Dispensa n. 4 - Facoltà di Scienze Politiche

Laurea specialistica 57S
Programmazione e gestione delle politiche dei servizi sociali
DIRITTO AMMINISTRATIVO
DISPENSA TRATTA DALLA REGISTRAZIONE DELLA
QUARTA LEZIONE
Il testo ha i pregi ed i difetti di una trascrizione dall’oralità.
Lo Stato di diritto e l’illecito legislativo
I principi dello Stato di diritto – quando esiste una costituzione rigida – si applicano anche al
legislatore, imponendogli di rispettare la gerarchia tre legge ordinaria e costituzionale. Ciò ha dato
luogo alla teoria dell’illecito legislativo, sulla quale torneremo in prossime lezioni, ma che oggi
possiamo accennare.
Schema di questo argomento
ILLECITO LEGISLATIVO. Presupposto: Costituzione rigida e violazione della Costituzione da parte del
legislatore ordinario. A) DANNO DERIVATO DIRETTAMENTE DALLA LEGGE
INCOSTITUZIONALE E B) DANNO DERIVATO DA ATTI AMMINISTRATIVI DI
ESECUZIONE.
A) = I.L. IN SENSO STRETTO = esclusa ogni responsabilità se non ne esistono i presupposti in genere =
specialità del danno, cioè non si risarciscono i danni ad ampia diffusione. Non risarcibili i
condizionamenti delle scelte private (es. incentivazioni): il cittadino ha l’onere di interpretare il
diritto oggettivo e disattendere le leggi incost. Idem nelle leggi che regolano rapporti fra privati. In
molti casi può avere però interesse ad una pronunzia giurisdizionale di accertamento, individuando
un contraddittore pubblico o privato, interessato alla legge (al limite, la Presidenza del Consiglio,
arg. ex art. 20 L. 11.3.1953, n. 87: è il presidente del Consiglio che difende le leggi innanzi alla C.
Cost. Adde: il Pres. del Consiglio è il titolare dell’indirizzo politico).
B) ILLECITO LEGISLATIVO IN SENSO LATO. Problemi sistematici: tesi prevalente: le leggi
incostituzionali sono escutorie nei confronti della P.A. (ESPOSITO), che non ha nessun potere di
sollevare questioni di costituzionalità, né di disapplicare leggi di cui dubiti la legittimità: quindi
devono essere eseguite e per questo l’illecito si può chiamare legislativo. Però non vi sono ragioni
per escludere dalla specifica P.A. l’onere sostanziale e processuale della riparazione. Per gli enti
diversi dallo Stato si pone un problema di rimborso da parte dello Stato (o della Regione, se la
legge incostituzionale era della Regione) dei danni pagati ai privati.
Quindi, nell’ipotesi B, se un atto amministrativo è fondato su di una legge incostituzionale ed è
corretto rispetto ad essa, si dovrebbe dire che è inutile fare ricorso contro l’atto perché l'atto è
comunque legittimo; né si può dire alcunché contro chi ha emesso l'atto; tuttavia il cittadino ha diritto
di tutelarsi. La situazione è ingarbugliata, ma il cittadino, secondo nostro ordinamento, si deve rivolgere
comunque a chi ha emesso l'atto cioè chiamare in causa l'amministrazione che ha emesso l'atto.
Davanti a chi deve chiamarla? Davanti a quale giudice? Perché il problema è innanzitutto se si
deve rivolgere al tribunale amministrativo regionale o al giudice ordinario. E già questa è una questione
abbastanza complessa. Poi però nel rivolgersi a questo giudice dovrà dire fin dalle prime righe della
sua azione giudiziaria che non sta contestando l'atto rispetto alla legge ma sta contestando la legge
rispetto alla costituzione; quindi chiede al giudice di sollevare la questione incidentale di
incostituzionalità davanti alla corte costituzionale.
A quale giudice si rivolge chiedendo l’incidente di costituzionalità? La risposta va data nella
prospettiva di quella che potrebbe essere la pronunzia della Corte Costituzionale. Se si tratta di una
legge attributiva di potere abbiamo visto prima che i poteri sono tassativi cioè devono essere
espressamente previsti dalla legge; se la corte costituzionale respinge la questione allora non c'è niente
da fare: l’atto era perfetto, la legge era costituzionale, il cittadino perde la causa e tutto finisce lì. Ma se
la corte costituzionale accoglie la questione di incostituzionalità viene a cadere con effetto retroattivo il
potere che era alla base dell'atto quindi c'è carenza assoluta di potere, di fronte alla carenza assoluta di
potere (vedremo meglio in altra lezione) giudice competente è il giudice ordinario.
Sto anticipando concetti sui quali ritorneremo nelle prossime lezioni. La situazione potrebbe
essere più articolata. Se si denunziano sia questioni di illegittimità dell'atto rispetto alla legge sia
questioni di incostituzionalità (cosa frequente perché una volta che si va in uno studio di un avvocato
l'avvocato non si affiderà mai soltanto alla questione di incostituzionalità che a volte lancia in tempo
che trova, ma cercherà di vedere quanti vizi l'atto ha rispetto alla legge. Cioè denunzia che il legislatore
ha sbagliato rispetto alla costituzione, ma anche che la pubblica amministrazione ha sbagliato rispetto
alla legge. Allora in questo caso si deve agire davanti al tribunale amministrativo regionale perché il
problema si pone così: occorre valutare i vizi dell'atto rispetto alla legge ma rispetto a questo problema
c'è la questione di costituzionalità, che diventa una pregiudiziale e allora posso sollevarla perché è
rilevante in quanto, se se verrà accolta, non sarà più necessario passare ad esaminare i vizi dell'atto
rispetto alla legge; se il TAR decide di non sollevare la questione di costituzionalità, oppure la solleva
ma viene respinta, la controversia diventa analoga qualunque altro ricorso di tipo ordinario: il TAR
dovrà soltanto valutare se ci sono violazioni da parte dell'atto rispetto alla legge.
