentuali di ogni singola classe di interventi.
Risultati
Dal confronto tra i due gruppi sono emerse differenze qualitative molto precise, rispetto
all’utilizzo del terapeuta delle diverse tipologie di intervento. Il terapeuta ha utilizzato maggiormente
interventi di tipo interpretativo personale nel gruppo classico rispetto al gruppo a termine, in un trend di
complessivo maggiore utilizzo del lavoro interpretativo. L’area connettiva si conferma come di
strategica importanza nella conduzione di entrambi i tipi di gruppi. Anche negli interventi dei pazienti
emerge un maggiore utilizzo degli interventi interpretativi nel gruppo classico rispetto al gruppo a
termine durante l’intero ciclo della terapia
APPROCCI TERAPEUTICI DIVERSI:
MISURE DI CAMBIAMENTO AL T. A. T.
S. Di Nuovo *, M. Cuffaro °, F. Giannone ^, M. Di Blasi ^
* Facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania
° Psicologo – Psicoterapeuta, CERPS, Palermo
^ Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo
L’utilizzazione del Thematic Apperception Test come strumento di misurazione del
cambiamento indotto dal processo di psicoterapia nasce all’interno del progetto Val.Ter come
applicazione delle ricerche condotte da S. Di Nuovo (1992, 1998) e della griglia a carattere psicologico
per la valutazione del test messa a punto da M. Cuffaro (1998).
La somministrazione del TAT, insieme ad altri strumenti di valutazione del percorso, è stata
effettuata ad inizio e fine terapia e, ove possibile, a follow up a sei mesi di distanza dalla conclusione.
Poiché al progetto aderiscono terapisti di scuole diverse, ciascuno con più pazienti, la
valutazione dei dati complessivi è in elaborazione. Anticipazioni sono già state fornite in ordine alle
risultanze al TAT di quattro pazienti affette da disturbo del comportamento alimentare trattate in setting
gruppale monosintomatico da un terapista di formazione gruppoanalitico (Di Blasi, Giannone, Cuffaro,
LoVerso (1999) e Giannone (2000)).
Proporremo adesso le risultanze derivanti dall’analisi di 4 casi trattati in setting individuale da
un terapista di formazione psicodinamica a vertice teorico gruppoanalitico confrontandole con quelle
sopra citate. Si tratta di pazienti eterogenei per età, sesso, grado di scolarizzazione, tipo e grado di
patologia, durata del trattamento. Nessuno di essi presentava al momento del trattamento disturbi del
comportamento alimentare, soltanto una paziente aveva in anamnesi episodi di bulimia risalenti a circa
10 anni prima trattati e risolti in terapia psicoanalitica.
Il confronto tra le risultanze evidenzia subito una forte corrispondenza tra molti degli elementi
di cambiamento fatti registrare dal gruppo trattato in setting gruppale e quelli evidenziati dai pazienti
trattati in setting individuale. Risultano tuttavia differenti le intensità dei cambiamenti stessi. Altre
differenze si evidenziano relativamente a qualche indicatore che in più di un caso fa registrare risultanze
opposte.
Elementi che cambiano movendo nella stessa direzione in entrambi i setting.
Questi primi sei elementi subiscono variazioni analoghe nei due gruppi. L’intensità delle
variazioni nel gruppo trattato in setting individuale non risulta correlata alla durata del trattamento.
1.
Maggiore equilibrio tra mondo interno e realtà esterna nella elaborazione degli
stimoli.
2.
Accresciuta capacità di operare il corretto distanziamento dallo stimolo e dal
settino
3.
Accresciuta capacità di controllo dell'ansia.
4.
Accresciuto valore dell'indice di pensiero ben adattato.
5.
Netta diminuzione del valore dell'indice di pensiero degradato.
6.
Accrescimento della funzionalità del sistema difensivo.
I due elementi successivi, la cui presenza è costante nelle pazienti trattate in setting gruppale,
compaiono soltanto in due dei quattro casi trattati in setting individuale. Negli altri due casi, va
osservato, il livello di partenza era però già ottimo, non stupisce quindi che non abbia fatto registrare
ulteriore incremento:
7.
Accresciuta capacità di controllo logico delle sequenze narrative.
8.
Accresciuta capacità di controllo globale dell'ideazione prodotta.
Elementi che risultano costanti soltanto nel setting gruppale mentre in quello individuale sono
presenti in alcuni casi e possono muovere in direzione opposta in altri.
I due elementi successivi, nono e decimo, sempre e consistentemente presenti nelle pazienti
trattate in setting gruppale, fanno registrare risultanze analoghe rispettivamente in due e tre dei casi
trattati in setting individuale, mentre muovono in direzione opposta nei casi rimanenti:
9.
Netta diminuzione dell'uso di dinamiche di difesa.
10.
Diminuzione della conflittualità nelle relazioni interpersonali.
Per quanto concerne l’uso di dinamiche di difesa, nei due casi in cui non si registra significativa
variazione del numero complessivo di dinamiche utilizzate si assiste però ad una evidente sparizione di
dinamiche di tipo vischioso (scissione ed identificazione proiettiva) ed aggressivo (autosqualifica) a
vantaggio di dinamiche ben più lievi e socialmente accettate (minimizzazione, razionalizzazione).
Per ciò che riguarda poi la conflittualità nelle relazioni interpersonali va precisato che il suo
aumento, nell’unico caso in cui si presenta, costituisce risposta adattiva in quanto interviene in un
paziente che prima del trattamento era del tutto incapace di
sentire ed affrontare il conflitto
interpersonale.
Elementi di difformità costante trai due setting.
11.
Riduzione della presenza di tratti narcisistici.
12.
Maggiore capacità di sentire, riconoscere ed esprimere emozioni ed affetti.
Questi due elementi risultano difformi nel confronto trai due setting. Il primo, riduzione della
presenza di tratti narcisistici, risulta sempre presente nelle pazienti trattate in setting gruppale ma si
registra soltanto in un caso trai pazienti trattati in setting individuale, in altri due non subisce variazione,
nell’ultimo fa registrare un incremento.
Il dato induce ad una riflessione sul significato, dal momento che appare piuttosto improbabile
che la sua presenza in tutte le pazienti trattate in setting gruppale sia dovuta al caso. Esso può essere
connesso al setting o allo specifico disturbo che accomuna le pazienti. Sarebbe utile indagare in
proposito in quanto si potrebbero ricavarne importanti informazioni sul funzionamento del primo o sulle
caratteristiche del secondo.
L’altro elemento, maggiore capacità di sentire, riconoscere ed esprimere emozioni ed affetti,
risulta presente in tutti i pazienti trattati in setting individuale ma non in quelli trattati in setting gruppale.
Anche per questo elemento si pongono gli stessi dubbi che per il precedente: si tratta di una
caratteristica o limite del setting gruppale o è da ascrivere alla struttura di personalità sottesa al disturbo?
Non siamo al momento in grado di dare risposta.
Riferimenti bibliografici
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L’EVOLUZIONE DEI CONTENUTI TIPICI NEI SOGNI,
DALLA PREADOLESCENZA ALLA VECCHIAIA
K. Provantini*, P. Azzone °, A. Maggiolini ^, N. Santilli Marcheggiani *, D. Viganò “
* Istituto Minotauro
° Ospedale “Salvini”, Garbagnate
^ Università Milano Bicocca
“ Ospedale “S. Gerardo”, Monza
La ricerca che presentiamo costituisce un contributo all’analisi quantitativa dei sogni e in
particolare si inserisce nel dibattito sull’importanza dei sogni tipici, la cui significatività e frequenza è
discussa (Domhoff, 1996; Barrett, 1996, Garfield, 2001).
In precedenti ricerche abbiamo mostrato la presenza di contenuti tipici nei sogni di
preadolescenti e adolescenti (Maggiolini, Azzone, Provantini, Viganò, Freni, 1996).
L’attuale ricerca si propone di completare l’analisi dei contenuti tipici lungo l’intero arco del
ciclo di vita, dalla preadolescenza alla vecchiaia, esplorandone inoltre le varianti.
Nella griglia di classificazione dei sogni tipici che proponiamo distinguiamo il sogno tipico e il
contenuto tipico. Mentre in un sogno tipico la rappresentazione del contenuto è stereotipata (per esempio
un sogno in cui un soggetto affronta un esame), in molti sogni possiamo trovare contenuti tipici simili,
sia in combinazione (per esempio un sogno in cui il protagonista è attaccato e poi vola e cade da un
burrone), sia come variazione dello stesso contenuto (per esempio, non un esame scolastico, ma una
prova in una competizione atletica). Le varianti dei contenuti tipici possono differire in rapporto all’età,
al sesso, alla cultura e alle esperienze individuali.
I contenuti tipici sono stati classificati in sogni d’attacco e salvataggio (essere inseguito,
perseguitato, rapito, attaccato, ecc.); gravità (volare, cadere, ecc.), disorientamento spaziale (labirinti,
spazi stretti, ecc.); perdita e ritrovamento (perdere qualcosa o qualcuno); esame (prova, competizione);
impedimento (essere impedito nei movimenti, non riuscire a correre o a parlare); nascita e accudimento;
relazioni sentimentali o sessuali; mutilazione o trasformazione del corpo (caduta dei denti, ecc.); nudità e
imbarazzo; bisogni fisiologici (mangiare, orinare, ecc.).