Se un cittadino fa soltanto la questione di incostituzionalità della legge che attribuisce potere, il
giudice competente è il giudice ordinario perché nel caso in cui la corte costituzionale accogliesse la
questione ci sarebbe carenza di potere e le carenze di potere sono giudicate dal giudice ordinario.
Vediamo meglio: è vero che nel momento in cui si sta iniziando il potere esiste, però è un potere
“sotto la spada di Damocle” di non esserci più. Quando avverrà la pronuncia della corte avrà effetto
retroattivo per cui il potere sarà come non mai esistito. Quindi carenza di potere  giudice ordinario.
Se però si fanno sia questioni di carenza di potere per incostituzionalità sia questioni di contrasto tra
l'atto e la legge in teoria si dovrebbero fare da cause distinte una davanti al giudice ordinario per la
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questione di incostituzionalità e l'altra davanti al TAR per i vizi dell'atto rispetto alla legge. Però questo
sarebbe pretendere troppo dal cittadino il quale dovrebbe spendere due volte per tutelarsi. Si fa un'unica
causa nella quale la questione di costituzionalità diventa una mera pregiudiziale rispetto alle questioni
di contrasto tra l'atto e la legge. Se il tribunale amministrativo regionale ritiene non manifestamente
infondata la questione di incostituzionalità sospende il procedimento davanti a se stesso, manda gli atti
davanti alla corte costituzionale e aspetta la risposta della corte costituzionale. La risposta può essere di
due tipi si o no cioè se è incostituzionale allora il ricorso si ferma lì perché c'è carenza di potere
sopravvenuta è quindi il TAR si limita a prenderne atto per chiudere davanti a sé la questione. Se
invece venisse respinta la questione di incostituzionalità il ricorso davanti TAR deve continuare per
esaminare i problemi di rapporto tra l'atto e la legge, un normale ricorso giurisdizionale davanti al
giudice amministrativo.
Concludendo: se si denunzia l’incostituzionalità di una legge eseguita dalla P.A., la controparte
in giudizio è la pubblica amministrazione che ha emanato l'atto. Certo c'è da dire che se la pubblica
amministrazione non è una amministrazione statale è condannata a pagare di danni derivanti da questa
sua azione, ma avrebbe almeno un certo diritto a essere a sua volta risarcita dallo Stato perché è lo Stato
il titolare del potere legislativo che la ha messa in questa situazione imbarazzante di dover eseguire una
legge contrastante la costituzione. (Se la legge incostituzionale è della Regione, lo stesso discorso va
fatto nei confronti della Regione).
***
Gli artt. 24 e 113 Cost.
Quali sono le norme costituzionali che hanno maggior peso nel campo della giustizia
amministrativa? In pratica della tutela del cittadino iniziammo partendo dall'esame di queste norme che
leggiamo direttamente dal testo costituzionale. La norma più generale che tutela tutti contro tutti è
l'articolo 24 primo comma
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi
Impostata così, senza nessuna eccezione, potrebbe essere sufficiente. C'è da fare una prima
osservazione sia l'articolo 24 si è il 113 che stiamo per leggere sono formulati in termini
processualistici. Cioè si può agire in giudizio per la tutela dei diritti e interessi legittimi. Cioè prima
deve esserci il diritto sostanziale o l'interesse legittimo a livello sostanziale e poi ho la possibilità di
tutelarlo davanti a ai giudici.
Ci si pone il problema se ci può essere una legislazione sostanziale che vada a comprimere in
modo antidemocratico, anti umano, questi diritti ed interessi legittimi sostanziali. Cioè se la tutela
costituzionale riguarda solo i mezzi di tutela o entra anche nei contenuti di questi diritti. Questo
problema lo vediamo meglio riferendoci all'articolo che riguarda la pubblica amministrazione cioè
l'articolo 113. Di fronte a una norma di così ampia portata (art. 24) poteva anche non essere necessario
occuparsi della pubblica amministrazione perché in pratica tutti possono agire contro tutti e quindi
anche contro le pubbliche amministrazioni.
Per chiarezza il costituente ha voluto aggiungere l'articolo 113, per eliminare quei dubbi degli
anni 1800 nei quali c'era stato un dibattito sulla responsabilità della pubblica amministrazione. Questo
dibattito aveva coinvolto sia la dottrina che la giurisprudenza che per lungo tempo si era ritenuto che la
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pubblica amministrazione rispondesse soltanto quando agiva sul piano del diritto privato, quando
praticamente, non esercitando pubblici poteri, si poneva sul piano degli stessi cittadini: nei contratti in
particolare. Fino al 1875 si era ritenuto contrastante soprattutto con quel famoso principio della
separazione dei poteri che un giudice potesse condannare la pubblica amministrazione quando agiva
iure imperi cioè esercitando il tipico potere amministrativo di sovraordinazione nei confronti del
cittadino e della collettività. Poi questo ostacolo fu rimosso intorno al 1875 dalla Cassazione; quindi
abbastanza tardi la corte di cassazione riconosce la responsabilità anche in caso di comportamento
illegittimo della pubblica amministrazione con l’obbligo di risarcire i danni al cittadino. Si può quindi
ritenere che il costituente del 1948 abbia voluto togliere questi dubbi mettendo una norma specifica
attinente ai rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione quindi l'articolo 113:
Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei
diritti e degli interessi legittimi innanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per
determinate categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica
amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa.1
Questo articolo 113 ha voluto togliere il dubbio della cosiddetta immunità della pubblica
amministrazione perché dire che la pubblica amministrazione non risponde di danni equivale a dire che
gode di una immunità, equivarrebbe a dire che gode di una immunità. Quindi l'articolo 24 (lo abbiamo
detto prima) è a carattere generale ma all'articolo 113 ribadisce i concetti per escludere comunque che
qualcuno possa sostenere che l'articolo 24 riguarda tutti ma non gli enti pubblici. Invece l'articolo 113
dice che non possono esserci immunità: anche la pubblica amministrazione è soggetta alle azioni
giurisdizionali da parte dei cittadini che vogliono tutelarsi.