Nella ricerca che presentiamo ci siamo proposti di
a) individuare la presenza delle diverse categorie di contenuti tipici nell’arco del ciclo di vita,
per maschi e femmine;
b) classificare le varianti delle principali categorie.
Il campione è composto da 560 soggetti, maschi e femmine,dai 14 ai 75 anni, che hanno
raccontato almeno un sogno recente, e un episodio diurno che li ha particolarmente colpiti. I sogni e gli
episodi sono stati registrati, trascritti e analizzati secondo una griglia di classificazione dei contenuti
tipici già sperimentata e che si è dimostrata attendibile.
Riferimenti bibliografici
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L’ANALISI DEI SISTEMI MOTIVAZIONALI NEI SOGNI
A. Maggiolini *, P. Azzone °, D. Comazzi
* Università degli Studi di Milano – Bicocca
° Ospedale “Salvini”, Garbagnate
^ Istituto Minotauro, Milano***
Negli ultimi anni, sia in ambito psicoanalitico, sia in quello cognitivista, sono stati proposti
nuovi modelli dei sistemi di motivazione, con teorie del funzionamento mentale che riconoscono insiemi
complessi di motivazioni di base, coincidenti con comportamenti filogeneticamente determinati
(Lichtenberg, 1995; Liotti, 1998). In Italia, già alla fine degli anni ’70, F. Fornari aveva proposto una
teoria dei codici affettivi (Fornari, 1981; Maggiolini, 1988) come teoria motivazionale che costituiva una
rielaborazione e generalizzazione della teoria freudiana del simbolismo, inteso come linguaggio
universale filogeneticamente determinato, utilizzato dai ruoli affettivi familiari. In questa prospettiva
valori - o ideali - orientano i ruoli affettivi di base a prendere decisioni utili per la sopravvivenza del Sé e
della specie, in rapporto a compiti fase specifici. Più recentemente, anche dal punto di vista di una
psichiatria evoluzionistica (Stevens, 2000), si descrivono sistemi di valori (mentalities) come
espressione del sapere della specie interno all’individuo, che ne orienta le decisioni.
E’ possibile ritenere che questo sapere della specie entri in contatto con l’esperienza individuale
soprattutto attraverso il sogno. Le più attuali teorie del sogno lo intendono, infatti, come un modo
attraverso il quale la specie continua a trasmettere, anche dopo la nascita, un sapere filogenetico
all’individuo, aiutandolo a leggere e a valutare le sue relazioni con il mondo.
La ricerca che presentiamo indaga la presenza dei sistemi motivazionali nei sogni, utilizzando
una specifica griglia di classificazione che tiene conto di sistemi motivazionali relazionali (familiari,
sessuali e sociali intraspecifici) e di sistemi che riguardano la difesa dall’attacco da predatori,
l’orientamento nell’ambiente e le relazioni con il proprio corpo, che si sono dimostrati particolarmente
importanti nei sogni (in precedenti ricerche abbiamo mostrato l’universalità dei contenuti tipici dei
sogni: Maggiolini, Azzone, Provantini, Viganò, Freni, 1996).
Il campione è composto da 560 soggetti, maschi e femmine,dai 14 ai 75 anni, che hanno
raccontato almeno un sogno recente, e un episodio diurno che li ha particolarmente colpiti. I sogni e gli
episodi sono stati registrati, trascritti e analizzati secondo una griglia di classificazione che comprende i
principali sistemi motivazionali.
La presenza dei diversi sistemi motivazionali è stata misurata in relazione all’età e alla
differenza di genere, e confrontata con i contenuti delle narrative diurne degli stessi gruppi di soggetti,
mostrando la presenza di differenze significative.
Questo tipo di ricerca può essere utile per individuare gli elementi affettivi di base nell’analisi
di testi clinici, superando alcune difficoltà incontrate nei primi tentativi d’applicazione della teoria della
simbolizzazione affettiva (Maggiolini, 1998).
Riferimenti bibliografici
Domhoff G.W. (1996) Finding meaning in dreams. A quantitative approach. Plenum Publ. Corp.,
New York.
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Ricerca in Psicoterapia, 2.
Maggiolini A., Azzone P., Provantini K., Viganò D., Freni S. (1996) “Development of a method
for scoring typical dreams (Typical Dreams Grid)”, 5th European Conference on
Psychotherapy Research, S.P.R., Cernobbio, Italy.
Stevens A., Price J. (2000) Evolutionary psychiatry. Routledge. London.
IL SOGNO, IL TRANSFERT, IL PROCESSO TERAPEUTICO E LE TEORIE DEL
FUNZIONAMENTO DELLA MENTE
L. Sarno
Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze della Formazione, Corso di Laurea in Psicologia
Introduzione
La ricerca si propone di prendere in considerazione l’evoluzione del processo terapeutico
ponendo come suoi riferimenti il sogno e la relazione di transfert.
Metodologia: Le trasformazioni evidenziate riguarderanno:
a)
la presenza di sogni;
b) le modalità della loro narrazione;
c)
le associazioni relative ai sogni narrati:
c1) la presenza o assenza di associazioni;
c2) le loro caratteristiche.
d) le relazioni tra sogno e transfert:
d1) le possibilità del sogno di rappresentare le caratteristiche della relazione di
transfert;
d2) evoluzioni oniriche, evoluzioni della relazione di transfert.
Conclusioni
La ricerca si fonda sul presupposto che il processo terapeutico, a partire dalla diagnosi, debba
tenere conto della teoria del funzionamento della mente del paziente e delle sue possibili trasformazioni
all’interno di un contesto relazionale guidato dal transfert e dal controtransfert. L’ipotesi tiene
naturalmente conto di una teoria delle nevrosi e delle psicosi all’interno di cui senso e cause dei sintomi
devono riallacciarsi ad una teoria dell’inconscio, delle difese e dei conflitti (e/o carenze); dello sviluppo
(psicologia e psicopatologia delle prime fasi dello sviluppo e della relazione madre-bambino) e del
trauma.
Riferimenti bibliografici
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1899 L’Interpretazione dei sogni, Vol. II.
1900 Il sogno, Vol. IV.
1913 Un sogno come mezzo di prova, Vol. VII.
1915 Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, Vol. VIII.
1915-17 Introduzione alla psicoanalisi, Vol. VIII.
1920 Al di là del principio di piacere, Vol. IX.
1920 Complementi alla teoria del sogno, Vol. IX.
1921 Sogno e telepatia, Vol. IX.
1922 Osservazioni sulla teoria e pratica dell’interpretazione dei sogni, Vol. IX.
1922 Due voci di Enciclopedia, Vol. IX.
1924 Autobiografia, Vol. X.
1925 Alcune aggiunte d’insieme alla "Interpretazione dei sogni", Vol. X.
1932 Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), Vol. XI.
Sarno L. (2000), Una breve nota sulla teoria e la tecnica freudiana dell’interpretazione dei sogni,
(lavoro inedito).
LA PSICOTERAPIA ON-LINE
PRIME RISULTANZE DI UNA RICERCA SPERIMENTALE ITALIANA
T. Cantelmi *, S. Putti °
* Professore di Psicologia Medica, Università di Palermo, Responsabile Scientifico di Psychoinside
° Analista – Psicoterapeuta, Centro Studi Psicologia e Letteratura, Coordinatrice di Psychoinside
Introduzione
L’aiuto psicologico attraverso Internet - fenomeno – già manifestatosi con ampiezza in
America da più di un decennio - si è recentemente diffuso anche in Italia.
In questo contesto abbiamo deciso di sperimentare la via del WEB insieme ai pazienti.
Riportiamo sinteticamente i risultati preliminari di una ricerca sperimentale avviata alla fine
dell’anno 1999 e durata un anno.
Scopo della ricerca e definizione
Nell’ impostare e condurre la nostra ricerca abbiamo posto mirata attenzione all’ osservazione
e alla verifica della fattibilità di una psicoterapia on line, della quale forniamo una prima definizione:
l’e-psychoterapy, nella sua accezione più ampia, è quel “trattamento e cura non farmacologica dei
disturbi della psiche conseguibile all’interno di una relazione terapeutica caratterizzata dall’assenza
fisica dei due partner”.
Metodi e strumenti
Nella Rete abbiamo istituito un sito (www.Psychoinside.it) per informare la potenziale utenza
della nostra attività e per accogliere / valutare le eventuali richieste di consulenza e / psicoterapia.
Nel sito abbiamo descritto gli strumenti a disposizione:
l’e-mail, la chat, la web cam.
L’e-mail consente una comunicazione a-sincrona, in quanto la persona può scrivere al terapeuta
designato in qualsiasi momento e questi può rispondere in un tempo differito.
La chat e la web-cam consentono una comunicazione sincrona, in quanto lo scambio di
domanda e risposta (nonché delle immagini nel caso della web-cam) avviene pressoché in tempo reale.