Questo centro 113 però non deve essere interpretato in modo molto letterale, con soluzioni
molto restrittive perché altrimenti arriviamo delle incongruenze. Vediamo perché arriviamo a delle
incongruenze. In linea di principio, secondo l’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale
(preleggi, che precedono il codice civile) interpretando una legge norma dobbiamo partire dalle parole;
ma se attenendoci alle parole arriviamo a degli assurdi e quindi queste parole vanno intese in senso più
ampio o più ristretto, secondo i casi, alla ricerca della “intenzione del legislatore”.
Quindi contro gli atti questa la prima espressione sbagliata, cioè che va interpretata in nel senso
estensivo; perché, ci si chiede, contro gli atti e non contro l'attività? Gli atti se li intendiamo in senso
formale, cioè atti scritti su carta, timbrati e fermati sono una cosa ma l'attività materiale della pubblica
amministrazione e un'altra allora noi avremmo una garanzia costituzionale contro gli atti formali, che
dovrebbero essere quelli che in origine potevano dar luogo all'immunità, però potremmo avere una
immunità per l'attività materiale che la pubblica amministrazione svolge nel creare opere pubbliche, nel
Quest’ultimo comma era la norma cui avevo fatto cenno ieri dicendo che non è stato concesso il potere di annullamento al
giudice ordinario degli atti amministrativi attinenti al pubblico impiego. Può disapplicarli quindi condannare
l'amministrazione a tutti gli aspetti patrimoniali del rapporto di pubblico impiego. Questo vecchio tabù rimane eppure non
c'è un contrasto specifico con il comma suddetto, che dice soltanto che “la legge determina quali organi possano annullare
gli atti” quindi non dice quali organi di giurisdizione amministrativa, ma solo quali organi: quindi anche i giudici ordinari; e
quando il giudice del lavoro quando ha la giurisdizione esclusiva sulla controversia non si vede perché debba avere questo
handicap di non potere annullare gli atti attinenti alla controversia che sta trattando.
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gestire tante cose, ad esempio far circolare i veicoli appartenenti all'amministrazione: lì ci può essere
una immunità? Per escludere questa evidente incongruenza “atti” dobbiamo interpretarlo come attività
in genere comprensiva sia dell'attività materiale sia dei veri e propri atti formali.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di
impugnazione o determinate categorie di atti. Qui ripeto il discorso che ho fatto sull'articolo 24. Anche
il 113 è impostato in termini processualistici: la garanzia consiste nel fatto che io posso agire, posso
tutelarmi, ma il diritto sostanziale che vado a tutelare non è garantito minimamente: cioè il legislatore
può sopprimere il diritto di base?
Il problema è sorto proprio per il risarcimento del danno perché se io dico che le pubbliche
amministrazioni non devono pagare danni praticamente ho aggirato l'articolo 113 perché non sto
dicendo che i cittadini non possono tutelarsi per il risarcimento del danno ma sto dicendo che il
risarcimento del danno non esiste e se non esiste non esiste neanche il problema di tutelarsi. Per
evitare questa seconda possibile assurdità che sembrerebbe discendere da una interpretazione letterale,
questa norma espressa in termini processualistici in realtà va intesa anche in termini sostanziali cioè
riferentesi anche alla possibilità che diritti di carattere generale esistenti tra tutta la comunità dei
cittadini valgano anche nei confronti della pubblica amministrazione e cioè il diritto sostanziale al
risarcimento del danno deve essere ritenuto implicitamente riconosciuto dall'articolo 113 in base ad una
interpretazione estensiva che può essere data alla espressione mezzi di impugnazione.
“Mezzi di impugnazione” lascerebbe intendere una tutela soltanto in sede di ricorsi perché i
ricorsi sono una “impugnazione di atti”. Il comma sarebbe quindi ben collegato agli “atti” del comma
precedente quindi la garanzia del 113 riguarderebbe gli atti. Le altre azioni non si chiamano
impugnazioni: se chiamo in causa chi mi ha tamponato per la strada non sto impugnando nulla sto
semplicemente citando chi mi ha tamponato perché venga condannato a pagarmi i danni derivanti dal
tamponamento. Questi casi che rientrano nel 113 se il danneggiante è la P.A.? Cioè se non ci rientrano
potremmo dire che vale il 24; la norma specifica del 113 sarebbe allora solo una garanzia aggiuntiva
che ribadisce che non ci sono le immunità dei secoli precedenti, che riguardavano l’attività iure imperi.