La metodica seguita comprende la registrazione della richiesta, la decodifica della domanda,
l’assegnazione del caso in ragione dello strumento prescelto dall’utente e della disponibilità del
Terapeuta.
Campione
Abbiamo osservato una utenza
prevalentemente rappresentata da italiani anche se non
mancano gli stranieri parlanti lingua italiana.
Si è notata una leggera prevalenza di richieste provenienti da uomini (52,9%) rispetto alle
richieste provenienti da donne (47,1%); nell’ultimo periodo di osservazione le proporzioni si sono
pressochè invertite a favore delle richieste provenienti da donne.
L’età media è di circa 30 anni, in un range medio che va dai 17 ai 50; abbiamo registrato la
richiesta di un utente di 77 anni.
Risultati
Nell’anno di sperimentazione già effettuata il Centro Psychoinside ha registrato circa 10.000
accessi e ricevuto circa 1500 richieste di consulenza e psicoterapia.
Sono state intraprese circa 100 (cento) psicoterapie ed effettuate circa 50 (cinquanta)
consulenze.
E’ stata osservata una prevalenza di problematiche relazionali; la casistica è comunque ampia e
diversificata in quanto gli utenti portano disturbi d’ansia e attacchi di panico, fobie ed ossessioni, disturbi
sessuali e dell’identità sessuale, depressione, disturbi della sfera alimentare.
Discussione dei dati
Durante il periodo considerato per la nostra sperimentazione, abbiamo rilevato che una larga
fascia dell’utenza è rappresentata da soggetti che non possono o non vogliono affrontare una terapia
tradizionale per motivi quali i costi, l’isolamento territoriale e /o geografico, la limitazione fisica,
l’imbarazzo sociale.
Un certo numero di utenti si è detto anche attratto dalla novità rappresentata dal medium.
Sulla base dei casi di consulenza e psicoterapia on line trattati ed in corso di trattamento, si sono
evidenziati i principali vantaggi e svantaggi.
I vantaggi sono rappresentati dalla facilità di accesso e dall’abbassamento delle difese coscienti
in relazione al possibile anonimato.
Gli svantaggi sono rappresentati dall’assenza di un setting neutro, dalla bassa reciprocità e dalla
deprivazione empatica.
Un limite significativo nella relazione on line è costituito dalla garanzia della riservatezza:
sono, infatti, possibili violazioni al livello del terminale del paziente, del terapeuta, della trasmissioni dei
dati.
Proiezioni future
La nostra ricerca si è posta anche come verifica sul campo della fruibilità e utilità degli
strumenti messi a disposizione dell’utente dalla progressiva evoluzione delle tecniche di comunicazione
multimediale.
In questa ottica prevediamo quindi di sperimentare la messaggistica S.M.S ad integrazione
delle modalità di comunicazione già sperimentate.
Conclusioni
Nella consapevolezza dei rischi e dei benefici, e sempre sottolineando l’opportunità di mettere a
punto linee guida etiche e deontologiche, i risultati sino ad ora conseguiti ci paiono attestare la fattibilità
e la fruibilità di una consulenza e di una psicoterapia on line.
Riferimenti bibliografici
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Putti S., Antonelli G. (2001) “La rinascita della psicoanalisi on line” in Giornale Storico di
Psicologia Dinamica, Vol. XXV – 49, Roma, Di Renzo Editore
AAVV, (2001), “@Psychotherapy – risultati preliminari di una ricerca sperimentale italiana”,
Roma, E.U.R. (Edizioni Universitarie Romane), in corso di stampa
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L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE NELLA TERAPIA BREVE AD APPROCCIO
STRATEGICO
G. M. Letizia Drogo, V. Verrastro
ISP – Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, Roma – Vibo Valentia
Introduzione
Partendo dall’assunto di Watzlawick (1967) che “E’ impossibile non comunicare” questo
lavoro vuole analizzare l’importanza della comunicazione per la psicoterapia breve ad approccio
strategico. Comunicare vuol dire entrare in interazione con l’altro, con il suo mondo e la sua esperienza,
e questo può avvenire sia a livello di contenuto (di notizia, di informazione) che di relazione (livello
metacomunicativo). Per il terapeuta stratega è basilare riuscire a cogliere qual è il mondo rappresentativo
dell’altro e a parlare il linguaggio stesso dell’altro, utilizzando ai fini della guarigione, ciò che l’altro
racconta.
Il modello strategico
L'approccio strategico si fonda sull'assunzione che qualunque realtà è il prodotto della relazione
tra noi stessi e la realtà in cui siamo inseriti, che è determinata dal punto di osservazione e dagli strumenti
utilizzati, nonché dal linguaggio che utilizziamo per descriverla. Si può conoscere il mondo solo
attraverso delle interazioni, delle relazioni, che però possono determinare delle problematiche nella vita
degli individui e nei contesti all'interno dei quali sono inseriti (Nardone, Watzalawick, 1990). Questo
modello ha come obiettivo primario quello di stimolare la persona ad elaborare significati differenti da
attribuire ad una stessa realtà, sostituendo il vissuto di problematicità con una nuova modalità di
percepirsi e percepire il mondo, e promovendo la sperimentazione di nuove azioni e comportamenti che
favoriscono l'acquisizione di capacità/competenze per affrontare lo specifico problema risolvendolo.
La comunicazione in terapia strategica
Fin dal primo incontro è necessario creare una relazione interpersonale caratterizzata da fiducia,
rispetto e onestà tra terapeuta e persona che chiede aiuto. Il terapeuta stratega osserva e impara a capire
il linguaggio della persona che ha di fronte, facendo attenzione a quanto l’altro porta e al suo modo di
comunicare, adattando il suo linguaggio e le sue azioni allo stile comunicativo dell’altro, cercando di
vedere la realtà dal suo punto di vista, per poi condurlo pian piano al cambiamento e alla ristrutturazione,
aggirando così la resistenza al cambiamento stesso. Cercherà di lasciare parlare l’altro per capire quali
sono i fattori che mantengono il problema e quali sono le mosse da fare per ottenere più successo.
Secondo la teoria dei sistemi ogni piccolo cambiamento all’interno di un elemento produce cambiamenti
sull’intero sistema a volte più grandi di quelli prevedibili (Effetto farfalla). Per questo è importante
gratificare l’altro per ogni piccolo miglioramento, facendolo sentire protagonista delle sue azioni e delle
sue “guarigioni”. Ma l’efficacia di una strategia dipende dalla cornice di suggestione all’interno della
quale viene presentata, da qui l’importanza delle modalità comunicative del terapeuta. Dalla lezione di
M. Erickson, ci viene l’esempio della cosiddetta ipnoterapia senza trance, una forma suggestiva di
comunicazione che induce l’altro a collaborare e accelera il processo di cambiamento. Le strategie
deputate al cambiamento possono suddividersi in due grandi categorie:

Azioni e comunicazione terapeutica (ristrutturazioni, metafore,tecnica del ricalco)

Prescrizioni di comportamento (prescrizioni dirette, uso del paradosso)
Queste se suggerite alla persona nel modo giusto, quello che lei può recepire permettono di far
fare delle cose che la stessa pensava di non riuscire a fare (per paura, perché prive di significato..)
determinando un primo cambiamento nel suo mondo rappresentazionale. Bisogna consolidare
l’autonomia personale dell’altro sottolineando che non si è aggiunto niente che egli non possedesse già,
solo che adesso lui ha imparato a percepire la realtà e a reagire ad essa, utilizzando positivamente le
proprie doti personali.
Prospettive di ricerca
Alla luce di quanto detto sopra, con la nostra ricerca, ancora in fase di sperimentazione, ci
prefiggiamo di analizzare il tipo di comunicazione utilizzata da alcuni terapeuti “strateghi” e come
questa riesca a produrre cambiamenti nell’altro. Il target che pensiamo di analizzare è di 25 soggetti
adulti, con problemi di ansia e attacchi di panico.
Metodo
Utilizzeremo la metodologia seguita nel caso dello studio dei casi, con analisi del contenuto
dell’intera seduta, o di spezzoni di questa, servendoci di video e audio registrazioni e di griglie di
osservazione, che saranno discusse e valutate da gruppo di psicologi esperti.
Si utilizzeranno anche alcune scale per la misurazione dei livelli di ansia all’inizio e alla fine
della seduta e all’inizio, durante e alla fine del cammino terapeutico e scale di soddisfazione personale
(anche queste somministrate all’inizio e alla fine della terapia). Prevediamo di condurre la ricerca lungo
l’arco di un anno.
Conclusioni
E’ importante per il terapeuta di riuscire a comprendere il mondo della persona che chiede aiuto.
Una modalità di ascolto attivo ed empatico, l’utilizzo di una di comunicazione alla portata dell’altro,
possono essere di per se stessi terapeutici. Ma riuscire ad utilizzare le tecniche suggerite dall’approccio
strategico nel modo più naturale e appropriato richiede molta pratica, una grande capacità di mettersi nei
panni dell’altro e una buona dose di creatività.