L'amministrazione che mi tampona deve rispondere come il singolo cittadino. Se non arriviamo
a questa conclusione l'articolo 113 sarebbe una specie di imbroglio costituzionale perché riserverebbe le
garanzie contro le attività di tipo formale. In realtà va tutto riferito a tutte le azioni giurisdizionali
quindi i “mezzi di impugnazione” dobbiamo convertirlo in una frase più generica che sono “tipi di
azioni giurisdizionali”. Questa interpretazione si chiama interpretazione estensiva che viene
riconosciuta dai giuristi, non è un'invenzione fatta qui ad hoc ma è uno dei metodi di interpretazione
della legge quando l'interpretazione letterale condurrebbe a incongruenze particolarmente gravi; qui la
gravità dell'incongruenza starebbe proprio nel fatto che la garanzia sarebbe riservata alle attività in cui
ci si potrebbe aspettare una immunità (esercizio del potere attraverso gli atti) ma di fronte ad un
tamponamento da parte di un mezzo pubblico non sarei garantito. Con espressione latina "minus dixit
quando voluit" che vuol dire che il costituente disse meno di quel che intendeva: il costituente voleva la
soppressione dell'immunità: bastava che dicesse che non ci sono immunità contro pubblica
amministrazione, ma, avendo voluto trovare delle frasi che in quel momento sembravano più tecniche,
il 113 va corretto sia nella parola “atti” trasformata in “attività” sia nella parola “mezzi di
impugnazione” che va intesa come “tipi di azione giurisdizionale”. L'azione di risarcimento è un tipo di
azione giurisdizionale, che normalmente si propone con citazione davanti al giudice ordinario
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Con la legge 205/2000 il TAR ha oggi il potere di condannare al risarcimento dei danni quando
questo risarcimento discenda da annullamento di atti amministrativi. Prima si doveva fare una doppia
azione: una davanti al TAR e, una volta vinta, riprendere l'azione per ottenere il risarcimento dei danni
davanti al giudice ordinario come diritto consequenziale; adesso tutto quanto si fa davanti al TAR con
una semplificazione evidente per il cittadino. Quindi il risarcimento dei danni diventa in questo caso è
richiesta accessoria della azione base; ma nei casi in cui va fatta davanti al giudice ordinario
(nell'attività materiale è competente il giudice ordinario) allora è garantita in quanto tale.
Ed è garantita a mio avviso anche la sostanza del risarcimento del danno perché il risarcimento
del danno rientra nei principi dello Stato di diritto, cioè le norme si impongono a tutti i cittadini e si
impongono anche agli enti pubblici: Stato e anche tutti gli altri enti pubblici; come abbiamo detto c'è
una normativa di carattere generale nella quale si dice che bisogna circolare con le vetture rispettando le
norme del codice della strada che riguarda sia le vetture private che le vetture pubbliche. Il risarcimento
del danno a mio avviso è un aspetto fondamentale dello Stato di diritto perché significa ripristinare
quella situazione economico patrimoniale che era a monte della violazione delle norme quindi a monte
della violazione dei principi dello Stato di diritto del principio di legalità di cui parlavamo ieri. Il
risarcimento danni dovrebbe essere sempre previsto perché non può essere escluso altrimenti
ritorniamo all'immunità del 1800, retaggio degli stati assoluti
Purtroppo vi è stata una pronuncia costituzionale che ha lasciato insoddisfatti i molti
commentatori e in particolare me che l'ho commentata su una rivista la sentenza di cui parlo è la
numero 148 del 1999. La corte costituzionale aveva ritenuto che l'indennizzo potesse non coprire
interamente l'ammontare del danno.
Su questo argomento torneremo in altra lezione. Il problema è parzialmente collegato a quello
dell’ammontare dell’indennizzo. Il risarcimento consegue ad un illecito; l’indennizzo ad un atto
ablativo legittimo. La corte costituzionale aveva più volte detto che l'indennizzo può essere non pari,
ma molto inferiore al valore venale. In materia potrebbero sopravvenire sviluppi molto rivoluzionari
perché la corte dei diritti dell'uomo questa estate si è pronunziata invece a favore dell'indennizzo
completo pari al valore del bene espropriato2, spero di avere il tempo anche per parlarvi di questo
argomento nelle lezioni prossime, perché è una pronunzia davvero molto importante che può portare a
sconvolgere tutti i problemi attinenti alle opere pubbliche in particolare, perché per risparmiare sulle
spese delle opere pubbliche la legislazione vigente prevede un forte abbattimento dell'indennizzo. Ma
mentre il discorso dell'indennizzo che vi ho soltanto accennato attiene a quella che si chiama
responsabilità per atti leciti, il discorso sul risarcimento rientra nel problema della tutela dei diritti e
degli interessi legittimi nel modo più specifico perché rientra nei problemi che abbiamo impostato in
questo corso sullo Stato di diritto e sulla legalità.
Se ho espropriato regolarmente il terreno lo pagherò, perlomeno secondo le norme vigenti,
molto meno del valore, se invece ho acquisito il terreno illegittimamente, con un'opera pubblica che
acquisisce il terreno di diritto (accessione invertita, senza regolare espropriazione) devo pagare non
l'indennizzo ma bensì il risarcimento del danno al proprietario del terreno su cui ho costruito l'opera
pubblica senza una regolare espropriazione. Cosa aveva detto il legislatore, il legislatore aveva detto in
un primo tempo che verrebbe pagato il risarcimento in maniera uguale all'indennizzo cioè anche se era
stata illegittima la costruzione dell'opera pubblica sul terreno privato pagava nella stessa misura
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Caso Scordino c. Italia
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dell'indennizzo. Su questa norma la corte costituzionale si è pronunziata per l’incostituzionalità perché
disse che non si possono equiparare due istituti diversi: l'indennizzo e il risarcimento. Però non aveva
approfondito il discorso su tanti aspetti della costituzione in particolare su gli artt. 113 al 24; si era
basato sul principio di eguaglianza e se l'era cavata con pochi ragionamenti; aveva anche richiamato
l'articolo 42 dicendo che non era sufficientemente tutelata la proprietà privata; era una sentenza troppo
semplice che è stata un incentivo per il legislatore per trovare la scappatoia. Ha modificato la legge e
quindi ha differenziato l'indennizzo dal risarcimento portandolo un po’ più su come entità. Con la
nuova disciplina può essere pari a circa il 60% del valore del bene, mentre l'indennizzo può scendere
circa intorno al 30%. Quindi quel 40% non pagato rispetto al valore venale diventava il problema di
costituzionalità. La corte costituzionale ha dichiarato legittima questa riduzione. S'era un po' incastrata
con la precedente sentenza dicendo che bisognava differenziare l'indennizzo e dal risarcimento che in
effetti è differenziato perché l’uno è il 30 e l'altro 60%, però non credo che fosse quello il problema
perché bisognava andare alla natura dell'istituto è vedere se l'istituto del risarcimento consentisse delle
riduzioni.