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APPLICAZIONE DEL CCRT DI L. LUBORSKY (1990)
AD INTERVISTE DI UN GRUPPO DI ANZIANI:
CONSIDERAZIONI CLINICHE
S. Piscicelli, F. Ortu
Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Psicologia, Università di Roma “La Sapienza”
Premessa
In letteratura si osserva un interesse sempre maggiore nel discutere i principi della teoria e della
tecnica applicati alla psicoterapia con persone anziane. Molti autori (Jaques, 1970) sono concordi che il
lavoro con questi pazienti pone gli psicoterapeuti dinanzi alla necessità di affrontare le loro
problematiche in un’ottica differente da quella utilizzata con gli adulti. Da un lato per il contenuto
specifico delle problematiche portate che introduce costantemente l’esigenza di approfondire tematiche
gravose, anche in termini di controtransfert, come quelle del lutto e della morte. Dall’altro per la
particolarità delle modalità cognitive ed emotive dei pazienti di questa fascia d’età. Conseguentemente
vi è la necessità di mettere a punto strumenti empirici idonei a queste esigenze. Nel nostro studio si è
scelto di utilizzare uno strumento già ampiamente validato ed impiegato da gruppi di ricerca
internazionali per poterlo rendere utilizzabile anche all’interno del lavoro di psicoterapia e di ricerca con
soggetti anziani.
Metodo
Il campione della ricerca è formato da interviste raccolte con il metodo RAP di L. Luborsky di
24 soggetti anziani autosufficienti; l’età media è di 71 anni. Le interviste sono state siglate con il metodo
del “Core Conflittual Theme” di L. Luborsky (1990).
Obbiettivo della ricerca
In questa ricerca si è scelto di utilizzare narrazioni libere ottenute attraverso il metodo
dell'intervista RAP perché il racconto della propria vita per le persone anziane ha lo scopo di costruire
una "storia personale del Sé" coerente e unitaria, che sia d'aiuto nell'affrontare i sentimenti di lutto
intrinseci alla fase di vita in corso. L'anziano utilizza i suoi ricordi per acquisire un’immagine mentale
univoca e coerente dell’intero ciclo vitale che, impedisca di cadere nella disperazione e permetta di
realizzare un senso di speranza il quale, seppur limitato, sia quantomeno realistico(Erikson, 1982).
Nel poster saranno presentati i dati della ricerca e sarà discussa l’applicazione clinica del
metodo in funzione di un lavoro di riabilitazione psicologica per gli anziani.
Riferimenti bibliografici
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VALUTARE LE TEORIE PSICOLOGICHE NAIVE: DUE STRUMENTI A CONFRONTO
A. Minniti*, R. Ostuzzi °, R. Lorenzini ^
* Scuola di Formazione in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale dell'Associazione di Psicologia Cognitiva
° Casa di Cura Privata Villa Margherita (Arcugnano, Vi)
^ Didatta SITCC e APC
Introduzione
In un percorso psicoterapeutico la compliance del paziente è una determinante fondamentale
per l’efficacia della terapia. Tutti i pazienti si formano una teoria rispetto la causa della loro sofferenza e
della possibile cura (Teorie Psicologiche Naive (TPN); Lorenzini e Sassaroli, 2000). Le TPN possono
influenzare il grado di collaborazione e affidamento al trattamento e, se discrepanti con quelle proprie
del terapeuta e del suo approccio di lavoro, rischiano di compromettere la motivazione e la possibilità di
cooperazione. Proprio per questi motivi si è dimostrato sempre più importante indagare tali teorie fin dai
primi incontri del percorso terapeutico.
Lo scopo di questo lavoro è di valutare l’efficacia di due strumenti messi a punto per la
valutazione di tali teorie.
Metodo
Hanno partecipato due gruppi di 20 pazienti con diagnosi di Disturbo del Comportamento
Alimentare (DCA), ricoverate per un percorso di riabilitazione psiconutrizionale presso il Centro DCA
della Casa di Cura Privata “Villa Margherita” (Arcugnano, Vi).
I due gruppi erano confrontabili per sesso, età, durata della malattia, Indice di Massa Corporea
(IMC).
Sono state somministrate due versioni di uno stesso questionario specifico per l’analisi delle
TPN ai due gruppi all’inizio del periodo di ricovero. La prima versione del questionario consisteva di 5
domande aperte relative alla eziopatogenesi della sofferenza e allo scopo della terapia. Alle pazienti che
compilavano questa versione del questionario successivamente veniva fatto anche un colloquio di
approfondimento. La seconda versione consisteva di 4 domande a scelta multipla (scala likert a 4 punti)
sulle possibili cause della sofferenza e 10 sullo scopo della terapia.
Risultati
Dai dati raccolti tramite la prima versione del questionario emerge che le teorie relative alla
patogenesi più diffuse assegnano la responsabilità della malattia alle esperienze infantili e all'educazione
ricevuta (62%), al carattere (43%), al conflitto tra mente sana e malata (43%), a situazioni traumatiche
vissute in passato (38%), e in misura decisamente minore a fattori esistenziali (9%), a proprie colpe (9%)
e al proprio modo di pensare (5%). Per quanto riguarda le teorie della cura, cioè quello che le pazienti
ritengono possa essere lo scopo della terapia, emerge che ciò che aiuta a cambiare è il modificare le
influenze negative delle esperienze precoci e dell'educazione ricevuta (43%), insegnare il giusto modo di
affrontare le varie situazioni della vita (43%), favorire la scoperta di se stessi e dei propri desideri (43%),
elaborare i traumi del passato (24%), controllare gli impulsi (19%), cambiare il modo di pensare (14%),
rafforzare il carattere (5%) e incoraggiare (5%).
I dati raccolti utilizzando la seconda versione differenziano meno le varie cause della
sofferenza: cause esterne come educazione e situazioni difficili vissute (89%), causa interna che fa
riferimento al proprio modo di pensare (89%), carattere e genetica (67%), incertezza su quali possano
essere le cause (67%). Anche le teorie relative allo scopo della terapia si sono dimostrate poco
differenziate: cambiare idea, imparare, capire cosa voglio, ricevere sostegno (100%), scoprire i traumi
(89%), lo sfogo (67%), la comprensione (55%), il cambiamento di situazioni esterne e il risarcimento
(44%), incertezza sullo scopo della terapia (22%).
Conclusioni
Ad una prima analisi puramente descrittiva dei risultati i due strumenti non sembrano
confrontabili, inoltre dimostrano entrambi dei punti di debolezza. la prima versione si è dimostrata
estremamente soggettiva e quindi di difficile decodifica. La seconda aveva lo scopo di indirizzare
maggiormente la scelta delle pazienti all’interno di un range di possibilità più circoscritto, ma non si è
dimostrata utile per differenziare adeguatamente le scelte delle pazienti, la cui tendenza è sembrata
quella di non prendere una posizione precisa.
A nostro avviso sono necessarie alcune modifiche a queste prime versioni del questionario: 1)
mantenere una versione chiusa delle domande aumentandone però il numero di categorie, soprattutto per
quanto riguarda le TPN dell’eziopatogenesi; 2) prescrivere al paziente di eliminare prima le teorie che
ritiene false e poi assegnare un punteggio di gradualità alle rimanenti per favorirne la differenziazione.
Rimangono comunque le perplessità sull’utilizzo di un questionario autosomministrato, con il
quale c’è sempre il rischio di perdere informazioni utili, crediamo possa essere maggiormente preciso
uno strumento nella forma di intervista semistrutturata.
Riferimenti bibliografici
Lorenzini R., Sassaroli S. (2000). La mente prigioniera. Raffaello Cortina Editore, Milano.
MONITORAGGIO E SUPERVISIONE DELLA QUALITÀ EMPATICA
COME INDICATORE DI CAMBIAMENTO
NEI TRATTAMENTI CLINICI INTEGRATI
E. Spalletta, A. Iannazzo
A.S.P.I.C. – Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell’Individuo e della Comunità – Roma
Il lavoro qui presentato si inserisce nel filone di ricerca sulla relazione terapeutica, e sugli
interventi complementari di misurazione qualitativa e quantitativa del processo di cambiamento. Il
lavoro viene condotto nell’ambito dei trattamenti clinici integrati per lo studio della compatibilità
clinico-paziente come sistema di fattori connesso al successo terapeutico.
Gli scopi del progetto: dare una definizione operativa del costrutto di empatia congruente con la
misurazione proposta nel questionario; costruire e validare uno strumento sufficientemente pratico ed
agevole nella somministrazione e nella valutazione; uno strumento applicabile ed utilizzabile come
automonitoraggio a più livelli – formazione, pratica clinica, supervisione–, ottenere un monitoraggio del
processo terapeutico attraverso la rilevazione della qualità dell’empatia percepita in momenti diversi del
processo stesso; la possibilità di confermare la correlazione tra empatia percepita dal cliente e
miglioramento soggettivo espresso della condizione di disagio/disturbo.
Empatia: costrutto complesso cognitivo-emotivo-comportamentale presente a livelli di
consapevolezza diversi nel cliente e nel clinico, comprende le dimensioni della fiducia reciproca,
dell’accettazione, del calore (accoglienza, coinvolgimento) della comprensione intellettuale ed
emozionale.