Se l'istituto del risarcimento è connaturato ai principi dello Stato di diritto perché è un ripristino
della legalità violata è evidente che anche quel 40% di riduzione non era prevedibile. Lo Stato di diritto
a nostro avviso è previsto dagli articoli della costituzione che prevedono questa tutela del cittadino e il
24 e il 113 vanno interpretati però in modo corretto; la corte costituzionale ha detto che non troviamo
nessun articolo della costituzione la garanzia dell'indennizzo pieno e completo. Certamente se la
andiamo a cercare in maniera così esplicita non la troviamo, però dobbiamo andarla a cercare
nell’interpretazione logica di quegli articoli che abbiamo appena adesso commentato: il 24 e il 113.
Nell’esame delle norme costituzionali che riguardano la P.A. ed in particolare la responsabilità
della P.A. sono partito dall'esame degli articoli 24 e 113 perché concordo con quegli studiosi che
ritengono che l'articolo 28 non sia quello più importante in materia di responsabilità degli enti pubblici.
Perché l'articolo 28 può essere stiracchiato da qualunque parte in base alle interpretazioni più disparate
possibili. Quindi, come hanno giustamente commentato alcuni studiosi, l’interprete parte dal
convincimento di quella che dovrebbe essere la responsabilità degli enti pubblici e poi applica questo
suo convincimento e dando un significato alle parole contenute nell'articolo 28 della costituzione. Il
Casetta, nei suoi commenti di tantissimi anni fa, per l'articolo 28 sosteneva alcune teorie che poi ha
molto mitigato, direi quasi revocato nei volumi recenti, in quanto sono teorie sorpassate dalla
giurisprudenza e dalla dottrina. Teorie che diciamo che portavano delle soluzioni talmente estreme da
essere praticamente in attuabili.
Vediamo l'articolo 28 "I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono
direttamente responsabili secondo le leggi penali e civili e amministrative degli atti compiuti in
violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici".
Anche questo articolo va spezzettato e visto punto per punto. Funzionari e dipendenti dello Stato
quindi parte dal prendere in considerazione non tanto la responsabilità degli enti pubblici quanto quella
dei dipendenti. E questo è un primo fatto particolare che deve portarci a pensare, perché le impostazioni
che vengono in genere date al problema della responsabilità danno un peso prevalente alla
responsabilità dell'ente rispetto a quella del dipendente. Cioè il cittadino deve essere tutelato nei
confronti dell'apparato in base al principio sempre dello Stato di diritto e non deve essere affidato a un
rapporto con le persone fisiche dell'apparato. E quindi la figura del dipendente è puramente accessoria
ed eventuale. Quindi la prima interpretazione che si dà è che questa norma è che è messa lì per non
rendere del tutto immuni i dipendenti da problemi di responsabilità, ma non in sostituzione dei principi
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più generali che si ricavano da altre norme costituzionali che invece tutelano il cittadino nei confronti
dell'apparato in base alle concezioni molto più vaste che risalgono al principio di legalità e di Stato di
diritto.
Sono direttamente responsabili secondo le leggi penali e civili ed amministrative degli atti
compiuti in violazione di diritti, tutte parole da vedere una per una. Lasciamo da parte le leggi penali ed
amministrative, le leggi penali riguardano i casi più gravi nei quali vi è uno reato che deve essere
preventivamente stabilito dalla legge perché lo dice l'articolo 25 " nessuno può essere punito se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso " quindi devono esistere
preventivamente norme speciali che devono prevedere in modo chiaro la fattispecie penalistica. Per
quanto riguarda le leggi amministrative, l'espressione responsabilità amministrativa può essere intesa in
vari modi come responsabilità che dà luogo a sanzioni amministrative e anche come responsabilità per
danno erariale cioè dover pagare di danni allo stesso ente a cui si appartiene.
Quindi togliamo di mezzo adesso queste altre responsabilità e occupiamoci invece della
responsabilità secondo le leggi civili, cioè responsabilità che più correttamente viene chiamata
patrimoniale cioè di risponde con il proprio patrimonio dei danni patrimoniali che si causano
nell'ambito della attività che viene svolta per conto degli enti pubblici. Degli atti compiuti in violazione
di diritto anche qui la parola atti sarebbe troppo restrittiva è quindi dobbiamo intendere della attività o
volendo essere precisi dell’attività e degli atti, perché sarebbe strano che si rispondesse degli atti e non
di un tamponamento stradale.