La sua componente attitudinale (correlata con le esperienze di vita e la struttura di personalità,
lo stile rappresentazionale…), è soggetta solo in parte ad apprendimento
La capacità del paziente di riporre fiducia, sperare e confidare nell’abilità del terapeuta ad
aiutarlo, assume un ruolo centrale nel processo di cambiamento.
La rilevazione dell’andamento dell’empatia percepita nella relazione consente di seguirne sia i
flussi sintonizzati che le interruzioni. Le fratture dell’esperienza empatica sono ottimi indicatori dello
specifico processo di costruzione della realtà relazionale manifestato con il terapeuta e prodotto
dell’intera storia e campo relazionale del paziente. Si cerca di rilevare l’importanza della sintonizzazione
affettiva ai fini del buon esito della relazione terpeutica.
Ogni intervento terapeutico, strategico, procedurale e tecnico ha un impatto sulla qualità
dell’esperienza empatica, fortemente determinato dai significati idiosincratici che quell’intervento
riveste per quel particolare paziente in quel particolare momento della sua vita. Al tempo stesso, secondo
un circuito di autorinforzo, la qualità esperita dell’intervento dipenderà dalla preesistente
solidità/profondità del rapporto empatico.
Metodologia
Prima fase: costruzione della scala di valutazione dell’empatia, somministrazione di sondaggio
sull’applicabilità dello strumento, ad un campione di 30 psicoterapeuti nella fase conclusiva (secondo
biennio) della loro formazione all’interno dell’A.S.P.I.C.
La scelta di uno strumento self report è supportata: dalla facilità di somministrazione e dalla
rilevanza che la percezione soggettiva dell’esperienza ha nell’orientare la qualità stessa dell’esperienza
relazionale.
Seconda fase: selezione deI un campione di 100 psicoterapeuti di diverse provenienze
formative e anzianità di esperienza, sensibilizzazione alla partecipazione al progetto. I risultati
serviranno per validare e standardizzare lo strumento.
Terza fase: selezione deI un campione di 100 psicoterapeuti di diverse provenienze formative e
anzianità di esperienza, sensibilizzazione alla partecipazione al progetto, consegna del materiale da
utilizzare per la valutazione (le due scale di valutazione, una per il terapeuta una per il cliente, il
questionario di Lambert e Burlingame sugli esiti e le consegne necessarie per partecipare al lavoro).
Strumenti di analisi:
La scala di valutazione dell’empatia.
La correlazione con gli esiti del trattamento.
Metodologia
L’Analisi Fattoriale e l’Analisi degli Item serviranno per la valutazione degli item stessi ai fini
della loro selezione ed introduzione nel test. Il test sarà poi messo in correlazione con altri strumenti che
valutano l’empatia.
L’ultima fase consiste nella correlazione tra i risultati ottenuti con questo strumento e quelli
ottenuti al questionario di Lambert e Burlingame sugli esiti della psicoterapia.
Conclusioni
Il tentativo di integrazione tra ricerca empirica, pratica clinica e riflessione teorica ci
auspichiamo possa dare un apporto costruttivo alla delineazione di protocolli di intervento flessibili
rispetto alle differenze e al tempo stesso rigorosi nella specificità dell’applicazione.
Riferimenti bibliografici
Burns D.D. Nolen-Hoeksema S. (1992), Therapeutic empathy and recovery from depression in
cognitive-behavioral therapy: a structural equation model, Journal of Counsulting and
Clinical Psychology, 60.
Dazzi N. e De Coro (2001), Psicologia dinamica. Le teorie cliniche, Editori Laterza, Bari.
Giusti E., Locatelli M. (2000), L’empatia integrata, Sovera, Roma.
Giusti E., Montanari C. e Iannazzo A. (2000), Psicoterapie integrate. Piani di trattamento per
psicoterapeuti, Masson, Milano.
Giusti E., Montanari C. e Spalletta E. (2000), La supervisione clinica integrata, Masson, Milano.
Greenberg L.S., Watson J.C. e Lietaer G. (2000), Manuale di psicoterapia esperienziale, Sovera,
Roma.
Lambert M.J. e Burlingame C. (1996), The assessment in psychotherapy outcome, Wiley, New
York.
McLeod J. (2001), Qualitative research in counselling and psychoterapy, Sage, London.
Safran J. D., Muran C.J. (1998), L’alleanza in psicoterapia a breve termine, ASPIC Edizioni
Scientifiche, Roma.
Snyder C.R. (1999), Handbook of hope, Academic Press, San Diego.
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RELAZIONE TRA DIMENSIONI DELL’ATTACCAMENTO E TRATTI DI PERSONALITÀ
E. Di Nasso, F. Ferrero, L. Giorgi, A. Marchino, C. Albasi
Facoltà di Psicologia. Università di Torino
L’obiettivo della ricerca è valutare se gli orientamenti soggettivi nei confronti delle relazioni
interpersonali, inerenti agli stili di attaccamento, siano associati a propensioni tipiche a sviluppare
sintomatologie note (Pianta, Egeland & Adam, 1996). Nell’eventualità di uno scompenso
psicopatologico, il rapporto finalizzato a offrire aiuto alla persona sofferente è mediato dai suoi modelli
operativi interni, costituiti da rappresentazioni organizzate attorno alle aspettative di risposta da parte
delle figure di accudimento, e che si attivano specialmente in situazioni di ansia o bisogno.
È stata somministrata una batteria di test che comprende l'Adult Attachment Questionnaire
(AAQ; Hazan & Shaver, 1987), l’Attachment Style Questionaire (ASQ; Feeney et. all., 1994), il Metodo
dei Prototipi e delle Variazioni (PVM; Seganti, 1995) e il Minnesota Multiphasic Personality
Inventory-2 (MMPI-2 Hathaway & McKinley, 1989).
L’ipotesi è che i soggetti che si differenziano per modello operativo interno, siano diversi nei
tratti di personalità rilevati attraverso il MMPI-2.
Il campione di 115 soggetti non clinici è così costituito: 56 uomini (età media 35,4 anni) e 59
donne (età media 34,2 anni).
L’analisi statistica dei dati è stata effettuata attraverso l’ANOVA univariata e la correlazione di
Pearson a due code. È possibile, attraverso la differenza tra medie, distinguere gli stili di attaccamento
espressi all’AAQ attraverso alcune scale dell’MMPI-2: nella scala F l’ansioso ha punteggi più alti del
sicuro (7,75, p  0,05); nella scala Si l’ansioso ha punteggi molto più alti del sicuro (13,47, p  0,01),
l’evitante ha punteggi più bassi dell’ansioso (-9,55, p  0,05); nella scala DEP l’ansioso ha punteggi più
alti del sicuro (8,55, p  0,05); nella scala ANG l’evitante ha punteggi più alti del sicuro (8,97, p  0,05).
Le scale del MMPI-2 in questione sono le stesse che differenziano i fattori del ASQ; questo dato
concorda con la distinzione operata da Feeney et all. (1994) per cui il fattore Disagio per l'intimità viene
associato all'attaccamento evitante nell'AAQ, la Preoccupazione per le relazioni all'attaccamento ansioso
e il fattore Fiducia all’attaccamento sicuro. Le correlazioni con il MMPI-2 che interessano la dimensione
Fiducia sono tutte inverse (F r = -0,270, p < 0,01; D r = -0,218, p < 0,05; Pd r = -0,212, p < 0,05; Pt r =
-0,218, p < 0,05; Sc r = -0,271, p < 0,01; Ma r = -0,208, p < 0,05; Si r = -0,265, p < 0,01; HEA r = -0,216,
p < 0,05; SOD r = -0,317, p < 0,01; FAM r = -0,297, p < 0,01; VRIN r = -0,273, p < 0,01; MDS r =
-0,337, p < 0,01): se si tende a vivere le relazioni intime con sicurezza si tende a non sviluppare
dimensioni comportamentali sintomatiche. La tendenza a ottenere punteggi crescenti ai fattori
Secondarietà delle relazioni e Disagio per l’intimità è associata alla tendenza ad avere atteggiamenti
negativi verso gli altri (Si r = 0,342, p < 0,01; ANG r = 0,306, p < 0,01; O-H r = -0,240, p < 0,01) nel
tentativo di tenerli a distanza; interessante il valore che segnala la tendenza a presentare ansia (ANX r =
0,190, p < 0,05). I modelli operativi di tipo evitante darebbero luogo allo sviluppo di difese di tipo
prevalentemente proiettivo e di patologie incentrate sulla preoccupazione per il sé (disturbi del
comportamento e malattie psicosomatiche). La tendenza ad avere alte le scale Preoccupazione per le
relazioni e Bisogno di approvazione è in relazione al manifestare una conflittualità che spinge da una
parte a ricercare la vicinanza e il contatto interpersonale e dall’altra parte a temerli (Si r = 0,388, p < 0,01;
FAM r = 0,195, p < 0,05; WRK r = 0,310, p < 0,01; MDS r = 0,257, p < 0,01), con espressione di
sentimenti di inadeguatezza (LSE r = 0,4, p < 0,01) e disagio sociale (SOD r = 0,190, p < 0,05). Questi
sarebbero soggetti introversi ma preoccupati per le relazioni e che manifestano ansia e depressione
(ANX r = 0,268, p < 0,01; DEP r = 0,446, p < 0,01). Questi modelli operativi interni di tipo ansioso
favorirebbero lo sviluppo di difese di tipo introiettivo (negazione) e di patologie incentrate sulla
preoccupazione per l’oggetto (depressione).