Secondo le leggi civili; questa espressione è stata interpretata in modo differenziato da parte dei
commentatori. Cosa diceva Casetta nel lontanissimo 1958. Il rinvio alle leggi civili, diceva, significa
rinvio al codice civile cioè l'articolo 28 secondo lui equiparava i dipendenti pubblici a qualunque
cittadino. Teniamo presente che come cittadino devo pagare di danni anche per colpa lieve. Io ritengo
che nell'ambito della responsabilità intersoggettiva sussista quasi una responsabilità oggettiva, perché si
pagano i danni nei casi in cui la rimproverabilità del comportamento e talmente lieve da essere
ascrivibile alla imperfezione dell'essere umano; l'essere umano è per sua natura imperfetto e quindi per
sua natura può creare dei danni, ma ciò non significa che il danneggiante sia sempre un essere
riprovevole. Deriva dal fatto che siamo umani e non siamo divini. Le norme e la a giurisprudenza
stabiliscono che si debbano risarcire i danni anche quando manca una rimproverabilità morale del
comportamento. Non è una stortura che si risarciscano i danni anche in assenza di una riprovevolezza
morale, basandoci su di una riprovevolezza giuridica e quindi anche artificiosa. Non è una stortura
anche perché c’è un danneggiato che aspetta qualcosa: se io dichiaro risarcibile un danno tra due
cittadini di cui uno ha causato e l'altro ha subito un danno non sto facendo giustizia di tipo morale ma
sto dicendo che secondo il diritto è più logico che il danno venga in via definitiva subito da chi lo ha
causato e non da chi lo ha subito. Perché se non altro c'è stata una violazione di una norma di
comportamento da parte del danneggiante e c'è stata comunque una invasione della sfera giuridica ed
economica del danneggiato da parte del danneggiante. È la stessa logica che poi sta alla base della
responsabilità oggettiva. E una mia impostazione quella che vi sto esponendo, perché praticamente il
discorso della invasione delle sfere non sempre viene preso in considerazione dalla dottrina e dalla
giurisprudenza. Generalmente si argomenta ritenendo esistente la colpa e così si procede a risarcire il
danneggiato. Ma se andiamo fondo del problema vediamo che queste colpe a volte sono assai tenui,
(secondo gli stessi antichi romani contava anche la colpa lievissima, la colpa lievissima è sicuramente
una costruzione giuridica e non di tipo moralistico). Quindi una costruzione giuridica che sotto certi
aspetti diventa una responsabilità oggettiva. Ed allora un rinvio dell'articolo 28 a questi concetti non
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pare possibile: possiamo mai ammettere che un dipendente pubblico possa rispondere di danni con
questi caratteri di quasi oggettività? Cioè causa=effetto? E la causa è il comportamento del
danneggiante e l'effetto il danno del danneggiato; però questo automatismo che discende dalle norme
civili e soprattutto dalla giurisprudenza in campo civilistico, logico tra privati, vi sembra applicabile
così pedissequamente nei rapporti tra il pubblico dipendente e il cittadino danneggiato? Sicuramente no
perché no? Istintivamente noi diciamo no ma perché no? Tra due cittadini la colpa lievissima si basa sul
fatto della invasione, io sono entrato nella sfera del danneggiato, e siccome il danno esiste rinnegare il
risarcimento significa dire al danneggiato alla napoletana: “chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato”.
Praticamente non pagare significa condannare il danneggiato a tenersi il danno ed è quindi più
logico che paghi il danneggiante; ma questo discorso perché non va bene quando si tratta di pubblico
dipendente? La differenza tra privato nei rapporti con privato e l'operatore pubblico nei rapporti col
privato è notevolissima e sta nel fatto che il privato sta agendo nella sua sfera di interessi per perseguire
interessi propri (esempio io con la mia macchina sta andando da qui alla piazza vicina perché mi
interessa perché ho fare qualcosa che mi interessa), l'operatore pubblico sta agendo per interessi che
non sono suoi: tutta l'attività che compie è nell'interesse del soggetto pubblico o addirittura
nell'interesse più vasto della collettività. Dando il giusto peso a questa realtà non è possibile che si
possa applicare un criterio di quasi oggettivizzazione che deriva dall'invasione delle sfere. La sfera del
privato danneggiato è stata invasa dall'ente pubblico nell'interesse del quale sta agendo come organo il
funzionario. Anche per l'attività materiale io ritengo valga lo stesso ragionamento; perfino gli operai
pubblici sotto certi aspetti sono organi dell'ente perché stanno facendo muovere l'apparato dell'ente.
Non tutti sono d'accordo su quest'interpretazione del concetto di organi molto più vasto che non riferito
soltanto a chi firma, quindi fa muovere l'apparato pubblico nell'interesse pubblico e quindi l'aspetto
primario è quello dell'ente e non di chi sta facendo muovere la macchina.
Chi sta facendo muovere la macchina non può essere colpito da questo tipo di responsabilità.
Carlo Esposito è un autore all'estremo opposto di Casetta del 1958. Diceva: quale pubblico dipendente
sarebbe disponibile ad assumersi queste responsabilità così colossali ed oggettive? Dove troverà mai la
pubblica amministrazione persone disposte tanto? E quindi Esposito arrivava a sostenere una tesi forse
eccessiva nel senso opposto. Esposito sosteneva la tesi che la parola in violazione di diritti significasse
con dolo cioè vedeva in questa frase l'intenzionalità del comportamento. Certo se c'è l'intenzionalità del
comportamento dannoso e la consapevolezza dell’antigiuridicità il caso è chiaro. Casetta era caduto
nell'equivoco che “secondo le leggi civili” significasse “secondo il codice civile” con l'obbligo di
parificazione dei rapporti tra cittadini ai rapporti fra impiegati pubblici e cittadini. È questo il salto
logico che non andava bene in Casetta. Ma eccessiva è anche la tesi dell'Esposito che parla soltanto di
dolo; ma allora qual è l'interpretazione da dare? È un rinvio al legislatore, cioè legislatore può
disciplinare secondo leggi civili, cioè secondo leggi attinenti ai rapporti patrimoniali, la responsabilità
dei pubblici dipendenti.
Oggi prendiamo atto che il legislatore si è comportato in un certo modo nel disciplinare la
responsabilità di pubblici dipendenti: si è comportato secondo quella che era la logica che ci saremmo
aspettati. E sapete quale? Oggi un pubblico dipendente risponde secondo quali criteri? Nei confronti del
cittadino con quale criterio con quali metri di giudizio può rispondere un pubblico dipendente
direttamente nei confronti dei cittadino? Con quale metri di giudizio un giudice ordinario può
condannare un pubblico dipendente a risarcire un pubblico cittadino che si ritiene danneggiato
dall'attività del pubblico dipendente nell'esercizio delle sue funzioni? Dolo e colpa grave, ma dove sta
scritta da questa frase? La troviamo in norme specifiche nel testo unico sul pubblico impiego del 1957
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numero 3. Nell'articolo 28 Cost. il rinvio alla legge civile significa rinvio alla la legge civile
specialistica dei rapporti tra dipendente pubblico cittadino. Questo T.U. del 1957 è stato ampiamente
superato dalla legislazione successiva ad eccezione proprio delle norme attinenti alla responsabilità
perchè dopo questo testo unico ci fu il decreto legislativo 29 del 1993, che ha disciplinato il pubblico
impiego, ma l'articolo 59 del decreto legislativo fa salva la normativa vigente, quindi il testo unico del
57 è stato tutto assorbito e cambiato dal decreto legislativo 29 tranne gli articoli riguardanti la
responsabilità: articoli riguardanti sia la responsabilità nei confronti del cittadino sia la responsabilità
nei confronti dell'ente pubblico. Però mentre la responsabilità nei confronti del cittadino è rimasta più o
meno quella che era prevista fin dal 1957, la responsabilità nei confronti dell'ente pubblico prevista nel
1957 è stata molto modificata da una legge del 1996 che ha inciso notevolmente, mitigando la
responsabilità del dipendente pubblico nei confronti dell'ente3.
Il dipendente pubblico può danneggiare il cittadino e può danneggiare anche l'ente; non solo ma
fate attenzione: se danneggia il cittadino, e il cittadino non si rivolge direttamente all'operatore pubblico
ma si rivolge all'ente può sorgere un problema di rivalsa di quello che l'ente ha pagato al cittadino: la
Corte dei conti che gli chiede il rimborso di quello che stato costretto l'ente a pagare al cittadino.
Però anche da questo punto di vista che prima sembrava aprire rischi eccessivi ai danni del
dipendente è stato introdotto il principio del dolo e della colpa grave e quindi il parametro lo stesso.
Quindi il dipendente pubblico se non è almeno in colpa grave non pagherà né al cittadino né all'ente.
Mentre 1957 sembrava che ci fosse un assurdo perché nei confronti del cittadino era tutelato dal criterio
della colpa grave ma nei confronti dell'ente non si diceva nulla: quindi in teoria il procuratore della
corte dei conti poteva chiamare per responsabilità per danno erariale anche per colpa lieve, anche se poi
non si era poi così tassativi nell'esercitare questa azione di responsabilità. Era (ed è) prevista la
riduzione nel caso di danni particolarmente ingenti non si chiede di pagare tutto il danno ma solo
discrezionalmente una quota del danno.
Oggi la fonte dovrebbe essere il testo unico 165 del 2001. Ma il testo unico 165 del 2001 si è
dimenticato di questa materia e allora che cosa dobbiamo ritenere? Dobbiamo ritenere ancora in vigore
le norme del 1957, altrimenti resteremo senza disciplina.
Questa colpa grave però che cosa è? Come si distingue una colpa grave da una colpa lieve? C'è
un metro che potrebbe distinguerli? Nella colpa grave ci deve essere un quid di rimproverabile; prima
abbiamo detto che il diritto nei rapporti col cittadino è sufficiente anche la colpa lievissima, che
prescinde da una umana rimproverabilità, perché noi tutti possiamo sbagliare; ma proprio perché noi
tutti possiamo sbagliare non siamo degli esseri nefandi quando commettiamo queste colpe lievissime;
mentre, se siamo rimproverabili anche sul piano pregiuridico per una certa azione, allora questa
valutazione può incidere sul mondo giuridico considerando ciò colpa grave. Questa è la mia idea che ho
su questo concetto, altrimenti non avremmo di parametri specifici per dire quando è grave e quando non
è grave e cioè arrivare al concetto di riprovevolezza.
***
Un caso particolare: Regio
Decreto 3 marzo 1934, n. 383
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La legge 14 gennaio 1994, n. 20, contenente varie disposizioni sulla Corte dei Conti e sulla responsabilità impiegati è
modificata con sostituzione dell’art. 1, ad opera del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, conv. in l. 20 dicembre 1996, n. 639: vedi
scheda 15 del file 2-Lezio.doc
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La carta costituzionale si trova a volte a conflitto con norme precedenti la costituzione la
soluzione che la dottrina ha data è che anche le norme precedenti alla costituzione sono suscettibili di
valutazione dell'eventuale contrasto con la costituzione sopravvenuta (l’alternativa era l’abrogazione
per incompatibilità, possibile, ma non sempre riscontrabile) anzi ci sono moltissime norme del codice
di procedura penale portate davanti alla corte costituzionale sotto un particolare profilo di violazione
del diritto alla difesa. Quindi norme precedenti alla costituzione. Fu posto dalla dottrina il problema del
testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, secondo il quale nessun indennizzo è dovuto per le attività
di pubblica sicurezza nell'esercizio delle facoltà ad esso attribuite dalla legge. Qui la giurisprudenza è
arrivata ad una interpretazione adeguatrice che riconosce la responsabilità per i casi in cui la pubblica
sicurezza si sia mossa con carattere di illecito. Quindi anche per particolare imprudenza dell'uso delle
armi da fuoco può derivare una responsabilità. Io ritengo che ci debba essere una responsabilità
oggettiva: cioè non bisogna necessariamente indagare sulla colpa ma il caso dovrebbe ricadere a mio
nell'articolo del codice civile che prevede le attività pericolose, per le quali c'è sostanzialmente una
responsabilità oggettiva e non si va a cercare la colpa di nessuno; quindi se qualcuno e rimasto
accidentalmente colpito in una azione di pubblica sicurezza dovrebbe non tanto essere risarcito ma
indennizzato (comunque in misura equivalente al risarcimento).
***
L’art. 97 Cost. Efficacia e efficienza.
Adesso analizziamo un altro articolo della costituzione che riguarda non tanto più la
sindacabilità della pubblica amministrazione sotto il profilo strettamente della antigiuridicità ma sotto il
profilo dell'efficienza e dell'efficacia. La base di questi ragionamenti è l'articolo 97 della costituzione.