La valutazione degli indicatori di difficoltà di trattamento (TRT) che emergono in casi di
attaccamento insicuro (Bisogno di approvazione r = 0,280, p < 0,01; Disagio per l’intimità r = 0,424, p <
0,01), così come gli altri dati offerti dall’MMPI-2 possono essere illuminati in modo interessante
attraverso l’analisi dei nostri risultati, favorendo un approccio alle modalità difensive (di tipo evitante
oppure ansioso) mese in atto nella relazione interpersonale, compresa quella di una eventuale presa in
carico clinica.
I confronti con le misure risultanti dal PVM, che verranno presentate, permettono di
approfondire ulteriormente la comprensione dei dati.
Riferimenti bibliografici
Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the
conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.),
Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press.
Hazan, C., & Shaver, P. R. (1987). Romantic love conceptualized as an attachment process.
Journal of Personality and Social Psychology, 52, 511-524.
Pianta R.C., Egeland B., Adam E.K. (1996). Adult Attachment Classification and Self-reported
Psychiatric Symptomatology as Assessed by the MMPI-2. Journal of Consulting and
Clinical Psychology, Vol. 64, No. 2, 273-281.
Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni. Torino: Bollati Boringhieri.
Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J.
Psycho-Anal, 81, 255-375.
STILI DI ATTACCAMENTO E MODELLI OPERATIVI INTERNI
IN UNA POPOLAZIONE DI TOSSICODIPENDENTI IN TRATTAMENTO
A. Boetti *, C. Albasi *, A. Granirei *, C. Girardengo °
* Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Torino;
° Sert.T ASL 20, Alessandria
Introduzione
Nella ricerca si è cercato di approfondire la comprensione della relazione, segnalata in
letteratura, tra stile d’attaccamento insicuro e Disturbo da uso di sostanze psicoattive (Mascetti, 1999;
Ammaniti, 1997; Viziello, 1997). Questi autori forniscono una spiegazione legata alla disfunzione dei
sistemi regolativi, compreso il sistema dell’attaccamento, come causa eziopatogenetica del sintomo
tossicomanico.
Campione
Il campione è costituito da 40 tossicodipendenti in trattamento ambulatoriale, di cui 28 maschi e
12 femmine; 26 soggetti fanno uso di eroina, 14 abusano di altre sostanze psicoattive. Il più giovane
aveva 21 anni, il più anziano ne aveva 61 (l’età media è di 33 anni, la mediana di 29).
Tale gruppo è stato confrontato con uno di controllo, formato da 115 soggetti che non hanno
mai avuto una dipendenza da sostanze psicoattive, di cui 57 maschi e 58 femmine (l’età media è di 35
anni, la mediana è di 29).
Strumenti e metodo
Ai soggetti esaminati sono stati somministrati:
- l’Adult Attachment Questionnaire (AAQ) di Hazan e Shaver (1987), che permette una scelta
nominale dello stile di attaccamento attraverso un’autoclassificazione del soggetto.
- l’Attachment Style Questionnaire (ASQ) di Feeney e coll. (1994), che fornisce una
valutazione dimensionale dell’attaccamento. Attraverso questo metodo i soggetti si situano lungo una o
più dimensioni continue e indipendenti l’una dall’altra.
- PVM (Metodo dei prototipi e delle variazioni) di Seganti (1995a), che ci consente un’analisi
delle immagini prototipiche di sé e dell’altro attraverso lo studio dello stile linguistico adottato dal
soggetto. In particolare si studiano le narrazioni degli episodi peggiore e migliore della vita per come
queste vengano organizzate a partire dai verbi di performance o di stato, positivi o negativi, attribuiti al
soggetto o all’oggetto (Seganti, 1995b).
Risultati
La distribuzione delle scelte nominali all’AAQ evidenzia come questi soggetti si riconoscano
nella descrizione dello stile d’attaccamento Insicuro (75%), con una prevalenza dello stile Evitante
(52,5% evitante e 25% ansioso). Tali percentuali differiscono considerevolmente rispetto a quelle del
campione di controllo (67,5% Sicuri, 25,4% Evitanti, 7% Ansiosi) e ai dati riferiti da Hazan e Shaver
(55% Sicuri 25% Evitanti 20% Ansiosi) (cfr. Carli, 1995).
I risultati all’ASQ hanno permesso di confrontare nei diversi campioni della ricerca i fattori che
si associano all’autoclassificazione effettuata all’AAQ. I soggetti tossicodipendenti hanno ottenuto un
basso punteggio nella scala di Fiducia (24,6) rispetto al gruppo di controllo (33,4; p<.005), un alto
punteggio nella scala di Disagio per l’intimità (37,3 tossicod., 26,8 gruppo di controllo; p<.005) e un alto
punteggio nella scala Bisogno d’approvazione (23,8 tossicod., 16,5 gruppo di controllo; p<.0005). Il
punteggio nella scala Secondarietà delle relazioni è invece più basso (17,7 tossicod., 27,9 gruppo di
controllo; p<.005).
Per quanto riguarda il PVM il dato più significativo è la percentuale molto più alta nel gruppo di
tossicodipendenti relativa agli Stati del Soggetto (50,65) rispetto al campione di controllo (40,8)
(p<.017). Tale dato è determinato soprattutto dalla presenza nell’episodio peggiore di una forte
centratura sugli Stati positivi del soggetto (tossicod. 18,6, gruppo di controllo12,2; p<.001) .
Nell’episodio migliore permane una tendenza analoga (tossicodip. 22,4, gruppo di controllo 17,9). I
tossicodipendenti tendono inoltre ad essere meno performativi rispetto al gruppo di controllo (tossicod.
77,8, gruppo di controllo 81,6). Il gruppo dei tossicodipendenti ha inoltre ottenuto punteggi di
performance simili in entrambi gli episodi (peggiore e migliore).
Conclusioni
L’alta percentuale di soggetti appartenenti alla categoria evitante sembra caratterizzare
fortemente la distribuzione dell’AAQ, che evidenzia come questi soggetti si descrivano come persone
che vivono le relazioni intime in maniera conflittuale ed utilizzino prevalentemente una modalità
distanziante di rapportarsi agli altri. Il dato è confermato dai punteggi ottenuti nelle scale Disagio per
l’intimità e Fiducia dell’ASQ. Si configura una conflittualità legata alle relazioni interpersonali: da una
parte il bisogno dell’altro come fonte di validazione del Sé (cfr. i punteggi alti in Bisogno
d’approvazione) dall’altra la necessità di mantenerlo distante per la paura dell’intimità. La strategia
difensiva che il PVM permette di ipotizzare in questi soggetti è la tendenza a organizzare il mondo
interno sulla preoccupazione intensa verso i propri stati positivi, di benessere e di autosufficienza, forse
concepita come possibile via d’uscita dalla sofferenza, o motivata dalla sfiducia che i propri stati interni
possano essere correttamente interpretati dagli altri.
Questa percezione di sé e dell’oggetto sembra persistere anche in condizioni meno stressanti
(stabilità dei valori di performance) a dimostrazione della scarsa attitudine del tossicomane a
rappresentarsi la relazione interpersonale come fonte di regolazione dei propri stati interni. Questi
risultati sono a sostegno dell’ipotesi (Ammaniti, 1997) che la sostanza possa assumere una funzione
“pseudoregolativa”, in quanto consente di amplificare il controllo su di sé concentrando l’attenzione su
un oggetto materiale che ha la capacità di modificare lo stato psichico del soggetto e di sedare l’ansia
senza mediazione oggettuale, in una sorta di idealizzata pretesa di autosufficienza.
Riferimenti bibliografici
Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Ammaniti, M. (1997). Attaccamento e sistemi regolativi nelle tossicodipendenze. In Fava
Vizziello, G., Stocco, P. (1997). Tra genitori e figli la tossicodipendenza. Milano: Masson.
Fava Vizziello, G., Leo, M.G., Simonelli, A. (1998). Il destino delle madri, la tossicodipendenza
dei figli. In Fava Vizziello, G., Stocco, P. (a cura di) (1998). Tra genitori e figli la
tossicodipendenza. Milano: Masson.
Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the
conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.),
Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press.
Hazan, C., Shaver, P.R. (1987). Romantic love conceptualised as an attachment process. In Journal
of personality and Social Psycology, 52 (3), 511-524. Tr. It. In Carli (1995), 91-126.
Mascetti, W. (1999). Legame genitoriale e tossicodipendenza. In Itaca Italia, 7, 79-89.
Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni. Torino, Bollati Boringhieri.
Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J.
Psycho-Anal, 81, 255-375.
ANALISI DELLO STATO DELLA MENTE RISPETTO ALL’ATTACCAMENTO,
INDAGATO CON L’ADULT ATTACHMENT INTERVIEW, IN DONNE CON AGORAFOBIA
E NEI LORO MARITI: UNO STUDIO PILOTA
G. Caviglia*; E. Del Castello °; B. Fiocco *
* Dipartimento di Psicologia, II Univ. Studi di Napoli
° Dipartimento di Salute Mentale, ASL CE 2
Introduzione
La teoria dell’attaccamento ha rivolto grande attenzione all’ agorafobia ed ai meccanismi
relazionali dei soggetti agorafobici. L’interesse per questa psicopatologia è stimolato, da un lato, dalla
fenomenologia sintomatica, direttamente collegabile al concetto di sistema motivazionale di
attaccamento-esplorazione, e dall’altro, dalle particolari modalità relazionali assunte da questi soggetti
in relazione alle figure di attaccamento sia passate che attuali.
Bowlby (1973, pp. 334-356) ipotizzò che i pazienti sofferenti di agorafobia avessero strutturato,
a partire da “modelli patogeni di interazione familiare”, una modalità di attaccamento insicuro-ansioso.
Liotti (1995) approfondisce l’idea di Bowlby e ipotizza che gli agorafobici abbiano sviluppato, durante
l’infanzia o nel periodo prescolare, schemi emotivi correlati ai processi interpersonali di attaccamento
insicuro-ansioso, e che questi schemi siano rimasti scollegati dalle strutture preposizionali di conoscenza
del sé. Lo schema di sé che caratterizza l’organizzazione cognitiva degli agorafobici, deriva da un
atteggiamento di ipercontrollo delle proprie emozioni e comportamenti. Tale autocontrollo tende a
divenire disfunzionale e ad ostacolare lo sviluppo della conoscenza del sé e dell’altro. Difatti, di fronte a
minacce che implicano l’attivazione del sistema di attaccamento, tali schemi del sé hanno difficoltà ad
attribuire significato alle proprie reazioni, che rimangono così scisse dalla conoscenza adulta del Sè.
I meccanismi relazionali di questi soggetti al livello della coppia sono stati studiati da Ugazio
(1991) che descrive il “valore manipolativo” del sintomo fobico nella dinamica coniugale. L’autrice
individua due modelli di organizzazione relazionale di coppie nelle quali uno dei membri sviluppa una
sintomatologia fobica: in entrambi questi modelli, il sintomo fobico sembra svolgere una “funzione di
calibrazione” in una situazione complementare. L’autrice ipotizza inoltre una patologia complementare
o analoga nel coniuge.
Ipotesi
A partire da queste ipotesi, abbiamo raccolto materiale clinico studiando alcune coppie in cui la
moglie presenta il disturbo agorafobico, con lo scopo di analizzare lo stile di attaccamento dei soggetti e
la relazione tra i patterns di attaccamento presentati.
Lo studio mira a verificare l’ipotesi della presenza di uno stato della mente relativo
all’attaccamento classificabile come “Insicuro” nelle pazienti con patologia agorafobica. Inoltre, vuole
cercare delle correlazioni con lo stato della mente relativo all’attaccamento, nei loro partner.
Materiali e metodo
Il campione è costituito da 18 soggetti, sposati tra di loro. Le mogli, di età compresa tra i 27 e i
55 anni (X=42), sono tutte diplomate. Otto donne tra queste presentano il disturbo di Agorafobia con
Attacchi di Panico; la nona, di Agorafobia senza Attacchi di Panico. I mariti, di età compresa tra i 32 e i
64 anni (X=45), non presentano psicopatologie conclamate o di rilievo. Sono tutti diplomati, tranne uno,
che è laureato; svolgono tutti un lavoro, tranne un soggetto che è in pensione. Tra i mariti, due hanno
effettuato nel passato un trattamento psicoterapeutico, gli altri sette non hanno mai effettuato alcun
trattamento. Tutte le donne sono in psicoterapia, una di loro ha frequentato una trattamento
psicoterapeutico breve, e altre due hanno alle loro spalle più di un esperienza di psicoterapia.
La diagnosi è stata effettuata mediante i criteri del DSM IV (1996). Lo strumento utilizzato
nella ricerca per misurare lo stato attuale della mente rispetto all’attaccamento è l’Adult Attachment
Interview (Main, Goldwyn, 1985), somministrata a tutti i soggetti.
I dati ottenuti vengono discussi attraverso un’analisi qualitativa, in relazione alle codifiche della
A.A.I. Inoltre, la distribuzione ottenuta viene correlata, mediante statistica descrittiva, con quelle
ottenute da van IJzendoorn e Bakermans-Kranenburg (1996), rilevati da una vasta meta-analisi.
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (1996), Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders,
ed. IV, American Psychiatric Association, Washington D. C. [Trad. It.: DSM IV, Manuale
diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano].
Bowlby J. (1973), Attachment and loss, Vol. 2: Separation, Basic Books, New York. [Trad. It.:
Attaccamento e perdita. Vol. 2: La separazione dalla madre. Boringhieri, Torino,1975].
Liotti G. (1995), Attaccamento insicuro e agorafobia, in: Parkes C.M., Stevenson-Hinde J., Marris
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Main M., Goldwyn R. (1985), An adult classification and rating system, Manoscritto non
pubblicato, versione 6.3, 1998.
Ugazio V. (1991), La costruzione relazionale dell’organizzazione fobica, in: Malagoli Togliatti
M., Telfner U., Dall’individuo al sistema, Bollati Boringhieri, Torino.
van IJzendoorn, M.H.
Bakermans-Kranenburg, M.J. (1996), Attachment representations in
mothers, fathers, adolescents, and clinical groups: a meta-analytic search for normative
data, Journal of Consulting and Clinical Psychology, vol. 64, n. 1, 8-21.
STUDIO DELLO STILE DI ATTACCAMENTO
IN GENITORI DI PAZIENTI PSICHIATRICI
C. Albasi, A. Granieri, A. Seganti, M. Zuffranieri
Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Torino
Introduzione
Gli stili di attaccamento e i modelli linguistici di organizzazione dell’esperienza relazionale dei
genitori costituiscono il tessuto ambientale entro il quale il figlio apprende ad attribuire un senso a se
stesso e alla realtà.
La ricerca si occupa degli stili di attaccamento e degli stili difensivi in coppie di genitori di figli
con severe diagnosi psichiatriche (Disturbi schizofrenici e Disturbo Borderline di Personalità). Partendo
dalla considerazione che il rapporto di coppia possa essere considerato come una riedizione nell’adulto
dei legami di attaccamento infantile (Carli, 1995), studiamo il modello operativo interno e gli stili di
attaccamento dei genitori, anche attraverso i loro stili linguistici (Seganti, 1995a).
Campione
I campioni presi in esame sono così costituiti: 40 coppie di genitori conviventi (80 soggetti in
età compresa tra 40 e 71 anni), con figli di età compresa tra 18 e 30 anni in carico presso i servizi
psichiatrici dell'ASL 3 di Torino; 30 coppie di genitori conviventi (60 soggetti in età compresa tra 40 e
60 anni), con figli di età compresa tra 18 e 30 anni, che non abbiano mai avuto contatti con servizi
psichiatrici.
Strumenti
Gli strumenti utilizzati sono stati il PVM (Metodo dei prototipi e delle variazioni) di Seganti
(1995a, 1995b), che ci consente un’analisi delle immagini prototipiche di sé e dell’altro attraverso lo
studio delle connessioni affettive soggetto - oggetto quantitativamente rilevate nelle narrazioni degli
episodi peggiore e migliore della vita, in base a come queste vengano organizzate a partire dai verbi di
performance o di stato, positivi o negativi, attribuiti al soggetto o all’oggetto; l’Adult Attachment
Questionnaire (AAQ) di Hazan e Shaver (1987), che richiede ai soggetti l’autoclassificazione in uno dei
tre stili di attaccamento (Sicuro, Evitante, Ansioso/ambivalente). L’Attachment Style Questionnaire
(ASQ) di Feeney e coll. (1994), che fornisce un profilo a 5 dimensioni (Fiducia, Disagio per l’intimità,
Secondarietà delle relazioni, Bisogno di approvazione, Preoccupazione per le relazioni) dello stile di
attaccamento.
Risultati
I risultati emersi dall'AAQ di Hazan e Shaver sono stati studiati per coppie di genitori. Abbiamo
considerato le categorie Evitante e Ansioso come un’unica classe di attaccamento Insicuro e costruito
una tipologia di coppia. I quattro tipi di coppia risultanti (entrambi Sicuri, entrambi Insicuri, padre
Sicuro e madre Insicura, madre Sicura e padre Insicuro) hanno una distribuzione differente nei due
campioni. Nel campione di genitori dei pazienti psichiatrici le coppie in cui entrambi i partner si
classificano come soggetti Insicuri sono il 20 % contro il 6,7 % delle coppie nel campione di genitori di
figli sani. Le coppie in cui entrambi i genitori di pazienti sono Sicuri costituiscono il 47,5 % del
campione di genitori di pazienti contro il 60 % dell’altro campione.