Come ho già detto in una lezione precedente, la parola pubblica amministrazione non è contenuta in
nessun articolo della costituzione, ma è prevista nel titolo della sezione 2 del titolo III (la pubblica
amministrazione), che precede l'articolo 97.
Il contenuto dell'articolo parla di pubblici uffici ma direi che i pubblici uffici sono
evidentemente la pubblica amministrazione. Sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo
che sia assicurato il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione; questa frase è stata oggetto
di interpretazione da parte della dottrina e presupposto per creazione da parte del legislatore di nuovi
istituti negli ultimi anni volti a raggiungere questo concetto di buon andamento.
Per quanto riguarda l'imparzialità è un concetto che può dar luogo a problemi di tipo giuridico e
abbiamo visto che esiste anche un vizio specifico degli atti amministrativi, la disparità di trattamento e
cioè l'opposto dell'imparzialità. Quindi l'imparzialità è un concetto strettamente giuridico. Il buon
andamento è un'espressione che per molti anni è stata intesa come un auspicio, come qualcosa di vago
come qualcosa di controllabile soltanto sul piano politico. Se non si è soddisfatti si da la colpa ai
politici che dovevano controllare! La vaghezza del concetto non consente un controllo degli atti
emanati dalla pubblica amministrazione, un controllo puntuale di ciascuna atto emanato dalla pubblica
amministrazione, perché se un atto è buono o cattivo è un problema di merito dell'atto e l'inopportunità
degli atti amministrativi non è soggetta a controllo giurisdizionale; può essere soggetta a controllo solo
in sede di ricorsi amministrativi: il cittadino, nel fare un ricorso gerarchico, può anche denunciare
l'inopportunità dell'atto.
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Visto che non è possibile quindi un controllo degli atti che cosa è possibile in base al principio
del buon andamento che poi si converte in efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa in genere?
Può essere possibile soltanto un controllo a posteriori che valuti l'intera gestione della pubblica
amministrazione. Cioè si può valutare se il complesso dell'attività svolta abbia raggiunto degli obiettivi
adeguati. Quindi vi è una fase precedente di enunciazione degli obiettivi e una fase successiva per
vedere se gli obiettivi sono stati raggiunti e come sono stati raggiunti o se ci sono delle giustificazioni
che possano giustificare il non aver raggiunto gli obiettivi; esempio: sottrazione di risorse per
fronteggiare cataclismi alluvioni o aventi naturali particolarmente gravi. Ma normalmente dovremmo
aspettarci che gli obiettivi vengano raggiunti; quindi un controllo sul raggiungimento degli obiettivi e
chi deve fare questo controllo? Lo devono fare gli organi politici che sovrintendono alla
amministrazione di quel determinato ente e lo può fare anche la Corte dei conti, ma non con l'incisività
che è possibile con il controllo di tipo giuridico; il controllo di efficienza esplicita verso la collettività e
verso gli organi collegiali degli enti pubblici il mancato raggiungimento degli obiettivi che già di per sé
avrebbe dovuto rilevare il vertice politico dell'organizzazione. La cittadinanza deve sapere se a giudizio
della corte dei conti si sta agendo bene nella attività amministrativa perché la cittadinanza può imputare
agli organi politici un omesso controllo degli organi amministrativi.
Quando manca un controllo dei singoli atti il sistema provvede con il controllo sugli organi.
Tutti rapporti pubblici sono basati o sul rapporto tra atti o sul rapporto tra organi. Finché funziona un
rapporto tra atti allora l'atto illegittimo sul piano strettamente giuridico può essere soggetto ad una
mancata approvazione o registrazione se esiste il controllo preventivo, oppure ad annullamento
contenzioso quando è il cittadino leso che agisce o anche ad un annullamento d'ufficio quando la
pubblica amministrazione si accorge che un atto è illegittimo4. Quando non è possibile rapporto tra atti
esiste il rapporto tra organi. L’organo politico insoddisfatto dell'organo amministrativo dirigente può
non rinnovarlo nella carica; durante il periodo deve controllarne l’operato, anche attraverso appositi
nuclei di valutazione; può emanare direttive per raddrizzarne il comportamento insoddisfacente e, alla
peggio, può persino revocarlo in casi gravi. E comunque può non rinnovarlo alla scadenza dell'incarico.
Vediamo cosa può fare la Corte dei conti dal canto suo. La legge più importante della corte dei
conti è la numero 20 del 19945 Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della corte dei conti
Art. 3, comma 4. La Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla
gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori
bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni,
nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. Accerta, anche in base
all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti
dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione
amministrativa. La Corte definisce annualmente i programmi ed i criteri di riferimento del controllo.
Quindi controlla sei gli obiettivi sono stati raggiunti valutando comparativamente costi modi e
tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa. Comma 5: Nei confronti dell'amministrazione
regionale il controllo della gestione comprende il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di
principio e di programma. Quindi la corte dei conti ha questo compito aggiuntivo, che negli anni
precedenti non era previsto tant'è che sta anche modificandosi la composizione della Corte dei conti,
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Attenzione però: l'annullamento d'ufficio non può essere sempre esercitato quando l'atto ha avuto una esecuzione o si è
consolidato nel tempo, perché annullare d'ufficio porterebbe più danni che benefici; l’annullamento d’ufficio richiede una
valutazione positiva dell’interesse pubblico attuale.
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http://www.bosettiegatti.com/info/norme/statali/1994_0020.htm
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perché prima erano previsti soltanto laureati in giurisprudenza adesso sono previsti anche laureati in
economia e scienze politiche questo perché si vuole che facciano parte della corte dei conti anche dei
funzionari preparati non soltanto sul piano giuridico.
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