I risultati ottenuti dalla somministrazione dell'ASQ evidenziamo come i due gruppi hanno
medie che si differenziano significativamente in quattro fattori su cinque, e i genitori di pazienti abbiano
punteggi significativamente più bassi dei genitori di figli sani nella dimensione Fiducia (p = 0,031) e più
alti in tre delle dimensioni associate all'attaccamento Insicuro. Le correlazioni tra i padri e le madri nelle
cinque scale dell'ASQ sono differenti nei due campioni e in alcuni casi appaiono interessanti.
Lo studio delle narrazioni degli episodi della vita mette in evidenza che i genitori di figli con
patologia psichiatrica parlano nei loro racconti in modo molto più espressivo (con significatività
statistica per l’episodio migliore) dello stato positivo dell’Oggetto rispetto ai genitori di figli non
patologici, e in special modo le madri parlano meno dei propri stati di malessere. Il risultato che mostra
la correlazione nell’episodio migliore tra le performance attribuite al soggetto per le madri e all'oggetto
per i padri (r = 0,463; p = 0,003) viene confrontato con i risultati dell'ASQ.
Conclusioni
L’Insicurezza nell’attaccamento delle coppie di genitori di pazienti psichiatrici (messa in
evidenza dai risultati dell’AAQ) viene meglio compresa grazie alle dimensioni che l’ASQ ci indica
come significativamente diverse: questi genitori hanno in particolar modo una scarsa fiducia nelle
relazioni, che vengono considerate secondarie ma in modo conflittuale, dato che contemporaneamente è
importante il bisogno che hanno degli altri come fonte di validazione del sé. La comprensione di questa
conflittualità viene approfondita dall’analisi delle narrazioni, che mostrano come i genitori dei pazienti soprattutto le madri - parlano in generale molto più espressivamente degli Oggetti idealizzandoli
difensivamente e dimostrando una scarsa attitudine a rappresentare le forme interattive di legame di
influenza reciproca.
Riferimenti bibliografici
Carli, L. (1995). Attaccamento e rapporto di coppia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Feeney, J. A., Noller, P., & Hanrahan, M. (1994). Assessing adult attachment: developments in the
conceptualisation of security and insecurity. In M. B. Sperling, W. H. Berman (Eds.),
Attachment in Adults: Theory Assessment and Treatment. New York: Guilford Press.
Hazan, C., & Shaver, P. R. (1987). Romantic love conceptualized as an attachment process.
Journal of Personality and Social Psychology, 52, 511-524..
Seganti, A. (1995 a). La memoria sensoriale delle relazioni, Torino, Bollati Boringhieri.
Seganti, A. (1995 b). From 62 interviews of the worst and best episode of your life, in Int. J.
Psycho-Anal, 81, 255-375.
METAFORE CONCETTUALI
E MODELLI OPERATIVI INTERNI NELL’ORGANIZZAZIONE
DEL SISTEMA CONCETTUALE
O. Gelo
La linguistica cognitiva considera la metafora una questione concettuale prima ancora che
linguistica. La metafora permette di organizzare in modo coerente alcuni domini di esperienza nei
termini di altri attraverso meccanismi inconsci subsimbolici di natura tacita ed analogica (proiezione
metaforica tra differenti domini di esperienza). E’ dunque parte essenziale della strutturazione del nostro
sistema concettuale. Abbiamo valutato l’organizzazione metaforica del concetto di Amicizia in parlanti
lingua italiana. Abbiamo osservato che questi ultimi, per organizzare parte della loro conoscenza relativa
all’amicizia, utilizzano le medesime metafore concettuali che vengono utilizzate dai parlanti lingua
inglese. Inoltre abbiamo evidenziato che la conoscenza metaforica dell’amicizia è organizzata
prototipicamente, è cioè caratterizzata dalla maggior o minor centralità degli elementi che vi
appartengono, e non dal fatto di possedere o meno caratteristiche necessarie e sufficienti tipiche di quella
determinata categoria. Inoltre, secondo obbiettivo della presente ricerca è stato quello di valutare se
soggetti con diversi modelli operativi interni come concepiti da Bowlby presentassero differenti
metafore concettuali relative all’amicizia od una loro differente organizzazione. L’importanza che
meccanismi di natura tacita ed analogica rivestono sia nello sviluppo del sistema concettuale metaforico
che nell’articolazione dei diversi modelli operativi interni di un individuo giustificava tale ipotesi. I dati
ottenuti hanno disconfermato tale ipotesi e suggerito da una parte il fatto che soggetti con modelli
operativi interni diversi condividano le medesime metafore concettuali qui considerate per il fatto che
queste sono così diffuse socioculturalmente e psicologicamente da non risentire di differenze individuali
misurate con gli strumenti utilizzati nella presente ricerca. D’altra parte ha reso auspicabile l’utilizzo in
futuro di strumenti e metodologie più raffinate per cogliere differenze più sottili nei costrutti misurati.
Come terzo ed ultimo obbiettivo la presente ricerca ha implicitamamente dimostrato l’utilità e la
necessità di un approccio quantitativo allo studio delle metafore concettuali, suggerendo nella
costruzione di scale di misurazione un valido punto di partenza per sondarne l’organizzazione interna ed
il differente utilizzo da parte di diversi soggetti.
INDICE ANALITICO DEGLI AUTORI
Albasi C., 3
Andreassi S.,
Apparigliato M.,
Ardito R. B.,
Auletta B.,
Azzone P., 2
Bara B. G.,
Barone L.,
Bateni M., 2
Bertelli S.,
Boetti A.,
Bosco F.,
Caciolo M.,
Calcioli A.,
Calloni S.,
Calvo V.,
Camarda P.,
Candilera G.,
Cangiano A.,
Cantelmi T.,
Capobianco V.,
Cappellacci T.,
Carcione A., 3
Cascioli A.,
Castelli P.,
Castelli P.,
Caviglia G.,
Caviglia M. L., 1
Centenero E.,
Cianconi P.,
Ciaravella M. A., 2
Cieri L.,
Ciuna A.,
Coco E.,
Colatosti S.,
Collaro S.,
Colle L.,
Colli A.,
Comazzi D.,
Conti L., 3
Conversano P.,
Cossa M., 2
Costiero L.,
Cotugno A., 2
Cuffaro M.,
D’Antuono S.,
D’Olimpio F.,
Dazzi N., 2
De Bonis C.,
De Colle C.,
De Coro A.,
De Leonardis M.,
Del Castello E.,
Di Blasi M., 2
Di Nasso E.,
Di Nuovo S.,
Di Vita A. M.,
Didonna F.,
Dimaggio G., 3
Drogo G. M. L.,
Fahmy Y.,
Falcone M.,
Fava E., 5
Ferrari A., 2
Ferrero A., 2
Filippi B.,
Filippucci L.,
Fiocco B.,
Fiore D., 2
Framba R.,
Freni S., 2
Fusco E., 2
Galli G.,
Gangemi A., 2
Garro M.,
Gatta S.,
Gatti M.,
Gelo O.,
Gelsomino S.,
Giannone F., 2
Giordano C.,
Giorgi L.,
Girardengo C.,
Giussani S.,
Gragnani A.,
Granatella V.,
Granirei A., 2
Grassi R.,
Grimaldi L.,
Iannazzo A.,
La Pia S.,
Lalla C.,
Lelli F.,
Levi D.,
Lingiardi V., 3
Lis A.,
Lissandron S.,
Lo Coco G.,
Longoni D.,
Lorenzini R.,
Maffei C.,
Maggiolini A., 2
Manaresi F., 2
Mancini F., 4
Mancioppi S., 2
Marchino A.,
Masserini C., 4
Mazzeschi C.,
Mazzucchelli A.,
Mazzucchelli A.,
Mellace A.,
Merenda A.,
Miano P.,
Mineo R.,
Minniti A.,
Mongelli E.,
Morandi C.,
Morganti G., 2
Morosini P.,
Nicolò G., 4
Nobile S.,
Noseda F.,
Olivieri M.,
Ortu F., 3
Osimo F., 2
Ostuzzi R.,
Pardey A.,
Pastori M.,
Pazzagli C., 2
Pecoraia R.,
Petrilli D., 2
Piccione G.,
Pinto A., 3
Piscicelli S., 2
Pizzuti S. G.,
Plastino V.,
Podio C.,
Pogliani G.,
Polidori G.,
Pontalti C.,
Pontalti I.,
Popolo R.,
Porcari F.,
Procacci M., 4
Provantini K.,
Pruneri C., 2
Prunetti E.,
Putti S.,
Re L.,
Rigante L.,
Riportela A.,
Riva E.,
Rodini C.,
Rossi B.,
Ruggiero G. M., 4
Salcuni S.,
Salerno A.,
Saottini C.,
Sarno L.,
Sassaroli S., 4
Sciuto M.,
Scrimali T.,
Seganti A.,
Semerari A., 3
Shembeleva E. A.,
Spalletta E.,
Speranza A. M.,
Tagini A.,
Tirassa M.,
Trionfi C., 2
Vandoni C.,
Veglia F.,
Venuti P.,
Verrastro V.,
Viganò D., 2
Vinci G.,
Williams R.,
Zappa L.,
Zennaro A.,
Zordan P.,
Zuffranieri M.,